Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

19-«CREDO LA VITA ETERNA»1 *
Siamo all'ultimo articolo del Credo. Ecco, si dice che tutti i salmi finiscono in gloria e qui è proprio il caso. tutta la vita finisce in cielo, gloria celeste. Si passa attraverso ai misteri gaudiosi: Gesù e Maria sono passati attraverso questi misteri della vita loro; e poi si arriva ai misteri dolorosi: Gesù e Maria sono passati, hanno vissuto questi misteri dolorosi. Ma finalmente si arriva ai misteri gloriosi.
La conclusione è questa. La vita è così, la vita ha queste difficoltà, nella vita troviamo questi sacrifici da fare, dobbiamo rinnegarci in tante cose, praticare la povertà, rinnegarci nella nostra volontà, nei nostri desideri; e poi ci sono le malattie e poi c'è, magari, la notte dello spirito e c'è la notte dei sensi. Ma la conclusione? La conclusione è il cielo, la vita eterna. Quindi, dopo gli undici articoli del Credo, ecco: «credo la vita eterna».
175
Ora, in primo luogo, domandar la grazia di credere sempre meglio al paradiso, a questa vita eterna: Justi autem in vitam aeternam1. Aumentar la fede sul paradiso perché noi siamo tanto fervorosi quanto pensiamo al cielo. Fervorosi, non dico in quelle sensibilità, ma fervorosi del vero fervore che è questo: di vivere e di operare sempre in ordine al paradiso: questo è vero fervore. Credo, Domine, sed adjuva incredulitatem meam2: Signore, io credo, ma aiuta la debolezza della mia fede; fate che io creda sempre di più.
Persone che al paradiso pensano così poco! e quindi vanno aggiustandosi un po' il loro nidino sulla terra in maniera di evitare più sacrifici che è possibile e in maniera di godere quelle soddisfazioni che possono godere al massimo. E allora? Poi una grande delusione perché han raccolto pochi meriti; si trovano in morte, guardano indietro la vita trascorsa e sentono pena.
Quale contentezza e soddisfazione quando, guardando, invece, indietro si trovano giorni pieni: dies pleni invenientur in eis3. E non sono le cose che consoleranno, allora, l'essere stato così, l'avere occupato quell'ufficio, aver goduto stima, ecc. Le cose che ci consoleranno saranno più di tutto, queste: quis vult venire post me abneget semetipsum4: rinneghi se stesso. Rinnegarci. Ci siamo rinnegati ai voleri, ai desideri della carne e dello spirito. Et tollat crucem suam4: e aver preso la nostra croce.
Oh, quante specie di croci! Non son messe sulle spalle, in vista, moltissime volte. Le croci messe sulle spalle son le malattie, quelle croci che vedono anche gli altri. Ma quante croci e crocette e crocine e di ferro e di legno e di piombo nell'interno nostro. Tollat crucem suam. Perché ha rinnegato se stesso, perché ha voluto immolar se stesso. Et sequatur me4. E ho amato Gesù. Rinnegato me stesso, portato la mia croce e ho seguito Gesù. Et sequatur me, qui vult venire post me4.
Allora, ecco: ricordare il cielo, pensare al cielo. Fede più viva. Vi sono persone che han persino rispetto umano a nominarlo, il paradiso. Eppure, se una decidesse, supponiamo, oggi di andare in una città lontana: voglio andare nell'Australia, a Sydney, e pensa sempre a quella meta e prende il biglietto per quella città e poi ordina tutto a quella città. E noi sappiamo che ci aspetta la celeste Gerusalemme, quella città che è la più bella, che l'ha fatta Iddio. Non manufatta, non fatta dall'uomo, ma fatta da Dio, preparata per gli angeli e quelli che imitano gli angeli, quella città, preparata direttamente dal Padre celeste. E allora, tutto indirizzar là.
176
Il paradiso, oltre che aver fede, bisogna desiderarlo il cielo. Sursum corda1. Alzare i cuori. Recitare spesso i misteri gloriosi. Dilettarci nel Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto. E gli inni finiscono pure: Deo Patri sit gloria eiusque soli Filio, ecc. Ed è la vita questa. Posseder la grazia è già possedere la vita eterna nel cuore che, non però, ci beatifichi sulla terra, ci beatificherà in paradiso. Questa vita eterna che è l'unione dell'anima con Dio. Vedete, Gesù ha indicato tante cose da farsi, ha dato tanti precetti, consigli, ma finiva sempre poi: «Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli»2 