Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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12. LA SCHIETTEZZA*

Vi sono delle prediche che si ripetono sovente perché sono necessarie, come è necessario il pane che pur comparendo più volte al giorno sulla tavola, non lo rifiutiamo mai, perché lo gustiamo, fa bene: è il miglior alimento; il più necessario, e tanto necessario che quando una persona provvede col suo lavoro a se stessa, diciamo: Si guadagna il suo pane.
Quindi non vi meravigliate se vi ripeto una predica che vi ho tenuta qualche tempo fa.
Che significa? È molto ben definita dal divin Maestro quando dice: «Il vostro parlare sia: sì, sì, no, no, quel che è di più viene dal maligno»1.
Siate semplici, dite poche parole, date poche disposizioni.
Il carattere dell'infingardaggine è l'abbondanza di parole, di proteste, di assicurazioni. Le suore semplici stanno bene. Le Figlie di San Paolo hanno portato dappertutto un carattere di schiettezza: lo si sappia conservare andando nel mondo che è maligno, malizioso, perciò contrario alla sincerità.
La schiettezza si definisce: in rapporto a Dio, e al nostro interno.
Un'anima non schietta, combina come deve presentarsi in confessione, scrive tante parole; si comporta esteriormente da comparir devota, amante del proprio dovere, paragonandosi a destra e a sinistra con le consorelle e cerca di salvare tutto ciò che è esterno.
L'anima schietta è semplice e pura nella sua fede; ha grande speranza nel Paradiso e vi pensa con gioia, ricorre a Dio con fiducia; a lei basta l'atto di carità, che recita con trasporto: Mio Dio, ti amo con tutto il cuore, sopra ogni cosa.
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L'anima che non è semplice è confusa, è fatta tutta ad immaginazione. Cerca di accontentarsi di se stessa, così inganna sé e gli altri, va inventando tante espressioni per abbellire l'esterno, per salvarsi; in fondo, in verità, non ama il Signore.

