Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE XII
CARATTERI DELLA CARITÀ

[74] S. Alfonso ha scritto la Pratica di amare Gesù Cristo1 commentando il capo XIII della lettera di S. Paolo ai Corinti. Ogni capitolo di S. Alfonso corrisponde a una espressione di S. Paolo. Orbene, dice S. Paolo che la carità «non aemulatur»2, cioè non porta un'emulazione malefica, ma emula le virtù e i tesori spirituali: «Aemulamini charismata meliora»3. Emularsi nel bene, cercare di fare una meglio dell'altra è emulazione pia e santa; invece emularsi nel male, odiarsi e sopraffarsi, questa è emulazione cattiva. Quando una fa del bene e l'altra fa meglio, c'è emulazione buona che piace a Dio. Non basta far opere buone, bisogna farle bene. Per farle bene occorrono delle condizioni: che l'opera sia buona in sé, sia fatta in grazia di Dio e con retta intenzione. Questa rettitudine dobbiamo custodirla più delle altre condizioni. Dio rimunera le nostre opere buone a peso di purità di intenzione. S. Alfonso qui soggiunge: «Quanto è difficile trovare un'azione fatta solo per il Signore!»4.
Ricordo che un religioso, morto molto vecchio e in concetto di santità, guardando la vita passata esclamava dolente: «Non trovo un'opera buona fatta solo per il Signore! Maledetto amor proprio che mi ha fatto perdere tanti tesori spirituali!». Questa purità di intenzione è sommamente necessaria, perché dice Gesù: «Vedete di non fare le vostre opere davanti agli uomini per essere | [75] da loro veduti, altrimenti non ne avrete alcuna mercede»5. Se noi lavoriamo per un padrone, non possiamo andare a prendere la paga da un altro. Sarebbe una delusione troppo amara per una religiosa constatare in punto di morte che stoltamente ha perso i meriti perché non operava solo per Dio. E tuttavia l'amor proprio è fine e penetra, si può dire, dappertutto. Dobbiamo ogni giorno fare un duplice atto: condannare ogni intenzione storta e mettere intenzioni sante.
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L'amor proprio è quello che avvelena e guasta parecchie azioni che dovrebbero essere solo per Dio.
La rettitudine di intenzione produce questo effetto: fa diventare preziose davanti a Dio le opere più insignificanti. Si dà, talora, importanza a questa o a quell'azione perché è in vista, perché sembra più nobile: scrivere, saper trattare, avere buon successo in un'impresa, ecc. Ma vedete: se si opera per Dio, non c'è proprio da affannarsi se si fa un'azione nascosta o appariscente; perché tutto ha gran merito. Non ha merito maggiore colei che scrive una pagina di colei che lava la biancheria. Hanno ugual merito e chi sta a capo di un'iniziativa e chi sta a letto e porta in pace la sua malattia. Tutte le opere più insignificanti hanno il loro valore: lavarsi bene, far bene il letto, accomodarsi il velo, passeggiare, raccontare una storia divertente per rallegrare la ricreazione, ecc. Forse nessuno ha mai pensato di mettere tra i suoi meriti queste piccole cose, ma nelle ventiquattro ore ve ne sono molte che possono diventare preziose se offerte a Dio.
Ecco i segni per vedere se una persona opera solo per Dio6: 1) se non si turba allorché non ottiene l'intento. Quando non si riesce in una cosa, | [76] chi opera solo per Dio non si turba affatto e se si turba è solo perché pensa ad una probabile negligenza;
