Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE XIV
LA PURIFICAZIONE

[86] L'Immacolata Concezione della Vergine è l'alba di un tempo nuovo per l'umanità; infatti per mezzo di Maria entra la grazia nel mondo e comincia pure ad applicarsi alle anime.
Maria fu concepita immacolata per i previsti meriti del Salvatore. Il concetto della Immacolata si compone di due elementi: esenzione dalla colpa; infusione di grazia così grande che supera la grazia concessa a tutte le creature.
1) Esenzione dalla colpa. In questa considerazione in preparazione alla festa dell'Immacolata meditiamo sopra la purificazione dalla colpa, non tanto la purificazione dal peccato, quanto da tutto quello che non è ancora santo, gradito a Dio, e voglio dire le tendenze terrene, gli affetti umani.
Ci fermiamo sopra due punti: il dolore e la soddisfazione. Nella Confessione per eccitarci al dolore è utile impiegare il doppio del tempo che si impiega per l'esame propriamente detto, perché non è tanto sull'accusa che dobbiamo insistere per dare ad essa il primo posto o la maggiore importanza, ma sul dolore. Che cos'è il dolore?
È una detestazione profonda del peccato commesso: «Animi dolor ac detestatio de peccato commisso, cum proposito non peccandi de cetero»1. Così dice il Concilio di Trento. È disgusto, tristezza che proviene dal nostro cuore per gli | [87] errori e le mancanze commesse; ad es. per la superbia, l'avarizia, la gola.
»Animi dolor» non che si senta nel corpo, quantunque talora anche le lacrime possano spuntare; ma per sé è un dolore interiore perché il peccato è offesa di Dio, e non per motivi umani. Se uno scolaro fu bocciato e piange per i brutti voti ottenuti, non ha il dolore dei peccati; se una persona ha mancato e fu sgridata, e poi sente dispiacere per il suo amor proprio, questo non è dolore; se furono presi dei provvedimenti per un errore commesso, e la persona sente dispiacere per il disonore che ha patito davanti agli altri, non ha il dolore dei peccati.
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Il pentimento odia il peccato perché è offesa di Dio. «Cum proposito non peccandi de cetero»: questa è condizione che va insieme col dolore dell'anima, poiché se uno odia il peccato non lo vuole più fare.
Il pentimento può essere perfetto o imperfetto. Il perfetto si chiama contrizione, l'imperfetto attrizione. Il dolore perfetto nasce dalla carità perfetta, per cui amiamo il Signore in se stesso, perché è grande, buono, sommo bene, eterno, onnipotente, giusto, misericordioso, in una parola perché egli è l'essere infinito. Allora noi amiamo Dio per quello che è, e questo Dio lo desideriamo sempre più nell'anima nostra: egli mi ama ed io lo amo, allora vi è corrispondenza vicendevole di affetto; questo è amore di amicizia, quasi di comunicazione di beni che Gesù come amico dà all'anima e l'anima gli dà il suo amore; ora, se l'anima riconosce di aver peccato, viene a disgustarsi perché ha offeso Iddio così santo e giusto: ecco quando il dolore è perfetto.
La carità imperfetta, invece, è quella per cui | [88] noi amiamo il Signore in quanto è bene per noi, in quanto che Dio ci ha fatto del bene: ci ha creati, ci ha meritato il Paradiso, ci dà consolazioni sulla terra, ecc. L'anima cerca piuttosto il suo bene che la gloria di Dio, e quindi si pente del peccato perché con esso ha chiuso la mano a Dio, si è meritato l'Inferno, preclusa la strada del cielo; perché il peccato è una cosa brutta, ecc.: questi motivi danno origine al dolore imperfetto.
Il dolore imperfetto è diverso dal perfetto. Quale differenza tra essi? Questa: il dolore perfetto rimette il peccato prima dell'assoluzione, talora anzi senza assoluzione: se ad es. una persona ricordasse la sera di aver mortalmente peccato, ed è poi tanto dolente di aver offeso Dio e si eccita al dolore perfetto con motivi di amore, ottiene subito il perdono e se la morte arriva per lei quella notte, è salva. Il dolore perfetto suppone anche il desiderio della confessione. E perché in tal caso la persona si deve ancora confessare? Per vari motivi: a) perché Gesù Cristo vuole che tutti i peccati siano sottoposti al sacerdote: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi...»2; b) produce tranquillità; c) aggiunge la grazia sacramentale.
