Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

INTRODUZIONE

Il Donec formetur Christus in vobis1 (= DF), è un libricino, formato 16 x 10 cm, di 110 pagine, composto di brevi capitoletti, divisi generalmente in tre punti numerati, i quali, a loro volta, sono spesso suddivisi in elenchi contraddistinti dalle lettere a, b, c. Il vocabolario è quello comune alla teologia o spiritualità dell’epoca e le frasi sono brevi, molte delle quali in latino, prese dal Nuovo Testamento.
Pubblicato da Don Giacomo Alberione nel 1932, il DF non ha goduto di molta fortuna. Solo da una ventina d’anni è stato progressivamente riscoperto ed è diventato oggetto di studio e punto di riferimento per Esercizi Spirituali, piani formativi e incontri di spiritualità.
1
Il linguaggio del DF risente dei suoi sette decenni di storia e rimane a livello di enunciati, staccati, a prima vista, da un contesto determinato.
Se l’approccio al DF, attualmente, non è facile per le persone di lingua italiana e che sono sempre vissute in Italia, l’esperienza mostra la grande difficoltà che il testo suscita in altri contesti e mentalità.
Nell’accostarci a quest’opera, ci si trova davanti ad una vera sfida, posta da domande come queste: quale rapporto, in realtà, ha il DF con la vita del Fondatore e con l’esperienza vissuta da parte della nascente Famiglia Paolina? È possibile trovare delle chiavi attendibili per una lettura contestualizzata e una rinnovata interpretazione dei brevi capitoli di quest’opera, ormai ritenuta di grande rilevanza carismatica?
2
Per rispondere a queste e altre domande, il presente lavoro intende, già in partenza, ricercare le basi di questo presupposto: il libro Donec formetur Christus in vobis costituisce per la Famiglia Paolina una proposta di vita, che raggiunge il suo significato pieno quando si fa memoria del cammino percorso da Don Alberione e dalla prima generazione paolina.
3
Non si tratta, infatti, di un’opera scritta per una lettura discorsiva, in cui si sviluppa una esposizione sistematica dei temi. Non va intesa nemmeno come una raccolta di schemi o appunti riassuntivi sconnessi, messi insieme per fini occasionali. Donec formetur è, invece, un documento ben strutturato nel suo insieme e nelle singole parti, preparato in forma modesta, ma con intenti mirati e duraturi.
Donec formetur Christus in vobis traccia il quadro di riferimento della vita paolina presentando, a modo di sentenze, i tratti dello spirito paolino da leggersi alla luce della storia carismatica, per poter poi essere accolti nella riflessione e nella preghiera, e abbracciati in uno stile di vita che è allo stesso tempo grembo fecondo e testimonianza fattiva di una speciale missione.
4
Intendiamo presentare qui il Donec formetur Christus in vobis secondo l’edizione stampata nel 1932 (= DFst). Esiste anche il quaderno contenente la versione manoscritta (= DFms), utilissima per la comprensione dell’opera, come verrà indicato, e che potrà essere editata separatamente, preferibilmente con l’utilizzo delle risorse multimediali.
Recentemente venne pubblicata l’edizione critica che riuniva il documento stampato e l’originale manoscritto; essa era contrassegnata da numeri marginali, ormai citati in studi e documenti.2 La presente edizione considera come tipica quella stampata, del 1932, e intende creare, perciò, una nuova numerazione marginale, basata sui numeri delle pagine.3
L’intento principale è quello di aiutare specialmente le nuove generazioni paoline a leggere e capire quest’opera del Fondatore, concentrando le nostre informazioni sia in questa Introduzione che nei commenti o note a piè pagina del libro.
Questa scelta ha richiesto di intraprendere un lungo cammino, utile se non necessario per collegare i fatti e spiegarne la concatenazione. Ha orientato anche verso l’opzione di presentare numerose e ampie citazioni, a beneficio delle persone che non hanno facile accesso alla documentazione originale esaminata.
Probabilmente la scelta di numerare i paragrafi (o gruppi di paragrafi) di questa Introduzione4 diventerà uno strumento molto utile per poter creare un collegamento con le pagine del testo, e viceversa, favorendo così il lavoro di collocare il testo nel suo contesto.
5
L’approccio a DF richiede la medesima attenzione necessaria per ogni lettura di un’opera classica - in senso ampio, ossia che gode di particolare importanza, ma non è di recente pubblicazione -: per poter capire il significato del testo diventa imprescindibile l’approfondimento della personalità e del pensiero dell’autore.
Don Alberione e le generazioni paoline della prima ora della fondazione vivevano una radicalità ispirata al messaggio evangelico, neotestamentario e biblico, ed erano mossi dalla coscienza dei bisogni dei tempi nuovi. Verso il termine della vita il Fondatore, riconsiderando il cammino fatto, dichiarò: «La mano di Dio sopra di me - come ci ha condotti».
Ispirandoci, perciò, alle categorie bibliche e alle parole di Don Alberione, imposteremo la presente introduzione in due parti:
1. Il tempo della Alleanza: «la mano di Dio sopra di me...»;
2. Il libro della Santità: «...come ci ha condotti».
6
1. IL TEMPO DELLA ALLEANZA
«la mano di Dio sopra di me...»


Basta considerare con un po’ di attenzione gli inizi della Famiglia Paolina per percepire non solo l’entusiasmo delle prime generazioni ma anche la sua crescita esponenziale in ogni aspetto. Si intravede anche che tutto si svolge come seguendo una velata progettualità e, allo stesso tempo, una voluta gradualità.
7
Un altro aspetto, facilmente rilevabile, sta nel fatto che il periodo fondazionale coinvolge moltissime persone, ma in tutto la figura di Don Alberione esercita con sobrietà, se pur energicamente, la sua funzione di «unico canale dell’ispirazione di Dio»:5 «Tutto il suo fare e il suo dire dimostra l’uomo di Dio, l’uomo distaccato dal mondo e tutto incentrato in Dio: dal qual centro tutto pensa, muove e giudica».6
8
Sembra importante, perciò, descrivere il cammino personale del Fondatore e il cammino della Fondazione. Questi due temi possono essere espressi con il linguaggio biblico della scelta e della missione personale e collettiva in questi termini: «Oggi ti costituisco sopra i popoli... per edificare e piantare» (Ger 1,10) e: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,6).
9
1.1 «OGGI TI COSTITUISCO SOPRA I POPOLI...
PER EDIFICARE E PIANTARE»
(Ger 1,10)

Diverse volte, specialmente in Abundantes divitiae gratiae suae (= AD),7 Don Alberione ha comunicato le sue esperienze vocazionali e spirituali ricorrendo a passi della Sacra Scrittura. Si può costatare inoltre che le sue affermazioni sul passato generalmente trovano conferma quando sono sottoposte a verifica con altri documenti e informazioni.
In linea di massima la testimonianza di Don Alberione viene qui accolta come vera espressione della sua effettiva esperienza e non solo come una sua rilettura, più di carattere redazionale che storico.
Tenendo poi conto della cura vigilante da lui esercitata su ogni passo dell’opera ai tempi della fondazione, useremo qui documenti attinti dal periodico Unione Cooperatori Buona Stampa (= UCBS)8 come espressione della vita della comunità, anche quando non si può accertare con sicurezza che siano attribuibili direttamente al Fondatore. Ci guida, infatti, l’intenzione di entrare in sintonia e comunicare l’afflato carismatico che muoveva il Fondatore ed i suoi primi discepoli e discepole.
Per raggiungere tale obiettivo, vogliamo ora considerare la vita stessa di Giacomo Alberione, dalla nascita all’inizio delle fondazioni.
10
1.1.1 «Quando... era giovinetto io l’ho amato» (Os 11,1)

Giacomo Alberione è nato il 4 aprile 1884, a San Lorenzo di Fossano, ed è cresciuto nell’ambiente di campagna vicino alla piccola città di Cherasco.
I rapporti privilegiati della sua infanzia sono stati con la mamma, Teresa Allocco, con la Maestra delle scuole elementari, Rosa Cardona, e con l’ambiente della Parrocchia di San Martino (AD 10-12).
Iniziando le elementari, Giacomo Alberione, paragonabile ad un ragazzino che oggi chiameremmo del terzo mondo, percorreva ogni giorno il sentiero in salita verso Cherasco. Prima di arrivare alla scuola, si soffermava con gli altri bambini presso il Santuario della Madonnina. Il Rettore don Francesco Maria Faber prestava loro assistenza e li intratteneva con spiegazioni e commenti che non mancarono di dare frutti.
11
[DFst9 84-85] Durante la prima e la seconda elementare la Maestra Rosa Cardona lo ha aiutato ad acquistare gusto per il mondo della scuola ed ha contribuito alla presa di coscienza dell’orientamento maggiore della sua vita: la vocazione sacerdotale (AD 9).10
12
Nella terza elementare, il maestro Tommaso Rabbia si prese cura di Giacomo Alberione, il quale, alla fine dell’anno, risultò primo della classe. Anche nella quarta, avendo per maestro Giuseppe Riaudo, ottenne il massimo dei voti, insieme ad altri quattro alunni.
13
Durante la prima ginnasio, egli pranzava in canonica con il parroco don Giovanni Battista Montersino, che invitava spesso, per il caffè del dopo pranzo, alcune persone amanti della cultura, tra le quali si trovavano anche alcuni insegnanti di Giacomo Alberione.
[DFst 68-70] In quegli incontri il giovane imparò ad amare i libri e rimase affascinato dal mondo della musica, della letteratura, della storia e della filosofia.11 Più ancora: si sentì immerso nella realtà ecclesiale, e la Chiesa divenne per lui l’ambiente naturale, il suo imprescindibile quadro di riferimento e la sorgente esaltante di molti e grandi ideali per il futuro. È da questa piccola cerchia di persone che prende avvio l’itinerario spirituale e culturale del futuro apostolo.
[DFst 17ss] Queste persone hanno contribuito a sviluppare nel giovane Alberione il gusto dell’imparare, o della studiosità, più che quello dello studio come disciplina; il gusto per la purificazione intesa come crescita, più che come ascesi centrata sulla considerazione negativa di sé.
14
[DFst 43ss] Questo quadro di riferimento parrocchiale, aperto, ha rappresentato per l’Alberione una prima presa di coscienza della delicatezza dei propri sentimenti, finezza di intelligenza e vivacità di immaginazione.
In realtà ha avuto un effetto collaterale imprevisto in quanto ha creato i presupposti per lo smacco patito nell’inserirsi nell’anonimato di un gruppo chiuso come il Seminario di Bra, dove non è stato capito; ma ha costituito anche una roccia sicura per non farlo soccombere; e per aprirgli le porte di una casa, il Seminario di Alba, che ha amato intensamente e che gli ha restituito lo slancio della vita trascorsa nell’ambiente di San Martino.
15
[DFst 13-16] Dopo la potatura subita a Bra, Giacomo Alberione arriva ad Alba mosso da un rinnovato slancio interiore e dotato di attitudini non comuni: «...in possesso di intelligenza fine, profonda, anche sofisticata e ricca di originalità, di immaginazione e di intuito. Ama il pensiero e la riflessione. Vuole scavare in fondo a se stesso...».12
Erano trascorsi quasi dieci anni da quando il piccolo Alberione aveva incominciato a coltivare la vocazione sacerdotale. La luce iniziale era stata come un seme fecondo che aveva messo profonde radici, era diventata una piccola pianta, ben curata, ed ora, dopo la potatura, era in attesa di manifestare tutta la sua vitalità.
16
[DFst 57ss] L’intervento del Signore non si fece attendere. Nella notte di passaggio del secolo la gloria di Dio lo avvolse di luce (cf Lc 2,9), lo invitò, lo ammise nella sua intimità, manifestandogli il suo amore, per mezzo del suo Figlio presente nell’eucaristia: «Mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).
17
[DFst 83-85. 93-95] Nell’intimità di quel Venite a me, voi tutti (Mt 11,28) l’Alberione ha sentito che tutta la sua persona era coinvolta e così ha avuto la comprensione di molte realtà ecclesiali e sociali, specialmente dei bisogni del tempo e della «missione vera del Sacerdote» (ADds 15). In quell’intimità il Maestro gli ha aperto la mente e il cuore associandolo a sé per una particolare missione: «Gli parve chiaro quanto diceva Toniolo sul dovere di essere gli Apostoli di oggi, adoperando i mezzi sfruttati dagli avversari. Si sentì profondamente obbligato a prepararsi a far qualcosa per il Signore e gli uomini del nuovo secolo con cui sarebbe vissuto» (ADds 15).
18
Dopo gli anni di impegno e le sofferenze appena superate, questa esperienza di luce costituì la sorgente di un gioioso e irresistibile slancio nuovo: «L’Eucaristia, il Vangelo, il Papa, il nuovo secolo, i mezzi nuovi, la dottrina del Conte Paganuzzi riguardante la Chiesa, la necessità di una nuova schiera di apostoli gli si fissarono così nella mente e nel cuore, che poi ne dominarono sempre i pensieri, la preghiera, il lavoro interiore, le aspirazioni. Si sentì obbligato a servire la Chiesa, gli uomini del nuovo secolo e operare con altri, in organizzazione» (ADds 20).13
19
[DFst 17ss. 27-28] Giacomo Alberione, vedendosi in controluce nell’ottica di Dio, ha trovato il vero fondamento di tutta la sua vita: la coscienza portata a riconoscere i propri limiti e il gioioso attaccamento alla fedeltà del Maestro e Signore che non lo aveva abbandonato. Per questo dichiara con forza: «Ebbe senso abbastanza chiaro della propria nullità, ed insieme sentì vobiscum sum usque ad consummationem saeculi» (ADds 16).
20
[DFst 14-16. 84] La convinzione di essere amato dal Signore ha portato Alberione, nel suo cammino di formazione verso il sacerdozio, a corrispondere donandosi interamente, ossia a nulla tralasciare di ciò che potesse servire allo sviluppo di tutta la sua personalità, in vista della missione a cui si sentiva chiamato: «Rimaneva in fondo il pensiero che è necessario sviluppare tutta la personalità umana per la propria salvezza e per un apostolato più fecondo, mente, cuore, volontà; come volle significare sull’iscrizione posta sulla tomba dell’amico Borello (1904)» (ADds 22).
21
[DFst 17] Conviene qui anticipare che queste esperienze giovanili di Don Alberione si rispecchieranno in DFst, specialmente nella parte riguardante la Via Purgativa, intesa come profonda e gioiosa ricerca di sintonia con il progetto di Dio.
22
[DFst 55-56. 63-64. 88. 95-96] Nel Seminario di Alba i formatori trattavano frequentemente del passaggio del secolo, anche nei termini usati dall’enciclica Tametsi Futura,14 su Il Redentore, che descriveva i mali della società ispirandosi al primo capitolo della Lettera ai Romani. Quando parlavano delle forze vive della Chiesa usavano certamente un tono simile, ad esempio, a quello adottato da La Civiltà Cattolica nel presentare la fioritura, in numero di membri e di opere, da parte degli antichi Ordini religiosi, il sorgere di nuovi Istituti, il moltiplicarsi degli Istituti femminili, la novità e vastità dell’apostolato delle donne e del laicato.15
23
[DFst 40. 74-78] Preparato da questi insegnamenti, Alberione sentì che la particolare luce che venne dall’Ostia santa non solo aveva operato in lui una grande svolta, o un cambiamento di rotta simile alla conversione dell’Apostolo Paolo, ma avrebbe suscitato lo stesso movimento in tante persone: «Vagando con la mente nel futuro gli pareva che nel nuovo secolo anime generose avrebbero sentito quanto egli sentiva; e che associate in organizzazione si sarebbe potuto realizzare ciò che Toniolo tanto ripeteva: unitevi; il nemico se ci trova soli ci vincerà uno per volta» (ADds 17).
24
[DFst 51] Sono molte le testimonianze sulla costante applicazione dell’Alberione nello studio e nella continua riflessione.16 Come esempio per confermare l’impegno del giovane Alberione nella risposta alla chiamata di Dio si può prendere in considerazione ciò che rimane delle sue letture della Storia universale, di Cesare Cantù, ossia il Quaderno 36,17 che testimonia la sua sete intellettuale, la sua apertura universalistica e il suo impegno nel documentarsi, fino a poter affermare: «Tutto gli fu scuola» (ADds 90).
25
[DFst 52-54] Tra alcuni scritti giovanili, pubblicati in Sono creato per amare Dio18 (= SC), troviamo un manoscritto di nove pagine sulla Bibbia (cf SC 155-180). Sono pagine molto significative, perché mostrano come l’Alberione abbia voluto riprendere molte delle annotazioni del Quaderno 36 per comporre una piccola monografia sulla Bibbia, libro dell’umanità... libro divino, che occupava ormai il centro della sua attenzione. Si può intravedere come quel tutto gli fu scuola avesse due riferimenti unificatori: la preghiera e l’ascolto della Parola. Va in questo senso il solenne enunciato iniziale: «La vera forza reggitrice degli affetti del cuore, motrice nel regno invisibile del pensiero, nell’unione intellettuale e morale, individuale e sociale, che scorre in tutti i secoli, che si dilata in tutte le nazioni è la potenza della parola. Parla l’uomo e parla Dio; quello con pochi mezzi manifesta i suoi verbi mentali, questi con mezzi infiniti, come Infinito è Egli stesso. Ei parlò stampando il suo Verbo nella natura; onde l’uomo studiando la natura studia il Verbo di Dio, come ben fu detto di Socrate che conobbe il Cristo, perché studiò la natura. Ma l’uomo non è adatto a capire adeguatamente e direttamente verità divine nella natura; onde Dio, secondo l’idea di Tertulliano tenuta da S. Tommaso, s’adattò alla capacità umana, raccogliendo le sue parole in un libro semplice, sublime, la Bibbia» (SC 155).
26
[DFst 51-52. 80] In una pagina, probabilmente del 1954, Alberione indica diverse persone che lo hanno aiutato nel cammino di quegli anni: «Vi furono sul cammino della mia vita dal 1902 persone sante che mi orientarono decisamente. Il Can. Danusso verso la divozione a Gesù Maestro, Via Verità Vita; il Can. Chiesa nella formazione spirituale ed intellettuale; Mons. Re sempre guida sicura nella crisi generale del modernismo; il Can. Priero nei suoi esempi di amore al catechismo, all’Eucarestia, alla Filosofia tomistica, alla Sacra Scrittura; in seguito, molte confermarono, crebbero, corressero, incamminarono con aiuti di ogni sorta. Le tre divozioni si illuminarono, la vita religiosa parve sempre meglio la via sicura, il Signore fece tutto».19
27
[DFst 96-97] In Sono creato per amare Dio Alberione indica come nel disegno provvidenziale della sua vocazione entra la protezione di Maria (cf SC 129). Si orientò ben presto a testimoniare questa grazia nel modo più confacente con la fiamma che coltivava interiormente: essere annoverato tra gli apostoli di oggi diventando apostolo scrittore. Dopo un primo tentativo di redazione,20 s’impegnò perciò nella preparazione del suo primo libro, sulla Beata Vergine delle Grazie,21 la cui stesura risale al 1906.22
28
1.1.2 «Stabilisco con lui un’alleanza sacerdotale:
il mio zelo in mezzo al popolo»
(cf Nm 25,11-12)