La schiettezza nelle relazioni con il prossimo.
La persona schietta non inganna, non circuisce, non ha sottintesi; dice ogni cosa, e per ogni cosa ciò che si deve dire, ma ha parsimonia di parole, è ammirabile.
Parlato una volta con quella persona l'avete capita; la non sincera non siete alle volte riusciti a comprenderla pur avendola frequentata parecchi anni; non riuscite mai a capire ciò che pensa.
L'anima schietta lo è prima con se stessa, confessa chiaramente: Ho ancora questo difetto. La non sincera cerca scuse nell'esame di coscienza, si difende dinanzi a se stessa, dinanzi agli uomini, e dinanzi a Dio.
L'anima schietta si esamina rapidamente; dà uno sguardo alla sua coscienza e conosce la sua situazione dinanzi a Dio; si dà ragione dei suoi difetti, li confessa senza scuse, e ne ottiene il perdono da quel Dio che è tanto misericordioso; non ha rispetto umano, non ha false intenzioni; quello che giudica bene lo fa candidamente davanti a Dio e davanti a tutti, non ha ipocrisia. «Io sono la verità»2, disse Gesù Cristo; anche i suoi nemici lo riconobbero schietto quando gli dissero: «Maestro, sappiamo che dici la verità, senza nessun riguardo»3.
Gesù disse dinanzi a Pilato: «Io sono la verità», e Pilato: «Che cos'è la verità?»4. Ma per timore che Gesù glielo spiegasse tacque, non chiese più nulla.
Gli Apostoli facevano a Gesù tante proteste di affetto, erano gelosi, ognuno desiderava di essere a capo della Chiesa, ambiva il posto migliore. Ma Gesù che non si fidava di loro, rispose: «In verità uno di voi mi tradirà»5.
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La verità ci fa amici di Dio.
Alcuni sono tanto schietti, di loro vi potete fidare. Nel giorno del giudizio non comparirà di loro che il bene, perché il male lo hanno detestato e confessato sinceramente, e perciò comparirà perdonato, lavato dal sangue di Gesù Cristo. Nel giudizio compariranno tutti i raggiri degli uomini. Pregate il Signore che è il Dio della verità. Non amore finto, non proteste vane di affetto: generosità di cuore, virtù vere.
Non si obbedisca per evitare il castigo, non si compia il dovere per l'approvazione o la stima dei superiori.
Vi sono delle abitudini che vanno bene e altre no6. È ammissibile l'esame di coscienza scritto al confessore, una volta, due, nella vita. Ci si confessa, ci si mette in tranquillità, e se il confessore dice di non pensarci più, lo si faccia con tranquillità. Quell'usare biglietti nel ritiro mensile, quell'evitare la pena, in una parte molto espiatoria, è male, l'umile confessione è opera satisfattoria.
Quando siamo in lotta o siamo avvertiti, sfoghiamoci con Dio e anche con chi ci ha avvertiti. Non sta bene mandare il biglietto per accusare la nostra mancanza. Riportiamo la vittoria di confessarla umilmente a voce. È passione il non voler scendere a quest'atto di umiltà. Il biglietto non arrossisce, quello che non osiamo fare in faccia è male.
Così non è bene copiare certi sentimenti dei santi per l'ambizione di dire cose che non si sentono. Recitate di cuore gli atti di fede, speranza, carità, dolore: manifesterete a Dio i migliori sentimenti e nel modo migliore. Si scriva ai superiori quando torna a gloria di Dio e a bene delle anime, ma non per salvare l'orgoglio, per scansare penitenza. Amare la croce, ma non quella esterna, quella interna, il Crocifisso. In confessione esprimiamo con poche parole i sentimenti dell'anima; la vocazione, in ciò che riguarda i sentimenti interni.
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E non diciamo delle persone se non quello che ripeteremmo senza arrossire in loro presenza, perché chi dice di non ripetere quanto ha detto d'una persona in sua presenza, per non farsi dei nemici, quello si è creato nemici presso Dio e presso gli uomini.
Non ingannate in confessione, non scusatevi, e meno, accusate altri. Dite: Ho fatto questo perché sono superba; dite poche parole e le necessarie per l'integrità e sincerità della confessione. Chi si scusa ha giocato, e non si è confessato, e non ha ricevuto l'assoluzione delle mancanze delle quali ha addotta la colpa ad altri.

Maria candidamente si è manifestata all'angelo, non si è accusata peccatrice, ma al suo saluto ha risposto: «Ecco la serva del Signore!»7.
Tante persone esagerano le colpe per invitare gli altri a scusarle e a giustificarle. Provate la loro umiltà: "È vero, non te li riconosci ancor tutti i tuoi difetti"; e vedetene l'effetto!
Un religioso diceva ai suoi discepoli: Quando indegnamente io ero superiore... quando indegnamente ero stato incaricato di queste mansioni.... I suoi discepoli un giorno provarono con quale convinzione riconoscesse la sua indegnità: Padre, quando lei indegnamente era superiore.... Come indegnamente, lasciate che lo dica io per umiltà, ma non voi: è mancanza di rispetto.
Vi sono quattro modi di dire bugie: la peggiore è la falsità nelle opere, ossia quando si cerca di nascondere i nostri falli, per timore di non comparir virtuosi, di perdere la stima che non ci siamo meritati. Vogliamo comparire pie, operose e in verità scanseremmo lavoro e preghiera. «Sia il vostro parlare: sì, sì, no, no».
Domandiamo perdono di tutto ciò che non fu sincero in noi e chiediamo al Signore la virtù della schiettezza.
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* Predica stampata in EC, 5[1934]4. Non è indicato l'autore, ma il linguaggio diretto non lascia dubbi che si tratti del Fondatore. La data è indicata nel modo seguente: Domenica, 6 maggio 1934.

1 Cf Mt 5,37.

2 Cf Gv 14,6.

3 Cf Mt 22,16.

4 Cf Gv 18,38.

5 Cf Mt 26,21.

6 Nel paragrafo che segue Don Alberione scende ad esemplificazioni che possono sembrare eccessive, ma è bene tener presente che si rivolge a persone molto giovani che vuole educare all'essenzialità e alla schiettezza, specialmente riguardo alla confessione.

7 Cf Lc 1,38.