Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ISTRUZIONE XIV
VIRTÙ E VOTO DELLA POVERTÀ

San Francesco d’Assisi sposò Madonna Povertà. Dante descrisse lo sposalizio mistico nel Paradiso; Giotto lo dipinse nella Basilica di Assisi. Un giorno il Santo s’incontrò per una strada dell’Umbria con Madonna Povertà che se ne ritornava in cielo, perché sulla terra nessuno le aveva dato ospitalità. Era coperta di cenci; ma a San Francesco parve così bella che gli guadagnò il cuore; ed egli la fece sua sposa.

Le cinque funzioni della povertà

La povertà è la massima ricchezza; ogni piccola rinunzia nel gusto, vestito, abitazione è una grande conquista per il cielo.
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La povertà paolina ha cinque funzioni: rinuncia, produce, conserva, provvede, edifica.
Rinuncia all’amministrazione, all’uso indipendente, a ciò che è comodità, gusto, preferenze; tutto ha in uso.
Produce col suo lavoro assiduo; produce tanto per dare ad opere ed a persone.
Conserva le cose che ha in uso.
Provvede ai bisogni che vi sono nell’Istituto.
Edifica, correggendo la cupidigia dei beni.

Fede evangelica nella Provvidenza

Nessuno può servire a due padroni: sicuramente, o odierà l’uno e amerà l’altro, o sarà affezionato al primo e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e a Mammona. Perciò io vi dico: Non siate troppo solleciti per la vita vostra, di quel che mangerete, né per il vostro corpo, di che vi vestirete. La vita non vale più del cibo, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli dell’aria: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il vostro Padre celeste li nutre. Or non valete voi più di loro? E chi di voi, con tutto il suo ingegno, può aggiungere alla sua statura un sol cubito? E perché darsi tanta pena per il vestito? Guardate come crescono i gigli del campo: non faticano, né filano; eppure vi assicuro che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu mai vestito come uno di loro. Or se Dio riveste in questa maniera l’erba del campo, che oggi è e domani vien gettata nel forno, quanto più vestirà voi, gente di poca fede? E non vogliate angustiarvi
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dicendo: Che mangeremo, che berremo, di che ci vestiremo? Tutte queste cose preoccupano i Gentili; or il Padre vostro sa che avete bisogno di tutto questo. Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date per giunta (Mt 6,24-33).

* * *

Art. 86. La dispensa dai voti religiosi, sia temporanei che perpetui, legittimamente emessi nella Società, è riservata alla Santa Sede; i Superiori non hanno alcuna potestà di scioglierli, salvo il caso di legittima dimissione di un religioso professo di voti temporanei, a norma dell’art. 95.
Art. 87. In virtù della professione religiosa, il membro è soggetto agli obblighi del proprio stato e ne gode i diritti, a norma delle presenti Costituzioni, sotto l’autorità dei Superiori, secondo la propria condizione e il proprio grado. I professi di voti temporanei godono degli stessi privilegi, delle stesse indulgenze e delle medesime grazie spirituali di cui godono i professi di voti perpetui; se venissero a morire, hanno diritto anche ai medesimi suffragi.
Art. 88. Il tempo dal quale inizia il godimento della voce attiva e passiva, è computato dalla prima professione emessa nella Società. Tuttavia:
a) Tutti i professi di voti temporanei mancano di voce attiva e passiva; vi sono compresi gli alunni chierici non ancora pervenuti al sacerdozio, anche se professi perpetui.
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b) I professi discepoli di voti perpetui godono di voce attiva e passiva sia nella elezione dei delegati al Capitolo provinciale che in quella dei delegati al Capitolo generale; nelle elezioni che si effettuano invece in seno al Capitolo generale godono solamente di voce attiva.
c) I sacerdoti professi di voti perpetui godono di voce attiva e passiva in tutte le elezioni, a norma delle Costituzioni.
Art. 89. Ai discepoli, una volta emessa la professione, non viene concesso il passaggio allo stato clericale. Agli alunni chierici, anche se professi perpetui, per un serio motivo può essere concesso il passaggio allo stato di discepoli: né in tal caso sono tenuti a compiere un secondo noviziato; tuttavia sarà bene vengano sottoposti, in qualche modo, a una prova adeguata.
Art. 90. Coloro che per un motivo qualsiasi o per una particolare ragione escono dalla Società, sappiano che non possono esigere nulla per i lavori compiuti, o ad altro titolo, fermo restando quanto è prescritto dall’art. 36.
Art. 91. Il professo di voti temporanei, terminato il tempo dei voti, può liberamente lasciare la Società. Parimenti il Superiore generale, previo voto del rispettivo Superiore maggiore col suo Consiglio, e dopo aver udito il Consiglio Generale, per giuste e ragionevoli cause, lo può escludere dal rinnovare i voti temporanei o dall’emettere la professione perpetua, ma non per motivo
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di malattia, eccetto che si possa dimostrare che tale malattia era stata taciuta o dissimulata prima della professione.

