Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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34. LA POVERTA'1
La vocazione religiosa è la vocazione alla santità, cioè alla perfezione. Come la tendenza di un giovane a curare gli infermi e a professare la medicina indica che egli, nella sua vita, vorrà fare il medico.
La prima e fondamentale disposizione, il primo e fondamentale segno di vocazione è sempre nel: Si vis perfectus esse2, se vuoi esser perfetto. Si può vivere religiosamente in tanti Istituti, ci possono essere delle condizioni per entrare in un Istituto o in un altro, ma sempre,però, è necessario che si voglia attendere alla perfezione, non ad una vita comoda per schivare le fatiche di una vita di famiglia, forse una vita disagiata, povera, faticosa e umile.
Per entrar nella vita religiosa occorre tendere alla perfezione, a quello che è più umile, a quello che è pù scomodo, a quello che è più faticoso, a quello che importa più privazioni, a quello che è più sacrificato, a quello che richiede lavoro più intenso. Veni, sequere me3, disse Gesù. Vieni e seguimi. Vuol dire: passa sulla strada che ho tenuta io. Ora, quale strada ha tenuta Gesù dal presepio alla croce, al sepolcro? La strada della povertà, della fatica, dell'umiliazione, di quello che è più povero, meschino, la strada di chi chiede la carità, come ha fatto nella sua vita pubblica, e, del resto, come ebbe in carità il sepolcro e come aveva avuto, per nascere, una grotta che non era sua.
La tendenza alla perfezione è la fondamentale condizione per la vocazione religiosa. Ma non una perfezione in qualunque modo: «mediante i santi voti di povertà, castità, obbedienza e nell'uniformare la vita alle Costituzioni»4, agli usi dell'Istituto.
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E primo nella povertà. Ai voti occorre avere un culto, un vero culto. Quindi, i due libri che attualmente vengono più usati dalle religiose e dai religiosi per le meditazioni e, ancora più, per le letture spirituali, se si eccettua la Scrittura, il Vangelo, sono: «Il culto della Regola»1, «Il culto dei Voti»2. Non immaginiamoci che bisogna pregare i voti, vuol dire: coltivarli, «cultura», cultura cioè, culto dei voti, amarli, comprenderli, praticarli, immolarsi nell'osservanza dei santi voti.
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Il primo è la povertà. Perché si possa capire occorre sempre tener l'occhio fisso al Maestro Divino che per i religiosi è via, verità e vita1. E' via. E' vero che oggi si parla di aggiornamento e molti intendono male la parola «aggiornamento». Vorrebbero dire: più libertà, indipendenza, meno timori, precauzioni, per evitare il peccato, e libertà anche fino a esporsi a certi pericoli, a leggere di tutto, a veder di tutto, a conversare con tutti, a uscire, ecc. Oh, questo aggiornamento è un peggioramento, è un peggioramento.
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Eh, ma parlando particolarmente della povertà, occorre dire che sempre si ha da tener l'occhio fisso al Maestro Divino. Quando nell'abitazione non ce n'è mai basta di comodità; quando nelle premure per la salute non c'è mai basta; quando, nella tavola, quando nel vestire, quando nell' accumulare e provvedere le cose più comode... Voto di povertà, purché non manchi nulla e purché ci sia vita comoda. Questa non è la povertà che ha praticato Nostro Signore, non è la povertà di cui egli ci ha lasciato l'esempio. La vocazione al voto di povertà, cioè a vivere in povertà, suppone che noi abbiamo più tendenza a ciò che è faticoso che non a ciò che è, invece, più comodo; a ciò che è più rattoppato e povero, che a ciò che è più distinto; a ciò che è meno gustoso che, invece, forse, è gustoso al palato; a tener conto dei minimi istanti della giornata per rendere all'Istituto, che non a scaricarsi delle responsabilità e delle fatiche. Per avere la vocazione al primo voto, quindi, occorre che noi guardiamo i grandi esempi dei santi.