Il dolore imperfetto serve ad ottenere il perdono di Dio nel sacramento, cosicché chi si pente solo per aver macchiato l'anima
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ma o perduto il Paradiso e le grazie, oppure perché s'è guadagnato l'Inferno o il Purgatorio, ottiene il perdono quando riceve l'assoluzione.
È necessario pentirsi? È assolutamente necessario. Se uno si pente, ancorché non cattolico o senza assoluzione, rimane perdonato. Se una malata grave che non può più parlare, ma ricorda ancora | [89] qualche peccato che le dà pena, ed ha il dolore perfetto, viene perdonata: non può confessarsi, ma è perdonata lo stesso. Se vi fosse anche un selvaggio, che abita in un villaggio dove il sacerdote va ogni tre o quattro anni, ed ha il dolore perfetto in morte resta perdonato. Domandavano gli ebrei a S. Pietro: «Che cosa dobbiamo fare per riparare al peccato commesso gridando: Crucifigatur?». E S. Pietro rispondeva: «Poenitemini et deleantur peccata vestra»3. Gesù disse: «Nisi poenitentiam egeritis, omnes similiter peribitis»4.
Il pentimento è assolutamente necessario. Esso consiste nel distacco dal male e nell'attaccamento a Dio che abbiamo offeso. Come si fa ad avere il pentimento? Con la preghiera, poiché il pentimento è dono di Dio. Quando l'anima è in peccato, merita il pentimento solo «de congruo»5, e quindi occorre pregare davvero con molta umiltà per avere questo dono gratuito dalla misericordia di Dio. Noi tanto otteniamo di misericordia quanto siamo pentiti, e uno tanto persevererà nel bene quanto è pentito.
2) Consideriamo, per eccitarci al pentimento, il male che si è fatto col peccato. Il peccato ha tolto l'amore e la gloria a Dio, ha lanciato un'ingiuria alla divina maestà, ha compiuto un'ingratitudine somma al massimo benefattore. Il peccato è un atto di audacia e di temerità a quel Dio che potrebbe colpirci; è il vero male del mondo, tutto il resto non è male, è solo prova di Dio. Tal ora l'anima che considera ciò che ha fatto per una piccola soddisfazione, per un capriccio da nulla, per una passione soddisfatta, è colpita da tristezza e malinconia profonda, e quale novello figliuolo prodigo esclama: «Nella casa paterna i servitori hanno abbondanza di pane, ed io qui | [90] muoio di fame. Ma ritornerò dal padre e gli dirò: Ho peccato contro il cielo e contro di te!»6. Alla contrizione bisogna dare più tempo che all'esame,
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affinché siamo veramente pentiti, tanto più che nella grandissima maggioranza dei casi si hanno solo peccati veniali, e questo dolore li cancella tutti, anche prima di andarsi a confessare.
Tuttavia è utile e consolante confessare anche i peccati veniali veramente acconsentiti: però è consiglio, non obbligo.
Non cadiamo nell'errore di dare più tempo all'esame che al pentimento, questo pentimento genererà il proposito, il quale deve essere una volontà decisa e pronta anche ad usare i mezzi per evitare il peccato: preghiera, fuga delle occasioni... Per confessarsi bene ci vogliono da parte del penitente tre cose: «attritio», «confessio», «satisfactio»7. La soddisfazione in voto ci deve essere prima e si compie dopo l'assoluzione.
Soddisfazione vuol dire: «satis facere», e ciò significa che noi abbiamo fatto il peccato e ora cerchiamo di riparare. Il peccato ha insultato Dio, ora ripariamo col dargli lode; il peccato ha fatto molti danni a noi, ci ha tolto dei meriti, ci ha inclinati al male: colla soddisfazione vogliamo togliere la colpa, la pena e le reliquie del peccato rimaste in noi; il peccato ha fatto male anche agli altri, o con il cattivo esempio o col privare l'ambiente di molte grazie; il peccato infatti è come un'infezione che danneggia tutti coloro che abitano vicino a chi è colpito; col peccato si privano di benedizioni gli altri, tanto più se chi pecca ha responsabilità. Ora è evidente che si debbono riparare tutte le conseguenze che il peccato ha portato in noi.
