Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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IV

PENE DEL PURGATORIO

ACERBITÀ

La Chiesa nulla ha definito circa la natura e la durata delle pene nel Purgatorio. Tuttavia molto noi sappiamo dalla dottrina dei Padri, dei Dottori della Chiesa e dei Santi.
Dice S. Cirillo: «Se si potessero rappresentare tutte le afflizioni del mondo per paragonarle con le sofferenze del Purgatorio, quelle ci sembrerebbero quasi dolcezze. Per evitarle, si sopporterebbero volentieri tutti i mali sofferti da
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Adamo ad oggi. Sono così dolorose che eguagliano in acerbità le stesse pene dell’inferno: eadem sunt magnitudine».
Però due sono le differenze fra il Purgatorio e l’Inferno. I dolori dell’inferno sono eterni; quelli del Purgatorio sono invece temporanei. I dolori del Purgatorio sono accettati con piena rassegnazione, mentre i dannati sono disperati odiano Dio stesso.
S. Beda Venerabile, uno dei più dotti Padri della Chiesa occidentale, scrive: «Schieriamoci pure innanzi agli occhi tutti i tormenti più crudeli che i tiranni hanno inventati per torturare i martiri: le mannaie e le croci, le ruote e le seghe, le graticole e le caldaie bollenti, gli uncini di ferro e le tenaglie roventi: con tutto questo non avremo ancora l’idea delle pene del Purgatorio.
Infatti S. Tommaso dice che la minima pena del Purgatorio sorpassa la massima pena di questa vita.
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PENA DEL DANNO

La maggior sofferenza del Purgatorio è la cosiddetta pena del danno.
Le anime purganti sentono uno slancio potente verso Dio, bramando la sua faccia più che Assalonne desiderasse la vista del padre. Eppure esse vengono respinte dalla giustizia, purezza e santità di Dio; piegano il capo rassegnate, ma come naufraghe in un mare di mestizia. Quanto desidererebbero la casa del Padre, la compagnia della madre Maria, dei parenti già in cielo, dei Beati e degli Angeli! Ma sono allontanati e rimangono in attesa con inesprimibile tristezza.
S. Caterina da Genova esclama: «Se in tutto il mondo vi fosse un solo pane per sfamare ogni creatura, e col solo vederlo le creature potessero saziarsi, quale ne sarebbe il desiderio! Eppure Dio è questo pane celeste, unicamente capace di soddisfare la fame delle anime del Purgatorio. Ebbene, questo pane viene loro negato».
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Nella vita di S. Martino di Tours si legge quanto è narrato di una vergine chiamata Vitalina. Era in tale concetto di santità, che da ogni parte della diocesi di Tours i fedeli intervennero ai suoi funerali, non tanto per suffragarne l’anima, quanto per invocarne l’intercessione. Lo stesso Vescovo S. Martino non recitò preghiere di suffragio, ma ringraziò soltanto Dio dei favori concessi alla vergine. Allora la defunta gli si fece vedere in abito bruno con lo sguardo mesto e il volto pallidissimo. E con voce lamentevole, disse: «Non mi è ancora concesso di contemplare il volto del mio Signore» - «Oh, perché mai?» - «Perché un giorno di venerdì violai la regola che ordina di non acconciarsi i capelli in segno di lutto per la morte del Divin Redentore».

PECCATO E PENA

S. Agostino scrive: «In uno stesso fuoco si purificano l’oro e si consuma la
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paglia. Così un solo fuoco purifica i buoni nel purgatorio, mentre nell’inferno brucia i malvagi».
S. Roberto Bellarmino scrive: «Signore, io non vi chiedo che liberiate quelle anime, non lo consente la vostra giustizia. Ma io vi dico invece di farle ardere nel Purgatorio, le mandiate nella più ardente fornace di questo mondo. Essa sarà sempre quasi tiepida in confronto degli ardori del Purgatorio».
È scritto: « Per quae homo peccat, per haec et torquetur». Vi sarà quindi una certa corrispondenza della pena con la materia del peccato e la facoltà che ha peccato. Se avrà peccato la lingua, o l’udito, queste facoltà saranno tormentate.
Nella vita di S. Margherita Alacoque si legge una rivelazione molto istruttiva per noi. Ella pregava per due uomini illustri, morti da poco tempo, e seppe che uno di essi era in Purgatorio, e che molti suffragi di Messe venivano offerti per lui. Queste Messe però non apportavano all’infelice alcun sollievo. Perché?
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Durante la sua vita aveva derubato e danneggiato alcune famiglie di onesti contadini, esigendo da loro più di quanto avrebbe voluto la carità e la giustizia. Dio, buon padre di tutti, applicava invece il frutto delle sante Messe celebrate per quel defunto, alle famiglie danneggiate: sia per le persone ancora vive, sia per quelle passate all’eternità. Così il Signore provvedeva a compiere la restituzione che avrebbe dovuto fare il defunto.

PENE CHE DURANO

Il Rossignoli, nel libro «Meraviglie del Purgatorio», narra di un pittore che si lasciò trascinare dall’andazzo comune a dipingere un quadro indecente.
(Peccato, questo, simile a quello di scrittori indegni o di chi presenta cartoline e ritratti disonesti. Certi salotti, film, ecc. faranno piangere tante anime in Purgatorio).
Quel pittore vendette il quadro e non
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vi pensò più. Morì, poi, mentre stava dipingendo la chiesa di un Convento di Carmelitani. Poco dopo la sua morte, un religioso, pregando in coro, se lo vide comparire davanti. Meravigliato, il buon frate lo interrogò se fosse salvo o dannato. «Sono salvo, rispose il povero defunto, ma condannato a rimanere in Purgatorio finché il mio brutto quadro continuerà sulla terra ad essere occasione di sguardi cattivi!, Va, per carità, alla casa del tal signore; digli che getti alle fiamme quel dipinto. Io soffro, ma quel signore che mi indusse con denaro a così dipingere, perderà presto i suoi due figli ancor giovanissimi; e guai a lui se non distruggerà il quadro!».
Il quadro fu bruciato, ma i due figli morirono presto. Quel signore condusse poi una vita penitente e mortificata. Nella sua vecchiaia riparò con molte opere buone la sua cattiva azione.
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