2) se gode del bene degli altri come se l'avesse fatto lui. Quando noi godiamo ugualmente del bene nostro e di quello degli altri, è segno che si tende unicamente a Dio e al suo gusto, di modo che non c'importa se Dio è glorificato da noi o da altri. Quando noi abbiamo intrapreso un'azione e abbiamo messo l'impegno per indirizzarla al Paradiso, il merito c'è lo stesso. Molte volte si vorrebbe aver fatto noi il bene e si sta in pena perché non lo facciamo; ma basta che le nostre giornate le spendiamo per il Signore e vi mettiamo tutta la mente, la volontà e il cuore. Cosa faceva Maria SS.? Nella sua casetta compiva le azioni di ogni donna: al mattino le sue preghiere, poi preparava il cibo, rammendava i panni, lavava, filava: faceva tutte le cose più comuni, più umili e più povere. Ma chi uguaglierà la sua rettitudine e il suo amor di Dio?
3) se non si desidera più un impegno che un altro, ma si accetta quello assegnato dall'obbedienza;
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4) se non si cercano i ringraziamenti e le approvazioni. Diceva S. Teresa: «Chi vuol farsi santo deve vivere senza altro desiderio che di dar gusto a Dio». E la B. Beatrice: «Non vi è prezzo con cui si possa pagare la minima azione fatta per Dio poiché tutto è atto di carità che ci unisce a lui»7. Quindi il fine retto fa sì che tutte le nostre opere siano indorate e meritino grandemente davanti al Signore. E bisogna che siamo distaccati anche dagli stessi esercizi spirituali, quando siamo impegnati a fare altre cose. Il Padre Alvarez, non potendo attendere a tutti gli esercizi della comunità, se ne lamentò una | [77] volta col Signore, il quale gli rispose così: «Sii docile per ciò che il dovere richiede da te».
Quando S. Margherita M. doveva fare il secondo corso di Esercizi spirituali, era tutta in giubilo, e si preparava con calore e contava i giorni che la separavano. La superiora se ne accorse e, per mortificarla, la chiamò a sé prima di cominciare e le disse: «Tu sai che abbiamo l'asino e l'asinello che non vogliono mai stare nel prato, e appena non si badano vanno subito nell'orto a pestare i cavoli. Durante gli Esercizi tu ne avrai cura». Poveretta! Per sei giorni non si sa quante corse abbia fatto dalla cappella al prato. Alla fine il Signore compì un prodigio: la santa voleva correre a badare all'asino che era andato nei cavoli, ma il Signore le disse: «Sta' qui con me, l'asina non farà alcun danno». Avendo la superiora chiamato sr. Margherita per rimproverarla, ella candidamente rispose: «Ma il Signore ha detto che non avrebbe fatto alcun danno!». La superiora andò allora a constatare il prodigio.
Altro contrassegno di carità è un gran desiderio della santità. L'anima che ama Iddio odia la tiepidezza. Vi sono due specie di tiepidezza: la inevitabile e l'evitabile8. La inevitabile l'abbiamo tutti: per es. uno si sente male, si trova agitato, non ha riposato, è tentato, ecc. Così pure è inevitabile sentir tentazioni nelle preghiere, sentire le passioni, sentire l'odio quando l'amor proprio è stato ferito, sentire il gusto del mangiare e bere, ecc.: queste cose sono inevitabili, ma se sono represse diventano meriti.
La tiepidezza evitabile invece, bisogna evitarla, altrimenti c'è l'offesa di Dio. Quando facciamo una catena di mancanze volontarie,
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allora siamo tiepidi: «Utinam frigidus esses!»9. La tiepidezza | [78] volontaria prende le anime non in principio della vita spirituale, difficilmente nell'anno del noviziato e nei primi della professione, ma dopo anni di lavoro spirituale. Può essere prova di Dio, può essere meritata, cioè castigo per la incorrispondenza delle grazie. Perché una persona è esposta di più alle distrazioni, troverà maggior difficoltà a pregare, ma lo sforzo che fa, dimostra che la sua non è tiepidezza volontaria; se invece si mette volontariamente nelle distrazioni con la fantasia e col cuore preso ora da una cosa ora da un'altra, allora la tiepidezza è inevitabile. Bisogna avere fervore, amore al Signore e prendere tutti i mezzi per raggiungere la perfezione.