[DFs 21-27] La conoscenza del Signore porta ad una coscienza più viva dei rischi e dei mali che affliggono il suo popolo. Idoli antichi e nuovi rinascono sempre seminando quell’inimicizia che deforma il volto dell’umanità. Così, giorno dopo giorno, il giovane Alberione approfondiva il senso della preghiera fatta nella notte di inizio del ventesimo secolo: «Che il secolo nascesse in Cristo-Eucaristia, che nuovi apostoli risanassero le leggi, la scuola, la letteratura, la stampa, i costumi; che la Chiesa avesse un nuovo slancio missionario, che fossero bene usati i nuovi mezzi di apostolato, che la società accogliesse i grandi insegnamenti delle encicliche di Leone XIII, interpretate ai Chierici dal Canonico Chiesa, specialmente riguardanti le questioni sociali e la libertà della Chiesa» (ADds 19).
29
[DFst 21-22] Giacomo Alberione avrebbe potuto passare al Seminario di Torino; scelse, invece, di rimanere in quello di Alba per lo spirito di famiglia che inclinava alla partecipazione, l’impostazione dello studio in sintonia con il progresso delle scienze e i bisogni dei tempi, e la spiritualità, incarnata in un forte spirito pastorale, sociale e liturgico.
30
[DFst 17.28. 37.67] In coincidenza con il periodo in cui Alberione frequentava il Corso di Teologia, si era costruita la nuova cappella del Seminario. La sua decorazione costituisce una perfetta sintesi della formazione dell’Alberione. Tutto parte dalla Trinità, che rivela il piano di salvezza nella venuta del Figlio e nel dono dello Spirito; ne derivano: il ruolo di Maria nell’Incarnazione; l’Eucaristia come centro della vita cristiana; il Vangelo presentato secondo la raffigurazione dei quattro evangelisti in modo che ne risulta il nome della città di A-L-B-A; le beatitudini e la via crucis come espressioni della vita cristiana; la liturgia come sacrificium laudis; il ministero del Vescovo a servizio del Regno di Dio; le figure di Maria e della Chiesa; i santi sulle cui orme cammina il popolo di Dio, specialmente i seminaristi; e la nicchia, dietro la pala mobile, per coltivare le devozioni speciali.
31
[DFst 13-14. 41-42. 49] I santi raffigurati presentano i valori portanti della formazione dei futuri sacerdoti. In primo luogo i patroni del Seminario: Maria, come Madre del Buon Consiglio, per la piena adesione alla volontà di Dio; Carlo Borromeo, per lo zelo pastorale; Francesco di Sales, per la mitezza e la direzione spirituale; Filippo Neri, per la gioia e l’umorismo. Poi, due dottori: Alfonso de’ Liguori, per la teologia morale; Tommaso d’Aquino, per la teologia dogmatica; e due testimoni: Lorenzo, martire e patrono della diocesi, e Luigi Gonzaga, per la purezza e il servizio fino all’eroismo. Infine, nei medaglioni, due esempi per la gioventù: Stanislao Kostka e Giovanni Berchmans.23
32
[DFst 51-54] Avvicinandosi all’ordinazione sacerdotale, Giacomo Alberione sapeva di essersi radicato nella Tradizione della Chiesa, acquistando una profonda conoscenza della vita spirituale,24 di aver curato intensamente la propria formazione intellettuale e aver cercato di capire i bisogni attuali della Chiesa e dell’umanità.
33
[DFst 84] Considerando il cammino percorso, Alberione scorgeva due presenze provvidenziali, sulle cui orme inserire il proprio ministero: don Giovanni Battista Montersino e il canonico Francesco Chiesa.
A don Montersino scrisse: «Mentre vado avvicinandomi alle sacre ordinazioni, ricordo il principio di mia vocazione che viene dalle istruzioni sue, dai catechismi, dagli esempi di zelo per le anime. Se avrò dunque la fortuna di legare per sempre la mia vita a servizio di Dio e consacrare le mie fatiche a sua gloria ed a santificazione delle anime lo debbo a Lei. Mentre perciò sento la mia indegnità ed il mio cuore è inondato da una gioia, solo mitigata dalla confusione del mio nulla, benedico il Signore d’aver posto Lei, buon pastore, a illuminare i primi passi della mia vita».25
Per il futuro, Giacomo Alberione vede il proprio sacerdozio legato alla straordinaria personalità di Francesco Chiesa. Questi infatti non lo ha deluso, come Don Alberione stesso testimoniò verso il termine della vita: «Da lui si è ricevuto l’insegnamento, lo spirito, la guida; l’aiuto quotidiano di molti anni, sotto molte forme. La sua vita fu eccezionale ed eroica in ogni virtù; il suo zelo rivolto ad ogni persona ed a ogni iniziativa; maestro che con la scienza comunicava lo spirito; parroco modello».26
34
[DFst 84-85. 100] Al momento dell’ordinazione Giacomo Alberione ha nell’animo una immagine grandiosa del ministero sacerdotale27 e, pochi anni dopo, la comunicherà in una sua opera programmatica, Appunti di Teologia Pastorale:28 «Il Sacerdote dunque non può essere solo un uomo che vive per sé: non può avere come motto le parole: Io - Dio. È assolutamente necessario che egli lavori per la salvezza degli altri, che scriva sulla propria bandiera: Io-Dio-Popolo» (p. 1). «Il Sacerdote non è dunque un semplice dotto: non è neppure un semplice santo: ma è un dotto-santo, che si vale della scienza e della santità per farsi apostolo, cioè per salvare le anime» (p. 2). «Anche i libri che trattano delle qualità e dei doveri degli ecclesiastici assai spesso si diffondono a trattare lungamente dello studio e della pietà, troppo poco invece dello zelo. Eppure lo zelo è parte essenzialissima del sacerdote; è lo scopo cui devono servire la scienza e la pietà; è come il distintivo dell’apostolo. È necessario formare lo zelo. Esso nasce da un grande spirito di pietà che faccia desiderare con intensità l’onore di Dio e la salvezza delle anime: si serve come di mezzo indispensabile della scienza sacerdotale; mentre nel suo esercizio suppone che un sacerdote abbia i mezzi materiali necessari all’esistenza, per dedicare tutto o quasi tutto il suo tempo alle anime» (pp. 5-6).
35
[DFst 21-22. 84-85] Animato da questo spirito, dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta il 29 giugno 1907, il giovane sacerdote Giacomo Alberione manifesta il suo dinamismo, specialmente quando, di ritorno da viceparroco di San Bernardo Abate, in Narzole, assume l’incarico di Direttore Spirituale nel Seminario di Alba.
Esercitando l’ufficio di Bibliotecario, cerca di aggiornare la Biblioteca; si impegna nell’insegnamento della Liturgia e dichiara: «Fatto poi maestro di cerimonie, sacrestano in seminario, cerimoniere del Vescovo, con l’incarico di preparare il libro delle cerimonie, gustò sempre meglio la preghiera della Chiesa e con la Chiesa» (ADds 72).
Si dedica con particolare impegno a tutte le iniziative improntate allo spirito sociale: «La Provvidenza dispose per questo una lunga preparazione. Il lavoro fatto per l’Università Cattolica di Milano (1905-1906) per raccogliere contributi al Comitato promotore per fondarla. Corsi di conferenze sociali, studi sociali negli anni di Teologia e successivi, i congressi di indole sociale cui dovette prendere parte per disposizione dei superiori, la cooperazione ad organizzazioni ed opere sociali, le relazioni con uomini di Azione Cattolica tra cui il Cardinal Maffi, il professor Toniolo, il Conte Paganuzzi, il Ragionier Rezzara» (ADds 58-59).
36
[DFst 85.88] In ogni cosa, però, Alberione aveva un punto focale che non lo abbandonava dalla notte di inizio del secolo, cioè la sua vocazione speciale. Essa non era quella di diventare né curato né parroco, come confidò a un suo amico: «A me sorride l’idea di raccogliere attorno a me della gioventù; ... tanti giovani come Don Bosco, per avviarli sulla via dell’apostolato».29
37
[DFst 76-77] Don Alberione vedeva e viveva ogni cosa nella prospettiva di questa missione, esaminando tutto secondo il metodo dei quattro fini dell’Eymard: «Dal Canonico Chiesa aveva appreso a trasformare tutto in oggetto di meditazione e di preghiera presso il Maestro divino: per adorare, ringraziare, propiziare, chiedere» (ADds 68).
Non si trattava solo di un chiarimento del proprio intimo, fine a se stesso, ma Alberione era preso dalla necessità di valutare ogni cosa in vista di una totale donazione di sé e di compiere delle scelte adatte per «essere all’altezza dei nuovi compiti» (ADds 55). E questo in un clima di gravi turbamenti e disorientamenti, gravi mali e necessità sociali, economiche e politiche.
38
[DFst 90-91] Considerando le diverse iniziative ecclesiali e prendendovi parte di persona, dichiarava che ad un certo momento ebbe una nuova esperienza di luce che lo ha portato a compiere il «passaggio dall’idea di organizzazione di cattolici all’idea di organizzazione religiosa» (ADds 7): «Verso il 1910 fece un passo definitivo. Vide in una maggior luce: scrittori, tecnici, propagandisti, ma religiosi e religiose...» (ADds 24).
Vedeva perciò la necessità di avviare una realtà nuova sì, ma pienamente inserita nel tessuto ecclesiale, assumendo la radicalità evangelica, grazie alla consacrazione religiosa.
39
[DFst 80] La Famiglia Paolina forse non ha ancora messo sufficientemente in luce la capacità di riflessione e l’impegno nel discernimento da parte di Don Alberione, in ordine al carisma delle sue fondazioni. Conviene perciò considerare brevemente due tratti del suo itinerario: il suo ministero di Direttore Spirituale nel Seminario di Alba e gli esercizi spirituali.
40
[DFst 11-12] Abbiamo a disposizione quattro strumenti preziosissimi per conoscere meglio Don Alberione e la sua capacità di riflessione, studio e documentazione: tre Notes30 e il Quaderno di Indice.31
Il confronto tra questi Notes e il Quaderno di Indice permette di ricostruire l’iter delle meditazioni proposte da Don Alberione nel Seminario di Alba, specialmente dal 1908 al 1914, e di costatare come fossero accuratamente programmate e preparate per iscritto. Non solo, ma, di volta in volta, Don Alberione faceva una valutazione sia della propria attuazione che dei risultati ottenuti sui seminaristi. Egli si impegnava nel valutare con grande schiettezza ogni proposta formativa, tanto le sue32 quanto quelle di altri confratelli.33
41
[DFst 80] C’è chi riassume in una espressione quella che era ritenuta dai Padri della Chiesa la condizione fondamentale per essere padre spirituale: «La condizione essenziale e indispensabile per diventare padre spirituale di qualcuno è innanzitutto quella di essere diventato egli stesso spirituale».34 Da parte sua, il Vescovo Mons. Re ha riconosciuto in Don Giacomo Alberione, un anno dopo l’ordinazione sacerdotale, il carisma della paternità spirituale.
42
[DFst 20-27] Gli schemi delle due prime meditazioni proposte ai Chierici, da Direttore Spirituale, rivelano che Don Alberione era pienamente preparato per il nuovo ministero.
Nella meditazione del 27 ottobre 1908, una settimana dopo il suo rientro in Seminario da Narzole, propone due ammaestramenti sulla necessità e sul modo di fare meditazione, base per la crescita nel rapporto con Dio (fede - speranza - carità) e per lo sviluppo della personalità (ragione - volontà - cuore). E in due righe traccia un piano di estrema importanza, con apertura a 180 gradi: togliere il male cercando la sintonia con il piano di Dio (Montar un orologio) per poter donarsi nell’apostolato o «fare il bene agli altri».35
Nei tre punti sul modo di fare la meditazione36 si possono già leggere chiaramente le indicazioni sulla natura della meditazione, sul carattere dialogale dell’orientamento di Don Alberione e sul progetto che ha in mente di attuare.
Questi tre punti, considerati in rapporto con quelli svolti nella seconda meditazione, il giorno dopo, permettono di costatare come Don Alberione avesse già profonda conoscenza della spiritualità affettiva ed effettiva di S. Francesco di Sales,37 della dinamica degli Esercizi di Sant’Ignazio e delle opere di spiritualità, come quella del Chaignon38 e del Faber.39 Basta uno sguardo su questo Notes, per accorgersi di quanti autori vengono anche esplicitamente citati: Sant’Alfonso, Scaramelli, Scupoli, Grignion de Montfort, ecc.
43
[DFst 80] Si è ancora lontani dal tracciare un quadro esauriente delle attività di Don Alberione come Direttore Spirituale del Seminario di Alba. Ci basti per ora una autorevole testimonianza, ancora inedita, proveniente nientemeno che dalla Sacra Congregazione Concistoriale.
Con lettera del 29 agosto 1911, Protocollo n. 704, la Sacra Congregazione invia a Mons. Re «il riassunto fatto da un Consultore delle osservazioni della Visita Apostolica del Seminario». Il riassunto presenta una parte riguardante gli aspetti da lodare e una seconda circa gli elementi su cui richiamare l’attenzione.
Al terzo punto delle cose da lodare viene affermato: «per avere un ottimo P. spirituale che compie bene il suo ministero e nulla trascura per coltivare lo spirito di pietà nei suoi chierici».
Tra le cose su cui richiamare l’attenzione, alla lettera D, c’è un’annotazione negativa, che, però, ridonda in ulteriore valutazione positiva su Don Alberione: «D). Direzione spirituale: 1) Non ostante che il P. Spirituale faccia di tutto per compiere la sua missione, senza dubbio, la direzione spirituale ne sarebbe avvantaggiata se il P. spirituale fosse esonerato dalle 9 ore di scuola che ha attualmente».
44
[DFst 44-48] L’intenso ministero svolto da Don Alberione non gli impedisce di compiere una ricerca ancor più radicale della volontà di Dio circa la sua missione personale: «Nel periodo delle vacanze estive (dal 1909 al 1918), faceva gli Esercizi Spirituali presso qualche Istituto religioso. Nei tempi liberi cercava di avvicinare i Superiori per conoscere le vie tenute nel reclutamento e formazione delle persone» (ADds 36).
In LV03 troviamo vari appunti di prediche presi da Don Alberione in diversi corsi di Esercizi Spirituali, ai quali aveva partecipato nel Santuario di S. Ignazio (Lanzo Torinese) o con i Sacerdoti di Alba, ed anche gli appunti di prediche presi durante gli Esercizi dei Chierici del Seminario.
Anche se gli schemi di meditazioni e istruzioni sono numerati, non è possibile individuare subito a quali corsi appartengano, poiché gli appunti sono stati presi senza seguire l’ordine rigido delle pagine del Notes.
Gli schemi di meditazione e istruzione di LV03 testimoniano, comunque, non solo l’impegno nel discernimento della volontà di Dio da parte di Don Alberione, tutto dedito ai propri Esercizi Spirituali, ma costituiscono anche un importante retroterra per situare molti punti del Donec formetur.40
45
[DFst 17-18. 37-43] In particolare si noti che alla pagina 15 di LV03, iniziano le annotazioni sugli Esercizi a S. Ignazio di Lanzo - 9-11[?] Luglio 1911.41 Nella Meditazione I, sul Fine del Sacerdote,42 uno dei punti è: «4° Siamo altri G. C.: ora G. è». Ugualmente, a pagina 28b, la Meditazione VIII ha per titolo «G. C. è».43 Questo schema di meditazione, probabilmente del 1911, si riveste di particolare importanza in quanto costituisce forse il più antico schema di meditazione su Cristo Via, Verità e Vita negli scritti di Don Alberione.
46
[DFst 17. 28. 37. 52. 55. 67. 68. 76] È importante considerare che tra l’ottobre 1911 e la fine del 1912 Don Alberione propone ai seminaristi di Alba un ciclo di meditazioni sul Simbolo degli Apostoli. Queste meditazioni sono riportate nel Quaderno 50.
Si noti, in primo luogo, che probabilmente la meditazione dal titolo «Ed in G. C. suo Figliuolo unico, Signor nostro» (pp. 75-83), tenuta il 14/01/1912 a tutto il Seminario di Alba, costituisce uno svolgimento dello schema «G. C. è», appena ricordato. Si noti, inoltre, che le meditazioni di questo ciclo costituiscono un importante quadro di riferimento per la Teologia del Padre, del Figlio e dello Spirito di Donec formetur Christus in vobis. Al Quaderno 50 si devono collegare le meditazioni sui quattro fini del sacrificio della Messa, contenute nel Quaderno 52, ma soprattutto la parte del Quaderno 53 riguardante lo Spirito Santo e la Chiesa.44
47
[DFst 13-14] Lo schema di meditazione su Cristo, Via, Verità e Vita ci permette di considerare un’altra dimensione dell’impegno e del processo di discernimento di Don Alberione: la ricerca di risposte nuove alle nuove necessità dei tempi non solo attraverso gli Esercizi Spirituali ma anche attraverso un lavoro di équipe. Don Alberione infatti sollecita l’apporto di molte persone, specialmente dei confratelli nel sacerdozio, che coinvolge in una fruttuosa riflessione, in vista dell’insegnamento e della preparazione di due opere programmatiche, Appunti di Teologia Pastorale e La donna associata allo zelo sacerdotale:45 «Per due anni, in conferenze settimanali, con dodici sacerdoti, studiò i mezzi di una buona e aggiornata cura d’anime» (ADds 83).
48
[DFst 37-40] Provvidenzialmente, in quel tempo, viene tradotta in Italia l’opera La cura d’anime nelle grandi città,46 di Enrico Swoboda, che costituisce un innovativo esempio di applicazione delle conoscenze sociologiche per una pastorale rispondente ai bisogni dei tempi; e viene tradotta anche l’opera di Cornelio Krieg, Scienza Pastorale,47 un’enciclopedia della pastorale unificata in Cristo Verità, Via e Vita. Opere che hanno permesso a Don Alberione di coronare la sua ricerca: «Per il carattere pastorale nell’apostolato paolino, molto prese da due grandi maestri: Swoboda, Cura d’anime nelle grandi città e Krieg, Teologia Pastorale, volumi 4, che lesse e rilesse per due anni»48 (ADds 84).
49
[DFst 37-38. 49-50. 51-52. 74-78] Un altro inestimabile apporto alla ricerca di Don Alberione è stato fornito da Cornelio Krieg con la pubblicazione della traduzione dell’opera Enciclopedia scientifica e metodologia de le scienze teologiche.49 L’insegnamento del Krieg per quanto riguarda il sapere unificato nell’enciclopedia,50 il ciclo formativo51 e il metodo52 ha segnato profondamente la personalità e l’intera opera di Alberione.
Specialmente per quanto riguarda il DF è importante tener conto dell’insegnamento del Krieg sui tre metodi della Teologia morale53 e, in particolare, delle sue considerazioni sul metodo mistico.54
50
[DFst 14-16. 40-41] Se l’esperienza della notte di passaggio al secolo XX costituisce la principale sorgente per la vita spirituale e per la missione di Don Alberione, non c’è dubbio che le opere dello Swoboda e ancor più del Krieg segnano un punto decisivo di maturazione e di orientamento.55
51
[DFst 21-23] Si può costatare, quindi, come nei primi anni di sacerdozio Don Alberione ha cercato di rispondere, pieno di zelo, alla chiamata, e Dio lo ha guidato passo passo verso il suo progetto: «Azione e preghiera orientarono verso un lavoro sociale cristiano che tende a sanare Governi, scuola, leggi, famiglia, relazioni tra le classi, ed internazionali. Perché il Cristo, Via, Verità e Vita, regni nel mondo!» (ADds 63).
52
[DFst 37] Nella lettura di DF è importante tener presente questo itinerario di Don Alberione, specialmente per quanto riguarda l’interpretazione della Via Illuminativa.
53
1.2 «VOI SARETE PER ME UN REGNO DI SACERDOTI
E UNA NAZIONE SANTA»
(Es 19,6)

[DFst 18-19] Don Alberione aveva svolto diversi impegni, da seminarista e da giovane sacerdote, accumulando molte esperienze attraverso i fatti e le persone, ma il punto decisivo per lui era stato quello di lasciarsi ammaestrare da Dio: «L’uomo ha sempre tante imperfezioni, difetti, errori, insufficienze e dubbi sul suo operare da dover tutto rimettere nelle mani della Divina Misericordia e lasciarsi guidare. Egli mai forzò la mano alla Provvidenza; attendeva il segno di Dio» (ADds 45).
54
[DFst 19-20] Il ministero di Direttore Spirituale, specialmente, aveva portato Don Alberione a riconoscere lo stile dell’azione di Dio e anche il modo di rispondere a tale azione. Ciò che dichiarerà verso la fine della vita, come memoriale del cammino fatto, era già sapienza della fede nel punto di partenza: «La Provvidenza operò secondo il suo ordinario metodo divino: fortiter et suaviter: preparare e far convergere le vie secondo il suo fine, illuminare e circondare degli aiuti necessari, far attendere l’ora sua nella pace, iniziare sempre da un presepio, agire così naturalmente da non poter facilmente distinguere la grazia dalla natura, ma, certo, entrambi. D’altra parte non vi è da forzare la mano di Dio, basta vigilare, lasciarsi guidare, nei vari doveri cercare di impegnarvi mente, volontà, cuore, forze fisiche...» (ADds 43-44).
55
[DFst 93-95] Per Don Alberione, il lasciarsi guidare si realizzava nel porre attenzione a quanto si muoveva in ambito ecclesiale e sociale, rispecchiato nelle pubblicazioni del tempo.
Lo vediamo, ad esempio, nel Notes LV01, che contiene uno schema di meditazione, tenuta nel maggio 1913, su L’Editto di Costantino.56 Nel Quaderno 61 (= Q061) si trovano quattro schemi di istruzione: Giubileo Costantiniano - Persecuzioni antiche (Q061, p. 15); Giubileo Costantiniano - Persecuz. moderne57 (Q061, p. 16); Indulgenza del giubileo (Q061, p. 18); Giubileo Costantiniano (Q061, p. 31).58
56
[DFst 85] Questi documenti richiamano alla mente la dichiarazione di Don Alberione circa il tempo in cui sentiva che tutto era maturo per iniziare le sue fondazioni: «Nell’anno 1913 vi fu un passo verso la realizzazione dei desideri. La scuola di storia civile nei corsi di filosofia ed ancor più la storia ecclesiastica nei corsi di teologia, dava occasione a lui di rilevare i mali ed i bisogni delle nazioni, i timori e le speranze; particolarmente la necessità delle opere e dei mezzi rispondenti al secolo attuale. Compose due preghiere in questo senso; una per l’Italia, l’altra per le altre nazioni; si chiedeva al Signore che suscitasse un’istituzione per questo. Veniva recitata da tutti i Chierici, guidati dal Chierico Giaccardo. Celebrandosi allora il centenario della pace di Costantino concessa alla Chiesa, i Chierici comprendevano anche meglio quanto chiedevano al Signore» (ADds 101-102).
57
[DFst 44-48] Sin dall’inizio Don Alberione aveva presenti alcuni punti basilari: la luce di Dio, sottomessa a discernimento e approvazione; orientarsi secondo il principio della piena integrazione tra natura e grazia; attendere l’ora di Dio; iniziare sempre da un presepio; gradualità nell’avvio e incontenibile slancio nello sviluppo.
58
[DFst 88.93] Don Alberione sentiva che i tempi erano maturi per attuare quel disegno che Dio gli aveva manifestato e che lo aveva impegnato in un costante lavoro di purificazione e ricerca di luce. Ormai lo stava realizzando da pastore tra i pastori, da scrittore e predicatore in paesi e città.
Era tutto preso dal nuovo volto del sacerdozio in mezzo al Popolo di Dio in cammino, come Israele tra le genti, come la Chiesa al tempo degli Apostoli: «Sacerdote che scrive, lavoro tecnico che fa il Fratello moltiplicatore e diffusore. Va bene questo: Ma voi siete... la nazione santa, il sacerdozio regale» (ADds 41; cf 1Pt 2,9).
59
1.2.1 «Quaerite... primum regnum Dei» (Mt 6,33)