Povertà effettiva ed affettiva, virtù e voto

Vi è la povertà effettiva, accompagnata da ricchezza affettiva; vivono nella miseria, ma hanno desideri sregolati, sino al furto, agli inganni, a lavoro proibito.
Vi è la povertà affettiva, accompagnata da ricchezza effettiva; sino a chiedere elemosine per dare a Dio ed al prossimo.
Beato il ricco che è trovato senza macchia, che non è andato dietro all’oro (Sir 31,8).
La povertà come virtù ha la parte positiva: è lo studio, è l’anelito continuo ai beni spirituali ed eterni, al Bene Sommo, Dio! staccando il cuore dalle cose della terra, e tutto usando come mezzo, per conseguirlo. Anche il cibo e il riposo vengono presi per mantenersi nel servizio di Dio e nell’apostolato.
Il voto è un mezzo, un più forte impegno per meglio praticare la virtù.
Lo spirito della povertà (la prima beatitudine) è la virtù in alto grado: quando vi sono profonde convinzioni, amore e gusto alle privazioni e sacrifici, così da compiere prompte, faciliter, delectabiliter.1 Così innumerevoli santi canonizzati e i più non canonizzati.
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Gesù, Maestro di povertà

Con l’esempio. Dice San Bernardo: Pauper in nativitate, pauperior in vita, pauperrimus in cruce.2
San Paolo di Lui scrisse ai Corinti: Per il vostro bene il Verbo di Dio che era ricco si fece povero, perché la sua povertà fosse la vostra ricchezza [cf. 2Cor 8,9].
La grotta per animali, la mangiatoia prima culla, l’esilio in Egitto, la piccola casetta a Nazareth, il mestiere di falegname, la vita pubblica sostenuta dalle elemosine; spogliato degli abiti, abbeverato di fiele, mirra e aceto, una croce per letto, un sepolcro imprestato per carità. La veste o specie eucaristica è un po’ di pane, il comune alimento. Le sue preferenze i poveri: pauperes evangelizantur.3
Con l’insegnamento. La prima beatitudine insegnata è la povertà: Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli [Mt 5,3]. Se è il primo gradino della santità, chi non lo sale, o lo discende, rinunzia di fatto alla perfezione.
Di Lui si chiedeva: Nonne hic est fabri filius? Nonne hic est faber?.4
Gli uccelli hanno i loro nidi, le volpi hanno delle tane; ma il figlio dell’uomo non ha un sasso su cui posare la sua testa [Lc 9,58].
Se vuoi essere perfetto va’, vendi i tuoi beni, danne il ricavato ai poveri; poi vieni e seguimi [Mt 19,21].
Voi, che avete lasciato tutto e mi avete seguito, riceverete il centuplo e possederete la vita eterna [cf. Mt 19,28-29].
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Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato in aggiunta [Mt 6,33].
Non prendete né oro, né argento, né moneta nelle vostre cinture [Mt 10,9].
Chi non rinunzia a quanto possiede non può essere mio discepolo [Lc 14,33].
Chi si spoglia diviene ricco di grazia, di meriti, di pace, di gloria. Nella povertà la santità è più facile.
È fonte di purificazione, di fervore, di carità.
La povertà distrugge la lussuria e l’orgoglio; prepara un’atmosfera di spiritualità (S. Ignazio).
La povertà è custode di tante virtù.
È un fatto che oggi, in generale, degli Istituti religiosi chiedono elemosine in modo conveniente all’atmosfera in cui si vive. Ma il Cappuccino, che va di porta in porta ed ha vestito, abitazione, mensa più povera, prepara più santi alla Chiesa... E sono canonizzati, tra di loro, più questuanti, sacrestani, portinai.
La santità autentica è solo e sempre quella del Vangelo.
Chi ha il vero spirito di povertà ha molto più facilmente lo spirito di orazione e desideri di cielo. Là è il suo tesoro: Ubi thesaurus vester est, ibi et cor vestrum erit.5
La povertà in un Istituto è la garanzia di spirito buono e di buon sviluppo, specialmente di belle e numerose vocazioni.
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Dio non manda dove non si lavora o si spreca, sia pure in piccole cose, esempio nel fumare.
Chi ha l’affetto, anche ad un solo filo, è come un uccello legato: non può spiccare il volo verso le altezze della santità.