[91] La penitenza dobbiamo accettarla, se no non possiamo ricevere l'assoluzione. Generalmente non c'è grande difficoltà a fare quella imposta dal confessore. Ma notiamo bene che i nostri debiti colla divina giustizia sono tanti, e dobbiamo pensare che può aspettarci un lungo Purgatorio: quindi viene la necessità delle penitenze volontarie. Oltre quella data in Confessione, una persona può scegliere altre, che possono avere il valore di soddisfazione sacramentale se vi mette un'intenzione speciale. Accettiamo dunque come penitenza tutto il bene e tutto il male che Dio ci manda, il dovere quotidiano compiuto scrupolosamente, e saranno pagati i nostri debiti.
Il Signore è provvidente, e come vorrebbe che nessuno andasse all'Inferno, così desidera che nessuno cada in Purgatorio, e allora dispone in modo che ognuno si paghi di qui i debiti con
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lui. Permette anche che nella vita abbiamo contraddizioni, che andiamo soggetti a disturbi, inconvenienti, pene: perciò se noi prendiamo queste cose dalle mani di Dio, soddisfiamo la sua giustizia. Alcune anime desiderano fare il patto di non uscire dalla vita senza avere scontato tutto il Purgatorio. Ma a chi è docile e si lascia santificare, il Signore pensa a fargli scontare le colpe. Quindi se noi abbiamo qualche occasione di soffrire, diciamo al Signore: Meritavo di più! Dovrei stare sotto i piedi del diavolo; è una gran misericordia che tu mi faccia soffrire! Se la pena viene dal peccato stesso, tanto meglio, serve di più. Se, per es. noi siamo umiliati perché ci siamo insuperbiti, allora diciamo: «Bonum est quia humiliasti me»8: me lo meritavo. Può essere che venga a noi una pena, perché ce la siamo | [92] tirata addosso: chi, ad es. ha peccato, è naturale che per tutta la vita deve avere il capo chino in penitenza. Tuttavia può esser che qualche pena sia data a noi dal Signore in prova, o permessa da Dio per farci aumentare i meriti, accettiamola lo stesso.
Qual è la migliore soddisfazione che possiamo dare a Dio? Fare il contrario di quanto abbiamo fatto peccando. Se prima tu non studiavi, adesso studia, se prima tu eri distratta, adesso fa' lo sforzo di cacciare i pensieri vani, se prima ti sei ribellata, ora obbedisci; l'applicazione a fare bene adesso, mentre è sorgente di grandi meriti, è anche un grande mezzo di soddisfazione. Il sacerdote dice dopo l'assoluzione: «... quidquid boni feceris et mali sustinueris, sit tibi in remissionem peccatorum, augmentum gratiae et praemium vitae aeternae»9.
Ci troviamo davanti a una grande solennità, la quale merita che la nostra anima sia purificata, per presentarci mondi alla Vergine Immacolata. Il pentimento è quello che purga l'anima; come le biancherie diventano bianche per mezzo del bucato, così l'anima nostra col pentimento diventa bianca: «Et si fuerint peccata vestra ut coccinum dealbabuntur»10. Lagrime nostre e sangue di Gesù Cristo cancellano sempre il peccato. Perciò la nostra preparazione alla festa dell'Immacolata sia buona, pia, fatta nella purificazione di ogni affetto, pensiero e desiderio che non sia di Dio.
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1 «La contrizione è un dolore dell'anima e la detestazione del peccato commesso, unita al proposito di non peccare più», in Catechismodel Concilio di Trento, Ed. Paoline, Roma 1961, parte II, 23, p. 306.

2 Gv 20,23.

3 Cf At 2,38: «Pentitevi... per la remissione dei vostri peccati».

4 Lc 13,5: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

5 «In modo proporzionato».

6 Cf Lc 15,17-18.

7 «Dolore, confessione, soddisfazione».

8 Sal 119,71: «Bene per me se sono stato umiliato».

9 «Il bene che farai e il male che dovrai sopportare ti giovino per il perdono dei peccati, l'aumento della grazia e il premio della vita eterna».

10 Is 1,18: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi
come neve».