[DFst 85-92] Dal 1908, «tenendo presente il futuro inizio della Famiglia paolina», Don Alberione aveva incominciato a cercare e formare giovanetti e giovanette (ADds 103). Così, Giuseppe Giaccardo veniva invitato e costantemente stimolato a chiarire la propria vocazione.59
L’opera vocazionale di Don Alberione era stata discreta ma costante: «Nell’ufficio di Direttore Spirituale ed insegnante ai Chierici, era facile che egli parlasse dei grandi bisogni della Chiesa in quei primi anni del secolo» (ADds 107).
Ciò che traspariva, più negli atteggiamenti che nelle parole, era comunque chiaro nella mente e nel cuore di Don Alberione: «Da una parte portare anime alla più alta perfezione, quella di chi pratica anche i consigli evangelici, ed al merito della vita apostolica. Dall’altra parte dare più unità, più stabilità, più continuità, più soprannaturalità all’apostolato. Formare una organizzazione, ma religiosa; dove le forze sono unite, dove la dedizione è totale, dove la dottrina sarà più pura. Società d’anime che amano Dio con tutta la mente, le forze, il cuore; si offrono a lavorare per la Chiesa, contente dello stipendio divino: Riceverete il centuplo, possederete la vita eterna [cf Mc 12,30]. Egli esultava allora considerando, parte di queste anime, milizia della Chiesa terrena, e parte trionfanti nella Chiesa celeste» (ADds 24).
60
[DFst 93-97] In un momento di crisi della stampa diocesana, appoggiato da una cerchia qualificata di persone, Don Alberione fa un passo decisivo e, con il consenso del Vescovo, assume la direzione della Gazzetta d’Alba. Cinque mesi più tardi ne acquista la proprietà.
Compiuta la scelta di campo, era necessario far germogliare il progetto, impostandone bene la novità di orientamento.
Che i tempi fossero maturi lo manifestavano varie pubblicazioni. La Civiltà Cattolica, ad esempio, aveva analizzato la grande potenza della stampa,60 indicando l’importanza della buona stampa nell’opera di restaurazione sociale.61 E, ad Alba, il 24 gennaio 1914, il Can. Francesco Chiesa aveva dato l’approvazione a un libro del suo viceparroco, Giovanni Borgna, dal titolo Il Re dei tempi, Mano alla Stampa,62 che esprime bene alcuni degli orientamenti di Don Alberione. Nella prima parte, infatti, viene descritta la figura di Luigi Veuillot, visto come novello Saulo, a causa della sua conversione e successivo impegno nel giornalismo cattolico. Una seconda parte esalta la potenza della stampa e presenta la sete ardente di lettura da parte della gente63 e, tra l’altro, descrive la stampa come una università ambulante,64 cinematografo permanente,65 un’invasione,66 una voce che grida,67 tribunale pubblico68 e il re dei tempi.69 La terza parte indica come un flagello la cattiva stampa.70 La quarta parte richiama caldamente l’attenzione all’urgenza di promuovere la buona stampa come un nuovo comandamento,71 un’opera di carità,72 S. Paolo redivivo73 ed espressione di un cuor d’apostolo.74
61
[DFst 93-97] Facendo leva sui disegni della grazia e mettendo in atto tutte le risorse della natura, Don Alberione, nel 1914, si apprestava a dare un graduale e oculato inizio alla fondazione, tenendo conto del suo carattere di novità:
doveva avere la forza sociale della stampa a servizio dell’evangelizzazione; perciò non si partiva dai tradizionali ambienti di seminario o di comunità, ma concretamente dal campo tipografico: «Un sacerdote di questa diocesi, per nome Giacomo Alberione, dottore in teologia, in età di circa 38 anni, che fu per una decina d’anni direttore spirituale del seminario diocesano, sentendosi chiamato a lavorare nelle opere sociali, istituiva qui in città nel 1914 una Scuola tipografica, alla quale diedi in massima la mia approvazione orale»;75
voleva essere come una università cattolica, non puntando però innanzitutto sulla informazione ma sulla prassi; perciò partiva modestamente come scuola tipografica e laboratorio: «Penetrare tutto il pensiero e sapere umano col Vangelo. Non parlare solo di religione, ma di tutto parlare cristianamente; in modo simile ad una università cattolica che, se è completa, ha la Teologia, Filosofia, le lettere, la medicina, l’economia politica, le scienze naturali, ecc., ma tutto dato cristianamente e tutto ordinato al cattolicesimo» (ADds 87);
aspirava a formare apostoli e apostole secondo le esigenze dei tempi nuovi; perciò non si partiva subito dalle caratteristiche delle istituzioni formative di religiosi e religiose, ma si impostava come formazione al lavoro, a piccoli operai e lavoratrici: «L’Opera dinanzi al pubblico ritenne sempre e ritiene anche adesso il nome di Scuola tipografica, però nell’interno della casa è chiamata Pia Società S. Paolo, nome datole dal teol. Alberione, il quale fin da principio accarezzò l’idea di fondare una congregazione religiosa di sacerdoti e laici i quali si dedicassero totalmente a promovere l’opera della buona stampa».76
62
Ai primi giovani raccolti, in Piazza Cherasca, il 20 agosto 1914, presto se ne aggregarono altri, affidati a Don Alberione per quanto riguardava la formazione e a Giovanni Battista Bernocco per la direzione e preparazione professionale.
Don Alberione era determinato77 ad ottenere un rapido sviluppo della Scuola Tipografica, per cui subito si mise mano alle prime pubblicazioni: il Piccolo Catechismo di Pio X, La donna associata allo zelo sacerdotale e La preghiera del Parrocchiano.78
63
Davanti al rapido aumento del numero di allievi, Don Alberione procurò locali più spaziosi per la Tipografia, anche per far posto, il 15 giugno 1915, in Piazza Cherasca, all’avvio del Laboratorio Femminile, che si trasferì pochi mesi più tardi in via Accademia 5.
64
Dopo i primi passi e le relative grandi difficoltà, Don Alberione incominciò ad inculcare il vero senso della fondazione, che doveva dividersi in tre rami: ramo maschile-religioso, ramo femminile-religioso e ramo laico-maschile-femminile.79
65
[DFst 85-88] Il termometro dell’intensità spirituale raggiunta lo possiamo avere leggendo la descrizione che il Chierico Giaccardo fa circa la cerimonia dell’emissione privata dei voti: «Con forte sentimento di fede si è cantato il Veni Creator per invocare luce e forza dallo Spirito Santo. Il Sig. Teologo si è seduto; noi, uno dopo l’altro ci siamo inginocchiati davanti a lui e ci siamo consacrati a Dio con questa formula. Il Padre ad ognuno rispondeva. Ineffabile l’ammirazione dei compagni, ineffabile più di tutto la nostra impressione, il nostro gaudio; il volto di tutti era raccolto ed abbassato, il cuore sussultava, le membra tremavano, la solennità del passo, la parola del Padre, l’importanza del momento, ci penetravano. Noi non eravamo più nostri, ci sentivamo di Dio, legati a Lui, cosa liberamente Sua, pronti a dar tutto per Lui e per la buona stampa. La nostra vita era e si sentiva d’essere una sola. Noi tra noi: noi col Padre, uniti, cementati, non alunni di una scuola ma membra di un solo organismo, prime pietre vive edificate di un maestoso edificio. Adorate Iddio Onnipotente che le cose sue più abbiette eleva tra i prìncipi. Seguì con entusiasmo il canto del Sorgiam con impetuoso ardore. Ne eravamo proprio pieni. Si recitò una preghiera a S. Paolo ed a Maria SS.; e il Padre nostro allora benedisse tutti i suoi figli; benedisse i propositi, i desideri, la buona volontà che affermava trovarsi in tutti; ci benedisse con effusione di padre tenero e amatissimo e le sue parole e il suo volto rivelavano la contentezza dell’uomo di Dio e una commozione assai sentita».80
66
[DFst 54.67ff] In questo clima, che ricorda il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, Don Alberione ripercorre l’itinerario pasquale di morte e risurrezione della Casa: «Dal giorno della sua fondazione, la nostra Casa passò molte burrasche e l’essersi sempre tutto composto bene, è segno certissimo che Dio vuole questa opera da noi; tutti e specialmente io fummo accusati di essere ladri, ma voi sapete che non sono un ladro perché metto per voi quanto ho; fummo denunziati al Vescovo e si corse serio pericolo di dover chiudere la Casa, ma Dio ci salvò. Fummo denunziati a Roma e chissà come ce la saremmo cavata se non fosse stato che abbiamo un Vescovo molto energico; al Sindaco, poi al Sottoprefetto, al Prefetto di frequente. Anche tante persone buone non ci intendono e hanno sparlato della casa con retta intenzione perché persone sante: e io so che ognuno di voi, prima di entrare nella Casa l’ha sentita criticare e molti han davvero dovuto lottare contro vere e gravi difficoltà e altre gravi inciampano la loro via. Le burrasche sono necessarie per farci umiliare e ricordare che Dio solo è il Padrone ed io prego il Signore di mandarcene delle più grigie. E ciò nonostante vi sono giovani che si sentono chiamati da Dio a questa missione e le loro vocazioni prosperano e si affermano: questo è il segno più potente della volontà di Dio. Io non ne dubito e neppure voi ne dubitate».81
67
Don Alberione viveva con i suoi giovani un clima pasquale di morte e risurrezione anche a causa della guerra.82 In seguito, conserverà sempre vivo il ricordo di queste ostilità: «Si corsero vari pericoli e di vario genere: personali, economici, accuse in relazioni scritte e verbali: si viveva pericolosamente giornate e giornate; San Paolo fu sempre salvezza» (ADds 164). Dichiarerà ancora: «Nei primi tempi i socialisti di Alba minacciarono varie volte di bruciare tipografia, casa e giornali; si passarono anche notti insonni vigilando perché almeno i fanciulli, in caso, non corressero pericolo e troppo spavento» (ADds 172).83
68
[DFst 19-20. 61-63] Don Alberione, sulle orme di S. Francesco di Sales, era mosso da una spiritualità dal volto umano e, forse proprio per questo, piena di slancio verso Dio e verso il prossimo.84 Aveva intrapreso ogni cosa con prolungato discernimento e ora, da tempo, si trovava in mezzo ad una grande bufera: era arrivato il momento di restare saldo nella fiducia e nell’abbandono a Dio.85 Don Alberione si coinvolge ora con i suoi ragazzi in una esperienza che si colloca come sorgente e linea portante della vita e della vitalità della Casa: la spiritualità dell’Alleanza o del Patto con Dio.86
69
[DFst 23. 63-65. 85. 88] È nella radicale corrispondenza a Dio che Don Alberione, con solennità ed emozione, inserisce la vita e la missione della Casa: «Vi parlo in cotta e stola perché ho da dirvi una cosa di grandissima importanza: e voi sapete che quando il sindaco o il Re compiono atti ufficiali di importanza, rivestono la sciarpa. Ma appunto perché di assai grande importanza, per cui bisognerebbe dirla molto bene, io ve la espongo con molta semplicità. Noi parliamo spesso della necessità di promuovere la Buona Stampa: ora molti lavorano per la stampa: essi vi consacrano una parte del loro tempo e delle loro energie: chi per l’onore, chi per il guadagno, chi per il gusto. Noi non vogliamo lavorare né per il gusto, né per l’onore, né per il guadagno, né vogliamo la stampa per se stessa, ma cerchiamo Dio col mezzo della buona stampa. E vi sono tra voi giovani i quali hanno deciso, non per folle sentimento, ma con piena conoscenza di causa, di consacrarsi interamente a Dio ed alla buona stampa, e di dedicarvi tutto il loro tempo, il loro ingegno, le loro forze, la loro salute; e stasera, davanti a tutti, faranno nelle mie mani i loro voti che mi han chiesto di fare ed a cui io li ho ammessi: altri che mi hanno chiesto furono ammessi ai voti privati».87
70
[DFst 67] Anche qui conviene aprire una parentesi per rimarcare che i tratti dell’esperienza di Don Alberione e dei primi paolini, or ora descritti, sono la chiave per considerare la Via Unitiva nell’opera Donec formetur Christus in vobis.
71
[DFst 93-95] Riprendendo subito il discorso, sembra suggestivo considerare come primo frutto del Patto con Dio fu l’approvazione, avvenuta il 29 settembre 1918, dello statuto dell’Unione Cooperatori Buona Stampa, preparato con cura per esprimere la missione paolina,88 costituita sotto la protezione di San Paolo,89 per favorire la buona stampa con le preghiere, le offerte e le opere (scrivere, diffondere la buona stampa, combattere la cattiva).90
72
[DFst 19-20. 23] Sembra importante, comunque, notare che il primo numero dell’Unione Cooperatori Buona Stampa è uscito nel segno del clima pasquale del Patto (cf ADds 162-163), sia per il contesto della morte di Maggiorino Vigolungo e di Clelia Calliano,91 sia per la celebrazione in cui Don Alberione ha ricordato anche la formula della Cambiale, tema che prenderemo in considerazione più avanti.
73
[DFst 63-64. 93-96] Il bollettino di questa Unione costituisce oggi una delle fonti più preziose, e anche di piacevole lettura, per conoscere gli inizi della Famiglia Paolina. Già dai frontespizi scelti appare in grande evidenza il rapporto con San Paolo,92 nell’entusiasmo per la Buona Stampa come opera di evangelizzazione:93 Praedica verbum,94 Opus fac evangelistae.95 Ciò che la Famiglia Paolina ha ricevuto come spirito paolino96 si trova già pienamente espresso in questi primi tempi della fondazione.97
74
[DFst 93-95] Gli articoli del bollettino richiamano in continuazione l’importanza dell’apostolato stampa,98 la sua convenienza alla donna,99 e l’ideale coltivato nella nascente fondazione.100
75
Le presentazioni della Scuola Tipografica seguono sempre una linea di continuità. Il ramo maschile si divide in due sezioni: i semplici artigiani destinati a ricevere un diploma di abilitazione; gli studenti artigiani destinati a ricevere la formazione professionale e ad ottenere la laurea in scienze sociali.101 Anche il ramo femminile è diviso in due sezioni: le studentesse, destinate ad imparare l’arte tipografica e ad ottenere il diploma di maestre elementari, e le semplici tipografe, destinate ad imparare ed esercitare l’arte tipografica.102 Si avvertono anche con cura i lettori circa l’indole apostolica e non assistenziale della fondazione.103
76
[DFst 19-20] La fine della guerra non ha rappresentato subito pace per la Casa. Infatti si era appena avviata la casa del ramo femminile a Susa e si era impegnati per l’acquisto della Linotype, quando, nel clima di ostilità in cui si viveva,104 lo spavento raggiunge il colmo con l’incendio della tipografia, la notte di Natale del 1918.
77
[DFst 19-20. 93] Tornata la pace, era ormai tempo di dare un nuovo slancio. È per questo che, qualche giorno dopo l’incendio della tipografia, Don Alberione, il 6 gennaio 1919, propone ai suoi giovani la celebrazione del Patto: l’indomani «il caro Padre recitò la formula del patto, chi volle la ripeté nel cuore».105
Di quale formula si tratta? Nel suo Diario il Giaccardo lascia intendere che sia quella ispirata a Mt 6,33: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Va notato che egli si richiama a tale espressione evangelica per la prima volta nel Diario il 22 febbraio 1917, quando era ancora chierico nel Seminario di Alba, e la mette in rapporto con l’Apostolato Stampa.106 Il 29 marzo 1919, il Giaccardo riporta una conversazione in cui Don Alberione, circa un problema economico, risponde in modo deciso: «Ora quaerite primum regnum Dei: il resto è giunta!».107
78
[DFst 17.28. 35-37. 67] Certamente il senso ampio di questa parola di Gesù è stato trasmesso nella preghiera conosciuta sotto il titolo Segreto di riuscita. La conversazione tra l’Alberione e il Giaccardo, ora riferita, ci illumina sul titolo Cambiale dato al Patto celebrato, forse nel 1920, da Don Alberione e dal novello sacerdote Giaccardo, dove all’impegno «Quaero primum regnum Dei et justitiam eius», firmato dal Sac. Alberione Giacomo e Sac. Giaccardo Timoteo, rispondono le Persone della Trinità: «Haec omnia adiicientur vobis... Jesus Christus, Pater, Spiritus Sanctus».
79
[DFst 15.67. 96] Il Diario del Giaccardo fa capire come per Don Alberione cercare prima il regno di Dio significava concretamente la ricerca della santità, nella totale donazione all’Apostolato Stampa. Anzi, è impressionante costatare come, decenni più tardi, egli usi ancora le medesime espressioni per commentare questa formula del Patto.108
80
[DFst 19-20. 23. 25-26. 30-31. 36. 55-56. 63-64. 77-78] La spiritualità del Patto, nella Casa, è un’applicazione all’apostolato stampa dello spirito che sorreggeva, a Torino, la Piccola Casa della Divina Provvidenza,109 del Cottolengo: vivere alla presenza di Dio,110 cercare il regno di Dio,111 gratitudine alla Divina Provvidenza112 ricevendo ogni cosa con un Deo gratias,113 orrore al peccato.114
81
[DFst 19-20. 27-28. 54. 78-79. 87-88] Particolare risonanza di questa esperienza di fede la troviamo nelle affermazioni di Don Alberione: «Talora le necessità erano urgenti e gravi: e tutte le risorse e speranze umane erano chiuse: si pregava e si cercava di cacciare il peccato ed ogni mancanza contro la povertà: e soluzioni impensate, denaro pervenuto attraverso sconosciuti, prestiti offerti, benefattori nuovi ed altre cose che egli non seppe mai spiegarsi...; le annate passavano, le previsioni di molti di certo fallimento, le accuse di pazzia... svanivano e tutto si conchiudeva, magari con fatica, ma in pace» (AD 166).
82
[DFst 13. 85. 95-96] Santità e apostolato115 diventano i punti forti della spiritualità dell’Alleanza assunta mediante la celebrazione del Patto.116 Ogni cosa si compie con questo spirito. La santità occupa il primo posto tra le preoccupazioni di Don Alberione.117 Si verifica una stagione di abbondantissimi frutti per la nascente Pia Società San Paolo,118 impegnata da Don Alberione in due obiettivi: anno delle vocazioni (1919) e anno del consolidamento della fondazione (1920).
83
1.2.2 «Io sono con voi»

