Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE V
ANCORA SULLA CONFESSIONE

[50] Il sacramento della Confessione è il sacramento della misericordia, o meglio della compassione di Gesù verso di noi, poveri figli di Eva, che siamo così inclinati al male.
Nelle città vi sono gli ospedali ove si curano gli ammalati; ebbene, la Confessione è l'ospedale per guarire le malattie spirituali. La Confessione ben adoperata ci porta presto ad evitare i peccati veniali deliberati e a correggerci pian piano dei difetti.
Bisogna però che sia ben adoperata, perché il diavolo spesso la vince qui sopra: con le sue tentazioni, con l'inganno, con | [51] l'errore, con la malizia, punta contro questo sacramento più ancora che contro gli altri.
La Confessione è una medicina; ma la medicina bisogna che sia presa bene perché possa far del bene e guarisca i mali.
Diremo ora alcune cosucce pratiche sulla Confessione, sulle quali non si insiste tanto, ma sono invece molto utili.
I. Sull'accusa e sull'esame di coscienza settimanale e quotidiano1. Vi sono delle persone le quali si affannano a confessarsi anche delle sensazioni, distrazioni, tentazioni, inclinazioni, cattive impressioni, affezioni, moti dell'anima improvvisi: queste cose non sono oggetto di assoluzione, per cui se uno accusasse solo questo, la Confessione sarebbe nulla. Non è proibito accusare queste cose, ma l'accusa di esse è solo ordinata alla direzione. Servono per farsi conoscere, ma se una accusasse solo queste debolezze, dovrebbe aggiungere un peccato della vita passata, mortale o veniale, per poter avere l'assoluzione.
Tuttavia vi sono persone che si prolungano molto su queste cose. Questo è perdita di tempo. Qualche volta conviene dirle, ad esempio quando è molto che si va dallo stesso confessore, ma con poche parole e in modo | [52] che non formino mai la sostanza dell'accusa. I due terzi delle volte l'accusa di esse è inutile e un terzo meno conveniente.
II. Quanto ai peccati veniali indeliberati, non vi è alcun obbligo di confessarli; i peccati veniali deliberati restano già perdonati
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ti quando, inginocchiate nel banco, dopo l'esame di coscienza, li detestate sinceramente; e allora come ci si dovrà regolare?
Ecco: l'accusa dei peccati veniali si fa secondo l'utilità; tanto non si è obbligati a confessarli e se uno non li conosce neppure o non li ricorda, ma si pente di tutto ciò che in lui ha disgustato il Signore, è già perdonato. Non affannatevi quindi per confessarli tutti, bastano pochissimi, ben determinati, manifestati nelle loro cause, con molto dolore: questo è necessario.
III. Bisogna che l'accusa sia fatta con molta umiltà: la Confessione è il sacramento dell'umiltà, e noi dobbiamo ritenerci peccatori come siamo. Talvolta si riesce a infiltrare tra il confessore e la penitente, la persuasione che questa sia un'anima speciale, ricca di doni: questo è dannoso. Se un difetto non fu commesso non si dica; se fu commesso per ignoranza non si dica. Bisogna dire la verità: non scusarsi, e non farsi più colpevoli per | [53] farsi compatire; per farsi dire: Non scoraggiarti, questo è niente! Si sapeva già, e quello che si sa già non si faccia più ripetere.
Altre anime non si arrendono mai al confessore che deve sempre ripetere: Curati la salute, dormi, mangia.... Io non ne ho bisogno!. Ma arrendetevi all'ubbidienza!...
Circa il proposito ci sono due errori che bisogna evitare: confondere la volontà vera di emendarsi con la velleità; confondere il voglio con il vorrei, oppure fare dei propositi troppo generali, che in pratica non servono.
Molte anime confondono la volontà con l'intelligenza: non vorrebbero più peccare, ma prevedono che cadranno ancora, per l'esperienza fatta. Ora, il volere è atto di volontà; il prevedere è atto del'intelligenza: può stare il proposito, cioè il volere, col prevedere che si ricadrà? Sì, può stare, e si faccia anzi un proposito sempre più fermo, adoperando i mezzi necessari per mantenerlo.
Tu vuoi realmente e dici: Starò attenta, non farò più quel peccato. Questa è la volontà; ma prevedi che ricadrai. E non può essere che il Signore ti aumenti la grazia in | [54] modo che più non ricada, o cada meno gravemente o meno frequentemente? Se ha permesso che tu cadessi più volte l'ha fatto per renderti umile; ora dì al Signore: A forza di nasate mi sono persuasa che sono debole, malata; confido solo in te.
