Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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A XIX SECOLI DALLA VENUTA DI SAN PAOLO APOSTOLO A ROMA

Omaggio - ricordo a S. Paolo Apostolo

L'anno prossimo sarà solennemente ricordato il centenario (61-1961) dell'arrivo di S. Paolo a Roma. La Famiglia Paolina intende celebrare la grande data erigendo Voltare definitivo a San Paolo nel Santuario Regina degli Apostoli.
Ci dicono: tale altare richiederebbe che abbia di fronte Voltare a Gesù Maestro, nel posto che è previsto nella costruzione del Santuario: il Discepolo ed il Maestro si guarderanno con amore; il Maestro che fu tutto per San Paolo, il Discepolo che tutto si diede al Maestro.
Questo è pure vivissimo desiderio della Famiglia Paolina: si conta su la generosità dei divoti Cooperatori.


Nella primavera dell'anno 61 dopo Cristo,
dall'alto dei Colli Albani Paolo contemplò per la prima volta la città di Roma.
Vi giungeva come prigioniero, dopo una navigazione avventurosa, che il fedele compagno Luca descrive nei capitoli 27 e 28 degli Atti, la lettura dei quali affascina e commuove.
Era stato arrestato dall'autorità romana, durante un tumulto scoppiato per istigazione dei Giudei che non potevano dimenticare la sua conversione ritenuta come un rinnegamento delle loro paterne tradizioni; quindi lo consideravano il più ardente e pericoloso propugnatore di quel Cristo ch'essi avevano ripudiato e crocifisso.
Nel corso del processo, Paolo, valendosi del suo diritto di cittadino romano, s'era appellato a Cesare. Questo appello esigeva che fosse tradotto al tribunale imperiale di Roma.
La frase rituale «io m'appello a Cesare»,
pronunciata da Paolo quando il parere dei giudici si era già volto tutto a suo favore, fu certamente ispirata dalla Provvidenza. Se Paolo fosse stato rilasciato, un incidente qualsiasi seguito man mano da altri l'avrebbero trattenuto ancora in Oriente, chissà per quanto tempo, e forse a Roma non sarebbe arrivato mai. La Provvidenza invece aveva decretato che egli andasse a Roma e ci andasse precisamente in quanto «cittadino romano».