[DFst 71-72. 77-78] Don Alberione passa a insistere sulla necessità di nuove vocazioni e provvede anche per una abitazione più spaziosa, in via Vernazza, dove i giovani si trasferiscono nel maggio 1919.119 La fede farà moltiplicare le vocazioni ed i mezzi per la Buona Stampa.120 Si delineano alcuni tratti della vita di preghiera121 e delle devozioni della prima settimana del mese.122
84
[DFst 93-95] Il bollettino dell’U.C.B.S. incoraggia i parroci a pubblicare i bollettini parrocchiali123 e mobilita i Cooperatori perché mandino offerte per l’acquisto della Linotype124 e aprano in ogni parrocchia depositi-rivendita di libri e oggetti religiosi.125 Incomincia anche la promozione delle biblioteche.126 Si fa pubblicità delle Edizioni della Scuola Tipografica127 e poi della Scuola Tipografica Editrice - Alba.128
85
[DFst 85] Dal maggio 1919 nel Diario del Giaccardo, accanto al titolo Pia Società San Paolo, si parla di formare la famiglia,129 primo germe del futuro appellativo Famiglia Paolina.
86
[DFst 84-85] Da giugno in poi si vive nel clima di preparazione per l’ordinazione del primo sacerdote della Casa. Giuseppe Giaccardo130 riceve gli ordini minori il 22 giugno, il Suddiaconato il 29 giugno, il Diaconato il 20 settembre. Perché egli possa assistere la mamma gravemente ammalata, Don Alberione ottiene che l’Ordinazione Sacerdotale sia anticipata di otto giorni: essa avvenne il 19 ottobre. Per la preparazione immediata della Casa, Don Alberione, dal 13 al 20 ottobre, mentre predica gli Esercizi Spirituali in Seminario, propone per gli alunni della Scuola Tipografica la meditazione sulla Dignità Sacerdotale.131
87
[DFst 93-95] L’anno 1920 è caratterizzato come anno del consolidamento.132 Ora era possibile dare visibilità a ciò che si era sempre voluto e già si viveva ed insegnava nella Casa.
88
Dopo molta preghiera ed attesa, si trova finalmente il terreno adatto per la nuova sede133 e ci si prepara per la costruzione dividendosi i compiti.134 Il 30 maggio 1920 Don Alberione consegna a Don Giaccardo la direzione della Gazzetta d’Alba. Da quest’anno lascia anche gli impegni in Seminario; e, in occasione della richiesta di ingresso di alcuni Chierici, scrive al Vescovo precisando il senso della Scuola Tipografica: «I membri di questa famiglia, come già scrissi altre volte, si legano a questa missione consacrandosi al Signore per mezzo di voti speciali: parte di essi compie anche gli studi sacri, intendendo rendersi scrittori e sacerdoti. Si ha la persuasione che la B. S. sia parte importantissima dell’ufficio sacerdotale».135
89
Anche per quanto riguarda la costruzione della nuova sede si deve costatare come Don Alberione avesse una progettualità ben maturata nella riflessione e nella preghiera. Si dice anzi che avesse ricevuto una luce particolare su come impostare l’intero complesso degli edifici.136
90
[DFst 19-20] Nel bollettino dell’U.C.B.S. si parla della necessità di una casa per la Scuola Tipografica, si proclama la fiducia nella Provvidenza e si fa appello alla generosità dei Cooperatori, indicando cinque strade, o vie, della Divina Provvidenza.137
La popolazione si manifesta sensibile ai richiami del nuovo apostolato, risponde con una generosità che sembra un fiume in piena e viene informata circa la partecipazione di tutti, soprattutto dello spirito che anima i passi che si vanno compiendo.138
91
La costruzione della prima casa ha inizio nel mese di giugno 1920. In pratica i piani della casa sono occupati a misura che le strutture fondamentali vengono allestite. La tipografia comperata a Sesto San Giovanni nell’aprile 1921 è montata nella nuova sede.
92
[DFst 93-95] L’anno di consolidamento aveva portato a compimento la fase della preparazione, adottata secondo quel principio della gradualità di cui si è parlato (cf DFin 62). Tale avvedutezza aveva fatto impostare la fisionomia della Casa secondo le esigenze dettate dalla novità dell’apostolato stampa.
Ci si tiene a mantenere alta l’immagine della nuova vocazione come una missione: «La stampa è considerata un mestiere dai più: nella Scuola Tipografica la si vuole elevata al posto che merita di una missione, un apostolato».139 Più precisamente la si proclama come una espressione sacerdotale: «E soprattutto si conserva e si nutre quello spirito che è la principale ricchezza, il solo capitale, il miglior dono della Provvidenza a questa casa cioè considerare la stampa come apostolato, come un sacro sacerdozio, portandovi la preparazione intellettuale e morale che si porta ad un apostolato, ad un sacerdozio».140 Anche di questo sacerdozio della Buona Stampa, fatto da scrittori, tecnici e propagandisti, si deve dire che la messe è molta poiché risponde al bisogno dei tempi: «In ogni regione e diocesi si sente un bisogno nuovo: è il bisogno dei tempi; ed in ogni regione e diocesi si sente una mancanza profonda: mancano gli apostoli della Stampa Buona. Questa è l’anima di tutto il movimento nostro: è il gran mezzo moderno di bene; è oggi parte importantissima del ministero sacerdotale. Ed occorre lo spirito sacerdotale perché possa dare veri ed abbondanti frutti alle anime! Fare un mestiere è ben diverso dall’esercitare un apostolato! Ed è appunto per questo che ovunque la nostra stampa ha tante difficoltà: mancano i nostri scrittori: mancano i nostri tipografi: mancano i nostri propagandisti».141
93
[DFst 93-95] Questo sacerdozio è paragonabile a quello delle missioni ad gentes e ad esso sono chiamate anche le donne: «Alla Buona Stampa sono necessarie missionarie come all’opera della propagazione della fede tra gli infedeli. Le missionarie nelle terre infedeli coadiuvano i missionari e li suppliscono nelle molteplici circostanze in cui non potrebbe arrivare l’opera del sacerdote. Lo stesso è da dirsi per l’opera della buona stampa. Molte mansioni sono proprie della donna: in molte le figlie riescono meglio: in altre dànno prova favorevole».142
94
[DFst 78-79] Don Alberione era pieno di slancio,143 ma i dubbi erano pungenti. Di ritorno dalla guerra alcuni chierici del Seminario di Alba avevano scelto di passare alla Pia Società San Paolo, suscitando molti conflitti in diocesi; era cresciuto il disagio economico e questo complesso di cose aveva fatto sì che un vento burrascoso si levasse contro la Casa, facendo colpo anche sugli amici più fidati.144
95
[DFst 78-79] Contemporaneamente, in Italia, soffiava l’uragano dei socialisti,145 dei fascisti146 e del conflitto tra loro,147 non risparmiando le istituzioni della Chiesa.148
Alcune minacce all’Alberione e alla tipografia sono già state ricordate; ad esse si deve aggiungere l’episodio nel quale alcune camicie nere bruciarono i giornali che venivano portati alla posta149 e l’aggressione, da parte di un fascista, al Giaccardo, Direttore di Gazzetta d’Alba.150
In quel clima rovente i ragazzi della Scuola Tipografica si erano prestati a sostituire gli scioperanti socialisti, all’inizio di settembre del 1920, nella stampa del giornale Il Momento, di Torino.151
96
[DFst 45-46] Di fronte a questi pericoli e in considerazione della propria salute sempre malferma, Don Alberione si domandava se realmente non fosse «una grave imprudenza: raccogliere persone per una missione, con forte pericolo di abbandonarle a metà strada» (ADds 112). Alla domanda: «Illusione per tutto ciò?» (ADds 113), aveva sempre avuto delle risposte di pace sia nella preghiera, sia in alcune esperienze inspiegabili, sia, infine, attraverso le parole del Direttore Spirituale che lo avevano portato a non avere più incertezze (cf ADds 112).
97
[DFst 39-40. 46-47. 49-50] Nel momento decisivo di entrare nella nuova abitazione, questo tormento spirituale riceve una conferma straordinaria in un sogno, che convince Don Alberione a ritenere la Casa come opera di Dio. Più tardi, predicando gli Esercizi Spirituali, dal 1° al 7 giugno 1938, ai sacerdoti più anziani della Società San Paolo, ad Alba, Don Alberione ricorderà: «Come mi è chiaro quello che ho visto in fondo alla casa, in quella camera (l’ufficio che il P. M. teneva nella casa S. Paolo nei primi anni che fu costruita), in uno di quei giorni in cui io non lavoro: il divin Maestro passeggiava ed aveva vicino alcuni di voi ed ha detto: Non temete, io sono con voi; di qui io voglio illuminare; solo, conservatevi nell’umiltà... e, mi sembra, abbiate il dolore dei peccati...».152
98
[DFst 39-40. 46-47. 49-50] La datazione precisa di questo sogno non è facile.153 Luigi Rolfo indica come data probabile i primi mesi del 1923.154 Secondo Caterina Antonietta Martini, questa, che ella chiama grazia di conferma, sarebbe da collocarsi nel grave momento di sofferenza, che Don Alberione trascorse a Benevello, dove era stato accolto, da luglio ai primi di settembre; o, comunque, si dovrebbe pensare ad una data anteriore al congresso eucaristico di Genova, celebrato nel settembre 1923.155
99
[DFst 39-40. 46-47. 49-50] Abbiamo, però, alcune testimonianze che orienterebbero per una datazione anteriore del sogno: sono le dichiarazioni di don Paolino Gilli e del Prof. Dott. Edoardo Borra, il quale ha conosciuto personalmente Don Alberione dai primi tempi della Casa.
Don Gilli scrive: «I muratori continuavano i lavori per la finizione della costruzione e adattavano i posti secondo le esigenze e le disposizioni del Teologo. Non dobbiamo tralasciare di dire due parole sul posto del Padron di casa, la Cappella. Il suo posto fu al terzo piano, contando il pian terreno, primo piano, era all’inizio della costruzione sopra l’ufficio del Primo Maestro. Nulla di speciale, assai spaziosa e comoda per le persone esistenti, ben illuminata da tre finestre. Un semplice altare in legno, sopra una predella, un piccolo quadro di San Paolo, del Sacro Cuore e della Madonna. Sempre pulita. Fu in quella Cappella che entrando una mattina, vedemmo di fianco al Tabernacolo i due scritti, con lettere oro e sfondo nero: Non temete Io sono con voi - Di qui Io voglio illuminare e, qualche tempo dopo, sulla predella sotto il Tabernacolo: Abbiate il dolore dei peccati. Pensieri che il Teologo per parecchi giorni ci spiegò dettandoci la meditazione».156
Da parte sua il Prof. Edoardo Borra, noto medico albese, ha reso una testimonianza d’inestimabile valore, durante il Corso di formazione spirituale paolina, ad Alba: «Don Alberione - afferma - mi ha ricevuto in una stanzetta, che era il suo ufficio ed era dove dormiva, perché ci aveva un divano di ferro... sul quale dormiva. In questa stanzetta mi ha ricevuto, c’era anche un tavolo e un armadietto. [...] Una cosa molto importante: l’incontro con la Cappella. Era una piccola stanzetta. C’era l’altare, con una bella tovaglia bianca e il tabernacolo, un piccolo tabernacolo, modesto, e un lumino acceso. Alcune paia di inginocchiatoi, perché, generalmente, ci si inginocchiava per terra. Ad ogni modo, mi sono messo lì ed ho visto una cosa straordinaria che è rimasta in mente. Sull’altare, davanti al tabernacolo, c’erano due pezzi di cartone, piegati. Su uno c’era scritto: Non temere; sull’altro c’era scritto: Io sono sempre con voi. Questo motto, questo principio di Don Alberione, che era scritto in modo molto semplice, in stampatello, su un pezzo di cartone, è quello che adesso è scolpito, in latino, accanto all’altare maggiore di San Paolo: Nolite timere, Ego semper vobiscum sum, mi pare. Ora, tutte le volte che vengo a San Paolo non posso fare a meno di fissare quello, perché mi ricordo appunto quei due cartoni, che sono diventati due lapidi magnifiche, scritte in oro, ecc., ma che hanno lo stesso significato di allora».157
100
[DFst 39-40. 46-47. 49-50] Riprendendo il tema della datazione, in queste due testimonianze e nell’affermazione di Don Alberione, troviamo i riferimenti ante quam e post quam, tra i quali avvenne il sogno.
Don Alberione afferma che avvenne nella camera o ufficio della nuova casa. D’altra parte Don Gilli e il Prof. Edoardo Borra testimoniano che la scritta Io sono con voi e Di qui voglio illuminare si trovava già nella cappella, situata nel piano sopra l’ufficio di Don Alberione.
La data ante quam, perciò, è il 29 giugno del 1922, data della benedizione della seconda cappella, in mezzo al cortile, e della traslazione del Santissimo dalla prima cappella. La data post quam è l’occupazione dell’ufficio, da parte di Don Alberione, nella nuova casa, dove ha fatto l’esperienza del sogno.
Si sa che il trasloco da via Vernazza si completò il 10 agosto 1921, ma l’occupazione della nuova casa, secondo la testimonianza di Don Gilli, era iniziata molto prima. Infatti, il numero dell’Unione Cooperatori Buona Stampa, che reca la data del 15 luglio, propone già una visita alla nuova casa. Descrive la tipografia installata nel pian terreno e afferma che, nel primo piano, tra altro, «accanto alla scala si trova la Direzione». Si tratta, appunto, dell’ufficio del Signor Teologo. Con ogni probabilità, perciò, Don Alberione l’aveva fatto preparare alla svelta, dopo i primi giorni dall’inizio del trasloco, ossia prima del 15 luglio.
Il Prof. Borra però si recava ad Alba durante l’estate, e la descrizione che fa della nuova casa porta a ritenere che il trasloco fosse appena avvenuto. Racconta che il terreno era molto irregolare e di essere cascato in una pozzanghera d’acqua, mentre la varcava passando sopra l’asse di legno che serviva da ponticello. Anche se tali inconvenienti sono stati rimediati da Cooperatori solo intorno al febbraio del 1923,158 non è pensabile che le vie di accesso, frequentate da un grande flusso di persone, restassero così precarie per molti mesi. È fondato, perciò, ritenere che la sua visita sia avvenuta durante la prima delle estati della Casa San Paolo, cioè, tra luglio-agosto o, al massimo, a settembre del 1921.
101
[DFst 39-40. 46-47. 49-50] È del tutto plausibile, pertanto, che la grazia di conferma sia avvenuta nel corso dell’estate 1921, cioè all’inizio del trasloco nella nuova casa, fatto che poteva destare l’attenzione minacciosa dei socialisti o dei fascisti, parti integranti di quel complesso delle circostanze che facevano temere Don Alberione.
Rivelandosi a Don Alberione e alla sua nascente famiglia religiosa, il Divin Maestro ha impresso il sigillo dell’irresistibile beneplacito di Dio sulla Casa: «Né i socialisti, né i fascisti, né il mondo, né il precipitarsi in un momento di panico dei creditori, né il naufragio, né satana, né le passioni, né la vostra insufficienza in ogni parte... ma assicuratevi di lasciarmi stare con voi, non cacciatemi col peccato. Io sono con voi, cioè con la vostra famiglia, che ho voluta, che è mia, che alimento, di cui faccio parte, come capo. Non tentennate! Se anche sono molte le difficoltà; ma che io possa stare sempre con voi! non peccati» (ADds 156).
102
[DFst 63-65] Questa grazia di conferma illumina le impegnative affermazioni del numero dell’U.C.B.S. del luglio 1921, dedicato a far conoscere l’importanza e la necessità dell’apostolato della Stampa Buona. Esso costituisce un documento memorabile per conoscere gli inizi della Famiglia Paolina e pubblica pagine tra le più belle scritte sul nuovo apostolato.159
Il numero si apre con un titolo solenne: «OPERA DI DIO. La casa della Scuola Tipografica di Alba», che manifesta il vero progetto di Don Alberione: Ora si comincia: «La Scuola Tipografica di Alba venne aperta sette anni or sono nell’agosto del 1914. Questo è stato tutto un periodo di preparazione, di apprendisaggio, un tirocinio. Finalmente si avrà presto una casa adatta allo scopo; vi è un numero sufficente di persone che si sono legate come in una società di anime, di volontà, di cuori per l’opera della stampa buona: si è capito un po’ che Dio solo fa tutto e farà infallibilmente se si cercherà il regno di Dio e la sua grazia: sono già alquanto ben preparati i maestri di scienza e di arte: vi sono vere e numerose vocazioni che il Signore manda in proporzione del bisogno... ecc. Ora si deve incominciare dunque. Perciò la casa prende il suo vero nome Pia Società S. Paolo, lasciando poco a poco quello della preparazione, perciò sono costituite le sue sezioni maschile e femminile aventi ciascuna chi attende al lavoro e chi al lavoro unisce lo studio; perciò si rende noto l’estratto del regolamento per coloro cui interessa».160
103
[DFst 49. 59-61] La Casa è opera di Dio, poiché, «si è capito un po’ che Dio solo fa tutto e farà infallibilmente se si cercherà il regno di Dio e la sua grazia»: questa certezza, scaturita dall’esperienza di incontro con Gesù Maestro, portava in tutta la Casa come un fuoco di vera Pentecoste.
Il pensiero corre agli Apostoli, sui quali «venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano» (Atti 2,2). Si può pensare che, almeno in un primo momento, quel rombo abbia rinnovato nell’animo degli apostoli l’esperienza delle sofferenze della croce; poi, però, quel vento gagliardo si trasformò in lingue come di fuoco che li rendevano pieni di Spirito Santo (cf Atti 2,2-3).
Nelle circostanze patite in quegli ultimi mesi, certamente alcune espressioni delle Lettere di San Paolo erano vissute come in prima persona dall’Alberione e dal Giaccardo: «Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4,7); o anche: «Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10).
104
[DFst 85-86. 91-92] Proprio nel vento burrascoso «si è capito... che Dio solo fa tutto e farà infallibilmente se si cercherà il regno di Dio e la sua grazia»: perciò, più che ripiegarsi su se stesso, davanti ai segni della misericordia e sapienza di Dio, Don Alberione prepara l’inserimento della Casa nel tessuto ecclesiale, attraverso l’approvazione dell’Istituzione. A tal fine, inculca l’unità e la corresponsabilità, come testimonia il Giaccardo: «Una deve essere la casa: unione intima, di confidenza, di aiuto, di preghiera, col capo reparto, col maestro, col confessore, col Sig. Teologo. Dare alla casa la solennità della costituzione e considerarla grande».161 E ancora: «Il Sig. Teologo raduna i più alti per far sentire e dividere le responsabilità del pagamento, della formazione e del buon andamento della Casa. La Casa non è una domus formata, ma è in fieri: bisogna prenderla come in fieri e non come formata. Si richiede ora molta più grazia e molte più virtù. Da parte nostra ci vuole generosità e totale dedizione. A Dio non ritirare nulla, non negare nulla, comunarsi interamente».162
105
1.2.3 I tempi apostolici rivivono