Finiva sempre col promettere il paradiso. E quando Pietro gli domandò: «Ecco, ti abbiamo seguito, abbiamo lasciato tutto, che cosa, adesso, ce ne verrà?» - Vitam aeternam possidebitis3, ecco. Quando noi invitiamo vocazioni non promettiamo: starai bene, avrai questo, quello. No. Noi abbiamo, invece, da dire come predicava Gesù fino a: «Chi non rinnega se stesso e non porta la sua croce, non è degno di me, non è discepolo mio»4. Abbiamo da dire che Gesù predicava ben diversamente da quello che spesso si va dicendo. E come egli parlava abbastanza frequentemente della sua passione e morte, così, ai suoi discepoli non prometteva beni di quaggiù.
La Madonna, ai tre pastorelli di Fatima, la Madonna a Santa Bernardetta a Lourdes, ha sempre ripetuto: «Non vi prometto beni di terra, non vi farò felici quaggiù, ma lassù». Desiderare il paradiso! Sursum corda! E vengono tribolazioni e incomprensioni; vi è questo, quell'altra cosa da fare. Ma godrai tanto quanto adesso ti mortifichi, quanto adesso ti rinneghi per fare il tuo ufficio, per vivere secondo le Costituzioni, poiché ormai, la via della vostra santificazione è una: la vita della Pia Discepola, la vita descritta nelle Costituzioni, l'osservanza delle regole, delle Costituzioni. Faceste anche prodigi, ma se non osservate le Costituzioni, non vi farete mai sante. Non c'è nessuna suora santa che non abbia osservato le sue Costituzioni, le sue regole; è unica ormai, poiché si poteva passar di qua, si poteva passar di là, ma il Signore vi ha indicato questa strada e l'avete presa. Adesso la santificazione dipende dall'osservanza delle Costituzioni, dal vivere pienamente la vita di Pie Discepole, nell'unione, tese, tutte tese verso il fine che è doppio: santificazione ed apostolato; ecco. Vogliono far delle cose, magari più belle, secondo loro. Ma il più bello è fare la volontà di Dio. La volontà di Dio determinata per voi è quella. Cibus meus est ut faciam voluntatem eius qui misit me5 - dice Gesù. E abbiamo letto stamattina nel Vangelo: «Il mio cibo è fare la volontà del Padre che mi ha mandato. Desiderare il cielo con amore ardente: Cupio dissolvi et esse cum Christo»6. Se non veniamo proprio fino lì a sentirlo, e, diciamo, secondo la natura, sentire questo desiderio secondo la grazia. Mundus [autem] gaudebit, vos vero contristabimini, sed tristitia vestra vertetur in gaudium7 .
177
Poi, operare per il cielo, in terzo luogo. Tutto per il cielo. Non moviamo neppure un foglio di carta, neppure prendiamo un po' d'acqua per lavarci le mani, mai nulla senza indirizzare al paradiso. E moltiplicare le intenzioni: «ve le offro con quelle intenzioni per cui vi immolate sui nostri altari», le mie orazioni, azioni e patimenti. E Gesù ha intenzioni santissime, bellissime, numerosissime. Ma in riguardo a noi? Che un giorno possiamo cantare con gli angeli: Gloria in excelsis Deo1, ecco. Tutto indirizzato al paradiso. E allora: premurose, agili, pronte nel correr per il paradiso. E al mattino prender bene la mira, ecco. La meditazione del fondamento è la meditazione del fine, fine cioè: il paradiso. E se tutta la vita ci è data per conoscere, amare e servir Gesù, Dio, dopo per goderlo eternamente in cielo. Così ogni giornata. Al mattino svegliandosi rimettersi a posto: «adesso son chiamato dal Signore a operare, lavorare per il paradiso». Devo far questo, devo far quello, ci son tante cose da fare nella giornata: e c'è l'apostolato e c'è la cucina e ci sono le relazioni di qua e di là, e poi cose minime, numerose, specialmente la pietà. Ma tutto questo ha un fine e cioè: guadagnare il paradiso.
Dunque, rispetto al paradiso: fede più viva, desiderio acceso e vita ordinata tutta al cielo. Fissi in mente: et vitam aeternam possidebitis2. Oh, il paradiso, il paradiso per noi che cosa avrà di speciale? Ecco. Il paradiso è insieme visione, possesso di Dio e gaudio in Dio.
178
