Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

ISTRUZIONE VI
LA PROFESSIONE RELIGIOSA

[38] Pensiamo questa mattina a ringraziare il Signore per la vocazione, e per questo ricordiamo l'anniversario della nostra professione religiosa. Che cos'è la vocazione? Una chiamata di Dio, ossia la volontà eterna di Dio che chiama certe anime ad uno stato particolare: allo stato sacerdotale o allo stato religioso. Lo stato secolare non ha bisogno di vocazione speciale, poiché di per sé tutti vi sono incamminati. Ma Dio talora chiama alcuni di tra la turba e li elegge per sé. Ci narra il Vangelo come Gesù, avendo trascorsa tutta la notte in orazione, la mattina scese dal monte e si incontrò con la moltitudine che lo cercava: da essa chiamò alcuni che nominò apostoli; li fece uscire di tra gli altri, li separò dalla turba e a questi chiamati dedicò cure particolarissime: li istruiva, li correggeva, li faceva predicare; nell'ultima cena diede loro la prima Comunione, li elevò al sacerdozio e prima di andare al Padre disse loro: «Come il Padre ha mandato me così io mando voi»1. «Andate e predicate a tutte le genti»2.
Quindi la vocazione è la volontà di Dio che sceglie alcune persone a preferenza di altre per compiti speciali: parlando solo del compito generale della consacrazione del cuore a Dio, noi sappiamo che questo è già un complesso di grazie. Perciò la vocazione è un atto di particolare amor di Dio per noi. Diceva un santo sacerdote alla | [39] fine della sua vita: «Quanto è stato buono Iddio con me! Io sono figlio di un contadino, il Signore poteva lasciarmi nel paese come un pastorello o un vaccaro, e invece mi ha chiamato all'altare, al sacerdozio, alla Messa; come è stato buono Iddio con me!». Qualche cosa di simile dobbiamo dirlo anche noi: Quanto è stato buono Iddio con noi! «Quos voluit elegit»3; non siamo stati noi a chiamarci, ma Gesù. La vocazione è questa volontà di Dio, che in pratica si manifesta in modo sensibile o per mezzo di persone amiche, o per mezzo di libri, dei superiori e talora per mezzo di fatti, lutti, disillusioni, desiderio
~
di amare Dio, bisogno sentito di lui, ecc. Dio è padrone di tutto e non parla solo con la voce: «Ignis, grando, nix faciunt verbum eius»4.
Ma veniamo più vicino a noi: alla nostra professione religiosa. Entrando nell'Istituto si è fatto il postulato, il noviziato, e finalmente abbiamo preso la nostra risoluzione definitiva: da una parte il mondo, la famiglia, ciò che il secolo promette di buono (perché non tutto ciò che il mondo offre è cattivo, e molte madri sono delle martiri), dall'altra parte il Signore che ispira di dire di no per consacrare tutto il cuore per sempre a lui. La professione è la emissione dei tre voti: povertà, castità e obbedienza nella vita comune per raggiungere la perfezione, e i mezzi per farsi santi sono molti.
Vedete. Quella giovane si è sposata e deve forse sottostare ad un marito duro, a strettezze finanziarie: quella giovane ha le grazie per farsi santa dov'è. La via per attendere alla vostra perfezione è l'osservanza dei tre voti nella vita comune dell'Istituto come è approvato dalla Chiesa, con quelle regole che la Chiesa vi ha consegnato | [40] affinché le osserviate. Gli uomini possono scriverle e correggerle, ma chi le dà è la Chiesa, la quale è madre di santi e ha tutto il governo in foro esterno e in foro interno. Quindi per voi l'osservanza dei tre voti suppone necessariamente un governo, perché l'Istituto è un corpo morale composto di moltitudine, di fine da raggiungere e di autorità che guida. Questa autorità deve dirigere; istruire, correggere e santificare con il sacrificio. Ecco dunque i mezzi: è inutile cercare altro, ora siete legate. Prima potevate diventare benedettine, salesiane, buone madri di famiglia anche, ora non lo potete più.
Il mezzo per farvi sante è la perfetta osservanza. Noi non dobbiamo più scegliere sulle cose da fare; i mondani devono decidere quale professione, quale mestiere, quale via han da seguire; noi no, è già fissato. Quella figliuola deve pensare se eleggere l'Azione cattolica o no, se va bene per lei una cosa o l'altra. La religiosa non fa più questa scelta. Qual è dunque la suora santa? Quella che osserva bene le Costituzioni, che fa quanto le viene detto, che sta volentieri dove la mettono, che porta l'abito come è prescritto, che sta alla vita comune, ecc. E se vi fosse una
~
suora che compie maggiori mortificazioni, non sarebbe meglio? No, il Signore disse a S. Margherita Alacoque: «Mi fa più piacere se vai a tavola e mangi con buon appetito per obbedienza, che se fai un digiuno a pane ed acqua per tua volontà». Ecco la suora santa: fa bene l'obbedienza. Al giudizio verrà portato il libro delle Regole e la nostra vita; alcune hanno ancora dei modi di vedere, di giudicare loro propri, e credono di farsi sante. No, vi deve fare sante la Regola unita alla grazia di Dio.
Venendo poi all'osservanza in particolare.