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«Quando fu stabilito che noi salpassimo per l'Italia, consegnarono Paolo e alcuni altri prigionieri a un centurione di nome Giulio, della coorte Augusta» (Atti, 27,1). Con queste parole Luca comincia il suo lungo racconto del viaggio e arrivo di S. Paolo a Roma. La descrizione della navigazione è minutissima, e svela non solo il testimonio oculare, ma anche l'uomo colto, solerte e attento ad osservare i fatti. Qui solo la riassumiamo, consigliando il lettore di leggere negli Atti questo piccolo capolavoro di narrativa.
Salparono dal porto di Cesarea nell'estate già inoltrata dell'anno 60; e bisognava affrettarsi, perché verso la metà di settembre, nel Mediterraneo, la navigazione era stimata pericolosa; e passata poi la prima decade di novembre diventava addirittura impossibile, tanto che normalmente nessun battello solcava il mare fino ai primi di marzo.
Questo spiega come la comitiva di cui faceva parte l'Apostolo prigioniero, e Luca e Aristarco che avevano ottenuto un passaggio per accompagnare l'Apostolo, ebbe una traversata rischiosa e di fatto molto contrastata. Nell'inverno dello stesso anno, la nave portata quasi alla deriva fin presso le coste dell'isola di Malta vi naufragò e andò perduta. I naufraghi furono tutti tratti in salvo dai buoni isolani; e solo nella primavera dell'anno seguente si riprese il viaggio su una nave alessandrina che aveva svernato nell'isola.
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Si fece una sosta di tre giorni a Siracusa, e di un giorno soltanto a Reggio.
L'ultima parte della traversata fu felice. Spinta da un vento favorevole, la nave in un sol giorno raggiunse Pozzuoli. L'Apostolo fu circondato dai cristiani del luogo, i quali ottennero che si fermasse con essi per ben sette giorni. Al termine dei quali si ripartì, questa volta, per via terra.
Raggiunta l'Appia, probabilmente ad Aversa, si andò verso Roma. Alla stazione di Forum Appii (Forappio) un primo gruppo di fedeli romani attendeva il grande Apostolo; altro gruppo gli andò incontro a Tres Tabernae (Cisterna). Paolo fu singolarmente commosso e lieto
di questi incontri. Pieno di fiducia, ringraziando Dio, giunse così in vista di Roma. Probabilmente era il mese di aprile.
Scendendo dai Colli Albani, Paolo contemplava ora l'Urbe che tanto aveva desiderato visitare.
Una fitta rete di fili provenienti da tutte le direzioni correva verso di essa: erano le strade consolari e gli acquedotti che recavano popoli e acque alla dominatrice del mondo.
La visione del prigioniero che vi giungeva incatenato si elevava come una ispirazione sulla misera realtà presente: l'acqua della verità avrebbe avuto la sua perenne fonte in Roma, e di là sarebbe stata distribuita nelle più remote regioni; i popoli si sarebbero avviati per le stesse vie alla città dei sette colli, non soggiogati dal potere dei Cesari, ma attratti dalla luce della Verità.
Scendendo dai Colli Albani lungo la Via Appia, Paolo entrò in Roma per la Porta Capena, corrispondente circa all'odierna Porta di S. Sebastiano.
La detenzione di Paolo a Roma fu relativamente blanda. Fu sottoposto alla «custodia militaris», così che poteva starsene in una casa privata qualunque, ma uscendo doveva sempre avere a fianco il soldato a cui era legato con una catena.
Difatti Paolo prese in affitto una casa privata, e vi riceveva liberamente quanti venivano a lui, predicando il Vangelo e parlando di Cristo «con ogni libertà senza impedimenti» (Atti, 28, 31).
Appena alloggiatosi in quella casa, Paolo cominciò ad agire: prima d'ogni altra cosa, egli desiderava rivolgersi ai Giudei, ma neanche nella Capitale fu fortunato con i figli del suo popolo. Per questo egli si orientò decisamente verso i Gentili.
Se la sua condizione di prigioniero non gli permetteva di predicare il Cristo a quanti egli avrebbe desiderato, tuttavia la sua casa divenne presto il cenacolo dove i fedeli si animavano di zelo al contatto del suo ardore; i soldati pretoriani del Castro Pretorio che si davano il turno nella custodia, subivano il fascino di quel prigioniero misterioso; tutt'attorno era conosciuto come il detenuto di una causa insolita, la "causa di Cristo", così che la sua stessa presenza suscitava l'interesse per questa dottrina nuova. Non è da meravigliarsi che questo interesse abbia varcato le soglie del Palatino, penetrando nella corte imperiale, cosa che Paolo stesso accenna scrivendo ai fedeli di Filippi: «Vi salutano tutti i santi (i cristiani di Roma), specialmente quelli della casa di Cesare» (Filip., 4,22).
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Si sa che quando un uomo attivo come Paolo, e dotato della sua forza di convinzione, della sua straordinaria personalità potenziata dal carisma dell'apostolato, agisce in un ambiente, se ne impossessa e lo trasforma.
E come i Romani abbiano corrisposto lo sta a dimostrare la «ingens multitudo, la immensa moltitudine» di cristiani di cui parla lo storico pagano Tacito, la splendida primavera di Martiri che la Liturgia proclama «Apostolorum filii, figli degli Apostoli» e che attorno ai due Principi degli Apostoli formano un ricco serto di fiori.
Gli anni di Paolo a Roma furono anni di denso ministero: sono di questo tempo ben quattro delle quattordici Epistole: agli Efesini, ai Colossesi, a Filemone, ai Filippesi. Ma soprattutto furono due anni di meditazione sull'unità e universalità della Chiesa.

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L'importanza che il Santo Padre annette alla celebrazione del centenario della venuta di S. Paolo a Roma trova la sua ragione nel senso provvidenziale di questo avvenimento.
Difatti la presenza dell'Apostolo delle Genti nella Capitale del mondo gentile effettuata dalla Provvidenza con un mezzo tanto singolare, diede alla Chiesa il carattere definitivo di universalità già contenuto nella sua natura, già asserito dal primo capo visibile, S. Pietro, ma proclamato inequivocabilmente da tutta la dottrina e dall'attività universale dell'Apostolo delle Genti.
«Vi sia pertanto noto - disse l'Apostolo in tono profetico, ai membri della comunità giudaica di Roma che non avevano voluto accoglierlo - vi sia noto che ai gentili è inviata questa salvezza d'Iddio: esse inoltre ascolteranno" (Atti, 28, 23-28).

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E non vi sarà migliore celebrazione del centenario paolino, e nello stesso tempo migliore preparazione al Grande Concilio Ecumenico annunciato da Giovanni XXIII, precisamente accanto alla Confessione di S. Paolo in Via Ostiense, presso il sepolcro dell'Apostolo, che rimettere in luce la sua figura, mediante la lettura delle sue Epistole, pervase dallo spirito di vera fratellanza umana e cristiana, e rendere, per così dire, popolare la sua persona non solo tra i figli di quella Roma dove egli fu tanto amato e venerato, ma tra i fedeli di tutto il mondo, perché tutti, indistintamente, gli siamo debitori.
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