[DFst 85-88] Molto più che un punto d’arrivo, stabilirsi nella nuova casa costituiva un punto di partenza. In una breve relazione circa l’origine e lo sviluppo della Pia Società San Paolo, del 23 novembre 1921, Don Alberione, riferendosi alla data della benedizione dei locali svolta con la partecipazione di Mons. Re, mette in evidenza i due eventi della professione dei voti perpetui e la costituzione della Pia Società San Paolo: «Le due commoventi funzioni, felicemente abbinate, ebbero luogo il 5 ottobre, giorno di chiusura dei SS. Esercizi spirituali. Dinnanzi a Gesù solennemente esposto, dopo il canto del Veni Creator si procedette alla costituzione della Pia Società San Paolo e 14 degli alunni più anziani si legarono con i santi voti di castità, povertà, obbedienza e fedeltà al Romano Pontefice promettendo ed impegnandosi solennemente a consacrare all’opera della buona stampa, tutto quanto di beni hanno ricevuto dal Signore, tutta la loro scienza, la loro salute, la loro attività. Tra la commozione generale il Direttore, a nome di Dio, ricevette questi santi voti, promettendo ai generosi giovani, a nome del Signore, il centuplo di beni in questa vita e la vita eterna nell’altra. Ecco la formula sottoscritta: Innanzi alla SS. Trinità, all’Immacolata, Regina degli Apostoli, a S. Paolo, i sottoscritti consacrano quanto hanno di doni del Signore, all’opera della buona stampa nella Pia Società San Paolo per la vita intera, rinnovando, anno per anno, i santi voti di povertà, castità, obbedienza e fedeltà al Romano Pontefice».163
106
[DFst 85. 91] Concludendo la sua relazione, Don Alberione manifesta con forza la convinzione di essere impegnato in una opera di Dio: «Risulta dunque: che la Pia Società San Paolo ha una visibile protezione del Signore; da Lui fu voluta, da Lui guidata, da Lui portata allo stato attuale. In essa vi sono quattordici persone del ramo maschile, otto del ramo femminile che si sono consecrate all’apostolato della buona stampa; che in essa gli alunni e le alunne vengono convenientemente preparati, intellettualmente, professionalmente e spiritualmente a dedicarsi come religiosi a questo mezzo di bene; che in essa vi sono iniziative di bene veramente utili e di carattere stabile; che si possiedono i mezzi di sussistenza; che vi è aperto un campo di bene molto largo; che i membri hanno desiderio vivissimo di promuovere solo e per tutta la vita la gloria di Dio, colla santificazione propria (anche a mezzo dei voti e della vita comune) e la salvezza delle anime; che questo desiderio è in loro da molto tempo e fu provato efficace da un tirocinio di anni».164
107
[DFst 44-48] Don Alberione s’immedesima nell’esperienza degli Apostoli: perciò, il 1° dicembre 1921, scrive a Mons. Re: «Giudicare della vocazione appartiene pel foro interno al confessore e pel foro esterno a persone fornite di prudenza, santità, scienza. Nel caso di cui si parla si usarono tutti i mezzi che vengono consigliati per avere una decisione retta. Da uno - due - tre - quattro - cinque anni, si esaminava, pregava, consigliava: esistono ancora le prove di questo, almeno in parte; si è vagliato bene e a lungo il pro ed il contro. [...] Inoltre: prima di iniziare la Scuola Tipografica si espose e chiese consiglio al Can. Allamano Giuseppe, a Don Coraglia, a D. Reffo, al Card. Maffi, a D. Sibona, al Can. Chiesa. Ora, anche per questo si parlò a lungo con parte di quelle persone e con altre di egual merito e stima, che per ora desiderano di non essere nominate. [...] Nel caso: o non corrispondere a quella che secondo si può umanamente giudicare era volontà di Dio, la vocazione; ovvero vi saranno altre vie ma io ignoro quali. [...] Si hanno tutte le certezze che si possono avere in questa materia che la Pia Società San Paolo è voluta da Dio; se così non fosse si scioglierebbe subito. Ma posto che si dubiti pare opportuno il consiglio di Gamaliele riguardo all’opera degli Apostoli: queste non sono opere che possa sostenere ed accrescere l’uomo: si scioglierebbe quindi da sé: se poi è del Signore, ridonda alla sua gloria; e qui solo e sempre è tutto il volere dei Venerati Superiori, del sottoscritto e di tutti i membri della Pia Società San Paolo».165
108
[DFst 68-70] Il riferimento agli inizi delle attività apostoliche è carico di senso, attualità ed emozione per Don Alberione; e viene collegato con la persona del Papa, come possiamo apprendere dal Diario di Timoteo Giaccardo: «Questo è il nostro stemma: la medaglia che da una faccia rappresenta S. Pietro e S. Paolo, dall’altra il Papa. Oh, se dovessi mai scrivere tutte le parole, dovessi mai descrivere l’amore tenero e sodo che il Padre nostro nutre per il Papa: ne parla ogni volta che può, con trasporto, e le sue parole calme, serene, sono così piene di unzione, di persuasione che tornano sempre nuove, sempre accettatissime e riempiono ogni volta l’anima delle più salutari ed efficaci impressioni. Egli vuole che amiamo il Papa, questo amore lo ispira ai chierici, lo vuole vivo nel popolo. Ai chierici raccomanda tante e tante volte di tenere ogni anno almeno una predica sul Papa, una sulle missioni, una sulla buona stampa».166
Quasi alla maniera di San Francesco, che si dirige a Roma per presentarsi al Papa, Don Alberione incomincia l’anno 1922 con il viaggio a Roma per portare alla Sacra Congregazione dei Religiosi la lettera di presentazione, redatta da Mons. Re, della Pia Società San Paolo.
Benedetto XV aveva promosso e incoraggiato la stampa cattolica e aveva istituito l’Opera Nazionale della Buona Stampa. Don Alberione era convinto di ottenere l’approvazione del Papa per il nascente apostolato: «Dal giorno 2 al giorno 8 gennaio il nostro Sig. Direttore fu a Roma per importanti interessi della Casa. Fu ammesso ad udienza privata del S. Padre, che ebbe la fortuna di vedere negli ultimi giorni di sua vita, di cui ci portò la Benedizione».167
La morte di Benedetto XV, il 22 gennaio 1922, costituisce perciò una prova dolorosa per la Casa: «Negli ultimi giorni ancora, quando il nostro Direttore gli riferì di giovani e di figlie che avevano abbracciato questa Missione come loro vita, Benedetto XV accolse la notizia con sentita gioia, e fissando lo sguardo penetrante ed eloquente in chi gli parlava, benedisse con effusione di affetto lui e tutta la sua casa, e tutti i suoi cooperatori».168
109
[DFst 43-44. 49-50. 95-97] Intanto nella Casa regna una convinzione: i tempi apostolici rivivono. La Pia Società San Paolo viene presentata come un seminario per la formazione dei missionari e delle missionarie della Buona Stampa.169 Il quadro di riferimento sono i tempi apostolici: «Gli inizi del Cristianesimo sono il suo periodo d’oro. Leggiamo sempre con commozione, con frutto, con passione le pagine del Vangelo, quando gli Apostoli alla scuola di Gesù gli dicevano: Maestro, insegnaci a pregare; quando le turbe si accalcavano per ascoltare la parola di vita eterna del Divin Maestro; quando i giovani gli si avvicinavano con fiducia e domandavano: Maestro, che cosa debbo fare per acquistare la vita eterna? [...] Magnifiche le scene in cui gli Apostoli si radunavano attorno a Maria, Madre di Gesù. Ella era la Madre, la Maestra, la Regina degli Apostoli, li illuminava, li dirigeva, pregava... [...] Magnifica la prima Pentecoste cristiana degli Apostoli, guidati da Maria SS. nella prima e più importante novena allo Spirito Santo. [...] E ancora: impressionano intimamente ed edificano le descrizioni degli Atti degli Apostoli, quando S. Paolo compiva i suoi viaggi di evangelizzazione e i grandi dell’areopago lo invitavano ad esporre la nuova dottrina nel più celebre consesso del mondo; e i cristiani da lui convertiti restavano dal tramonto a mezzanotte e poi da mezzanotte al mattino ad udire la sua parola... [...] I tempi apostolici rivivono».170
110
[DFst 48-53. 93-97] Nella Pia Società San Paolo, uomini e donne sono coscienti che «una sete inestinguibile di leggere e d’apprendere tormenta l’umanità e tutti invocano giornali e libri: li chiedono i fanciulli, gli adulti ed i vecchi; le persone intellettuali ed i lavoratori del braccio, e dalle missioni giunge insistente a noi la voce dei vicari apostolici e dei missionari, i quali chiedono l’elemosina di libri, di libri buoni, di molti libri...».171
D’altra parte sentono il comando imperioso della Chiesa: «Create giornali cattolici, diffondete la buona stampa! Oggi abbiamo, più che mai, bisogno di una buona stampa; benedetto l’apostolato della buona stampa!».172
La risposta dei nuovi apostoli, oggi come agli inizi del cristianesimo, sarà quella di stringersi al Maestro Divino, farsi guidare dalla Regina degli Apostoli, orientarsi secondo San Paolo per annunciare il Vangelo coi mezzi più celeri: «Insegneremo con efficacia la dottrina del Salvatore, se prima come gli Apostoli, ci stringeremo attorno al Maestro. È una devozione che maturerà in questi tempi di apostolato. E si svilupperà pure la devozione a Maria, Regina degli Apostoli, [...] che guiderà i nuovi Apostoli alle nuove mirabili conquiste... [...] A S. Paolo, l’Apostolo, il Dottore, il Predicatore, il Maestro delle Genti, il Prigioniero di Gesù, il Cavaliere dello Spirito Santo, si orientano quanti oggi s’affaticano per risolvere cristianamente le più gravi questioni religiose, sociali e politiche; quanti bramano penetrare di cristianesimo puro le masse e far del bene coi mezzi più celeri; quanti conoscono più addentro il suo spirito, lo pregano e ne sono divoti, e la divozione a S. Paolo si allargherà e si ingigantirà pure in questi tempi di apostolato e si diffonderà tra chi è dedicato all’apostolato e tra chi vuole vivere una vita cristiana robusta».173
111
[DFst 48-51. 52-53. 93-97] Sorgente feconda delle ispirazioni di Don Alberione sono stati, fin da giovane, la preghiera e l’approfondimento degli appelli dell’attualità, alla luce della Parola di Dio: «La vera forza reggitrice degli affetti del cuore, motrice nel regno invisibile del pensiero, nell’unione intellettuale e morale, individuale e sociale, che scorre in tutti i secoli, che si dilata in tutte le nazioni è la potenza della parola. Parla l’uomo e parla Dio» (SC 155). L’ascolto della Parola aveva radicato in Don Alberione la profonda convinzione che il Vangelo presenta Gesù attorniato da apostoli e discepoli, uomini e donne: «Tra i grandi spettacoli di fede e di zelo che noi ammiriamo nella Chiesa uno ve ne ha che più d’ogni altro si rende mirabile: il vedere la parte esercitata dalla donna nel propagare la fede: la donna apostola di fede e morale. - Accanto a Gesù ed alla sua scuola noi troviamo donne che propagano la sua dottrina: a dilatare la fede cristiana concorsero assai e le regine e le dame e le povere donne del popolo, spose, madri o figlie che si fossero».174
Non solo uomini, dunque, ma uomini e donne.
112
[DFst 53-54] Nell’approfondire tale lettura del Vangelo, che evidenziava il ruolo delle donne, Don Alberione si è valso di molte opere. Qui non possiamo non ricordare due autori tra quelli che lo hanno ispirato maggiormente: R.-F. Rohrbacher175 per la storia della Chiesa176 e Gioacchino Ventura.177 È noto che Don Alberione conosceva le opere di questi autori e che, come si vedrà in seguito, ne raccomandava la lettura.
113
[DFst 40-43. 51-53. 58-59. 74-76. 78-79. 93-95] Proprio G. Ventura ha esercitato un fascino tutto particolare su Don Alberione, per il suo zelo e per diversi temi: ad esempio, l’importanza data alla Parola di Dio, la meditazione sui misteri della vita di Cristo, la preghiera, l’eucaristia, la devozione mariana, il continuo riferimento ai Padri della Chiesa e al tomismo, il rapporto tra ragione e fede, l’importanza della donna nell’opera di evangelizzazione e nella vita sociale, l’attenzione alle questioni sociali di attualità.178
114
[DFst 58-61. 78-79. 83-85. 93-95. 99-100] L’omelia su Gesù Cristo in casa di Marta e di Maddalena 179 si rivela importante per comprendere il binomio vita contemplativa e vita attiva nel DF, in tutto il pensiero di Don Alberione, e negli orientamenti dati alle congregazioni femminili. Essa tratta il tema della preghiera e vuol presentare «la grande e sublime dottrina dell’unica cosa necessaria», considerando le condizioni e le opere del servizio di Dio, la sua necessità e l’importanza e il suo premio o guiderdone, nel desiderio di offrire un commento alle parole di Paolo: «Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, cogliete il vostro frutto nella santificazione e raggiungete il vostro fine, che è la vita eterna» (Rm 6,22).
Dopo aver posto l’accento sulla santità come l’ornamento che rende la casa di Marta, Maria e Lazzaro un ambiente gradito al Figlio di Dio, Ventura indica la rinunzia al peccato come la prima condizione per entrare al servizio di Dio e, quindi, descrive un articolato itinerario perché le opere rendano un vero servizio a Dio: «Il ricevere Gesù Cristo intenzionalmente nello spirito credendo in lui è dunque un fargli omaggio della ragione per la fede; riceverlo moralmente nel cuore, serbando la grazia santificante di lui, è un fargli omaggio dell’anima per l’amore; riceverlo realmente nel corpo comunicando alla sua santa mensa è un fargli omaggio della carne per la castità e per la mortificazione; finalmente riceverlo in casa in modo figurativo avendo cura dei poveri, è un fargli omaggio dei beni per la carità».180
115
[DFst 58-61. 78-79. 83-85. 93-95. 99-100] Il Ventura presenta le tre interpretazioni date dai Padri della Chiesa alle parole di Cristo rivolte a Marta: l’interpretazione storica o letterale, l’interpretazione ascetica e l’interpretazione allegorica.
Anche se la sua presentazione del senso storico e ascetico è particolarmente vicina alla proposta di Don Alberione, sembra utile riprendere qui alcuni dei punti dell’interpretazione allegorica.
116
[DFst 58-61. 78-79. 83-85. 93-95. 99-100] In primo luogo si riprende la simbologia della vita attiva e della vita contemplativa: «In quell’istruzione, il divin Maestro avea dichiarato che la condizione unica, indispensabile, come pure la condizione infallibile ad assicurarsi l’eterna felicità, è quella di amar Dio sopra ogni altra cosa e il prossimo nostro come noi stessi. [...] Marta sarebbe il modello dell’amore che noi dobbiamo avere pel prossimo nostro, Maddalena quello dell’amore che dobbiamo avere per Dio. E, secondo san Gregorio ed altri celebri interpreti, Marta espresse in sé la vita attiva, con tutte le sue sollecitudini, Maddalena la vita contemplativa in tutta la sua perfezione. Perciò, riprende san Gregorio, vediamo che il Signore non biasima già l’occupazione di Marta, ma esalta quella di Maddalena; per insegnarci che i meriti della vita attiva son veramente grandi, ma quelli della vita contemplativa son anche maggiori. [...] La cosa veramente necessaria, e il cui merito è compiuto e perfetto e dev’essere preposto a tutto, è dunque soltanto la vita in cui l’anima cristiana, abbandonandosi a Dio, concentrandosi in Dio, mediante l’amore, si spande pure sugli uomini e stende a tutti i loro bisogni la sollecitudine della propria devozione».181
117
[DFst 58-61. 78-79. 83-85. 93-95. 99-100] Sono particolarmente vibranti le considerazioni sulla vita contemplativa: «Le anime più sensibili, le più pietose verso le miserie umane, e infiammate d’un desiderio più vivo di portarvi rimedio, le anime più zelanti della venuta del regno di Dio fra gli uomini, le anime che sentono più al vivo i pericoli, i mali, la perdita dei loro simili e che s’interessano maggiormente al destino dell’umanità e della Chiesa, non si trovano dove che sia in maggior numero che fra i solitari e i contemplativi».182
118
[DFst 58-61. 78-79. 83-85. 93-95. 99-100] Il capoverso sulla forza della preghiera rispecchia anche una profonda certezza di Don Alberione, cioè che la preghiera deve fecondare l’opera d’ogni apostolo: «Gesù Cristo diceva un giorno ai suoi apostoli: La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi. Pregate pertanto il padrone della messe acciocché mandi operai nella sua messe (Matth. IX). È dunque evidente che se è lo spirito di Dio quel che forma i buoni vescovi, i buoni sacerdoti, i missionari, gli apostoli che coltivano le anime, che le mietono nei vasti campi del mondo e le depongono nei granai della Chiesa, è l’orazione quella che li ottiene. Ora, quest’orazione che moltiplica il numero degli operai evangelici e attira sulle loro fatiche le benedizioni celesti che le fanno fruttificare, egli è in particolar modo l’orazione delle anime dedite alla contemplazione, in cui tutto prega, anche lo studio, anche il lavoro, e la cui intera vita altro non è che un’orazione ed un sacrificio non mai interrotti che salgono al cielo in odore di soavità e ne attraggono tutti gli aiuti, tutte le grazie che scemano le miserie e gli scandali dalla terra. Sicché queste anime generose parlano poco di Dio agli uomini, ma parlan molto degli uomini a Dio».183
119
[DFst 58-61. 78-79. 83-85. 93-95. 99-100] I nuovi apostoli sono tali grazie alla vita contemplativa praticata in mezzo al mondo: «Ma non vi date a credere che i contemplativi e i solitari non s’incontrino se non fuor del mondo, nelle Tebaidi, nei deserti, nei conventi divisi da ogni contatto, da ogni commercio col mondo. Ve ne sono, ed in maggior numero di quel che si crede, anche nel mondo. [...] Sono questi nuovi apostoli, questi nuovi banditori della buona novella, questi uomini tanto superiori all’umanità, di cui l’umanità si vantaggia, ammirandoli senza poterli spiegare, che scorrono il mondo e l’evangelizzano, e nei quali si rinnovano ad ogni ora, si manifestano, si perpetuano lo spirito, la vita, le fatiche, i miracoli, i trionfi degli antichi apostoli per la salute delle anime».184
120
[DFst 58-61. 78-79. 83-85. 93-95. 99-100] Dopo aver messo in risalto che «Il divin Salvatore fu [...] il vero modello della vita attiva e della vita contemplativa», il Ventura afferma che Marta e Maria costituiscono una figura e una allegoria di ciò che ha pienamente realizzato Maria, la Madre di Dio: «infinitamente più felice di Marta, che ricevè il Signore in casa sua, la Beata Vergine ricevè il Verbo divino e gli dette un’ospitalità degna di lui nel proprio seno, la cui purità eclissò quella degli angeli, e bello di tutti gli ornamenti della santità. Infinitamente più raccolta e più meditabonda di Maria, sorella di Marta, la Madre di Dio serbava indivisa la parola di Dio nell’animo suo, teneva la mente fissa nella contemplazione sublime né mai interrotta di quella sua parola, e ne faceva le delizie del cuor suo; Conservabat omnia verba haec, conferens in corde suo (Luc II). Infinitamente più gelosa delle due sorelle per far fruttificare la grazia ond’era piena, dopo l’ascensione del Signore la Regina degli apostoli divideva la sua vita divina fra la meditazione delle cose celesti e le opere dello zelo e della carità, consolando i fedeli; dettando il Vangelo e aiutando gli apostoli co’ suoi incoraggiamenti, co’ suoi consigli, colle sue orazioni nell’opera immensa della fondazione della Chiesa (vedi Omel. VIII, Append.). Finalmente nessuno né anche fra gli angeli, avendo intesa meglio della Regina degli angeli ed effettuata la dottrina dell’unica cosa necessaria. [...] È pertanto nella madre del Salvatore che si è adempiuta, in tutto il rigore e in tutta la pienezza della lettera, la vita sublime e perfetta di cui Marta e Maddalena presentarono l’allegoria e la figura. [...] Formati alla scuola del Figlio di Dio fatto uomo e della divina Madre di lui, gli apostoli hanno essi pure unito tutte le opere dello zelo e della carità della vita attiva alle occupazioni della vita contemplativa».185
121
[DFst 68-69] Marta e Maria significano la Chiesa: «È in questa casa che l’amore dell’uomo altro non è che il riverbero, la fioritura dell’amor di Dio; e che l’amor di Dio cresce e ingrandisce per la pratica dell’amor dell’uomo».186
122
[DFst 16. 24-25. 27-28. 35-40. 60-63] Nella seconda parte dell’omelia, sull’importanza e necessità del servizio di Dio,187 il Ventura si ispira a Sant’Agostino per indicare che è Dio, Uno e Trino, quell’unum necessarium del Vangelo di Marta e Maria. E sono davvero tanti i punti di contatto tra il testo e il pensiero di Don Alberione, specialmente nelle pagine che hanno come sfondo la dottrina dell’esemplarismo; la sequela di Cristo Maestro, Via, Verità e Vita; l’antropologia che vede l’uomo uno e trino ad immagine di Dio: «Siccome Dio è trino nelle Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’anima nostra è trina, essa pure, nelle proprie facoltà: la facoltà di formarsi le idee - o di generare da sé, nelle profondità dell’essere proprio, la sua parola interna, il suo verbo proprio -; la facoltà di ragionare e la facoltà di volere».188
123
[DFst 189 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Oltre a questi richiami all’opera Le donne del Vangelo, che hanno un carattere di somiglianza con alcune linee portanti della spiritualità e del pensiero di Don Alberione, possiamo trovare delle convergenze tra i due autori per quanto riguarda la storia, se si prendono in considerazione i volumi di La donna cattolica.189
Nell’opera La donna associata allo zelo sacerdotale Don Alberione scrive: «Molto interessante sarebbe la storia della donna nella Chiesa cattolica ed è da augurarsi che ne sorga presto lo scrittore».190 In realtà, si può costatare che egli fa riferimento esplicito al Ventura: «Ma oltre a tanti altri motivi di speranza noi abbiamo pur questo: in generale la donna è nostra, la donna è cristiana e questa può esserci fortissimo aiuto. Il P. Ventura, dopo aver descritto l’ora presente, ebbe a dire che la Chiesa avrebbe affidato alla donna cattolica una missione ristoratrice, quasi un apostolato».191
Don Alberione si riferisce al primo volume di La donna cattolica, dove, nella prima parte, l’autore presenta la Necessità di occuparsi della donna sotto l’aspetto cattolico, facendo una carrellata storica che va dalle considerazioni bibliche alle problematiche del mondo moderno; e, nella seconda parte, presenta la Cooperazione della donna nella fondazione della Chiesa.
Questa seconda parte, composta di sei capitoli, si rivela di un’importanza straordinaria per approfondire il pensiero di Don Alberione.192
124
[DFst 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Nel terzo capitolo, o paragrafo, il Ventura parla delle donne nella missione di Paolo: Lidia, Priscilla, Evodia e Sintiche. Un risalto di particolare interesse per Don Alberione sulla missione di Febe: «È cosa nota che san Paolo non incaricò un uomo, ma una donna, santa Feba, di portare dalla Grecia in Roma la sua Epistola ai Romani, quel primo commentario del Vangelo, quel capolavoro di esposizione del dogma cristiano. Parlando di questa donna ai fedeli di Roma, al fine della stessa lettera, san Paolo dice loro: Io vi raccomando Feba, che è nel ministero della Chiesa. Io vi prego di bene accoglierla nel Signore, come conviene ai santi di fare: assistetela in qualsivoglia affare potesse aver bisogno di voi, che n’è ben degna, avendo ella assistito molti dei nostri e me medesimo. [...] Ora, essere nel ministero della Chiesa, è alcun che di più che esercitare la carità. Gli affari che Feba andava a trattare a Roma non erano temporali ma spirituali. Un tal passo fa dunque manifesto che questa donna è stata il sostegno della cristianità e dello stesso san Paolo a Corinto, che i più gravi affari della Chiesa erano a lei fidati, e che in compagnia dell’apostolo esercitava una specie di apostolato nella Chiesa».193
125
[DFst 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Il quarto capitolo presenta la vita di Santa Tecla, «la donna che maggiormente aiutò san Paolo nel suo apostolato in Oriente».194 Tecla è l’associata per eccellenza a Paolo: «Sant’Ambrogio la chiama la Compagna dell’apostolo, Socia apostoli [...] perché, in tutto il tempo che l’apostolo dimorò in Asia, la ricca e generosa vergine lo aiutò con tutti i suoi mezzi nell’opera del ministero apostolico; in guisa che Paolo andò in gran parte debitore a lei del buon successo ottenuto in questa contrada. E per verità pare che santa Tecla, come ci dicono gli Atti del suo martirio, col suo ingegno, la sua eloquenza, le sue ricchezze, le sue relazioni, e molto più ancora colla costanza e l’ardore della sua fede e la santità della sua vita, convertisse altrettante anime a Gesù Cristo quante san Paolo stesso colla possanza della sua parola (Cujus fidei ardore et vitae sanctitate, multi ad Christum conversi sunt - Brev. Rom., 23 sept ex actis)».195
Tra tante donne che hanno «assistito gli apostoli e divise le fatiche e le glorie del loro ministero», Tecla è quella che riceve i più grandi elogi dai Padri della Chiesa: «Tale è stata, fra le donne, la più nobile delle discepole di san Paolo, la prima delle vergini spose dell’agnello divino, il primo germe del suo sangue, il primo prodigio della sua grazia, la prima esecutrice dei suoi consigli, il primo testimonio della sua religione, l’alfiere di tante migliaia d’anime sublimi che da diciotto secoli l’hanno seguita nella via della virtù e del martirio. Non solamente sant’Ambrogio, ma e sant’Agostino, san Gian Crisostomo, san Gregorio di Nazianzo, san Gregorio di Nissa ed altri padri hanno celebrato anch’essi le glorie di santa Tecla, e l’hanno ricolma dei più grandi e straordinari elogi. Così doveva essere onorata dalla Chiesa la prima delle meraviglie e glorie della Chiesa, e l’uno dei più begli ornamenti del secolo degli apostoli».196
126
[DFst 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Questa entusiastica presentazione del ministero della donna nei tempi apostolici trovava forte risonanza nell’animo e nei progetti che Don Alberione coltivava da tempo. Agli inizi del 1922, Don Alberione e tutta la sua Casa sentono la chiamata ad essere San Paolo redivivo, cioè a far parte della comunità apostolica vivente oggi, uomini e donne che vivono con gioia il Vangelo e lo comunicano. In questo clima, il 29 giugno vengono ordinati i primi tre sacerdoti, dopo Timoteo Giaccardo, e la sera viene benedetta la nuova cappella dedicata a San Paolo, destinata a diventare, per i membri della casa e gli albesi, «un centro delle principali divozioni che la Pia Società S. Paolo intende diffondere: Divozione al Divin Maestro, a Maria Regina degli Apostoli, a S. Paolo Apostolo...».197
127
[DFst 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Un saggio di questa finalità si è realizzato il giorno dopo, mediante la solenne celebrazione della Festa di San Paolo, con le prime messe dei novelli sacerdoti e l’intervento del Canonico Francesco Chiesa. Durante il Vespro questi intervenne «illustrando i simboli del quadro di S. Paolo: la spada, il libro, lo stilo, e fondendo assieme le frasi di Mons. Swoboda: Se San Paolo ritornasse oggi, continuerebbe a fare il Vescovo: e quella di Mons. Ketteler: Se San Paolo ritornasse oggi, si farebbe giornalista, disse che la missione della Buona Stampa è missione essenzialmente sacerdotale: che per essere apostoli della buona stampa bisogna pur essere sacerdoti: che l’esplicazione più delicata e più efficace dello zelo sacerdotale, del sacerdozio in quanto apostolato è oggi la Buona Stampa».198
128
[DFst 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Nonostante la forte accentuazione sacerdotale, l’insegnamento di Francesco Chiesa voleva essere perfettamente in accordo con ciò che costituiva uno dei cardini del progetto di Don Alberione: l’associazione della donna allo zelo sacerdotale dell’apostolato stampa. Infatti, fin dai primi anni della sua formazione nel Seminario di Alba, Alberione affermava con profonda convinzione che nella Bibbia risiedeva la forza capace di rendere «più rispettata la donna» e di vincere quella cultura che «riduce a strumento di piacere e generazione la donna» (SC 159).
Dopo la costituzione della Pia Società San Paolo, Don Alberione si appresta, perciò, alla costituzione del ramo femminile e in ordine a questo passo, il 22 dicembre 1921, aveva chiesto il permesso al Comune per il raddoppiamento del primo troncone della casa. A maggio del 1922 si annuncia che la costruzione cresce rapidamente;199 a lavori ultimati, verrà occupata dalle Figlie di San Paolo il 10 settembre dello stesso anno.200
129
[DFst 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Diventa difficile descrivere il pullulare di vitalità nella Casa, tra il ritmo incessante delle costruzioni, le iniziative apostoliche, l’aumento continuo dei nuovi e nuove arrivate, la tendenza ad una crescente autarchia. Da parte sua, Don Alberione tutto segue, anche se delega ad altri i compiti di realizzazione, ma soprattutto vuol sostare lungamente davanti a Dio, per rispondere alla divina volontà in tutto.
130
[DFst 53-54. 63-64. 68-69. 83-84. 85. 88. 93-97] Così, dalla domenica 16 al sabato 22 luglio 1922, raduna la Casa per gli Esercizi Spirituali, predicati dal Canonico Chiesa e da Mons. Ugo Mioni. Con enfasi il bollettino Unione Cooperatori Buona Stampa annuncia che anche per le Figlie di San Paolo è giunto a termine il tempo della preparazione, mediante la costituzione della Pia Società Figlie di San Paolo: «Il 22 luglio 1922 è per le Figlie di S. Paolo una data storica. Dopo sette anni di prova, di lavoro nascosto, di sacrificio umile, di preghiera incessante, di vita religiosa ignorata, sabato, 22 luglio, chiudevano la settimana di esercizi spirituali, facevano il gran passo, si legavano perennemente a Dio e alla missione della Buona Stampa coi voti pubblici [privati] costituendo la PIA SOCIETÀ DELLE FIGLIE DI S. PAOLO. Come il ramo maschile, aggiungono ai tre voti ordinari il quarto di fedeltà al Romano Pontefice. Il primo gruppo è di nove: da oggi incomincia la loro espansione».201
Le nove Figlie promettono di dedicarsi «per tutta la vita all’apostolato della Buona Stampa per vivere la vita del Divin Maestro, cogli occhi a Maria Regina degli Apostoli, sulla guida di san Paolo Apostolo».202
Secondo un disegno a lungo preparato e approfondito, Don Alberione impone a Teresa Merlo il nuovo nome di Tecla, la Socia apostoli, e la nomina Superiora generale della Congregazione.
131
1.2.4 «Vivit vero in me Christus» (Gal 2,20)