Maria: donna povera

Maria. La pensiamo quale era: una popolana, sposa ad un falegname. A Betlemme non avevano tanto da pagare, perciò non trovarono posto all’albergo.
La saggia e laboriosa donna di casa, cucina, pulizia, bucato, ecc., premurosa per Gesù nella sua infanzia, fanciullezza, età adulta; e per Giuseppe, finché rimase al suo fianco; per Giovanni Apostolo e per gli altri Apostoli dopo la morte di Gesù; e sino a che fu assunta in corpo ed anima al cielo. Visse l’ideale della donna forte come descritta nei Proverbi (31,10-31).
Di Maria pochissime parole sono registrate nel Vangelo; ma piene di sapienza scritturale. Per la povertà: [Dio] ha rovesciato i potenti dai loro troni, ed ha esaltato gli umili. Ha saziato di beni i poverelli, ha rimandato a mani vuote i ricchi (Lc 1,52-54).
Maria soccorre i poveri, adoperando la sua onnipotenza supplichevole per loro. Alle nozze di Cana, durante il festino, venne a mancare il vino: segno che si era in una famiglia povera, e che erano invitati Maria, Gesù, pochi pescatori, primi discepoli di Gesù. Maria lo conosce, ne parla con Gesù, ottiene il cambiamento dell’acqua in vino, risparmia un’umiliazione agli sposi.
A chi desidera la virtù della povertà Maria ottiene
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le grazie: amare il lavoro, sopportare in pace le privazioni e sacrifici, sperare e ricevere i doni spirituali.
Molte volte i religiosi hanno un tenore di vita più comodo di quanto avessero in famiglia.
Ricordiamo: il necessario per la vita quotidiana si ricava dal lavoro; per opere straordinarie, invece (una chiesa, casa, macchina, ecc.), si cerca dalla beneficenza, almeno in parte.
Ho sentito questo apprezzamento, da chi doveva farlo, di un religioso che si era presentato tutto attillato, manieroso, ricercato a tavola, nel trattare ed esigere: Quanto ha cura del suo esteriore altrettanto è vuoto nell’interiore: cioè nella scienza, pietà, zelo.

San Paolo: maestro e testimone

San Paolo. Scrive a San Timoteo: Predica ai ricchi della terra di non essere orgogliosi e di non mettere la fiducia nelle vane ricchezze, ma nel Signore (1Tm 6,17).
Elogia la carità di Filemone verso i cristiani di Colossi: Grande è la mia gioia e la mia consolazione per la tua carità, perché per mezzo tuo il cuore dei santi (i fedeli) si è sentito rianimare, o fratello (Fm 7).
Scrive a San Timoteo: La pietà è veramente una fonte di guadagno, quando rende contenti del necessario. Quando abbiamo di che nutrirci e di che vestirci, stiamo contenti. Ma quelli che vogliono arricchire cadono nella tentazione, nell’inganno ed in molti desideri insensati e dannosi, che travolgono gli uomini nella rovina e nella perdizione. Infatti la cupidigia del denaro
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è la radice di tutti i mali; ed alcuni, che ne sono stati presi, si sono allontanati dalla fede e si sono procurati tormenti che li rodono (1Tm 6,6-10).
Agli Ebrei: Con gioia avete sopportato la confisca dei vostri beni, sapendo di essere in possesso di beni migliori che durano sempre (Eb 10,34).
Ai Filippesi: ringrazia per le offerte ricevute; poi soggiunge: Ho imparato a contentarmi delle condizioni in cui mi trovo. So vivere nelle strettezze e nell’abbondanza; sono addestrato a tutto; ad essere sazio ed a patire la fame, ad essere nell’abbondanza come ad essere nella penuria (Fil 4,11-12).
Paupertas est veluti muras religionis diligenda6 (Sant’Ignazio).
Il guai a voi, o ricchi! perché avete già avuta la vostra consolazione quaggiù! [Lc 6,24]. Il guai! Non si vedono tante abbazie, conventi, istituti cadenti, o già caduti? È ammonimento a noi.
Sono ricchi non solo coloro che hanno molto, e vi si affezionano; ma anche chi ha poco, se sta col cuore teso e si procura quanto può, in qualunque modo. È ricchezza affettiva, con la povertà effettiva.