Dunque: avere grandi desideri, che sono come le ali che innalzano da terra. Vi sono anime che hanno solo desideri, ma non sono desideri sinceri, bensì velleità: sono come le piante che fanno solo fiori e nessun frutto. Altre anime hanno invece veri desideri che sono accompagnati dallo sforzo di riuscire. Bisogna averli i desideri? Sì, perché i desideri sono atti d'amor di Dio, e conviene averli molto grandi. Ma io riesco a condurne a termine pochi.... Vedete: vi sono dei pesci molto grossi che depongono anche diecimila uova; di esse solo poche schiudono, eppure il mare è pieno di pesci. Sì, pochi dei propositi che i buoni fanno, si portano a termine, ma poco a poco ci fanno santi.
Un sacerdote durante il tempo della sua preparazione aveva tanto desiderio di fare un gran bene alle anime; ma poco dopo essere ordinato, fu colto dalla tubercolosi che lo condusse in breve al sepolcro. Interrogato se gli spiaceva, rispondeva: «Spero che il Signore tenga conto dei miei desideri». Vedeva i suoi compagni attendere a | [79] varie opere di bene, e lui si compiaceva e li benediceva e li aiutava con le sue sofferenze. Ora la causa di canonizzazione di questo sacerdote è avanti e procede bene.
Dunque i buoni e grandi desideri bisogna averli; che Gesù Via Verità e Vita guadagni tutti i cuori, che le anime purganti vadano tutte al riposo del cielo... Dice S. Teresa: «Dio fa molti favori se non a chi ha molti desideri del suo amore, però oltre al desiderio di farsi santi»10. Il diavolo talora suggerisce che la volontà di essere come i santi è superbia.
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Molti, chiamati alla perfezione, sono spinti a quella dalla grazia di Dio, e acquistano grandi desideri, ma poi non si risolvono mai: hanno debole volontà. S. Francesco di Sales diceva: «Io non approvo che una persona si fermi a desideri utili, ma fuori della vita che conduce o dell'ufficio che le è assegnato, o delle pratiche che non sono comuni, poiché queste cose fanno languire l'anima e le fanno abbandonare la volontà di Dio»11. Dio non aspetta che una buona risoluzione per farci santi. S. Andrea Avellino fece il voto di progredire ogni giorno12: che grande proposito è questo! Intanto però, presa la risoluzione, non bisogna tramandare, e quello che possiamo fare oggi non lasciarlo per domani: Dio vuole che siamo pronti.
Vi sono anime che fanno propositi che non potranno mai praticare: sarebbe meglio fare un proposito solo e bene anche solo un dovere. Dio non si contenta dei progetti.
Prendiamo i due grandi mezzi: desiderare e risolvere decisamente. Certamente alla fine degli Esercizi si fanno dei buoni propositi scelti bene e ben individuati, | [80] di modo di avere un programma definito per tutto l'anno.
Ringraziamo il Signore per quello che abbiamo meditato finora e recitiamo spesso l'atto di carità per esercitare sempre di più questa virtù nel nostro cuore.
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1 Tutta la meditazione è una lettura di S. Alfonso, Pratica di amare Gesù Cristo, cap. VII, 3, 5, 7.

2 1Cor 13,4: «... non è invidiosa».

3 1Cor 12,31: «Aspirate ai carismi più grandi».

4 S. Alfonso, Pratica di amare Gesù Cristo, cap. VII, 3.

5 Mt 6,1.

6 Don Alberione commenta i quattro segni indicati da S. Alfonso, Pratica di amar Gesù Cristo, VII, 5.

7 Riportato da S. Alfonso, Pratica di amar Gesù Cristo, cap. VII, 7.

8 Don Alberione in questa seconda parte della meditazione commenta S. Alfonso, Pratica di amar Gesù Cristo, VIII,1-4.9.10,12.15.

9 Ap 3,15: «Magari tu fossi freddo!».

10 Riportato in Pratica di amar Gesù Cristo, VIII, 10.

11 Riportato in Pratica di amar Gesù Cristo, VIII, 12.

12 Riportato in Pratica di amar Gesù Cristo, VIII, 15.