[DFst 39-40. 57-58 .63-64. 88-89. 93-95. 99-100] Condividendo le responsabilità, l’Alberione chiedeva a tutti piena comunione con lui per realizzare insieme l’opera voluta da Dio: la festa del suo onomastico, posticipata a domenica 30 luglio 1922, ne costituì una forte espressione e un’occasione di slancio vocazionale: «Il Sig. Teologo ci lasciò questi ricordi: un unico fastidio: abbiamo lavorato troppo poco per farci santi; un’unica preoccupazione: lavorare per farci santi; un unico desiderio: farci santi. La festa e le preghiere di domenica han certamente contribuito a farci avanzare un bel passo nella divozione verso il Padre, che la misericordia di Dio ci ha dato a guida, a sostegno, a nutritore della più bella delle vocazioni».203
132
[DFst 39-40. 57-58. 63-64. 88-89. 93-95] L’intenso tenore di vita spirituale e di ricerca della santità vissuto da Don Alberione, e proposto alla comunità, può essere intravisto dalle tre pagine del Diario del Beato Timoteo Giaccardo, scritte durante questi Esercizi Spirituali del 1922, che tracciano un quadro generale del suo impegno, alla luce del proposito iniziale: «Gesù Signore, per l’intercessione di Maria, Regina degli Apostoli e di S. Paolo, tu hai riversato in me l’eccesso della tua misericordia e del tuo infinito amore. Mi hai fatto cristiano, sacerdote, religioso e mi hai stretto vicinissimo a te nell’apostolato della B.S. Oh! infinito amore tuo, e infinita mia nullità! Amore richiede amore. Signore, da me tu vuoi tutto: ed io ti do tutto. Sono tuo, o Gesù: tutto tuo per le mani di Maria: Dominus pars hereditatis meae. Ed allora io voglio vivere la tua vita, tutta la tua vita, come S. Paolo, come Maria SS. Vivo... iam non ego, vivit vero in me Christus. Mihi vivere Christus est. Il mio proposito è: umiliare costantemente il mio amor proprio e lavorare all’acquisto dell’amor di Dio, della carità perfetta».204
133
[DFst 57-58. 63-64. 88-89. 93-95] Nella Casa si ha una coscienza chiara della propria identità, tra le varie vocazioni: «Tutti capiscono la necessità di coltivare le vocazioni per la missione del sacerdozio, per le suore di carità: molti intendono la necessità dei missionari e delle suore missionarie: non più tutti, non più molti, pochi sono persuasi che anche la Buona Stampa oggi ha bisogno di vocazioni proprie, vere e sante; di sacerdoti, di scrittori, di propagandisti, di tipografi veri religiosi; di maestre, di scrittrici, di propagandiste, di tipografe, vere suore. Il bisogno di questi religiosi e di queste religiose per la Buona Stampa è però una realtà palpitante: è il sospiro delle anime che meglio vedono la corrente dei tempi, dei cuori che meglio sentono la necessità della Chiesa».205
Il momento storico viene visto come l’ora della Buona Stampa. Perciò, i membri della Casa si sentono portatori e responsabilizzati di un vero mandato apostolico: «Eritis mihi testes: voi mi sarete testimoni nella Giudea, nella Galilea, fino agli ultimi confini del mondo, aveva detto Gesù Cristo agli Apostoli: e i dodici ed i loro discepoli furono testimoni della divinità di Gesù Cristo e della Religione Cristiana per mezzo della predicazione. Poi furono testimoni i Dottori coi loro volumi. Poi furono testimoni i chiostri colla santità della vita monastica. Poi i santi dell’età moderna coi loro istituti di educazione cristiana. Oggi chi rende la principale testimonianza a Gesù Cristo è la Buona Stampa. Il giornale che entra nel tugurio del povero, e nello studio del dotto, e fra le carte del commerciante e va a trovare il contadino in campagna, e riposa sul banco del deputato e sul tavolo del ministro, e sul trono dei re; e dirige la politica e forma l’opinione pubblica, e plasma le coscienze. L’inchiostro dei buoni scrittori vale come una volta il sangue dei martiri. I santi di oggi, i cattolici di azione, i sacerdoti, i Vescovi, i Sommi Pontefici predicano la gravissima necessità della Buona Stampa, ne ammoniscono l’urgenza, ci fan obbligo grave di coscienza l’occuparcene. È l’euntes, docete omnes gentes, del Divin Salvatore, è sempre il comando del Divin Maestro di predicare a tutte le genti, che in ogni tempo si veste della forma più adatta ai nuovi errori, alle nuove condizioni sociali, ai nuovi progressi scientifici, alla nuova vita dell’umanità. Ed oggi prende forma di Buona Stampa. E questo adattarsi della Chiesa a tutte le esigenze dei tempi, questa sua fecondità di produrre contro i nuovi mali nuovi mezzi efficaci di difesa e di evangelizzazione, è un segno mirabile della sua divinità, è il carattere che le assicura perpetuità e trionfo».206
134
[DFst 57-58. 63-64. 88-89. 93-95] Il numero di dicembre dell’UCBS pubblica un resoconto dal titolo Mentre l’anno si chiude, intessuto di gioia e stupore: «E pensiamo: Che l’anno è passato e forse riteniamo con noi molte responsabilità innanzi a Dio, giacché per la Buona Stampa potevamo fare assai più! Che l’anno più non torna; è perduto per il seminatore pigro che poteva spargere molta semente evangelica, e non l’ha fatto! È invece in vista un’ottima raccolta pel buon seminatore che a larghe mani ha gettati pensieri, idee sane con la Stampa Buona. Che noi abbiamo fatto qualche piccola cosa: le persone in casa sono accresciute di cento e più sopra l’anno scorso. Che la piccola cappella fu costruita e che in essa ogni giorno si celebrano sei o sette Messe e si fanno molte preghiere. Che fu terminato un altro tratto della casa, divenuta così capace di 236 persone. Che i bollettini parrocchiali sono saliti al centinaio, da cinquanta del 1921. Che la Gazzetta d’Alba ha cresciuta la tiratura e che si è migliorata parecchio nella tecnica. Che la collezione di letture amene è giunta a 30 volumi. Che la collezione di libri ascetici è giunta a una dozzina di volumi. Che più di mezzo milione di catechismi furono spediti in ogni parte dell’Italia. Che la collezione di libri apologetici s’è di molto accresciuta. Che la potenzialità della tipografia è giunta a poter produrre giornalmente un libro di circa 300 pagine. Che dalla nostra libreria sono ogni giorno venduti in media oltre 2000 libri. Di tutto questo: grazie a Dio solo! Noi siamo servi inutili. Eppure si è fatto nulla! Se si guarda a ciò che è da farsi; e pure noi non vediamo ancora tutto. Anche attualmente avremmo già il lavoro non per 200 persone, ma per 200 mila! Ci manca il personale che scriva, che stampi, che sparga. Sono 8.000 cooperatori? Sì, ma ne occorrerebbero 800 mila che preghino, che aiutino, che diffondano la Stampa Buona. La Gazzetta d’Alba dovrebbe essere il giornale di ognuna delle quarantamila famiglie della diocesi nostra. Le biblioteche popolari hanno un bisogno urgente di letture sane, amene, educative: e per stare a confronto con tanta colluvie di libracci noi abbiamo ancora da percorrere un cammino immenso».207
135
[DFst 57-58. 63-64. 88-89. 93-95] Il resoconto, in cifre, del lavoro compiuto208 e l’afflusso delle vocazioni209 lasciavano presagire una fase di crescita secondo le impellenti necessità di evangelizzazione per mezzo della Buona Stampa, ribadita anche dall’enciclica Rerum omnium, del nuovo Papa Pio XI, che dichiarava San Francesco di Sales patrono dei giornalisti.210
136
[DFst211 9-16. 23. 27-28. 39-40. 54-56. 59-60. 63-64. 70-72. 95-96. 99-100] Per contro, nell’anno 1923, Don Alberione ha vissuto il tratto del suo itinerario umano-spirituale che maggiormente lo ha segnato. Dopo l’esperienza dell’incontro con Gesù Maestro, nel sogno del 1921, la malattia lo ha portato a vivere il misterioso passaggio della nuda fede. Da una parte erano evidenti i segni che la Casa era opera di Dio; dall’altra egli si percepiva in grave pericolo di vita. Poteva contare così solo sulla fede, solo su Dio.211
Tra luglio e inizio di settembre, accolto dal Parroco di Benevello, Don Alberione passò per una esperienza, per certi versi, simile a quella di Ignazio di Loyola ridotto in fin di vita, dopo il ferimento in battaglia. La racconta Sant’Ignazio stesso, parlando di sé in terza persona: «Ma continuava a peggiorare: non poteva nutrirsi e manifestava gli altri sintomi che di solito preannunciano la fine. Il giorno di san Giovanni, poiché i medici disperavano di salvarlo, gli fu suggerito di confessarsi. Ricevette dunque i sacramenti e, la vigilia dei santi Pietro e Paolo, i medici dichiararono che se entro la mezzanotte non migliorava lo si poteva dare per morto. L’infermo era sempre stato devoto di san Pietro: nostro Signore volle che proprio da quella mezzanotte cominciasse a riprendersi; e andò così migliorando che di lì a qualche giorno fu dichiarato fuori pericolo».212
Nel periodo della convalescenza, Ignazio ha vissuto quei primi e intensi passi della conversione che stanno alle sorgenti dei suoi Esercizi Spirituali.
137
[DFst 9-16. 23. 27-28. 39-40. 54-56. 59-60. 63-64. 70-72. 95-96. 99-100] Da parte sua, Don Alberione non si trovava agli inizi dell’itinerario spirituale; stava, però, ricevendo il dono delle più profonde esperienze mistiche. E lo strumento immediato fu proprio il clima degli Esercizi Ignaziani, come testimoniò Suor Angela Teresa Raballo, che lo assisteva a Benevello: «Il Signor Teologo non celebrava più la Messa e neppure poteva recitare il Breviario. Stette per quindici giorni a letto e faceva la Comunione a letto. Ogni giorno si faceva leggere un brano del libro degli Esercizi spirituali di S. Ignazio, che si era portato appresso. Leggevo fino a quando lui mi diceva: Basta ora, ne ho fino a domani».213
138
[DFst 9-16. 23. 27-28. 39-40. 54-56. 59-60. 63-64. 70-72. 95-96. 99-100] Nella prima metà del 1923, Don Alberione aveva atteso agli Esercizi Spirituali nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, del Cottolengo, luogo dove era di casa la fragilità umana. Ora si trovava assimilato ai derelitti, condannato all’isolamento fino alla morte: «Aveva perso la voce, e aveva sempre la febbre... Non dimostrava segni di miglioramento. Se io piangevo, mi diceva: Perché piangere? Non sai che al mio posto verrà uno che farà meglio di me!. Soleva ripetere: Non potendo più tornare in comunità, a causa del mio male, che mi costringe a stare isolato, andrò al Cottolengo di Torino, e là finirò i miei giorni».214
139
[DFst 9-16. 23. 27-28. 39-40. 54-56. 59-60. 63-64. 70-72. 95-96. 99-100] Don Alberione aveva ricevuto la conferma che l’opera da lui intrapresa era opera di Dio, ma ora Dio gli stava chiedendo nientemeno che la consegna della vita, lo separava dall’unico figlio, dal figlio della promessa, appena nato: come per suscitare un nuovo Abramo, dopo l’Alleanza, Dio metteva a prova l’Alberione. Lo chiamava alla fiducia totale, nell’abbandono completo di sé e d’ogni cosa. Era l’esperienza della passività totale, necessaria per sperimentare la gioiosa presenza della grazia. Da questa misteriosa profondità, dal suo sì a Dio solo, Gesù Maestro lo prendeva per mano, per ammaestrarlo e, alla sua scuola, guidarlo, con la profondità di Dio, attraverso la rivisitazione di tutto ciò che portava in cuore. Era giunta l’ora scelta da Dio per suggellare la sua Alleanza, per sempre, con Giacomo Alberione. Ma, come un nuovo Giacobbe, nella notte della malattia, egli era chiamato a lottare con Dio, durante lunghe settimane. Solo così preso dallo Spirito poteva riabbracciare attivamente, in ogni cosa, la volontà di Dio, cercare davvero la sua maggior gloria, trovare la sua pace, unificare l’itinerario finora vissuto, e donarsi totalmente alla comunicazione del Vangelo. Proprio per questo, Benevello fu anche il Sinai, dove Don Alberione cercò, davanti a Dio, il volto da Lui voluto per la Casa, dedicandosi anche alla stesura delle Costituzioni, non appena le migliorate condizioni fisiche glielo consentivano.
140
[DFst 9-16. 23. 27-28. 39-40. 54-56. 59-60. 63-64. 70-72. 95-96. 99-100] Durante i lunghi mesi di sofferenza, Don Alberione si immergeva nella bellezza e urgenza della missione affidata a lui e alla Casa, e, allo stesso tempo, abbracciava fino in fondo il valore della testimonianza, resa secondo la sapienza della croce, ispirata alle parole di Paolo: «Ritengo che Dio abbia messo noi, gli Apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, stolti a causa di Cristo, deboli, disprezzati. Soffriamo la fame, veniamo schiaffeggiati, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani» (1Cor 4,9-12).
141
[DFst 9-16. 23. 27-28. 39-40. 54-56. 59-60. 63-64. 70-72. 95-96. 99-100] Quanto più la situazione umana faceva pensare a un crollo definitivo, tanto più Don Alberione comprendeva che, nell’opera intrapresa, poteva e doveva contare unicamente sulla potenza di Dio: «Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi; portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,8-10).
142
[DFst 9-16. 23. 27-28. 39-40. 54-56. 59-60. 63-64. 70-72. 95-96. 99-100] Don Alberione, come Paolo, si sentiva crocefisso a causa del Vangelo. Ma un bel giorno «Don Alberione non ne volle più sapere né di medici né di medicine, e cominciò a lavorare come prima e anche più di prima».215 E il Signore ha voluto suggellare questo periodo di intensissimo ammaestramento, concedendo a Don Alberione la forte esperienza di uno speciale incontro con l’Apostolo Paolo: «A San Paolo va attribuita anche la guarigione del Primo Maestro» (cf ADds 64).
Questa guarigione certamente fa parte dei motivi per i quali Don Alberione, nel quarantennio di fondazione, dichiarerà pieno di meraviglia e riconoscenza: San Paolo «si è fatta questa famiglia con un intervento così fisico e spirituale che neppure ora, a rifletterci, si può intendere bene; tanto meno spiegare».216
Ricordando questo periodo, ha potuto testimoniare: «Si corsero vari pericoli e di vario genere: personali, economici, accuse in relazioni scritte e verbali: si viveva pericolosamente giornate e giornate; San Paolo fu sempre salvezza... le annate passavano, le previsioni di molti di certo fallimento, le accuse di pazzia... svanivano e tutto si conchiudeva, magari con fatica, ma in pace» (ADds 164.166).
143
2. IL LIBRO DELLA SANTITÀ
«...come ci ha condotti»


[DFst 63-64. 77-78. 95-97] Anche nel corso della malattia di Don Alberione, la Casa continuava, in pratica, con il suo ritmo di sempre, rafforzandosi nelle devozioni principali:217 a Gesù Maestro Eucaristico,218 alla Regina degli Apostoli219 e a San Paolo,220 verso il quale, fin dagli inizi, tutti nella Casa avevano un particolare attaccamento.221
144
[DFst 93-95] Anche la proclamazione della diaconia delle donne nella missione evangelizzatrice, come suore della Buona Stampa, veniva presentata con il solito vigore: «Gli Apostoli si formarono le diaconesse, perché una buona parte di apostolato era più propria di loro: anche accanto a Gesù Salvatore, e come ausiliatrici del Collegio apostolico, stavano le pie donne. La missione di evangelizzare non è esclusiva dell’uomo: in aiuto dei missionari Dio ha suscitato e manda le suore; le grandi missioni, le grandi vocazioni apostoliche, nella Chiesa si completano nei due rami. Ed ecco l’ora della Stampa: il tempo della missione della Stampa: e Dio suscita gli Apostoli della Buona Stampa: e suscita anche le Suore della Buona Stampa, che non solo saranno, come si dice, a posto, ma occuperanno il posto che oggi è di misericordia e di Provvidenza».222
145
[DFst 42-43. 52-53. 74-75. 93-95] Una delle prime e importanti novità, dopo la malattia del Fondatore, è stata l’attenzione alla divulgazione del Vangelo, specialmente in ogni famiglia e nelle scuole. Nel numero del San Paolo (= UCBS) di novembre, Don Alberione lancia l’iniziativa del Vangelo a una lira, e situa l’apostolato Buona Stampa in rapporto alla diffusione del Vangelo: «Rendiamoci famigliari le fonti della nostra fede! Le fonti scaturiscono nel libro del Vangelo: in esso sono gli insegnamenti, in esso sono i miracoli, in esso sono le istituzioni e gli esempi del Divin Maestro: il Vangelo è tutta la Religione cristiana. La Chiesa ha le basi sul Vangelo, e la sua vita è il Vangelo in azione. Tutti i santi sono l’applicazione e l’incarnazione di un versicolo del Vangelo del Divin Maestro, che tutto fece quello che insegnò. Gli Apostoli e i Padri hanno testimoniato il Vangelo, i Dottori e i Teologi lo hanno difeso o spiegato; i sacerdoti predicano il Vangelo, la Buona Stampa prende la forza dal Vangelo, ed è il mezzo più celere per far penetrare il Vangelo nei cuori, nelle famiglie, nella vita sociale e politica».223
L’impegno per la diffusione del Vangelo in ogni famiglia viene motivato con grande forza: «Come Gesù-Ostia vestito di pane viene nei nostri cuori, così Gesù-Parola vestito di carta entri in tutte le famiglie, sia in mano a tutti i cristiani».224
146
[DFst 93-97] Nel dicembre 1923 si sente forte la rinnovata fiducia nella Divina Provvidenza e la Casa è presentata come una «casa di iniziative» pastorali, per l’evangelizzazione, «a fianco e a servizio del ministero parrocchiale».
Prima di presentare il quadro delle iniziative per l’evangelizzazione del popolo, si ribadisce con forza che le iniziative «esistenti saranno sviluppate» e che «altre saranno prese»: «La Pia Società San Paolo per l’apostolato della Buona Stampa è nata nell’ora propizia, e Dio le dà misericordia e grazie, perché vive nella sua ora. La Pia Società San Paolo, come casa non è un ricovero di bambini bisognosi, non un istituto di apprendisagio; ma un seminario di formazione degli Apostoli e dei Missionari della Buona Stampa. Così l’istituto delle Figlie di San Paolo. Come editrice non è una tipografia di esecuzione di lavori commerciali, che intende vivere a stampare libri a più buon mercato: è anche questo un gran segreto di bene: la preparazione esige poi molti adattamenti, come nei missionari che esplorano la terra da evangelizzare. È invece una casa di iniziative: quelle esistenti saranno sviluppate: altre saranno prese secondo che ci guiderà la Divina Provvidenza. La Pia Società San Paolo si pone a fianco e a servizio del ministero parrocchiale, si pone a fianco, accanto ai parroci e intende coadiuvarli per la parte che deve avere la Buona Stampa nell’evangelizzazione del loro popolo. Efficaci iniziative sono ora: l’opera delle mille messe per propiziare Iddio sulla Stampa, il giornale settimanale per l’istruzione delle masse popolari in diocesi; l’opera prosperosa dei bollettini parrocchiali diffusa in tutta Italia, che portano, nelle famiglie, la parola del Parroco e della fede; l’opera delle biblioteche circolanti e popolari che sono pascolo salutare delle molte anime sitibonde di lettura; i depositi-rivendita per la formazione della pietà; l’opera antiblasfema per purificare l’Italia dal cancro che l’umilia e la fa cattiva davanti a Dio; la Società Biblica per la diffusione dei vangeli nel popolo. Oh! il campo è ancora tanto vasto!.... E tutti i Cooperatori devono dar modo di compiere questo bene e di parteciparne».225
147
[DFst 85] Al termine dell’anno 1923, l’Unione Cooperatori Buona Stampa, in un trafiletto dal titolo I nostri bisogni, presenta i progetti per la Casa, che manifestano la piena ripresa di Don Alberione ed una decisa coscienza dei tre punti di riferimento della spiritualità: il Divin Maestro, la Regina degli Apostoli, San Paolo. Tra le nuove iniziative, meritano una menzione particolare quelle della Società Biblica e della costruzione del Tempio dedicato a San Paolo: «Parecchie iniziative della Pia Società S. Paolo prosperano all’ombra benefica del Divin Maestro, della Regina degli Apostoli, del S. Apostolo. Tra esse: La sezione biblica, l’opera delle Mille messe, l’opera dei bollettini parrocchiali, i settimanali della diocesi, il lavoro antiblasfemo, l’associazione generale delle biblioteche, i depositi-rivendita di libri buoni e oggetti religiosi ecc. Tre sono le necessità che più urgentemente si prestano, nell’ordine materiale: 1. una casa distinta per le Figlie di S. Paolo, capace di cento persone almeno; 2. una bella chiesa a S. Paolo; 3. una cartiera per la fabbricazione della carta. Chi conosce da vicino la Pia Società S. Paolo lo vede chiaramente; e invitiamo umilmente i nostri buoni Cooperatori a pregare con noi, pensare ed operare».226
148
[DFst 36. 39-40] Dopo l’esperienza dell’incontro con Gesù Maestro, seguita da quella di annientamento, a Benevello, e dell’improvvisa guarigione, Don Alberione si sente profondamente radicato nell’esperienza dell’Alleanza; la sua presenza nella Casa diventa ancor più incisiva, accompagnata da iniziative ogni giorno più coraggiose, e i suoi insegnamenti, che partono dall’esperienza, vengono unificati in Cristo Via, Verità e Vita.
149
[DFst 36-38] Possiamo dire che è dal libro della vita (= Il tempo dell’Alleanza) che la Casa prende la sua autentica fisionomia (= Il libro della Santità), i cui tratti salienti vengono espressi in modo sobrio e profondo nel libro Donec formetur Christus in vobis, opera che non va separata dal vissuto, fin qui descritto, e dalla sua interpretazione, che ora si tenterà di descrivere.
150
2.1 «IO SONO LA VIA, LA VERITÀ E LA VITA» (Gv 14,6)

[DFst 10. 37-38. 63-64. 95-96] Nel 1923 troviamo nei Cenni storici generali della Pia Società San Paolo un’informazione preziosa sui mesi dedicati a San Paolo e a Gesù Maestro: «A San Paolo si consacra in Casa ogni primo lunedì del mese. Il mese di giugno da principio si celebrò mezzo ad onore del Sacro Cuore e mezzo ad onore di San Paolo: poi il mese di giugno si riservò tutto a San Paolo: al Divin Maestro e al suo Sacro Cuore eucaristico si consacra il mese di gennaio. Il Signor Teologo scrisse le considerazioni per il mese di San Paolo: e queste servono ogni anno per meditazione o per lettura».227
Nella parte del Diario del Giaccardo pubblicata, troviamo informazioni sul mese di giugno dedicato a San Paolo, a partire dal 1918, ma nessuna informazione sul mese di Gesù Maestro.
Molto importante è l’informazione or ora riferita circa le considerazioni di Don Alberione per il mese di San Paolo. Si tratta di un quaderno manoscritto,228 che sta alla base del libro229 pubblicato dal Giaccardo, sotto il titolo Un mese a San Paolo.230
Il manoscritto di Don Alberione sembra risalire ai primi anni della Casa. Si noti l’assenza dei riferimenti a Gesù Maestro Via, Verità e Vita, contenuti invece nell’edizione del suddetto Un mese a San Paolo.
Una breve preghiera, pubblicata in UCBS, nel dicembre 1923, lascia intravedere la massiccia irruzione di Gv 14,6 nella vita della Casa, verificatasi nel 1924: «E tu, Gesù Bambino, Via, Verità e Vita, abbi pietà dei nostri desideri, concedi a noi la grazia di amarti e di lavorare per te, e la tua misericordia fecondi ogni mezzo di bene e l’opera della Buona Stampa».231
151
[DFst 39-40. 77-78] Il numero dell’UCBS del gennaio 1924, come prima delle Notiziette mensili riferisce con precisione e chiarezza sul mese del Divin Maestro, richiamandosi all’esperienza della grazia di conferma, ma ora esplicitata nel rapporto con Cristo Via, Verità e Vita: «Il mese del Divin Maestro. Lo celebriamo a gennaio: un mese di meditazioni, di unione spirituale con Gesù, di visite; pratica e caratteristica del mese è la visita al Divin Maestro eucaristico: adorazione, ringraziamento, propiziazione e riparazione, supplica sugli esempi di Gesù, sugli insegnamenti e sulla grazia che dà il Divin Maestro. Egli è in mezzo a noi: di là, dall’Ostia, egli vuole illuminare. Gesù, il Divin Maestro, è via che dirige, verità che illumina, è vita che santifica. Quanto si esce buoni dalle adorazioni al Divin Maestro!».232
152
[DFst 37-38. 77-78] Questa notizia ci permette di fare una grande luce su questo che è il primo mese dedicato a Gesù Maestro Via, Verità e Vita predicato da Don Alberione e del quale conserviamo gli appunti presi da Don Timoteo Giaccardo.
Seguendo questi appunti si possono intravedere molti punti in comune con il Donec formetur Christus in vobis.
Una prima somiglianza si può individuare nel fatto che il tema di ogni giorno era suddiviso in tre parti, in modo simile ai capitoli del DF. Si noti che la terza parte era generalmente dedicata alla Visita.
153
[DFst 37. 77-78] Ma i punti di contatto riguardano soprattutto i contenuti del Mese al Divin Maestro e, specialmente, la Via Illuminativa di DF.
Il primo giorno è dedicato all’introduzione a tutto il mese: «1°. Gennaio al Divin Maestro: non sappiamo fargli la visita: l’impareremo. 2°. Gesù via, verità e vita sarà l’argomento: esempio, maestro, santificatore. 3°. Porci con ogni intensità alla sua scuola...».233
154
[DFst 40-49] Alla meditazione su Gesù Via sono dedicati nove giorni:234 II - Qui sequitur me; III - Abneget semetipsum; IV - Humilis corde; V - Subditus illis; VI - Veni ut vitam habeant; VII - Ut faciam voluntatem ejus; VIII - Ut faciam voluntatem ejus; IX - Ut faciam voluntatem ejus (quae placita sunt ei facio semper); X - In oratione.
155
[DFst 49-54] Dall’undicesimo al ventiduesimo giorno la meditazione è dedicata a Gesù Verità, presentato specialmente attraverso i temi delle Beatitudini:235 XI - Docebat eos; XII - Ecce mater tua...; XIII - Subditus;236 XIII - Tanquam auctoritatem; XIV - Beati pauperes spiritu; XV - Beati mites...; XVI - Beati qui lugent...; XVII - Beati qui esuriunt...; XVIII - Beati misericordes...; XIX - Beati mundo corde...; XX - Beati qui audiunt...; XXI - Beati pacifici...; XXII - Beati qui persecutionem...
Merita un rilievo particolare il terzo punto dell’undicesimo giorno: «Gesù è qui nell’ostia: di qui egli vuole illuminare...; adoriamolo Divin Maestro... Ringraziamo che ci ha insegnato... Perdona l’aver voluto fare da noi... Doce nos pugnare, orare, amare...».237
156
[DFst 54-63] A Gesù Vita sono dedicati i giorni dal ventitreesimo al trentesimo.238 La meditazione del primo di questi giorni contiene come un solenne enunciato dei temi successivi, e pare interessante riportarla per intero: «XXIII - Ut vitam habeant. Gesù nel discorso dell’ultima cena che dice a Tommaso: Ego sum via, veritas et vita; per andare al Padre bisogna dar mano a me. I. Il Divin Maestro è vita che santifica. Dal Vangelo di S. Giovanni si riceve tra le principali cose subito in vista questa: Gesù è vita: in ipso vita erat... con Nicodemo: ut omnis qui credit vivat... habeat vitam aeternam...; con la Samaritana: l’acqua salientis in vitam aeternam; dopo, il Paralitico: filius habet vitam... verba vitae... Buon Pastore: ut vitam habeant... verranno altre citazioni. II - Vita soprannaturale di grazia, vita di risurrezione, vita di maturità di vocazione... III - Visita su Gesù, è con noi e di qui vuole illuminare».239
I temi dei giorni successivi sono: XXIV - Vita di grazia e di fedeltà: S. Timoteo; XXV - Vita di risurrezione: Conv. di S. Paolo; XXVI - Vita per Maria; XXVII - Qui manducat; XXVIII - Qui manet in me...; XXIX - Sic orabitis; XXX - L’adorazione di chiusa.
157
[DFst 37-38] Dalle fonti finora a disposizione, questo mese al Divin Maestro è espressione della svolta verso la centralità di Cristo Via, Verità e Vita nella vita della Casa, come si può costatare dall’informazione del numero di febbraio 1924 dell’UCBS: «In Casa al Divin Maestro si consacra Gennaio: un artistico quadro ci rappresenta il suo Sacro Cuore: e lo preghiamo che si edifichi anche presto l’altare. Come nel Cenacolo per l’ultima cena, come per la venuta dello Spirito Santo, il Divin Maestro raccolse attorno a sé tutta la famiglia: perché tutta vuole avere attorno sé in Cielo alla mensa del Padre suo. E il Divin Maestro ci ammaestrò: egli è la via, che dà l’esempio, che edifica: come è santa la vita di Gesù! Egli è la verità che illumina, che predica quello che dobbiamo credere e che dobbiamo fare; davanti alla dottrina di Gesù, la sapienza umana, che non è illuminata da lui, è ignoranza ed è stoltezza! Egli la è vita che dà la grazia di credere e di fare, che santifica, che risuscita, che moltiplica i meriti, che matura le vocazioni, che trasforma, e senza di lei siamo morti. Il Divin Maestro insegna, e dà l’esempio della più bella divozione alla S. Madonna, ed ha fatto Lei la tesoriera delle sue grazie. Tutti prendiamo dalla pienezza del Divin Maestro. Il mese si chiuse con l’ora di adorazione: il Divin Maestro è con noi, è nella sua casa; di qui, dal Tabernacolo egli vuole illuminare e la sua famiglia e il mondo... Principale pratica di ossequio fu la visita al SS. Sacramento, al Divin Maestro eucaristico; adorazione, ringraziamento, propiziazione e riparazione e supplica; al mattino i giovanetti facevano la visitina di un minuto. Il Divin Maestro ci portò quest’altra grazia: l’adorazione perpetua che comincierà tra poco».240
158
[DFst 52-54. 85] Risollevato dal rischio di morte precoce, Don Alberione continua nel suo slancio verso la missione, ricevuta e confermata da parte di Dio, adoperandosi per esplicitare le componenti della Casa, tutte racchiuse sotto l’appellativo Pia Società San Paolo. Così, nel numero di UCBS del febbraio 1924, si possono rilevare quattro notizie importanti: l’intenzione di aprire una casa per gli aspiranti alle missioni ad gentes,241 lo schema dello statuto della Società Biblica,242 la preghiera Per chi sente sete di anime come Gesù243 e la fondazione delle Pie Discepole del Divin Maestro.244
159
[DFst 52-53. 76-79] Per Don Alberione la composizione della Casa doveva, come detto in precedenza, rispecchiare l’attualità dei tempi apostolici: uomini e donne associati alla missione di Gesù Maestro.
Adesso è giunto il momento di un nuovo passo in avanti nella fondazione. La Casa si era saldamente stabilita in Gesù Maestro Eucaristico e da tempo si preannunciava una particolare espressione della laus eucharistica.245 Dopo l’esperienza di Benevello, perciò, Don Alberione, il 21 novembre 1923, separa per un’opera, nella casa chiamata Divin Maestro, due tra le allieve della Casa: Orsola Rivata e Metilde Gerlotto. Il 10 febbraio 1924, giorno di Santa Scolastica, si dà inizio ufficiale alla nuova famiglia religiosa delle Pie Discepole.246 Il bollettino dell’UCBS descrive la vestizione delle Pie Discepole - in numero di otto -, avvenuta il 25 marzo dello stesso anno, festa dell’Annunciazione.247 Orsola Rivata riceve il nome di Suor Scolastica della Divina Provvidenza e le viene affidata la responsabilità interna del gruppo:248 Don Alberione l’aveva preparata, affidandole il compito di leggere il libro Le donne del Vangelo.249 Più che per il nome Scolastica, di cui il Ventura non parla, questo libro doveva servire per orientare la nuova famiglia nella sua missione specifica, in sintonia con il disegno generale della Casa,250 che era quello di vivere l’attualità dei tempi apostolici: «Le Figlie di S. Paolo hanno la cura del Vangelo del Divin Maestro: far scuola, scrivere, propaganda, lavoro tipografico. Le Pie Discepole hanno cura del Divin Maestro, e dei suoi Ministri: adorazione, lavori di Chiesa, lavori di casa, di ricamo, e di cucito, e di cucina. Queste portano la divisa, quelle no. Le Figlie di S. Paolo sono religiose, colle probande, colle novizie: ed hanno fatto i loro voti perpetui, nella professione prendono il nome nuovo: e si chiamano Maestre. Le Pie Discepole prendono il nome nuovo nella vestizione, e fanno i voti privati, e si chiamano Suore».251
160
[DFst 85-91] Nell’anno 1924 la Pia Società San Paolo viene presentata come «un istituto di persone viventi in comune a modo dei religiosi allo scopo di santificare se stesse e di diffondere il pensiero e la vita cristiana a mezzo della Buona Stampa; giornali, periodici, riviste, biblioteche, libri, bollettini parrocchiali ecc. In essa possono entrare tanto i Sacerdoti che i laici: prendendo i soliti impegni dei religiosi, cioè castità perfetta, povertà, obbedienza con l’obbligo di condurre vita comune sotto la regola determinata. Per svolgere l’apostolato della Buona Stampa ha varie iniziative; mentre per formare il personale, o gli apostoli della Buona Stampa, ha aperto varie sezioni di aspiranti».252 E si fa sempre l’elenco: sezione operai, giovani studenti, stampa per le missioni, Pie Discepole, Figlie di San Paolo.
161
[DFst 91-92] Il numero dell’UCBS dell’agosto 1924, si apre con un toccante articolo commemorativo dei Dieci anni della Casa:

«Il giorno di S. Bernardo, il 20 agosto 1914 si apriva la Casa. Ai 20 di agosto 1924 si compiono dieci anni. Quanto lavoro della grazia in questo periodo! Il disegno del Padre Celeste si è incarnato, confermato, diffuso, prendendo a mezzo le cose che non sono. Celebreremo con riconoscenza profonda questa data. Tutti i Cooperatori ci siano uniti in quel giorno nella preghiera di ringraziamento, e nell’espressione dell’amore più vivo: una grande misericordia ha usato loro, il Signore! [...]
Lavoro della misericordia di Dio. I primi due alunni sono stati moltiplicati più che per cento: è cresciuto accanto il ramo delle figlie: è nato il gruppo delle Pie Discepole: attorno a S. Paolo sono adunati col cuore, col sacrificio e colla preghiera oltre diecimila cooperatori; per fare del bene e arricchirsi di meriti.
La Casa ha preso nome, forma e struttura: la S. Sede ne approvò l’esistenza e la missione e aperse per essa i tesori delle indulgenze.
La Divina Provvidenza diede casa, cortile, orto, macchine e vari rami di apostolato. L’idea della buona stampa investe i cuori, e Dio domina sovrano col suo spirito, nonostante le infinite ingratitudini, ribellioni e manchevolezze umane. [...]
Il Padre Celeste tiene la famiglia tra le sue braccia amorose. Il titolare, il patrono, il protettore della Pia Società è San Paolo Apostolo, che meglio ha vissuto lo spirito e la vita del Divin Maestro, e meglio ne ha portato il Vangelo alle anime e alle nazioni.
Maria, Regina degli Apostoli, è la madre, la protettrice: Ella ha formato il Salvatore: a Lei sono dedicati i Novizi, chiamati i Servi di Maria.
Il culto principale è al Divin Maestro: egli è la via, la verità e la vita. Anche i sacerdoti della Casa, in suo onore sono chiamati maestri. A Lui si fa l’adorazione perpetua, a Lui sono dedicati i postulanti, chiamati i Discepoli del Divin Maestro e le Pie Discepole. Lo Spirito Santo s’invoca ogni giorno. Le altre divozioni principali sono: a S. Giuseppe, all’Angelo Custode, alle anime purganti.
Gli uomini non contano; gli uomini non avrebbero fatto nulla.
La Casa esce dalla volontà di Dio; del resto non avrebbe senso, sarebbe una follia, non vi sarebbe.
Si parla di ammirazione: più mirabile è quello che non si vede: le vocazioni e il sacrificio nascosto dei Cooperatori. Ma questo non l’han fatto gli uomini; l’ha fatto Dio nel suo amore: e la volontà di Dio guida e regge: e tutto si fa per Dio solo. Tolta la volontà di Dio, anche umanamente, è tolta ogni fecondità di vita; vi sarebbe l’aridità in tutto.
Nessuno deve quindi contare sugli uomini e sui patrimoni: il patrimonio è infinito: Dio.
Il primo fine della Società è quindi di far santi i suoi membri: di piacere a Dio, di piacergli in tutto, di odiare il peccato, di servirlo bene, di cercare soprattutto la sua volontà, la sua gloria, il suo beneplacito. Questo si predica.
Il libro principale di formazione sono gli Esercizi di S. Ignazio.
Il principale lavoro che ancor oggi si fa in Casa, è la scelta e la cura delle vocazioni: la B. Stampa ha bisogno oggi di persone, di vocazioni, più che di ogni altra cosa.
Qui sono concentrate le cure più delicate e assidue del Sig. Teologo.
Poi viene l’apostolato: la B. Stampa; non qualunque stampa; ma la stampa che è Vangelo, che è Rivelazione, che è commento del Vangelo, popolarizzazione della divina Rivelazione».253
162
[DFst 91-92] Dopo dieci anni di cammino si incomincia ad usare l’appellativo Paolini254 e, per tutti, uomini e donne, si insiste sulla formazione secondo lo stile della Casa.255
163
[DFst 9ff. 52-53. 93-95. 104-106] Il 31 dicembre 1924, Don Alberione rivolge un caldo saluto ai Cooperatori, articolato in 4 Deo gratias e 6 Ora et labora.256
Da sottolineare che il primo Deo gratias è per lo spirito degli Esercizi di Sant’Ignazio: «Deo gratias! per tutti i beni che ci sono pervenuti, come da unica, inesausta, purissima sorgente, dal Divin Maestro. Lo spirito degli esercizi di S. Ignazio è stato meglio penetrato e la meditazione del fine per cui siamo creati ha gettati sprazzi di viva luce su tutto il cammino della nostra vita. Ho pregato il Signore che vi conceda a tutti la grazia di fare i Ss. esercizii completi, bene, almeno una volta in vita. Che grazia è questa!! Molti di noi l’hanno già ricevuta».257
164
[DFst 52-53. 63-64. 89. 91-95] Come espressione dello spirito della Casa vengono indicati il Vangelo, le lettere di San Paolo e gli Esercizi di S. Ignazio di Loyola: «TRE LIBRI. Saranno spirito e vita per i Cooperatori che se ne faranno pascolo spirituale. Per la Pia Società San Paolo sono i tre libri, diciamoli, fondamentali della formazione. Ciascuno ne faccia uso secondo la sua capacità. Eccoli: Il S. Vangelo, le Lettere di S. Paolo, gli Esercizi di S. Ignazio di Loyola. Il Divin Maestro è via, verità e vita, esempio, luce e grazia. Il Vangelo è il libro del Divin Maestro. Le verità del Vangelo non sono dottrine di uomini. Gli insegnamenti del Vangelo sono insegnamenti vissuti, sono la vita di Dio, ed hanno la più forte efficacia. Le parole del Vangelo contengono le grazie per farsi capire, e per farsi praticare. Chi legge il Vangelo cammina come piace a Dio. Le Lettere di S. Paolo, formano le anime e i cuori all’apostolato: formano gli apostoli secondo il cuore di Gesù, gli apostoli sodi, gli apostoli santi, gli apostoli fecondi, gli apostoli del tempo: insegnano il segreto della coltivazione, forniscono il seme, insegnano il segreto di far produrre il campo seminato. Gli Esercizi di S. Ignazio hanno una potenza spirituale portentosa. Pongono la vita dell’uomo sulla vera base, e orientano a Dio, danno il senso alla vita. Organizzano la vita spirituale ed educano a viverla con frutto».258
165
[DFst 52-53. 63-65. 91-92. 99-100] A partire dal numero di marzo 1925 passano ad occupare il primo posto, nel bollettino dell’UCBS, gli articoli su La nuova chiesa di S. Paolo in Alba, o La chiesa della Buona Stampa, o Il tempio a S. Paolo.
Si mette in evidenza come il nuovo tempio racchiude la spiritualità della Casa,259 che ha per centro Gesù Maestro, Via, Verità e Vita: «È la Chiesa dei missionari della buona stampa: la chiesa è incorporata alle case: e le case sono concorporali alla Chiesa: come nelle parrocchie, accanto alla Chiesa vi sono le sale per le scuole di catechismo, accanto alla Chiesa di San Paolo, incorporate ad essa, un tempio solo con essa, sono le case per i figliuoli e le figlie di S. Paolo. La pianta lo riproduce: le case sono come coretti della Chiesa: in essa sono istruiti, sono educati, sono preparati i missionari della buona stampa: e in essa i piccoli missionari scrivono e lavorano per la diffusione del regno di Dio. Il Divin Maestro nella Chiesa diffonde i suoi raggi che sono la via, che sono la verità, che sono la vita: e questi raggi in casa per il cuore, per l’animo, e per la bocca dei superiori, formano gli apostoli della stampa: e per la penna, caratteri e le macchine della casa illuminano le anime, le dirigono, le vivificano. E di qui partiranno i missionari della buona stampa per i paesi di Missione».260
Presentando la pianta ancora incompleta della chiesa si aggiunge: «Essa sarà aperta al pubblico, specialmente per comodità di accostarsi al Sacramento della Penitenza; vi si farà l’adorazione continuata, notte e giorno, innanzi a Gesù esposto; servirà in modo particolare per il servizio religioso della Pia Società San Paolo,261 di cui sarà il centro di Via, Verità e Vita».262
Suscita ammirazione pensare come, nel breve periodo che va dalla fine del 1923 alla metà del 1925, si sia affermata, in modo così profondo e ampio, la centralità di Cristo Via, Verità e Vita nella vita e nelle opere della Casa. È un tratto molto importante, da tener presente nella lettura di Donec formetur Christus in vobis.
166
2.2 «DONEC FORMETUR CHRISTUS IN VOBIS» (Gal 4,19)

[DFst 39-40] Nel Mese del Divin Maestro, del 1924, troviamo queste affermazioni: «Gesù via, verità e vita sarà l’argomento: esempio, maestro, santificatore»;263 «Coepit facere et docere: via edificante; e verità illuminante»;264 «Il Divin Maestro è vita che santifica».265
167
[DFst 39-40. 61-62] I parallelismi tra via-esempio-edificante; verità-maestro-illuminante; vita-santificatore-santifica costituiscono un chiaro richiamo a Gv 14,6, nella chiave delle funzioni salvifiche di Cristo.266 Ed è proprio questa chiave ad indirizzarci verso tre opere di Francesco Chiesa, che costituiscono una prima esposizione di Via, Verità e Vita e si collocano nella prospettiva delle linee di DF: Gesù Cristo Re,267 Gesù Maestro 268 ed Ego sum Vita:269 «Euntes ergo, docete omnes gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis (Matt. XXVIII, 18). Andate dunque, istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutto quanto vi ho comandato. In queste parole è chiaramente espressa la triplice potestà del regno di Dio: la potestà dottrinale, docete; la potestà sacramentale, baptizantes; la potestà giurisdizionale, servare omnia quaecumque mandavi vobis».270
168
[DFst 37-38. 40-41] Il libro Gesù Cristo Re 271 è un commento all’enciclica Quas primas, pubblicata da Pio XI in occasione dell’istituzione della festività di Cristo Re, al termine dell’Anno Santo del 1925,272 e può essere considerato come espressione della funzione salvifica di Cristo Via, o potestà giurisdizionale.
169
[DFst 37-38. 60-61. 65] Specialmente la seguente parte di un capoverso dell’enciclica ha ispirato molte pagine del libro Gesù Cristo Re: «Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza che ha in modo sovraeminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché egli è Verità, ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con ubbidienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché colle sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella carità di Cristo che sorpassa ogni comprensione (Ef 3,19) umana e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai sarà in avvenire quanto Gesù Cristo».273
170
[DFst 40-41. 44-45. 48-49. 51-54. 60-61] Francesco Chiesa dedica, perciò, tre capitoli al Territorio del Regno di Cristo, ossia alla mente, ai cuori e alla volontà. Dedica anche diversi capitoli alla Estensione del Regno di Cristo. Per commentare DF conviene ricordare, specialmente, questi: Il Regno di Gesù Cristo in noi,274 Il Regno di Gesù Cristo nella mente,275 Il Regno di Gesù Cristo nella volontà,276 Il Regno di Gesù Cristo nei cuori,277 Il Regno di Gesù Cristo nel nostro corpo.278
171
[DFst 16. 44-45] Questa visione della mente, volontà, cuore e corpo come espressione della totalità della persona umana viene ripresa e sviluppata nel libro La chiave della vita.279 Non si ribadisce mai sufficientemente l’importanza, per la spiritualità paolina,280 di questo libro tanto caro a Don Alberione, che lo ha ripreso in un capitolo di DF.281
172
[DFst 39-40. 49-50] Ma il trinomio esempio-illuminare-santificare, come espressione di Gesù Via, Verità e Vita, viene svolto in maniera semplice e insieme avvincente da Francesco Chiesa, dietro precisa sollecitazione di Don Alberione, nel libro Gesù Maestro.282
173
[DFst 49-50] Nella Prefazione l’autore traccia il piano dell’opera: «Il presente libretto è diviso in tre parti: nella 1.a parte si tratta della necessità di un maestro; nella 2.a si mostra come Gesù sia appunto il vero Maestro, e se ne espongono le doti, il metodo, e la materia d’insegnamento; la 3.a parte insegna il modo di trar profitto dall’insegnamento del Divin Maestro».283
174
[DFst 49-50. 51-52] Nella prima parte, in 6 capitoletti o letture, come l’autore li chiama, il Chiesa tratta del vero Maestro, della necessità del Maestro da parte della nostra natura, da parte della persona umana, da parte del discepolo284 e da parte della materia da apprendersi.
175
[DFst 39-40] La seconda parte, su Gesù vero Maestro, è composta da 19 letture e svolge ripetutamente, da diversi punti di vista, il trinomio via, verità e vita, secondo la triplice funzione di Cristo, considerato come luce, esempio e santificatore.
176
Le prime quattro lezioni trattano di Gesù vero Maestro per natura, per vocazione, Maestro necessario e Maestro per accettazione universale. Seguono due serie di tre letture sulle doti di Gesù Maestro.
177
[DFst 39-40] Nella prima serie vengono presentate le doti di Gesù: la scienza, l’esemplarità e la carità, che corrispondono a verità-via-vita.
178
[DFst 51-52] La prima dote di Gesù Maestro è la scienza (Ego sum veritas, Gv. 14,6):285 «Le doti di un maestro comune sono di tre specie: intellettuali, morali, pedagogiche. Le doti intellettuali si compendiano nella scienza. Il maestro deve ammaestrare, ossia insegnare e comunicare la dottrina, la scienza. [...] Vediamo come in Gesù vi sia la prima dote, ossia la scienza: scienza della verità da insegnarsi, scienza dei discepoli da ammaestrare, scienza del metodo da usarsi».286
179
[DFst 52-53] Conviene qui mettere in risalto le considerazioni sul metodo di Gesù Maestro: «Dalla duplice scienza della verità da insegnarsi e del discepolo da ammaestrarsi procede la possibilità di un’altra scienza, non meno necessaria, che è quella del metodo. Vi sono studiosi dottissimi che sanno però solo per sé. Quando debbono comunicare agli altri la loro scienza si mostrano impari affatto, o molto al disotto della mediocrità. E perché? Perché non conoscono il metodo d’insegnamento. Metodo è la via da seguirsi: non conoscere il metodo è non conoscere la via di far giungere la verità alla mente del discepolo. Ora chi non conosce la via di far giungere la merce a destinazione, è evidentemente in pessime condizioni. Chi invece conosce bene il metodo si trova nella possibilità di far intendere presto e con agevolezza ogni più difficile verità. Ora nel Maestro divino Gesù noi troviamo, a riguardo del metodo di insegnamento, una scienza pari alle due prime già considerate: scienza altissima, piena di prudenza e di praticità; scienza infinita che noi siamo incapaci di penetrare a fondo. Però anche il poco che noi possiamo intravedere è sufficiente a darcene una qualche idea. Il metodo d’insegnamento sceglie il tempo, il luogo, il modo, le persone».287
180
[DFst 48-49] Tra le doti morali di Gesù Maestro, il Chiesa mette in risalto la sua esemplarità di vita (Exemplum dedi vobis, Gv XIII,15): «Gesù, supremo maestro della vita morale dell’uomo e perfetto conoscitore della natura umana, non poteva non mettere in primo luogo l’esempio. L’esempio fu la prima battuta della sua opera redentrice: Coepit facere, et docere (Act I, 1). Anzi, tutta la sua vita fu un modello da imitare, incominciando dalla sua nascita, fino alla morte».288
181
[DFst 37-38] Il Chiesa considera anche un’altra dote morale del Divin Maestro, che riassume in sé tutte le altre, ossia, la carità: «Questa è la luce della quale soprattutto si compiacque ammantarsi Colui che, essendo disceso dal cielo per amore, pure nell’amore voleva compiere la sua missione. S. Francesco di Sales su quelle parole: Benignitas et humanitas apparuit Salvatoris nostri Dei (Tit III, 4), osserva che apparve Gesù prima benigno che uomo. Come il sole incomincia a spandere la sua luce nell’alba, nell’aurora, prima d’apparire colla sua orbita, così il Salvator nostro Gesù incominciò a diffondere raggi di benignità anche prima di apparire colla sua persona. Vediamo quanto sia importante nel maestro la dote della carità e come Gesù l’abbia esercitata nel suo magistero, colle parole e colle opere».289
182
[DFst 37-38] Nella seconda serie di letture sulle doti di Gesù Maestro il Chiesa si compiace di usare le parole terpetica e plastica pedagogica, parole rare in verità, ma che esprimono efficacemente il suo insegnamento: «Oltre le doti intellettuali e morali sono necessarie al maestro le doti, così dette, pedagogiche, che appartengono al modo, o metodo di insegnamento. S. Agostino, parlando appunto del maestro di religione, dice che gli sono necessarie tre cose: ut doceat, delectet, moveat. Sono precisamente le tre doti pedagogiche che appartengono ad ogni maestro: ut doceat, e di qui quell’arte che si dice didattica; ut delectet, onde la terpetica, ossia l’arte di piacere ed interessare la scuola; ut moveat, e a questo giova la suprema arte di plasmare i caratteri e che si può chiamare perciò plastica pedagogica. Noi considereremo qui la didattica del Divin Maestro, e vedremo la sua importanza, e come Gesù l’abbia praticata nelle similitudini e parabole evangeliche».290
Come si può vedere, Francesco Chiesa propone la dinamica verità, via, vita con ottica gioiosa e progressiva.
183
[DFst 49-51] Come corrispettivo di verità, presenta l’illuminazione della mente in termini sponsali: «L’illuminazione della mente non è tutta l’educazione, ma è parte di sommo valore. Come Dio Creatore, prima di ogni altra cosa, creò la luce: fiat lux; così nell’anima dell’educando, prima di tutto è necessario far luce... E questo per mezzo dell’insegnamento della verità. Ora intelletto e verità sono come lo sposo e la sposa. Si cercano l’un l’altro continuamente, perché dal Creatore furono destinati ad essere uniti in matrimonio perpetuo. Ma prima che questo desiderato matrimonio si realizzi, precede un intiero romanzo di dure e difficili peripezie. Quante fatiche prima che l’uomo possa unire il suo intelletto alla scienza legale e divenire dottore in legge! Alla scienza dei numeri, ed essere proclamato professore di matematica! [...] Si tratti pur solo dell’unione della mente con una sola verità, p. e. di capire il modo di addizionare due numeri. Si avvera sempre la medesima cosa: il matrimonio della mente colla verità. La didattica è destinata e a diminuire le difficoltà di quell’unione e ad accelerare il tempo».291
184
[DFst 40-45. 48-49] Come corrispettivo di via, Francesco Chiesa presenta la terpetica pedagogica di Gesù: «È questa la seconda delle doti pedagogiche necessarie al maestro: l’arte di dilettare e interessare gli alunni: ut delectet, come dice S. Agostino. Che una tal arte sia nel maestro di somma importanza, è facile ad intendersi sia che la scuola sia diretta all’istruzione della mente, sia che voglia procurare anche, come è dovere, l’educazione della volontà. Nell’un caso e nell’altro è sempre cosa di somma importanza saper interessare. Se si tratta di educazione la cosa è evidente. Allora bisogna spingere la volontà alla virtù che è per se stessa dura e difficile, ed è necessario saper eccitare la stima e l’ammirazione verso di essa. Lo scopo vero dell’arte sarebbe appunto questo. Tra il conoscere la verità e praticarla c’è di mezzo un abisso. Video meliora, proboque, dice Ovidio, deteriora sequor. L’arte getta il ponte su questo abisso perché la volontà possa facilmente passarlo. È per questo che i libri efficacemente educativi non sono quelli che contengono precetti ma quelli che sono scritti con arte. [...] Se poi si trattasse anche solo di pura istruzione, anche allora è necessario saper dilettare ed interessare la volontà. Dalla volontà tutto dipende: la frequenza della scuola, la diligenza di applicazione, l’attenzione, la riflessione, l’iniziativa, la costanza nel vincere gli ostacoli. Datemi un alunno di buona volontà e sarete certi della buona riuscita. Per questo nei libri di pedagogia si parla tanto degli interessi dell’alunno nelle varie età; e, specialmente nelle scuole moderne, si adoperano tanti mezzi per render la scuola simpatica e piacevole. Si cerca di interessare e dilettare, per potere più facilmente educare. Ecco la terpetica (così detta da térpo - diletto) arte di dilettare o interessare. Un’arte così naturale e necessaria, non poteva esser messa a parte dal Maestro Divino. Anzi Egli che, più di tutti i pedagogisti, conosce a fondo la natura umana, ha usata quest’arte in maniera divina, ed insuperabile. E ciò nella maniera di ammaestrare, nella sostanza della dottrina, e nel modo di confermarla».292
185
[DFst 54-58. 59-60] Come corrispettivo di vita, Francesco Chiesa presenta la plastica pedagogica, facendo inizialmente una considerazione molto importante sulla formazione del carattere: «La vera scuola non si ferma all’istruzione, ma si propone come scopo l’educazione, che alla sua volta deve riuscire alla formazione del carattere. Ecco l’ideale vagheggiato da tutti coloro che si occupano seriamente nel procurare il bene dell’umanità. Come la volontà è la regina delle facoltà umane, così la formazione del carattere è il più alto vertice cui possa giungere l’educazione. Il vero valore dell’uomo dipende da questo; perché carattere è virtù. Senza una buona volontà tutte le altre belle qualità possono divenire un pericolo, come armi da fuoco in mano ad un tristo o ad un pazzo. Tutti siamo chiamati alla perfezione. Haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra (I Thes. IV, 3). Ora solo la perfezione della volontà sta in nostra mano. Nessuno potrà rimproverare un uomo, perché non è bello, sano, robusto, dotto, nobile, ricco, perché queste cose non dipendono da lui. Ma egli meriterà biasimo, se non è virtuoso. La virtù dipende dalla nostra libertà».293
186
[DFst 63-64] Il Chiesa presenta poi le persone formate alla scuola di Gesù: gli apostoli Paolo e Pietro, i martiri e i santi. Quanto ai mezzi di formazione adottati nell’educazione, afferma che insieme ai mezzi soprannaturali Gesù non ha trascurato i mezzi naturali; ma è nella spiegazione di quella che chiama plastica pedagogica, che il Chiesa scrive una bellissima pagina, pienamente condivisa da Don Alberione:294