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Per mancare gravemente contro il voto di povertà, che cosa si richiede, cioè, che materia si richiede? Si manca gravemente al voto di povertà e anche, tante volte, non tutte le volte, ma tante volte, alla giustizia, quando la materia che si sottrae o di cui si abusa è tale che, se si trattasse del settimo comandamento, costituirebbe materia grave. Ma da questo estremo, a cui potrebbe giungere una persona religiosa, alla follìa della croce, quale distanza! Le anime innamorate della croce commettono certi eccessi e sanno talmente umiliarsi e talmente prendere occasioni per mortificare se stesse che il mondo non capisce, e, disgraziatamente, anche nei conventi si introducono, poco per volta, degli abusi. Si teme sempre quel che richiede sacrificio; con facilità ci si dispensa dal chiedere i permessi; qualche cosa si nasconde perché si vuole godere di quelle minuzie, alle volte, che intanto legano l'anima, e le impediscono di fare passi decisi nella santità. Se non si comincia dal abneget semetipsum1, quando è che poi si seguirà la via della santità?
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Ora, se guardiamo allo stato vostro: di voi non c'è nessuna che abbia portato dalla famiglia, dal mondo, grandi ricchezze. Allora, che cosa avete lasciato? «Se vuoi esser perfetto, vendi tutto, dallo ai poveri e mi segui»1. Eh non c'era bisogno di vendere perché non ce n'era. E allora il voto di povertà a che cosa ha servito? a distaccarsi da quello che non si aveva? Non è possibile.
Deve almeno servire ad accettare i doveri e gli obblighi che sono descritti nel capitolo delle Costituzioni del voto e virtù della povertà. E cioè, la religiosa se può ancora conservare il diritto a certe proprietà che avesse avuto, si obbliga a non amministrare senza dipendere dalle superiore, amministrar nulla, né di quello che avesse avuto prima di fare i voti, né di quello che fosse dato a lei dopo i voti stessi. E si obbliga a mettere in comune tutto quello che proviene ad essa, e anche se si trattasse di una cosa che eccezionalmente è proprio dato in uso alla suora stessa, prima di usarla, questa cosa, deve avere il permesso delle superiore. Oh, se non si è, col voto, fatto il distacco da quello che non si aveva, almeno almeno si deve fare il distacco di quello che si potrà avere; e si dovrà rendere per l'Istituto, si dovranno eseguire quelle disposizioni, eseguire quegli usi che nell'Istituto sono introdotti per l'osservanza della povertà.
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Certamente che abbiamo da considerare quello che, da una parte, si deve lasciare, dall'altra parte, quello che si deve fare. Vi sono persone religiose che si umiliano, quasi si vergognano di chiedere offerte, magari non sanno tenere i prezzi giusti per quello che è dato, quello che è fatto di lavoro, quello che viene stabilito per i Centri.
Persone che perdono tempo, persone le quali mancano alla povertà in tre maniere: prima, scontente del passo fatto, forse di aver lasciato qualche comodità in famiglia; secondo, penano per la condizione presente di povertà in cui si trovano e per le mortificazioni che la vita religiosa richiede; terzo, riguardo al futuro, hanno desideri che non son ben regolati.
La religiosa deve, facendo i voti, accettar tutto ciò che c'è nella vita religiosa, cioè: il comune cibo, l'abitazione com'è, la comune abitazione, il comune vestito, le comuni cure per le malattie, i comuni lavori per la giornata, i lavori assegnati e poi lo stesso voto, la stessa assistenza in punto di morte e financo il sepolcro comune.
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Tutto questo, per che cosa? La religiosa troverà facile se pensa che tutto passa, che quello che ci è dato in uso deve servire per fare più meriti e deve servire anche per fare più merito quello che manca, quando c'è la mortificazione. La religiosa perché si priva? perché si distacca da tutto? e si priva di tante cose? Per arricchirsi di meriti per la vita eterna. Se si considera bene che ognuno in cielo avrà il premio secondo le sue opere, allora si incominciano a stimare i beni eterni, lo spirito di fede, l'amor di Dio, la carità vicendevole, l'obbedienza. Si comincia a desiderare quello che è eterno, non quello che passa, che si abbandona in punto di morte. E perciò la povertà, bene osservata, amata e specialmente quando si arriva allo spirito di povertà, è una grande ricchezza.
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Spirito di povertà. Povertà la quale non è solo distacco ma che va alla ricerca di ciò che è più umiliante, più povero; è distacco da ogni ufficio e da ogni posizione; distacco da tutto quello che ci interessa, anche dalla nostra vita. Ecco, distacco per conquistare di più.