Diverse forme di povertà. Il lavoro

Tutti gli Istituti sono tenuti alla povertà, ma non tutti nello stesso modo: altra è la povertà di un Cistercense, altra quella di un Gesuita. Sta la norma di San Tommaso: La povertà religiosa ha valore istrumentale, in ordine cioè ai due fini cui è ordinata: la santificazione e l’apostolato.
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La povertà è più difficile ad osservarsi dove di necessità più persone entrano nell’amministrazione; ma dipende dalla natura dell’Istituto; occorre vigilanza.
La virtù della povertà poi è più per gl’individui, che non per l’Istituto. Questo deve assicurare lo sviluppo delle opere ed assicurare la propria esistenza e progresso; ma anche qui vi sono limiti: la fiducia in Dio, lo spirito della povertà, la cura pur delle briciole di tempo e di pane, un conveniente sovvenire agli indigenti, ecc. sono sempre da tenersi presenti.
Tutti gl’Istituti sono tenuti al lavoro, che è legge naturale, e penitenza del peccato; la Professione aggiunge nuove leggi; non ne toglie.
Vi è obbligo per tutti gl’Istituti, ricchi e poveri, che prima di ricorrere alla beneficenza è dovere lavorare. La possibilità di lavorare è già provvidenza di Dio. Pio XII, nella Costituzione Sponsa Christi, lo ripete con parole chiarissime.
Educare al lavoro significa elevare e far la fortuna, la carità, il bene di un giovane, per la vita e per l’eternità.
Quando un uomo vive disciplinato, domina i sensi e le contingenze, nell’intimità della famiglia ed in società, sarà rispettato, ammirato; sarà utile a sé ed al prossimo; darà un suo buon apporto all’umanità ed alla Chiesa. Sii uomo! Vir, vis, forza.
I santi sono tutti lavoratori. In proporzione degli anni vissuti, quanto hanno operato, ed in quante direzioni! S. Tommaso d’Aquino, S. Francesco d’Assisi, S. Bernardo, S. Francesco di Sales, S. Giuseppe Cottolengo, S. Giovanni Bosco, S. Alfonso Rodriguez, S. Giovanni
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Battista de La Salle, S. Giovanni della Croce, S. Alberto Magno, S. Camillo de Lellis, S. Giovanni M. Vianney, S. Domenico, S. Alfonso de’ Liguori, ecc.: tutti! Diedero il primo posto al lavoro interiore; poi questo fruttò l’operosità esterna così meravigliosa, fruttuosa, umanitaria, che desta in tutti grande ammirazione.
S. Paolo scrive ai Tessalonicesi: Quando eravamo presso di voi vi davamo questo precetto: Chi non vuole lavorare non mangi. Ma ora sentiamo dire che alcuni di voi si comportano disordinatamente, facendo nulla. Ora a costoro noi prescriviamo ed esortiamo nel Signore Nostro Gesù Cristo che mangino il loro pane lavorando tranquillamente (2Ts 3,10-12). Lavoriamo faticando con le nostre mani (1Cor 4,12). Egli fu un grande lavoratore. Insiste più volte a dire che quanto occorreva a lui ed ai suoi compagni di predicazione ministraverunt me manus istæ,7 lavorando anche di notte nell’arte appresa in gioventù. Dice di sé: in plagis... in laboribus, in vigiliis...8 (2Cor 6,5). Egli è il più felice interprete ed imitatore di Gesù Cristo; anche in questa parte la sua vita è in Cristo: Mihi vivere Christus est.9