Adesso: il Signore ha creato l'uomo, ci ha creati. Nelle opere esterne, rispetto a Dio, operano tutte e tre le divine Persone, cioè, intervengono sempre il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Come nella Incarnazione del Verbo, che è un'opera esterna: Spiritus Sanctus descendit in te, Virtus Altissimi, cioè del Padre, ti adombrerà et quod nascetur ex te sanctum vocabitur Filius Dei1. E' il Figlio che prende carne umana. Tutte e tre le Persone, nella creazione: il Padre, che è l'onnipotenza, ci ha dato il potere, cioè l'esistenza e il potere di operare. Il Figlio ci ha dato il lume della ragione onde noi potessimo conoscere poi un giorno, col credere, con la nostra mente. E lo Spirito Santo ci ha dato la sentimentalità. L'uomo, quindi, è un frutto dell'opera della Santissima Trinità. E l'uomo risulta perché sono intervenute le tre Persone della Santissima Trinità: Dio-Uno. Ma anche le tre divine Persone che hanno in noi stampato qualche cosa della propria personalità, le tre divine Persone.
E allora in Gesù Cristo ugualmente. Ed ecco che per essere santi noi dobbiamo seguire Gesù Cristo e siccome egli è Via, Verità e Vita: Verità, per la sua sapienza; Via al Padre per i suoi esempi, i suoi meriti, e Vita che si comunica all'anima nostra, ecco; la nostra santificazione sta nel vivere in Cristo e santificando poi, mente e volontà e sentimento, mente, volontà e sentimento saranno glorificati, avranno il loro paradiso: la mente nella visione eterna di Dio; la volontà nel possesso del sommo Bene, perché la volontà tende al bene e il Bene Sommo ed eterno è Dio; e il sentimento tende al gaudio, alla soddisfazione, ecco il cuore, il sentimento, quindi il gaudio in Dio. Tutto l'essere umano, poi, come perduto in Dio: con la visione vedrà i misteri di Dio; con la volontà possederà questa ricchezza infinita che è Dio, questo Bene Sommo; e col sentimento godrà gli stessi gaudi, la stessa beatitudine della Trinità. Qualche cosa di eccelso, di grande.
179
Ma adesso vorrei aggiungere: che particolarità avrà il paradiso per la Pia Discepola? Ecco, avendo esercitato maggiormente la fede, avrà una visione più profonda. Essa è stata lì, ai piedi del Santissimo Sacramento: Tantum Ergo sacramentum veneremur cernui, praestet fides - c'è poi anche - supplementum sensuum defectui1. La fede ha supplito al senso, all'occhio che non vede altro che la figura di pane, perché «sulla croce era nascosta solamente la divinità, ma nel tabernacolo è anche nascosta l'umanità»2, scompare anche l'umanità, allora: praestet fides supplementum. L'esercizio della fede.
Poi, naturalmente, se la suora si istruisce nelle cose sacre, studio di catechismo e, in generale, cultura religiosa, letture sante, specialmente del Vangelo e della Bibbia in generale, ecco, visione profonda. Poi avrà un possesso di Dio più pieno, se veramente quel «tutta mi dono, offro e consacro»3 è fatto non solo consapevolmente, ma in modo sentito e poi vissuto, vissuto. Allora possederà profondamente Iddio, il Sommo Bene.
E qualcheduno potrà pensare: ma la ricchezza che [è] Dio, che cosa opererà su di noi? I ricchi della terra son contenti di contare i loro soldi e, se sono avari, si compiacciono e contano, ricontano, ecc. La ricchezza che ha il beato! Thesaurizate vobis thesaurum in coelis4. Ma se questo tesoro è stato amato, allora e «tutto mi dono, offro e consacro», il possesso sarà più pieno. Vedete - dice la parabola - che un uomo scoperse in un campo, che non era suo, un tesoro. Ebbe il desiderio di possedere questo tesoro. Cosa fece? Andò a casa, vendette tutto quel che aveva, mise insieme la somma per acquistare il campo e l'acquistò. E il tesoro fu suo5.
E voi siete state a casa, avete lasciato tutto e avete acquistato il tesoro della vita religiosa, del cielo. Avete visto, nella vostra fede, che eravate fatte per il cielo, ma un cielo bello, un possesso più pieno di Dio. E allora poi, siccome si osserva la castità, ecco l'amore eterno, il quale beatifica, sì, perché alla povertà corrisponde il possesso di Dio in cielo; alla castità, corrisponde il gaudio in Dio; e all'obbedienza corrisponde la visione, quando non si son volute cercare le ragioni per cui si obbidisce, si è piegato. Perché la castità è il sommo amore di un'anima, vivere in castità, il sommo amore, l'amore che ha un oggetto, il più bello: la divinità. L'obbedienza è la massima libertà che possa avere un'anima tener soggetto tutto l'essere alla volontà che è unita a Dio, che forma una sola volontà con Dio, che è fusa in Dio. «Non quel che voglio io, ma quel che vuoi tu, o Padre»6. E la povertà è la massima ricchezza perché ci conquista Dio, il sommo tesoro. Beata la Pia Discepola se proprio vive in questa vita, così!