Con queste disposizioni (che non sono quelle di prima) l'anima più facilmente eviterà il peccato.
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I propositi siano ragionevoli; è inutile dire: Prendo questa casa e la porto sulle spalle.... Prendi solo un mattone, così ci riuscirai.
II dolore può essere contrizione o attrizione; l'una e l'altra però sono vero dolore. Ci può essere un dolore umano, che non è sufficiente per l'assoluzione, come sarebbe quello di uno studente che si pentisse di non aver studiato, per la bocciatura presa; di un'altra che si dolesse di avere un caratteraccio, per essersi accorta che più nessuno le vuol bene, ecc. È solo dolore umano questo, utile per il dolore soprannaturale, a cui serve come base, ma non è sufficiente per l'assoluzione.
L'attrizione ci fa pentire del peccato, o per la sua bruttezza o per i castighi che attira2. Il considerare l'ingratitudine verso Dio, la viltà propria, sono motivi che | [55] vogliono dire pentimento per la bruttezza del peccato. Uno si pente, ad esempio, della pigrizia, della vendetta, dell'invidia, perché sono brutte cose; questa è attrizione. Come è pure attrizione il pentirsi dei peccati, per la considerazione dell'Inferno, o delle cattive conseguenze che il peccato porta con sé.
Mi pento, perché ora Iddio fa silenzio con me; non l'ho voluto ascoltare, e ora non mi parla più. Vedo che la mia vita è un'etisia; un deserto... Tutto questo è attrizione. Se dice ad es.: Questo castigo me lo sono meritato; è giusto che Dio mi abbia punita, ma ora sono proprio pentita e va a confessarsi, questo pentimento, con l'assoluzione sacramentale, ottiene il perdono.
Se si tratta soltanto di peccati veniali, questi, con la sola attrizione, vengono perdonati prima ancora dell'assoluzione; se si tratta di peccati mortali, l'attrizione da sola non basta a cancellarli, ci vuole anche l'assoluzione sacramentale.
Vi è poi la contrizione, cioè il dolore dei peccati in quanto sono offesa di Dio, sono male verso Dio. Se uno dice: «Mio Dio, mi pento dei miei peccati perché sono offesa della vostra maestà infinita»3, fa un atto di | [56] contrizione o di dolore perfetto; «perché sono cagione della morte del vostro divin Figliuolo», fa un atto di contrizione o di dolore perfetto; «e mia spirituale rovina», fa un atto di attrizione o di dolore imperfetto. Questo dolore perfetto ottiene il perdono di tutti i peccati, mortali e veniali, prima
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ancora dell'assoluzione; sebbene per i peccati mortali resti l'obbligo di confessarli appena si potrà.
I peccati mortali o si assolvono tutti o nessuno, quindi il dolore deve estendersi a tutti; dei peccati veniali possono essere perdonati, ad esempio, cinque e non il sesto, perché dei cinque si è pentiti e del sesto no. Il perdono si ottiene di quelli di cui si è pentiti.
È possibile fare l'atto di contrizione perfetta? È possibile ed è anche facile, perché l'anima è aiutata da Dio. Se uno domanda la contrizione perfetta la ottiene, perché è un atto di carità, che viene infuso dallo Spirito Santo.
È utilissimo passare dall'attrizione alla contrizione, perché la contrizione è sempre l'atto più meritorio, essendo sempre unito alla carità perfetta; ed è anche l'atto più | [57] soddisfatorio, perché cancella interamente la pena.
Ci vuole poco a fare l'atto di contrizione perfetta; basta volerlo! È utilissimo fare l'atto di contrizione perfetta, prima di andare a confessarsi, perché se poi si dimenticasse di accusare qualche peccato, esso è già perdonato; non occorre quindi far degli esami tanto minuti.
L'atto di dolore ci vuole: è assolutamente necessario. Ma è proprio necessario sentirlo sensibilmente? No, purché ci sia realmente.
Le anime delicate, però, almeno di tanto in tanto arrivano a sentire realmente il dolore, che si manifesta sensibilmente anche con le lacrime.
Non è necessario che uno tema sensibilmente il peccato, più di quanto teme il male fisico; non è neppur detto, che uno davanti al peccato debba sentire spavento come quando una bomba gli stesse per cadere sulla testa.