Il lavoro del Paolino

Il lavoro del Paolino (Sacerdote o Discepolo) ha una caratteristica: Gesù-Operaio lavorando produceva povere cose; S. Paolo produceva stuoie militari dette cilici; invece il Paolino esercita un diretto apostolato, dando con il lavoro la verità, compiendo un ufficio di predicazione, divenuto missione e approvato dalla Chiesa.
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S. Paolo infatti loda maxime qui laborat in verbo et doctrina10 (1Tm 5,17).
Ottima regola il presto a letto alla sera, presto fuori letto al mattino.
Quando si è lavorato e tuttavia l’utile non è ancora sufficiente, s’invoca la Divina Provvidenza, si chiede decorosamente la beneficenza, si gode d’imitare la povertà di Gesù, Maria, San Paolo, vivendo nelle strettezze.
I confessori, i predicatori, i maestri, ecc. sono tra gli ottimi lavoratori.
Taluni vogliono il lusso del voto, ma non l’esercizio della povertà; tutto si concedono ed esigono. Talvolta i religiosi meno lavoratori sono i più esigenti.
Vi è chi adopera una macchina-automobile come sua: ne dispone, la toglie dall’uso comune, ne fa una amministrazione ed uso libero ed indipendente, che è appunto ciò che vieta il voto.
Vi sono bisogni? Da noi si stampi e si diffonda, con intelligenza e prudenza.
Con il lavoro di apostolato si accrescono le vocazioni, si pagano case e macchinari, si corrisponde alla nostra missione, si ha l’approvazione di Dio e degli uomini, si acquista il cielo.

Nemici della povertà

Sono:
a) La concupiscentia oculorum:11 È scritto: Ogni uomo, per la concupiscenza del denaro, è già in fondo, pure in proporzione ridotta, un proprietario, un capitalista, un avaro che sonnecchia; ma, passata l’età maggiore,
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si risveglia. Così avviene che si fanno lavori per esterni e si tengono i denari.
b) La concupiscentia carnis:12 quando vi è pigrizia, quando si vuole denaro per soddisfare passioni, gola, curiosità, indipendenza, svaghi, comodità. Alle necessità deve provvedere l’Istituto.
c) La superbia vitæ:13 è l’ambizione. Ma il decoro è necessario, mentre la vanità è una passione. Giudicando superficialmente, il mondo dà delle preferenze al ricco, anche in chiesa.
d) Lo spirito mondano, l’esempio dei fratelli, l’incuria dei Superiori, la prosperità materiale di un Istituto. Si arriva anche a ritenersi l’elemosina delle Messe.
Il voto in una Congregazione religiosa vieta:
a) L’appropriarsi qualcosa dell’Istituto per uso personale; quindi il cosiddetto peculio è escluso dalle Costituzioni.
b) Dare, regalare, vendere, cambiare, disporre di cose, spendere indipendentemente, imprestare, sciupare per disattenzione.
c) Accettare cose per uso personale e senza permesso; pretese non giustificate nella cura della salute.
d) Rifiutare uffici e lavori.
Qualità della povertà:
Amata, scelta, preferita alla ricchezza e comodità, per amore di Gesù Cristo.
Praticata nel cibo, vestire, abitazione, mobili; preferendo la vita comune.
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Intesa secondo il Vangelo, in spiritu: amare i poveri; evitare le frequenti comunicazioni con i ricchi; predicare, secondo il Vangelo, il distacco dalle cose della terra.

Osservazioni

a) Il religioso che ha raggiunta la Professione perpetua e finché si trova nel vigore delle forze, deve provvedere almeno a tre-quattro persone: per le spese sostenute per lui nella formazione, per altri Aspiranti, per la sua tarda età. Non è l’obbligo che hanno i padri di famiglia?
b) Abituare gli Aspiranti alla pratica della povertà: che diano quanto è prescritto dall’Istituto; che si abituino al vitto comune ed al lavoro; che vi sia pulizia ed ordine; che curino le cose, i mobili, il vestito; che sappiano vincersi praticando la mortificazione.
c) L’educare senza l’abneget semetipsum14 non darà buoni cristiani, tanto meno dei religiosi. Che se invece l’Aspirante viene abituato a piccole rinunce sarà preparato alla rinuncia generale nel professare e nel vivere secondo il Vangelo e gli esempi di Gesù Cristo.
d) La follia della croce: S. Paolo, il Curato d’Ars, S. Alfonso de’ Liguori, S. Francesco d’Assisi, S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, S. Teresa.
e) Nella Chiesa di Dio solo chi amò e praticò la povertà fece opere che rimasero, o lasciò esempi che
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edificarono, o si prodigò in lavoro apostolico, o raggiunse la vera santità.
f) Il P. Chevrier ha tracciato un programma conciso e completo della santa vita del vero povero di Gesù Cristo:
Si contenta di poco...;
Niente lascia andare a male;
tutto riceve in riconoscenza;
crede sempre di avere più di quanto merita;
è contento dei servizi che gli sono resi;
di nulla si lamenta, cercando la povertà di Gesù Cristo;
lavora per guadagnarsi il pane quotidiano;
ama di far di preferenza le cose più pesanti e umili;
ha orrore per quanto sa di lusso, vanità, benessere, comodità;
cerca come aiutare tutti;
si prende cura di ciò che ha;
evita lo spreco e la prodigalità;
non fa spese inutili per vesti, alloggio, cibo, abbellimenti;
è economo senza avarizia.
g) Vi è distinzione chiara tra le mancanze contro la povertà e le mancanze contro la giustizia. I Maestri dei novizi ed i Superiori delle case devono spiegarla; ricordando anche il dovere della restituzione per chi avesse sottratto, colpevolmente danneggiato, donato senza licenza ad altri cose dell’Istituto, ecc.
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Lo spirito di povertà suppone:

– la pratica della giustizia, anche nelle piccole cose;
– la convinzione che i beni della terra sono per la vita naturale ed eterna dell’uomo;
– la salute buona;
– la pulizia ed il buon uso del tempo;
– una giusta economia.
L’ordine in casa, il tener bene il vestito, i mobili, gli strumenti di lavoro, ecc. sono richiesti dalla ragione. L’amministrazione saggia, tutta unita, provvidente e previdente in una famiglia, è del tutto necessaria; la fuga dell’ambizione, delle inutili soddisfazioni, del superfluo, dei vani ornamenti rivelano tante cose.
In generale è molto più facile costruire le chiese e le case, che santificarle, riempiendole di meriti, vocazioni, apostolato, vita religiosa e lieta, preghiera; facendole anticamere e luogo di preparazione alla Casa Celeste. Tuis fidelibus, Domine, vita mutatur, non tollitur, et dissoluta terrestris huius incolatus domo, æterna in cœlis habitatio comparatur15
Le case per la conservazione devono essere curate con molta attenzione. È vero che muri, porte, finestre, mobili, ecc., tutto deve essere costruito robustamente come esige una comunità e con gioventù; ma, inoltre, tutti devono usare ogni cosa con riguardo e rispetto come proprietà della Chiesa (attraverso l’Istituto); la povertà esige cure ed attenzioni per ogni parte.
La pulizia, l’ordine, la ventilazione, le riparazioni frequenti
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dai tetti ai pavimenti, alle tinte, ecc. dimostrino che si ha rispetto anche a noi stessi e all’apostolato, applicando pure qui il Domine, dilexi decorem domus tuæ.16 Quando saremo vicini alla morte, la vista della camera e locali, degli oggetti, libri, abiti, mobili, ecc. (anche l’inginocchiatoio) solo ricordino l’uso santo fattone! Tutto è, infatti, solo in uso, come strumento per lavorare la corona eterna e prepararsi una bella casa in cielo: Dispone domui tuæ, quia morieris tu, et non vives.17
Uscirà la nostra salma dalla porta per sempre. E prepariamo anche tombe convenienti per religiosi! Ma l’anima possa fare il definitivo ingresso in cielo: Veni... coronaberis.18 Dopo aver santificato la casa nostra in terra.
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1 “Con prontezza, con facilità e piacevolmente”.

2 “Povero nella nascita, più povero nella vita, poverissimo sulla croce”.

3 “I poveri sono evangelizzati” (Mt 11,5).

4 “Non è egli figlio del carpentiere? Non è egli carpentiere?” (Mt 13,55; Mc 6,3).

5 “Dove è il vostro tesoro lì sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34).

6 “Occorre amare la povertà come saldo muro della vita religiosa” (cf. S. Ignazio, Cost., p. VI, cap. 2).

7 “Hanno provveduto queste mie mani” (At 20,34).

8 “Nelle percosse..., nelle fatiche, nelle veglie”.

9 “Per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21).

10 “Soprattutto chi si affatica nella predicazione e nell’insegnamento”.

11 “La concupiscenza degli occhi” (1Gv 2,16).

12 “La concupiscenza della carne” (1Gv 2,16).

13 “La superbia della vita” (1Gv 2,16).

14 “Rinunci a se stesso” (Mt 16,24).

15 “Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo” (Missale Romanum, Ordo Missæ, Prefazio dei defunti).

16 “Signore, amo la bellezza della tua casa” (Sl 26[25],8).

17 “Disponi riguardo alle cose della tua casa, perché morirai e non guarirai” (Is 38,1).

18 “Vieni, sarai coronata” (Ct 4,8).