Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE XI
IL COMANDAMENTO DELLA CARITÀ

[68] Gesù disse tre parole che meriterebbero di essere considerate a parte, in una considerazione speciale, ma mancando il tempo, le accenneremo solo.
1) Il Signore Gesù disse nel Vangelo: «Mandatum novum do vobis»1. Già nell'Antico Testamento Dio aveva dato i dieci comandamenti e particolari disposizioni per il sacrificio e il culto. Ma il Figlio di Dio, venuto dal cielo, diede all'umanità un comandamento nuovo e su di esso stabilì tutta la legge evangelica. Quando lo diede? Nell'ultima cena, dopo aver lavato i piedi ai discepoli, dopo aver detto loro: «Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, lo sono infatti; se io Maestro e Signore vi ho lavato i piedi, altrettanto dovete fare voi»2. E voleva dire: Dovete usarvi tutte quelle gentilezze e cortesie che si usano tra fratelli. Lavare i piedi era un atto di cortesia che si praticava ai forestieri. Lavare i piedi è come lavare i panni, servire i malati e fare altre opere di carità. Coloro che vestono gli ignudi e rammendano la biancheria e preparano i panni fanno servizi umili come lavare i piedi.
Il comandamento nuovo, ignorato dal mondo di allora, era quello di umiliarsi davanti ai fratelli: «Pregate per coloro che vi perseguitano, fate del bene a coloro che vi odiano, e se uno vi chiede il mantello in carità, dategli anche la tunica, e se uno vi odia, pregate per lui»3, ecc.
[69] Qual è dunque il «mandatum novum»? «Ut diligatis invicem sicut et ego dilexi vos»4. Non si può dar tutto, né entrare nella volontà di tutti, ma si deve amare come il Signore ha amato noi. E con quale misura ci ha amati il Signore? Senza misura, dando tutto. Quanto tempo Gesù ha sopportato gli Apostoli portati all'invidia, facili a chiacchierare, poco fermi nei propositi! Qual è dunque la misura del vero amore? Lo dice S. Agostino: «Una
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sola misura: amare senza misura»5. Quindi noi non possiamo mettere limiti: lo perdonerei, ma me l'ha fatta troppo grossa; gliel'ho già lasciata passare tante volte, ma ora ha ecceduto i termini, se continuo a essere pecora, quel lupo finirà per mangiarmi, ecc. No, no, non ci sono limiti nell'amare e nel perdonare.
Ecco perché suore e missionari vanno nei lebbrosari, sicuri di contrarre la malattia, spinti solo dalla carità di Cristo.
2) Disse Gesù: «Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut et ego dilexi vos»6. Tra tutti i precetti ve n'è uno che riassume gli altri: «che vi amiate l'un l'altro». E S. Giovanni evangelista più di tutti trattò della carità vicendevole: già vecchio non cessava di far molte raccomandazioni sulla carità; vecchissimo, non potendo più trascinarsi alle adunanze, veniva portato sopra una sedia, e pregato dai discepoli: «Dicci qualche cosa!». E lui sempre: «Filioli, diligite alterutrum!»7. «Ma questo lo abbiamo già sentito! Tu sai altre cose, hai visto il Signore, hai riposato sul suo cuore...». E l'Apostolo allora ripeteva ancora: «Filioli mei, diligite alterutrum; si hoc facite, sufficit!»8.
[70] 3) Disse Gesù: «In hoc cognoscent omnes quia discipuli mei estis, si diligitis alterutrum!»9. Per che cosa vi riconosceranno come miei discepoli? Per l'abito? Per la casa dove siete? Per altre cose? No, no, Gesù non ha dato altro contrassegno che questo: amarsi a vicenda. «Se non vi amate non siete miei discepoli»10. Quindi se non ci amiamo non siamo discepoli di Gesù e ci troveremo fuori della sua scuola. E se non siamo discepoli di Gesù, di chi lo saremo? Quando gli apostoli videro che la città di Samaria aveva commesso il grande affronto di chiudere le porte a Gesù, irritati chiesero al Maestro: «Facciamo scendere il fuoco dal cielo?»11. Ma Gesù rispose loro: «Voi non sapete ancora quale sia lo spirito del Vangelo. Il Figlio dell'uomo non è venuto a bruciare le città, ma ad accendere i cuori d'amore verso Dio»12. Da questo si riconosce il vero cristiano: se è mite, se non sparla,
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se non giudica male, se non danneggia il prossimo nella stima, nella roba e nell'onore. Si legge nella storia ecclesiastica che i primi cristiani facevano una vita diversa da quella dei pagani i quali uccidevano i vecchi e sopprimevano i bambini malati; i cristiani invece servivano i vecchi, onoravano le vedove, sopportavano il male, tacevano sulle calunnie, sicché i pagani meravigliati dicevano: «Vedete come si vogliono bene!». Veramente bisogna dire: una comunità ha tanto spirito di Gesù Cristo quanto ha di carità vicendevole. Perché la carità verso Dio è interna, spesso non si conosce, ma il segno esteriore per conoscere se si ama Iddio è quello di amare il prossimo. E lo si ama non solo colle opere di zelo, ma specialmente col sopportare, tollerare, compatire. Ecco perciò che S. Paolo dice: «Charitas patiens est, benigna est»13.