[41] 1) Prima c'è la povertà: può essere che una la quale voglia osservare bene la povertà, sia messa a fare la cuoca e abbia sempre i soldi in mano. Vedete, è già tutto stabilito, regolato, nulla d'inventato o fatto di nostra testa: osserva bene la povertà chi non spreca, non dà nulla a nessuno senza chiedere, è avara del suo tempo; noi non abbiamo da decidere nulla, solo da vivere più perfettamente. E poi le forze fisiche non sono più nostre, bensì della Congregazione; non possiamo scegliere noi i nostri uffici, né far quello che ci pare più utile, no; ci siamo dati, ed è poco dare solo l'esterno, bisogna spender la salute, la giornata, il tempo, le forze, in modo che tutto sia speso per Dio. Tempo fa chiedevo ad un religioso: Vuoi fare la tal cosa? Mi rispondeva: Perché mi domanda se voglio? Io ho dato a lei la volontà: comandi, io ubbidirò. Ecco, noi siamo in questa dolcissima posizione: non dover nemmeno scegliere, ma fare ciò che vuole il Signore ogni momento.
2) La castità: il Signore ci ha tanto amato, è morto per noi, e noi dobbiamo essere disposti a morire per lui. Finché vi sono inclinazioni per una parte o per l'altra, amicizie, sensibilità, non è amor di Dio; il Signore non si ama così. Occorre amare Dio solo con gran cuore: e questo consiste nel compiacersi delle sue infinite perfezioni, nello stare con lui sulla terra quanto è possibile e in cielo per sempre. Il cuore sia tutto per Dio; noi non lo vogliamo inaridire in cose stolte, ma lo vogliamo tutto del Signore, e che ami le anime molto di più di quanto i mondani si amano tra di loro, di un amore molto più puro.
3) L'obbedienza: questa è stata la virtù di Gesù; e guadagna sempre meriti doppi per tutto | [42] ciò che si fa in ossequio a lei; anche per un passo ed una parola soltanto. Delle ventiquattro ore della giornata nulla dev'essere fatto fuori dell'obbedienza: tutto
è segnato e porta un grande aumento di vita eterna. Questa obbedienza
~
è il vero lavoro della santificazione pratica, e la vita comune c'è, se c'è l'obbedienza; perché una può essere esteriormente osservante della vita comune e avere pensieri diversi da quelli dei superiori, e amare di più la gente del mondo che le persone della comunità; una può essere molto vicina e col cuore molto lontana. La vita comune esige molta comunità negli atti, nelle cose che si adoperano, e mentre da una parte la religiosa ha il diritto di adoperare le cose dell'Istituto, dall'altra ha il dovere di uniformarsi agli indirizzi e alle disposizioni che vengono dati.
Il beneficio della vita religiosa è misurato poco nel tempo, ma lo sarà nell'eternità. Il religioso ha meno tentazioni se prende le precauzioni che sono indicate e le caccia con più facilità; pecca meno di frequente, risorge più presto, aumenta i suoi meriti e la vita eterna, vive nella pace, più unito a Dio; si trova più contento in morte, spira più serenamente, ha un Paradiso più bello. E quante sollecitudini toglie la preoccupazione per il vitto, per il necessario alla vita; basta che ognuno faccia il suo ufficio dal quale risulta il buon ordine e il progresso dell'insieme, e poi la Congregazione pensa al resto.
Perciò si vedono tante persone religiose che fanno veri sacrifici ma sono in una grande pace e vivono molto contente! Soprattutto però li vedremo in cielo i vantaggi della vita religiosa, perché le parole di Gesù sono chiare: «Voi che mi avete seguito lasciando tutto, avrete la vita eterna»5. Gli altri si tengano la terra: noi abbiam la porzione | [43] del Signore: «Dominus pars hereditatis meae et calicis mei»6.
E vediamo questi istituti che hanno centinaia di santi, pochi invero canonizzati, ma molti nascosti; ed è un fatto: la vita religiosa è già perfetta in sé. Tu hai già dato tutto: la vita religiosa supplisce le grandi e prolungate orazioni dei santi straordinari, perché è una preghiera continua; supplisce le macerazioni ed i digiuni, perché sacrifica la volontà ed è sofferenza continua. Purché si viva religiosamente si ha già tutto. Perciò amare tanto la comunità, essere come pazze per le cose comuni facendole in modo perfetto. La tendenza delle religiose è spesso questa: farsi
~
una regola a sé, volendo ancora scegliere tra un bene e l'altro, mentre che è già deciso, e tutto sta nell'obbedire, il che è immensamente più meritorio. In tale modo riprendono la propria volontà, la quale era buona nel secolo ma ora non più.
Vediamo bene di non lasciarci ingannare: per tutti l'obbedienza è il segno della santità, ma per la religiosa è l'unico; l'obbedienza ha legate a sé tutte le virtù ed è la via unica per la perfezione. Sia dunque benedetto il Signore che ha preso tutto da noi, e soprattutto ci ha preso la volontà! «Suscipe, Domine, meam universam libertatem!»7 diceva S. Ignazio, perché non abbia mai a scegliere quello che mi piace, ma solo la tua volontà.
~

1 Cf Gv 20,21.

2 Cf Mc 16,15.

3 Mc 3,13: «... chiamò a sé quelli che egli volle».

4 Cf Sal 148,8: «... fuoco, grandine, neve... obbediscono alla sua parola».

5 Cf Mt 19,28-29.

6 Sal 16,5: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice».

7 «Accetta, Signore, tutta la mia libertà!», in S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 234c.