II dolore deve però essere «appretiative summus», e cioè, il peccatore deve essere convinto che il peccato è il più grande male e deve essere disposto anche a morire per evitarlo.
C'è il pericolo che alcune anime vadano | [58] al confessionale a recitare la solita accusa senza avere pentimento sufficiente, e questo è un gran male, perché il pentimento è necessario.
La soddisfazione o penitenza. È necessario che ci sia «in re vel in voto», che ci sia cioè la volontà di soddisfare al peccato.
Può capitare che uno dimentichi di far la penitenza: ebbene, la faccia non appena si ricorda.
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Vi è una penitenza che noi dobbiamo fare assolutamente, sebbene non imposta dal confessore. Partiamo da un fatto storico. Nei primi tempi della Chiesa le penitenze erano gravissime e il penitente non veniva assolto se non aveva fatto prima la penitenza. Ma poi i cristiani si raffreddarono nell'amore e per timore delle penitenze, non andavano più a confessarsi: fu necessario allora che la Chiesa riducesse la penitenza. Oggi è ridotta a ben poco!
Di' un Gloria Patri. C'è da credere che siamo diventati troppo deboli, troppo freddi, e non facciamo più penitenza sufficiente. Eppure bisogna soddisfare alla giustizia di Dio, o con la penitenza che viene dalla Chiesa, quella cioè impostaci dal confessore, o con quella che facciamo di nostra iniziativa.
[59] Sono poi tante le anime che possono sperare di passare dal letto di morte al cielo? Qui siamo nel mistero e non vogliamo dire di più di quanto dice la Chiesa, ma è certo che noi dobbiamo riparare ai mali causati dai nostri peccati. Non basta un Gloria Patri, ma dobbiamo aggiungerne altre da noi stessi, poiché siamo noi che abbiamo l'iniziativa di chiederle e di imporcele.
Siamo noi che dobbiamo portare il dolore, accusare il peccato, fare la penitenza; il confessore è solo ministro del Signore per l'assoluzione.
Alcune anime pensano subito a penitenze straordinarie. Non fate stranezze: bisogna far bene il proprio dovere, adempiere bene ai propri obblighi nell'osservanza dei voti, nell'esercizio del proprio apostolato, fatto sempre meglio: questa è la migliore penitenza. Questa è l'iniziativa che deve prendere il penitente: far bene i doveri di stato in spirito di penitenza.
Tendere al perfetto amor di Dio; entrar bene in conversazione con Dio, con la Madonna, con gli angeli custodi; lungo il giorno stare uniti a Dio. Questo sforzo di unirsi a Dio ripara al peccato che ci ha staccati da Dio. Incontrarsi spesso a | [60] cuore a cuore con Gesù: prolungare i momenti di intimità con Dio, perché questo è l'opposto del peccato.
Penitenza: fare il contrario di quello che si è fatto col peccato. Ho avuto invidia? Ebbene ora mi dispongo a essere caritatevole, e non solo a pregare per quella persona, ma anche a farle dei servizi. Ho avuto troppa affezione? Ebbene, ora mi tirerò indietro anche con un po' di esagerazione. Sono stata orgogliosa? Ebbene, ora cercherò qualche occasione per umiliarmi. Così
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si possono far passare tutti i vizi capitali e mettere accanto a ciascuno di essi la riforma. Perdevo tempo? Ora non solo non lo perderò più, ma l'occuperò molto bene e intensamente.
Pochi peccati in Confessione, ma cercare l'origine, la causa e la correzione. Allora la Confessione è davvero utile, arriva al suo termine e cancella anche il Purgatorio.
Per chiedere al confessore penitenze straordinarie, bisogna che si faccia già bene ciò che è obbligatorio, che si sia umili, per[ché] in queste cose facilmente c'entra la superbia; ci vuole quindi molta cautela.
Le penitenze necessarie sono queste: 1) attendere esattamente ai doveri del proprio stato. 2) Tendere all'unione sempre più stretta con Dio. 3) Riforma.
Domandiamo | [61] al Signore di poter prendere bene la medicina che egli ha stabilito per guarire i nostri mali, e che il sacramento della Penitenza divenga per noi non solo perdono, ma correzione, riforma, perfetta riconciliazione con Dio.
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1 Cf L. Beaudenom, Pratica progressiva della confessione, vol. I, pp. 81-82.

2 Cf L. Beaudenom, Pratica progressiva de lla confessione, vol. I, pp. 85-86.

3 Dalla formula dell'Atto di dolore.