[71] Certuni considerano la pazienza sotto due aspetti: in riguardo a Dio e in riguardo al prossimo. Chi ama il Signore ama il patire14; può avere nel cuore una tale sete di mortificazione per cui non si lascia sfuggire occasione alcuna di mortificazione.
La mortificazione deve riguardare particolarmente la volontà, e il cuore. «Abneget semetipsum»15 e ciò significa mortificare i giudizi, le vedute, le fantasie, le intenzioni cattive, i nostri voleri, le nostre tendenze; ora tutto questo è segno di un grande amore di Dio. Ci sono ancora altre mortificazioni: ad es. quelle nel riposo, nel cibo, e nel lavoro. Le mortificazioni straordinarie sono per lo più suggerite dall'amor proprio. Si racconta nella vita di S. Margherita M. Alacoque che tre mortificazioni specialmente facevano parlare la comunità a suo riguardo: 1) beveva l'acqua che aveva servito a lavare i panni; 2) quando era in cucina, d'estate, beveva acqua quasi bollente per togliersi la sete; 3) raccoglieva i tozzi e le briciole che le sorelle lasciavano cadere dalla mensa e se li mangiava. Ma la suora che aveva cura delle galline, non vedeva più arrivare nulla, se ne lamentò, e la superiora glielo proibì. Ho voluto ricordare questi generi di mortificazione, perché chi ama il Signore ama il patire: «Charitas patiens est»; tra l'amore e la sofferenza c'è un legame molto stretto: chi ama Gesù lo ama crocifisso e gli vuole somigliare.
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La carità è molto meritoria: la diversità di carattere, lo stare tutte in camerata, lo stesso apostolato, il mangiare uguale porta sempre un po' di pena; «la carità tutto sopporta»16. Ma talvolta siamo noi che ci facciamo sopportare: vogliamo | [72] che usino la carità per noi, che gli altri siano gentili e premurosi con noi, e noi non lo siamo cogli altri. Quando c'è la buona educazione c'è già un po' di virtù, anzi si sta entrando nella vera virtù.
»Caritas benigna est» e l'apostolo Paolo spiega questa dolcezza dicendo che ci vuole la longanimità, che bisogna sopportare le anime e non pretendere tutte sante. Una suora sgridava le sue bambine perché facevano il ringraziamento troppo corto dopo la Comunione ed intanto lei, subito dopo ricevuta l'Ostia, si girava a destra ed a sinistra a imporre il silenzio... E il buon esempio? Quando facciamo una correzione diciamo a noi stessi: E io che faccio? Se voglio che quella sia buona con me, come faccio io con lei? Così a poco a poco rimediamo a tante cose. Vi furono uomini dotati di buona volontà, (ad es. Pietro Valdo17), i quali però volevano riformare gli altri; bisogna prima curare la riforma di se stessi: «caritas benigna est». E se a uno hai già detto e ripetuto un avvertimento, aspetta ancora e porterà frutto. Il contadino semina in novembre e non pretende di raccogliere in dicembre, ma aspetta paziente la primavera. Quante volte noi siamo degli arruffoni, dei precipitati; crediamo di vincere parlando più forte: no, non è questo buon metodo di educazione. Uno rimane educato in quanto è convinto, e produrrà frutti secondo la convinzione. S. Ambrogio diceva a S. Monica: «Abbi pazienza, non andrà perduto il figlio di tante lagrime»18.
Facciamo dunque il bene, seminiamo, a suo tempo qualche cosa nascerà; lasciamo che questo seme Dio lo sviluppi: poiché chi semina è nulla, chi innaffia è nulla, solo Dio dà la grazia di | [73] germogliare19. E se non possiamo subito avere noi la perfezione perché dobbiamo pretenderla negli altri? Vediamo anzi se noi vi abbiamo contribuito con l'esempio, la preghiera, il sacrificio. Chiediamo al cuore di Gesù e a S. Paolo la perfezione della carità, virtù tanto cara e preziosa agli occhi di Dio.
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1 Gv 13,34: «Vi do un comandamento nuovo».

2 Cf Gv 13,13-14.

3 Cf Lc 6,27-29.

4 Gv 15,12: «... che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati».

5 S. Agostino, Lettera CIX.

6 Gv 15,12: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati».

7 Cf 1Gv 4,7: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri».

8 «Figlioli, amatevi l'un l'altro; se fate questo basta!».

9 Gv 13,35: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».

10 Cf Gv 14,24.

11 Cf Lc 9,54.

12 Cf Lc 9,55-56 (Volgata).

13 1Cor 13,4: «La carità è paziente, è benigna la carità».

14 Cf S. Alfonso, Pratica di amare Gesù Cristo, cap. V.

15 Mt 16,24: «Rinneghi se stesso».

16 1Cor 13,7.

17 Pietro Valdo (1140-1217). Ricco mercante di Lione (Francia), distribuì i suoi beni ai poveri e fondò il movimento religioso dei Valdesi, che si staccò dalla Chiesa cattolica.

18 S. Agostino, Le Confessioni, III, 12.

19 Cf 1Cor 3,7.