La religiosa è una persona prudente e saggia, la quale fa sempre un buon contratto con Dio: lascio questo per aver di più. Quindi: Franciscus pauper et humilis, divers caelum ingreditur1: San Francesco d'Assisi, perché fu umile e povero, entrò ricco nel regno dei cieli. Dante descrive il suo sposalizio con la Signora Povertà2. E Giotto dipinse quello sposalizio di San Francesco d'Assisi col suo pennello. Il povero fraticello Francesco, trova in una città dell'Umbria, una ricca Signora che rappresenta la Povertà, ricca di meriti, priva di tutto quello che è mondano, terreno. E si innamora così della povertà che la fa sua sposa fino sul letto di morte, sul giaciglio, meglio, dove egli spirò la sua anima.
Oh, la povertà, per esprimerci come in un paradosso, è la maggior ricchezza che si possa pensare. Si conquista il Sommo Bene che è Dio, il padrone di tutto che è Dio, Dio ricchissimo, infinitamente ricco in se stesso e padrone del mondo intiero. Perciò: «Vi amo, voi, sommo bene ed eterna felicità».
Oh, senza danneggiar la salute, si possono cercare e, qualche volta, anche inventare, mille piccole occasioni di mortificarsi e nel cibo e nel lavoro e nell'abitazione e nel vestire e in tutto quello che ci serve nella giornata, di cui dobbiamo servirsi, meglio, nella giornata.
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Si ama davvero la povertà? La si segue la povertà? Oh, noi siamo già arrivati, qualche volta, alla ricerca di quello che è più povero, più umile, più disgustoso, più faticoso? «Chi non rinunzia a tutto quello che possiede, non può esser mio discepolo»1. Ecco la sentenza di Gesù Maestro. Ma se noi lasciamo che il Maestro passi per una strada e noi ne vogliam tenere un'altra, arriveremo alla santità? E Gesù stesso dice a Pietro, rispondendo alla sua domanda: «Noi abbiamo lasciato tutto, ti abbiamo seguito, che cosa avremo adesso?»: «Voi che avete lasciato tutto e mi avete seguito, riceverete il centuplo e possederete la vita eterna»2. Ecco il grande cambio. Si riceve il centuplo di grazie e di beni spirituali sulla terra e qualche volta, anche di beni materiali. E poi si possiede la maggior ricchezza, le vesti più belle che son le vesti dei beati in cielo, la veste nuziale; la casa più bella che è la casa del Padre celeste, il cielo; e si possiederanno le cose più belle, Dio medesimo, poiché il paradiso non è soltanto visione di Dio, ma ancor, possesso di Dio, è gaudio in Dio.
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Disgraziatamente si introduce, anche fra le persone che vorrebbero essere intieramente di Dio, qualche abuso sotto pretesto di decoro e di aver casa più accogliente. Ma Nostro Signore, quando ha chiamato gli Apostoli, quando ha chiamato il giovane, che cosa ha detto, gli ha promesso una bella casa? A quello che non ha risposto alla sua vocazione. Gesù che cosa ha detto, quando gli chiedeva di seguirlo? - Ricordati, gli uccelli hanno un nido e le volpi una tana, ma il Figlio dell'Uomo, cioè lui, non ha una pietra sua, su cui posare il capo1. Ecco, non ha una pietra sua, su cui posare il capo. L'altra risposta che diede Gesù al giovane ricco, invece, la conoscete più bene2. Ma più di tutto serve l'esempio di Gesù. A molti sembra, che Gesù lo si debba imitare, ma non in quello che sacrifica, in quello che è povero, sotto quasi pretesti, che son piuttosto tentazioni e inganno del demonio.
Dunque, un buon esame sulla povertà che è così ricca innanzi a Dio e che fa così ricca l'anima. E poi coraggiosamente, specialmente in quelle cose che s'incontrano nella giornata: l'applicazione ai nostri doveri, ai nostri uffici, l'uso del tempo, il riguardo per tutte le cose che son dell'Istituto, ecc. Un buon esame, quindi, buoni propositi e allora vi preparate una ricca abitazione in cielo.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro
Roma, Via Portuense 739, 26 settembre 1957 *
* Nastro 16/d (=cassetta 38/b). - Per la datazione, in PM non vi è nessun indizio cronologico. - dAS, 26/9/1957: «Alle ore 6 va [il PM] in via Portuense dalle suore PD a tenere meditazione». - VV: 26/9/1957: «Meditazione del PM sulla "vita religiosa"».

2 Ib.

3 Mt 19,21.

4 Cf Costituzioni delle PD (1948), art. 1.

1 L. COLIN, Culto della regola, EP Roma 1957, 4a ed.

2 L. COLIN, Culto dei voti, EP, Vicenza 1962, 4a ed.

1 Gv 14,6.

1 Mt 16,24.

1 Mt 19,21.

1 Messale Romano Quotidiano (latino-italiano), Messa di S. Francesco d'Assisi, Graduale: più esattamente: ...caelum dives...

2 (2) DANTE ALIGHIERI, Paradiso, XI.

1 Cf Lc 14,33.

2 Mt 19,27-29.

1 Cf Mt 8,20.

2 Cf Mt 19,16ss.