Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Anno XXVII

SAN PAOLO
DICEMBRE - Numero Speciale - 1952
ROMA - Casa Generalizia

AVE MARIA, LIBER INCOMPREHENSUS, QUAE VERBUM ET FILIUM PATRIS MUNDO LEGENDUM EXHIBUISTI (S. EPIPHANIUS EP.)

RISERVATO AI SACERDOTI

Roma, 20 Novembre 1952


Riassumo alcune norme a cui ho diverse volte accennato parlando ai Sacerdoti. Ma si tenga ben presente che non tutto quello che viene detto ai Sacerdoti come norma da seguire nel loro ministero, specialmente al confessionale, si deve ripetere ai Chierici e Discepoli, o ai giovani, nella stessa forma e misura; bisogna proporzionare alla capacità.
La Chiesa ha stabilito che i Religiosi si confessino almeno una volta alla settimana.
È regola ottima avere un confessore ed un giorno fisso nella settimana, per la confessione. I Superiori provvedano che in tale giorno vi siano confessori sufficienti, stabili, assidui a questo delicatissimo ministero.
I Superiori devono prudentemente vigilare perché ognuno compia diligentemente questo dovere. Se vi fossero abusi o irregolarità, richiamino con molta prudenza e carità. Superiori e Maestri dimostrino poi particolarmente le loro più delicate e paterne premure, perché i chiamati non rimangano privi dell'aiuto così necessario che viene dai Sacramenti, e, affinché nessuno imprudentemente entri in uno stato in cui il ricevere regolarmente e amministrare i Sacramenti costituisce gran parte della vita stessa.
Le gravi irregolarità nell'accostarsi ai Sacramenti, sono causa sufficiente per non ammettere i candidati alla Professione ed agli Ordini Sacri.
Riguardo alla confessione, per irregolarità, non s'intende l'accostarsi al Sacramento più volte alla settimana, anche cioè fuori dei giorni stabiliti. Vi deve essere piena libertà di accostarsi al Sacramento più volte alla settimana; questo, anzi, secondo le buone regole della Teologia morale e della dottrina ascetica, potrebbe, in casi particolari, anche rendersi necessario o almeno consigliabile.
I confessori, però, nella loro prudenza e carità, guidino sapientemente i loro penitenti, in questo punto tanto delicato. Secondo le buone norme di pastorale, correggano, incoraggino, sostengano, propongano ed esigano l'uso efficace dei mezzi, e siano anche santamente ed inflessibilmente fermi nell'esigere che si ritirino dalla via allo stato religioso e sacerdotale quelli che dimostrassero di non correggersi da abitudini e in cose incompatibili con la vita religiosa e sacerdotale: questo, naturalmente, in quanto e nella forma che loro spetta, cioè in foro interno. Evidentemente non può entrare nella vita religiosa o ascendere agli ordini Sacri, chi non sa mantenersi abitualmente nello stato di grazia. Occorre distinguere bene la caduta per pura fragilità, per un'improvvisa tentazione, da uno stato morboso: secondo le buone norme della Teologia morale, pastorale, ascetica e della pedagogia.
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Ogni Sacerdote mediti queste norme e le applichi prudentemente, secondo i rispettivi doveri di Superiore, di Maestro o di Confessore. E nel parlare, nel predicare, si sia saggi: a ciascuno si parli secondo la propria condizione, i propri doveri, istruzione, età.
L'aspirante, per ascendere agli Ordini sacri, o fare la Professione religiosa, deve avere due giudizi favorevoli: quello in foro interno del Confessore o Direttore spirituale; e quello dei Superiori esterni.
Occorre una formazione di vero e chiaro colore e tenore paolino: per studio, spirito, apostolato, educazione, povertà, ecc.
Evitare perciò una formazione incolore: che tanto serva per formare il semplice cristiano, come il prete secolare, il religioso qualunque.
Appena entra il giovane in casa, senta subito nel parlare, nelle prediche, nelle scuole, nelle disposizioni di orario, studio, ecc. che qui unicamente si lavora a formare il paolino; se troverà conveniente tale vita continuerà, diversamente ritornerà in famiglia e cercherà la via assegnatagli da Dio.
Avremo persone più preparate, più liete, più sante.
A proposito uniamo circolare inviata nel Maggio 1948:

AI DIRETTORI SPIRITUALI E CONFESSORI DEGLI ASPIRANTI NOSTRI

Per gli aspiranti nella Congregazione Società San Paolo, occorre ben distinguere la vocazione al Sacerdozio da quella dei Discepoli. Questa è questione personale, riguardando la sola propria santificazione e salvezza; la prima invece riguarda il bene della Chiesa e delle anime. Nessuno ha diritto di ascendere agli Ordini se non è chiamato: mentre la Chiesa ha diritto di avere soltanto ministri davvero degni; e le anime hanno diritto che siano espulsi i lupi rapaci, ed è tale chiunque manchi anche solo per dare il buon esempio, sia ai fratelli laici che ai semplici fedeli. Il giudizio definitivo sull'idoneità spetta ai Superiori dell'Istituto; essi debbono presentarli ai Vescovi e dare le testimoniali per le Ordinazioni. Ora i Superiori esterni possono errare; ed il Card. Iorio, a questo proposito, aggiunge che ciò può succedere «etiamsi omnem diligentiam adhibeant». È vero che l'aspirante con l'esterno rivela l'interno: ma quante volte le apparenze ingannano: o per colpa dell'aspirante, o per difficoltà nell'interpretare il suo esterno.
Giudizio più sicuro e meno esposto ad errare è quello del Confessore e del Direttore Spirituale, posto che l'aspirante sia sincero; e da tempo sufficientemente lungo, per una conoscenza giusta, apra la sua coscienza, come ha l'obbligo di fare.
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Confessore e Direttore Spirituale debbono rispettare il giudizio dei Superiori dell'Istituto, questi rispetteranno quello dei primi, se l'aspirante lo manifesterà; ma ciò nella misura di prudenza ed esperienza loro. Gli obblighi sono chiari e gravi.
Superiori esterni hanno pure il diritto e dovere di dare norme ai Confessori e Direttori Spirituali, che servano come criterio per regolare la propria condotta. La Pia Società San Paolo intende compiere questo dovere, proponendo le seguenti considerazioni e norme per giudicare e regolarsi nella direzione spirituale. Perciò rimane inteso che tutti i nostri Sacerdoti, Direttori Spirituali e Confessori, sia pure che soltanto casualmente ed anche per una volta sola sentano l'aspirante, seguiranno queste norme. Le diverse teorie personali non si potranno seguire.
I nostri aspiranti alla vita religiosa sacerdotale dovranno presentare:
1) Intelligenza sufficiente e applicazione allo studio, mostrata specialmente nei corsi di Filosofia e Teologia;
2) Spirito di pietà paolina, quale è descritta nelle Costituzioni e Direttorio, osservanza religiosa, vita comune, amore alle pratiche e modo di compierle secondo il libro delle nostre preghiere;
3) Zelo per le anime, dimostrato nell'apprendere ed esercitare il nostro apostolato;
4) Pratica e servizio di povertà alla Congregazione;
5) Dice il Can. 1361 § 1, che solo devono ammettersi quei candidati «quorum indoles et voluntas spem afferant eos cum fructu ecclesiasticis ministeriis perpetuo inservituros». Pio XI (Enc. sul Sacerdozio) vuole nell'aspirante le qualità «quae spem fundatam faciant ut sacerdotii munera obire, eiusdemque obligationes sancte servare queant». Ora tra di noi, l'esempio di fedele osservanza religiosa, che edifichi i fratelli e tutte le persone conviventi, entra nel numero di questi requisiti. Il Sacerdote deve almeno (supponiamolo infermo) esercitare l'apostolato dell'esempio, con la parola e le opere, e della preghiera.
6) Si escludano a) Gli svogliati nella pietà, che non amano la preghiera, le funzioni di chiesa, la sacra liturgia.
b) Gli insofferenti di disciplina, i mormoratori, gli amanti della libertà, di lunghe vacanze, parlatori, telefoni; gli appassionati di radio, cinema, sport, politica, letture romantiche, amicizie particolari.
c) Coloro che poco amano la filosofia perenne, le scienze sacre, la Chiesa, la Congregazione, gli indirizzi della Santa Sede in fatto di studio e di azione; specialmente se in qualche punto dissentano dalla dottrina e prassi cattolica.
d) Gli aspiranti che lascino sospetto di qualche, anche lieve e parziale, anormalità di intelligenza e di volontà (per es. i tipi un po' strani e cocciuti), specialmente se provenienti da famiglie tarate, non solo in causa dei genitori, ma anche in causa di altri prossimi parenti; ed anche soverchiamente gracili o meticolosi nella cura della loro salute.
e) Quelli che non sanno portare lo stato di grazia da una settimana all'altra.
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In riguardo alla bella virtù vi è una varietà di sentenze tra autore e autore circa la durata del tempo in cui l'aspirante deve essere stato esente da caduta. Alcuni esigono tre anni, altri due, altri uno; almeno uno è del tutto necessario.
Tutti però gli autori si esprimono con chiarezza che occorre stabilità nella pratica di questa virtù; e stabilità tale che dia vera garanzia di saper perseverare. Riportiamo dalla Teologia del Marc (Vol. II, De Ordine n. 1916), questi tratti:

«Requiritur probitas vitae. Debet enim clericus, divinae vocationi fidelis existens, futurae perseverantiae pignus quoddam praebere. Unde Trident. (sess. 23, c. 12). Sciant Episcopi debere assumi dignos dumtaxat et quorum probata vita senectus sit. Et S. Thomas: Non sufficit bonitas qualiscumque, sed requiritur excellens. Hinc prohibet Apostolus (I Tim. 3,6) ordinari neophytos, id est, ut explicat idem Angelicus, qui non solum aetate neophiti sunt, sed et qui neophiti sunt perfectione (VI, 63 seqq. 802; Exam. ordin. n. 45). Conf. Can. 974 - 1, N.2:
«Dicet aliquis: Si hoc observaretur, deficerent utique in Ecclesia ministri. Recte respondet ad hoc Benedictus XIV: Melius est pauciores haberi ministros sed probos atque utiles, quam plures qui nequidquam sunt valituri.
«Quid de clerico in vitio turpi habituato? Ordinandus qui in vitio turpi luxuriae (vel ebrietatis) habituatus est, quamvis dispositus sit ad sacramentum poenitentiae, eo ipso nondum dispositus est, qui sacrum ordinem suscipiat; sed aliquamdiu debet operam dare ad pravum habitum extirpandum. Ratio est, quia ut quis ad ordinis sacri dignitatem ascendat, non sufficit simplex et actualis status gratiae, sed requiritur etiam bonitas praecellens et habitualis quae, juxta legem communem, non statim acquiritur. Quod si in turpi vitio habituatus ad sacrum ordinem statim ascendere vellet, absque emendationis experimento, iste, utpote temerarius, sacramentali quoque absolutione se praeberet indignum.
«Notatu digna sunt verba recentius ad Episcopos Boliviae directa: Praecavendum ne minus digni quoque, necessitatis causa, in sacerdotium admittantur... Itaque non quot, sed quos sacrorum ministros assumamus perpendere debemus; omniaque experiri quae ad sacerdotii studium in juventute fovendum suadeat prudentia, diligenter rem Deo, cuius in manu est, commendemus». (Epist. Bened. XV, 4 Aug. 1918 - A.A.S. X p. 361).
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Notiamo anche che vi è diversità tra peccato e peccato; quando per esempio vi è scandalo od il male riveste per le circostanze di luogo, di persone, di tempo, speciale gravità.
Ricordiamo di nuovo quanto fu scritto nel «San Paolo» della Conversione di San Paolo, 1947: «Nel chiedere l'ammissione degli aspiranti agli Ordini Sacri, i Maestri diano una relazione coscienziosa su ciascheduno, dopo sentito il Consiglio della Casa. La relazione comprenda i seguenti punti: 1) Osservanza religiosa (regolarità, disciplina, voti); 2) Attaccamento all'Istituto (Superiori, Fratelli, Indirizzo, Opere); 3) Pietà e virtù; 4) Apostolato (zelo); 5) Studio (capacità, applicazione, risultato); 6) Carattere (socievolezza, educazione, salute); 7) Osservazioni eventuali. Il tutto poi riassunto in un unica espressione: cioè, lodevole (10); buono (9); sufficiente (8); insufficiente (7).

PER I SUPERIORI DELLE CASE

Il Superiore Generale e il Consiglio Generale, al punto di sviluppo della nostra Congregazione, non possono aver conoscenza diretta degli Aspiranti agli Ordini, come pure dei novizi e professi temporanei! Essi devono praticamente ed ordinariamente ratificare il giudizio dato dai Superiori dei Vocazionari e del loro Consiglio: che assumono la vera responsabilità dell'ammissione od esclusione dagli Ordini e dai voti. Perciò faranno le debite ricerche, consultazioni, preghiere per procedere in materia così delicata con ogni prudenza e carità. Questa carità è dovuta prima alla Congregazione che ha diritto di escludere coloro che si prevedono inutili; poi verso l'aspirante che non deve caricarsi dei gravi doveri sacerdotali o anche soltanto religiosi senza avere morale certezza di poterli, con l'aiuto divino, adempierli.
Domine, ostende nobis quos elegisti!

SAC. ALBERIONE


AVVERTENZE IMPORTANTI

Sono scadute le facoltà concesse ad septemnium per i Sacerdoti iscritti alla Unione Missionaria del Clero nel 1944, 1945, 1946.
Chi desidera la rinnovazione spedisca a Don Federico Muzzarelli: L. 300 per l'Italia, o L. 500 per l'Estero; per ciascun Sacerdote.

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In fine d'anno si rivede il conto di carico e di scarico delle SS. Messe: il superfluo si spedisce alla Casa Generalizia.

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Sono entrati a S. Paolo varii aspiranti adulti (qualche volta già distinti anche per studi) e per un riguardo non furono messi all'apostolato tecnico, ma in uffici, alla redazione ecc. Così avviene che anche qualche aspirante giovane passi tutto, o quasi tutto il tempo della formazione, in uffici di propaganda, o simili...
Per il futuro dell'Istituto ed il vantaggio dell'aspirante stesso, tutti imparino ed esercitino per qualche tempo l'apostolato tecnico: composizione, impressione, brossura, stampa delle pellicole, guida di un reparto ecc., quando è possibile, sotto la direzione di un Sacerdote o di un Discepolo professo perpetuo.


Primo Maestro

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