180
Oh, adesso, anche qualche conclusione che riguardi gli altri. Dar molta istruzione perché si aumenti la fede e così vedano più profondamente Iddio. Istruite bene? Catechismi, poi, in generale, cultura religiosa, meditazioni, letture spirituali, ecc. E vi è anche da insistere che nelle Case di San Paolo vengano a fare le istruzioni, specialmente per quelle che sono dedicate al servizio sacerdotale. La istruzione non è ancora fede, eh, perché dalla scienza alla fede c'è un abisso. Ma con l'istruzione si prepara la via alla fede. Se dopo l'istruzione chiediamo la grazia di credere meglio, la nostra fede si allarga. Ma del resto vi è una istruzione che dà lo Spirito Santo a ogni anima. Vedete quanti santi, quante sante sapevano poco. Ma la loro anima penetrava in Dio in una maniera ammirabile. Dio si è fatto il loro maestro; specialmente per voi il Maestro Divino sembra che esca dal tabernacolo (quando state adorando) a illuminare, istruire. Dar molta istruzione.
181
Secondo: se dobbiamo posseder Dio che è il Tutto, chiede il sacrificio alle nostre persone. Rinunziare a tante cose per conquistar Dio, tesorizzare per il cielo. Abneget semetipsum1. Non chiedere mortificazioni straordinarie o cilici o altre cose: la rinunzia a tante cosette, rinunzia alla nostra volontà, ai nostri desideri. Abituare le aspiranti a rinnegarsi. E si dice: «oggi non vogliono sentire, oggi il mondo è diverso». Il Vangelo non è ancor stato cambiato, però, e comincia così: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso». Gesù ha promesso otto beatitudini, ma prima della beatitudine ha messo il sacrificio: «Beati quei che piangono, perché saranno consolati»2. Ma prima di essere consolati han da piangere, non è vero? E così in tutto. «Sarete beati quando avran detto ogni male contro di voi»3. Mentendo, però, eh! perché se han detto del male perché avevan ragione è un'altra cosa, ben diversa.
Abituare al sacrificio. Il sacrificio, lo sapete, in generale, è quel che ho sempre raccomandato. Le penitenze vostre sono: primo, la carità tra di voi: volersi bene, compatirsi, sopportarsi; secondo, la vita comune ben vissuta, proprio la vita comune; terzo, l'esercizio dell'apostolato. Queste tre penitenze da farsi sempre. E non aver paura di chiederle.
- «Eh, sono superiora e non tocca a me a lavare i piatti». Allora diamo l'esempio e cerchiamo di chiedere... non mai fare preferenze: o a questa educanda perché è istruita, perché è più abile; e non mai ammettere alla Professione una che sa, venga a presentarsi... La vita religiosa è rinunzia, l'abneget, e insieme è la pazienza e insieme è l'amore a Gesù. Tutte e tre le cose insieme. Ma chiediamo che facciano questo passo della rinunzia, perché se non si fa questo passo, il primo, non si faranno gli altri, i passi successivi. Qualche volta può essere che quella sappia guadagnarsi la... non dico proprio la simpatia, ma un poco il ben volere dalla Maestra delle aspiranti, dalla Maestra delle postulanti, dalla Maestra delle novizie e poi dalla tal Superiora o tal altra. Vigiliamo. Se non hanno imparato a rinnegarsi, dopo verrà fuori quel che verrà fuori.
182
Poi, dunque, terza cosa: si esercitino proprio nell'amare Iddio sopra ogni cosa, amare il prossimo come se stesse. Si sia rigorose sulla carità. E ricordare quello che diceva quell'educatore: le mancanze di carità bisogna punirle bene da giovane, quando son giovani. Esser rigorosi qui. Perché se poi non c'è la carità, non c'è poi anche la delicatezza, la castità portata al suo grado più alto. Perché, se l'uomo è fatto così, quando ha un'antipatia da una parte, ha una simpatia dall'altra; se manca molto di carità in un modo, nell'altro manca di rigore in un altro. Non si vede più giusto. Non si vede più in Cristo quello che avviene. Basta.
Oh, il Signore ci faccia sapienti della sua sapienza. Ma nel Maestro Divino trovate sempre tutto.
Sia lodato Gesù Cristo.
183

1 Esercizi Spirituali (25 marzo-1° aprile 1957) alle «Capitolari» Pie Discepole del Divin Maestro in preparazione al 1° Capitolo Generale
Roma, Via Portuense 739, 29 marzo 1957 *
* Nastro 13/a (=cassetta 31/a). - Per la datazione, cf PM: «Siamo all'ultimo articolo del Credo... "&Credo la vita eterna"&». «"&il mio cibo è fare la volontà del Padre che mi ha mandato"&, dice Gesù. E l'abbiamo letto stamattina nel Vangelo». [Il Vangelo a cui si riferisce il PM è l'episodio della Samaritana (Gv 4,34) che si leggeva il venerdì dopo la 3a domenica di Quaresima. Nel 1957 corrispondeva al 29 marzo]. «Si sia rigorose sulla carità...» (cf PM in c184). - dAS, 29/3/1957: «[il PM] tiene altre due prediche alle PD di v. Portuense ed ascolta alcune del Capitolo».
(La seconda predica di cui in dAS non ci è pervenuta).

1 Mt 25,46.

2 Mc 9,23.

3 Sal 72,10.

4 Mt 16,24.

1 Messale Romano, Ordinario della Messa. Inizio del Prefazio.

2 Mt 5,3.

3 Mt 19,27-29.

4 Cf Lc 14,27.

5 Gv 4,34.

6 Fil 1,23.

7 Gv 16,20.

1 Lc 2,14.

2 Mt 19,29.

1 Lc 1,35.

1 Inno Pange lingua, cf Liber Usualis, p. 958.

2 Inno Adoro te devote...: cf: Le Preghiere della Famiglia Paolina, EP, Ostia 1965, p. 278.

3 Formula della Professione religiosa delle PD, Costituzionidelle PD, (1948), art. 89.

4 Mt 6,20.

5 Cf Mt 13,44.

6 Mc 14,36.

1 Mt 16,24.

2 Mt 5,5.

3 Mt 5,11.