«La plastica pedagogica non è come la plastica industriale, che fa tutto da sé, ed imprime meccanicamente la sua forma alla materia, come quando si fanno a macchina i mattoni e le tegole, o si fondono le statue in metallo. L’arte plastica pedagogica ha da fare con esseri viventi e liberi e li tratta in modo da rispettarne la natura.
Un essere vivente, tanto più se intelligente e libero, opera per un principio intrinseco ed immanente, ed in ordine ad un fine liberamente inteso e perseguito. Plasmare un tal essere vuol dire formarlo nella sua perfezione, ma avendo riguardo a tutti questi fatti: anzi appoggiandosi su di essi.
Ha, quell’essere vivo e ragionevole, un principio intrinseco che, come dice S. Tommaso, si esplica in due elementi: nella forma, che è dentro di lui e nel fine che sta fuori? Bisogna che l’educatore, o plasmatore, procuri di render sempre più viva ed attiva questa forma, ravvivandone l’attività se la forma è in sé sufficiente, e, aggiungendo potenzialità, se la forma è insufficiente. Quanto poi al fine, deve farlo conoscere con tutta chiarezza e certezza, circondandolo di quegli elementi che possono accrescerne l’attrattiva.
Ha poi, quel medesimo essere libero, bisogno di operare liberamente in ordine al fine? Bisognerà aiutarlo ad abbattere gli ostacoli della libertà, accrescere e stimolare sempre più la forza della volontà, perché con coraggio e slancio corra verso il suo fine.
Solo allora, quando cioè l’essere intelligente e libero abbia acquistato una piena coscienza di se stesso, e, resosi indipendente da tutti gli ostacoli di qualunque genere, avrà acquistato l’abitudine di conseguire il suo fine con energia, costanza ed efficacia, solo allora quell’essere avrà acquistato il suo carattere morale.
Or tutto questo ha fatto precisamente il Divin Maestro coi suoi discepoli.

***

Si vollero raccogliere gli uffizi dell’educatore in questi due versi:
Del savio educator questa è la legge:
Eccita, lascia agir, guida e corregge.
Il primo è l’eccitamento: lo stimolo ad agire. Gesù eccitò coll’insegnamento della verità, col farne vedere la bellezza, col suo esempio, colle promesse fatte a chi ne ascolterebbe le parole, colla forza dei miracoli.
Quale insuperabile eccitamento agli animi nel discorso delle beatitudini! Che fuoco dovette accendere nell’anima degli ascoltanti!
Ma Gesù rispetta sempre la libertà, si vis ad vitam ingredi (Matt. XIX, 17), qui vult venire post me, ecc.
Lascia fare anche S. Pietro che lo rinnega.
Gesù guida i suoi discepoli: Cavete a fermento Phariseorum (Marc. VIII, 15), guardatevi dal fermento dei Farisei.
Gesù corregge: come ha corretto Pietro dopo la colpa e quando non voleva che Gesù andasse alla morte, come ha corretto Giacomo e Giovanni, quando volevano pregare il fuoco sulla città di Samaria e in cento altre circostanze».295
187
[DFst 58-63] Per ultimo, in questa lettura, Francesco Chiesa parla della Grazia, come il mezzo di educazione più importante adoperato da Gesù, e sottolinea l’importanza della preghiera e dei sacramenti.
188
[DFst 37-38] Dopo le doti di Gesù Maestro, Francesco Chiesa tratta della materia del suo insegnamento: «Nelle ultime letture abbiamo considerato le doti del Maestro divino. È tempo che passiamo a considerare la materia del suo insegnamento. Qual sarà questa materia? Val qui la nota regola: In omnibus rebus respice finem. Per qual fine venne Gesù in mezzo a noi? Per indicarci la via della salute. Propter nostram salutem descendit de coelis et incarnatus est. Era dunque logico che Gesù dovesse insegnare agli uomini tutte le verità necessarie alla loro salute. Ora queste riguardano tutto l’uomo che è intelligenza, sentimento, e volontà. L’insegnamento del Maestro viene appunto a soddisfare alle esigenze di queste facoltà. Egli insegna una scienza per la mente, una morale per la volontà, ed un’arte per guarire e fortificare il cuore».296
189
[DFst 43-45] Non è possibile presentare qui l’insegnamento di tutto il libro Gesù Maestro. Però, per approfondire il Donec formetur Christus in vobis, è importante aver presente anche le altre letture che compongono l’opera.
Francesco Chiesa presenta ancora un trinomio di letture sulla materia d’insegnamento di Gesù, che segue da vicino lo schema verità, via, vita: parla della scienza, della morale297 e dei mezzi di salute.
Seguono cinque letture sui mezzi d’insegnamento di Gesù: la sua parola viva, come parola vera, facile ed efficace; l’istituzione degli Apostoli e dei discepoli; l’istituzione della Chiesa; il Vangelo; la presenza del Maestro. La seconda parte si conclude con una lettura sugli effetti del magistero di Gesù.
La terza parte del libro è dedicata ai nostri doveri di fronte all’insegnamento del Maestro Divino: frequenza alla sacra predicazione; lettura del Vangelo; dovere di accettare l’insegnamento di Gesù; doveri di vivere l’insegnamento o, come si legge nell’indice, l’esempio di Gesù; cooperazione a Gesù Maestro con l’insegnamento orale; cooperazione a Gesù Maestro a mezzo stampa (formare gli scrittori, stampare i libri, diffondere i libri).298
190
[DFst 52-54. 74-78] Il libro Ego sum Vita si colloca come un sussidio per approfondire il dono, che si vive nella Casa, della costante unione con Cristo presente nella Parola e nell’Eucaristia: «Il Vangelo è la parola di Dio. Gesù, Verbo ossia parola del Padre, è presente nel Vangelo, come parola che ammaestra, e nell’Eucaristia come cibo che nutre. Vangelo ed Eucaristia sono due modi diversi della presenza di Gesù, come luce e calore sono due manifestazioni del sole. Molto opportunamente nel Congresso del Vangelo, che si tenne in Alba il 30 giugno 1927, il Vangelo si collocò sull’altare, in mezzo a due lumi. Nella Pia Società di San Paolo, in mezzo alle grandi sale tipografiche, campeggia il libro del Vangelo, dinanzi a cui splende una lampada, come dinanzi all’altare del SS. Sacramento. Nell’altare poi della Chiesa, Eucaristia e Vangelo sono insieme continuamente, giorno e notte, esposti all’adorazione in mezzo ai ceri ardenti. Già Tertulliano avea detto che noi dobbiamo alle minime parole del Vangelo la medesima riverenza che ai frammenti dell’Ostia Eucaristica. Ora, nel Vangelo, Gesù dice di se stesso: Io sono la vita: Ego sum vita. Questa parola contiene un senso così profondo, che tutto il tempo della nostra vita non basterebbe a penetrarlo. Specialmente poi ai nostri tempi in cui le esigenze della vita si vogliono elevare a supremo criterio di moralità quanto è utile ed opportuno fissare più intimamente i nostri occhi nella essenziale e suprema e divina vita di Gesù! Egli è non una vita, ma la vita. Se noi arriviamo a vivere questa vita nel grado a noi destinato, basta; non si richiede più».299
191
[DFst 55] Il Chiesa stesso presenta le parti e il contenuto del libro: «Il libro si può considerare diviso in tre parti. La prima parla della vita in genere; nella seconda si spiega che Gesù Cristo vuol essere la nostra vita soprannaturale; e si espone come Egli sia la nostra vita, in che essa consista, gli effetti, i mezzi e i frutti. Finalmente la terza parte insegna in che modo ciascuno di noi può vivere la vita di Gesù Cristo».300
192
[DFst 11-12. 46-47] Più che percorrere le pagine di Ego sum Vita,301 indicando i punti di contatto con il DF, sembra importante sottolineare che il libro del Chiesa presenta, allo stesso tempo, l’ambiente, l’impegno e i frutti proposti dal Donec formetur Christus in vobis.
Ci limitiamo, perciò, a ricordare che Francesco Chiesa indica come meta dello sviluppo della vita proprio il traguardo tracciato da Gal 4,19: «Quando Gesù possa respirare in noi liberamente, quando batta regolarmente in noi il polso del suo cuore, e noi siamo convenientemente nutriti col Pane della vita, che rimane! Resta che Gesù non solo viva in noi, ma ancora cresca e si sviluppi di giorno in giorno, fino alla sua completa formazione: donec formetur Christus in nobis. Oh felici coloro che possono avere tanta fortuna! Or questo non è solo un privilegio di alcune anime. Tutti vi siamo chiamati; perché tutti dobbiamo essere santi: haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra».302
193
[DFst 9-13. 104-106] Grazie alle tre opere del Chiesa, ossia Gesù Cristo Re, Gesù Maestro, ed Ego sum Vita, si può avere una prospettiva davvero ampia per la comprensione di molte delle affermazioni del libro Donec formetur Christus in vobis.
Nella sua versione manoscritta, quest’opera risale almeno al 1927, quando è iniziato il Corso di Meditazioni o Esercizi prolungati per orientare la nostra vita, tenuto da Don Alberione alle adulte della Casa, dall’11 ottobre 1927 al 23 maggio 1928.
194
[DFst 9-13. 17. 37. 67. 104-106] Le meditazioni hanno generalmente avuto una frequenza di tre volte alla settimana; e se ne conservano gli appunti accurati nei quaderni B2.5 e B2.6 di Maestra Tecla Merlo e nei quaderni n. 18, 19 e 20 di Maestra Teresa Raballo. Seguendo questi appunti si può costatare che riproducono sostanzialmente, anche se a volte in un ordine diverso, i capitoli di DF, contenuti nel quaderno manoscritto di Don Alberione, diviso essenzialmente nelle tre parti: Via Purgativa, Illuminativa e Unitiva.303
195
[DFst 9-13. 104-106] Ci si può domandare se il quaderno manoscritto di DF non sia anteriore al 1927. Forse mancano ancora gli elementi sufficienti per confermare questa ipotesi. Quello che è fondamentale è considerarlo non come appunti casuali, ma come frutto del lungo itinerario vissuto da Don Alberione nella sua esperienza intima e nel suo ministero.
196
[DFst 9-13. 17. 37. 67. 104-106] Certamente un importante quadro di riferimento di DF è quello degli Esercizi Spirituali ignaziani, ma riletti da Don Alberione in una sua propria prospettiva. All’interno di questo quadro, Don Alberione amava considerare il noviziato come un corso di Esercizi prolungati, non chiusi, ma svolti nella vita quotidiana.304 Ne fa fede quanto prescritto dalle Regole della Pia Società San Paolo, approvate nel 1927, nel decimo articolo riguardante il noviziato: «Il noviziato è il tempo per cui si devono percorrere le tre grandi vie: la purgativa, la illuminativa, la unitiva, facendo sul libro degli Esercizi di San Ignazio come un lungo e calmo corso di Esercizi Spirituali e perciò le pratiche di pietà del Servo di Maria oltre a quelli del Discepolo, sono l’ora di adorazione e la lettura spirituale (o istruzione) sopra il corso degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio con i commenti degli autori più insigni».305
197
[DFst 9-13. 104-106] Concretamente il Corso di Esercizi prolungati, impartito da Don Alberione, voleva essere una immediata preparazione all’approvazione diocesana del ramo femminile della Casa, in quanto quella del ramo maschile era avvenuta il 12 marzo 1927.306
198
[DFst 83-92] Ottenuta l’approvazione delle Figlie di San Paolo, Don Alberione intensificò la formazione alla vita religiosa. Si conservano appunti di un corso completo sulla vita religiosa, impartito da Don Alberione, a partire dal 28 ottobre 1929.307 Questi appunti giovano ad ampliare il discorso sugli stati di vita, i voti, la vocazione religiosa, ecc., presentati in DF, pp. 83ss.308
199
[DFst 85] In questi anni il lavoro formativo della Casa acquista una risonanza tanto più profonda quanto i membri del ramo maschile e femminile si trovano coinvolti in un’opera che cresceva seguendo un ritmo sbalorditivo.309
A metà gennaio 1926 era stata fondata la Casa di Roma, composta dal ramo maschile e femminile, e ben presto, in UCAS, si è incominciato a pubblicare notizie delle due famiglie, a Roma. Nel 1927 viene acquistata dai Benedettini la Vigna San Paolo, dove nei primi mesi del 1929 si trovano insieme i Paolini, le Figlie di San Paolo e le Pie Discepole del Divin Maestro. Proprio nel dare la notizia dell’acquisto del terreno a Roma viene usato in UCBS, forse per la prima volta, l’appellativo famiglia paolina.310
Nel frattempo si susseguono le fondazioni in altre città italiane: Torino (FSP: 1926), Salerno (FSP: 5 novembre 1928), Bari (FSP: 15 novembre 1928), Verona (FSP: 19 novembre 1928), Sanfré (PD: 10 dicembre 1928), Cagliari (FSP: 5 febbraio 1929).
L’UCBS pubblica le fotografie degli edifici e dei gruppi della Casa di Alba311 e, nel numero commemorativo dei tredici anni di fondazione, presenta Una piccola visione dell’Opera della Buona Stampa in Alba, ossia una foto in cui vengono segnalati 9 punti importanti: 1. Il cantiere del nuovo tempio San Paolo, 2. La cappella San Paolo, 3. La Casa San Paolo, 4. La Casa Divina Provvidenza, 5. La Casa Regina degli Apostoli, 6. La Casa San Giuseppe, 7. La Casa Divin Maestro, 8. La fornace dei mattoni, 9. I grandi cortili.312
200
Mentre esternamente l’attenzione è rivolta alla costruzione del Tempio a San Paolo, che cresce rapidamente, vengono anche presentate nuove iniziative313 e contenuti spirituali.
201
[DFst 52-53. 93-95] Prende volto la Festa del Divin Maestro, celebrata nelle Parrocchie per la diffusione del Vangelo,314 in stretta sintonia con i Congressi del Vangelo, a tal punto che, dopo il Congresso di Bologna (1925)315 e il Congresso di Milano (1926),316 il terzo Congresso del Vangelo si realizza ad Alba, nel 1927,317 presso la Pia Società San Paolo, che aveva preparato per l’occasione anche una grande Esposizione-fiera del libro.318
202
[DFst 63-64. 95-96] Si intensificano e si approfondiscono gli insegnamenti su San Paolo e si raccomanda di dedicare a lui il mese di giugno,319 si divulga l’espressione spirito paolino,320 viene presentata la settimana delle devozioni321 e si raggiunge il punto più alto nella presentazione della spiritualità paolina della Casa, attraverso la pubblicazione per diversi mesi, in UCAS, delle immagini, con rispettive spiegazioni, delle vetrate del nuovo tempio.322
203
[DFst 63-64. 95-96] La festa di S. Paolo diventa un’occasione di raduno della popolazione albese e di grande partecipazione dei Cooperatori della Buona Stampa per un Convegno. Nell’occasione si svolgono, per diversi giorni, le rappresentazioni drammatiche, come il Dramma di Cristo (1925 e 1926),323 San Francesco d’Assisi ‘L’araldo del Gran Re’ (1926),324 Maria di Magdala e Il Figliuol Prodigo (1927).325
204
[DFst 63-64. 95-96] Nel 1928 la festa di San Paolo è celebrata alla fine di ottobre, a motivo della benedizione del tempio San Paolo; e si programma una settimana di solenni funzioni, dal 28 ottobre al 4 novembre. Nel medesimo periodo vengono ordinati nove diaconi, 51 giovani studenti e un buon numero di ragazze vestono l’abito religioso. Ogni giorno si svolgono celebrazioni destinate alla partecipazione popolare e si propongono Esercizi Spirituali, di tre giorni, per la gioventù.326
205
[DFst 93-95] In tutte queste iniziative si può costatare la vicinanza del nascente apostolato paolino alla comunità ecclesiale e, dai semplici Centri di diffusione di libri buoni e oggetti religiosi, propagati negli anni precedenti, si passa a proporre con forza la creazione di nuclei di base dell’apostolato stampa, mediante la formazione di Sezioni Parrocchiali dell’Unione Cooperatori Buona Stampa,327 per ottenere efficacemente il fine proposto dalle Regole della Pia Società San Paolo: «L’Apostolato Stampa è la illustrazione, difesa, divulgazione della Dottrina Cattolica: che si applica alla vita internazionale, pubblica, domestica, individuale onde rendere cristiani gli individui, le famiglie, la scuola, la legislazione, le nazioni».328
206
[DFst 52-53 93-95] Insieme con le iniziative concrete329 e, oltre i tradizionali articoli, si dà inizio, nel bollettino che ormai reca il nuovo nome di Unione Cooperatori Apostolato Stampa (= UCAS), ad una vera teorizzazione dell’apostolato stampa, mediante lo svolgimento di temi, alla maniera delle dimostrazioni delle tesi scolastiche.330 Questi temi verranno ripresi e ampliati nel libro Apostolato Stampa, riassunto in una delle parti del DF.
207
[DFst 96-97] Anche la devozione a Maria Regina degli Apostoli viene approfondita, con riferimenti, ad esempio, all’Enciclica Adiutricem, di Leone XIII,331 e viene divulgata attraverso la pubblicazione dell’opera di Timoteo Giaccardo,332 ripresa in diverse puntate nel bollettino dell’UCAS, a partire dal numero di aprile 1929.333
Più di ogni altro il Giaccardo aveva assimilato il carisma paolino e questo libro ne rende testimonianza grazie alla perfetta integrazione e continuo richiamo alla spiritualità e all’apostolato della Casa.334
208
[DFst 88] Negli ultimi mesi del 1928, mentre si svolge un intenso lavoro per l’approvazione del ramo femminile, Don Alberione perfeziona anche la fisionomia del ramo maschile.
Dalle Regole, approvate nel 1927, infatti la Pia Società San Paolo risulta composta di Sacerdoti, chiamati col titolo Maestri, e Coadiutori laici, chiamati col titolo Signori. Ai probandi si dà il titolo di Discepoli. Da qualche testimonianza335 risulta che nell’ottobre 1928 Alberione abbia proposto ai Coadiutori laici, fino a quel momento sempre presentati come Operai, il nome di Discepoli del Divin Maestro.336
Nella corrispondenza di Don Alberione con Giaccardo troviamo qualche scambio di idee in vista di un modello di abito per i Pii Discepoli, finché viene annunciato l’evento: «Puoi fare due meditazioni: i peccati più gravi, più numerosi, più meditati, più sfacciati e solennemente commessi sono quelli della stampa cattiva; i Pii Discepoli sono anime che con la mortificazione, la preghiera, il lavoro umile, i voti, il vestito di morte (oscuro) sono destinati alla riparazione. Avranno abito nero sulla foggia dell’abito dei Gesuiti laici con il simbolo del Vangelo e Crocifisso. La vestizione la faremo il giorno di S. Paolo».337
Il bollettino dell’Unione Cooperatori Apostolato Stampa presenta un resoconto delle solenni celebrazioni della festa di San Paolo del 1929 e fornisce anche alcune interessanti informazioni sui Discepoli del Divin Maestro nelle intenzioni del Fondatore: «Le feste di San Paolo. Si svolsero durante la settimana dal 29 giugno al 7 luglio. Feste esclusivamente religiose, di molte preghiere, grazie e benedizioni». Dopo aver parlato dell’ordinazione di sei nuovi sacerdoti, il 29 giugno, e delle professioni delle Figlie di San Paolo, il primo luglio, e delle Pie Discepole, il giorno successivo, continua: «Commoventissima riuscì la vestizione dei Discepoli (giovani operai), Mercoledì 3 luglio. Nella preghiera e nel silenzio, coll’esercizio costante delle virtù nascoste, si erano preparati da lungo tempo a questo giorno fortunato. Prima della vestizione spiegò il significato della funzione il Signor Teologo. I Discepoli del Divin Maestro sono i religiosi laici della Pia Società San Paolo. Essi, diceva il Signor Teologo, ci sono carissimi, perché, sebbene ultimi nella esecuzione, furono i primi nell’intenzione. Difatti, già fin dal 1909, il primo pensiero della nostra istituzione fu di radunare un gruppo di anime che si dedicassero in modo speciale a riparare i peccati della cattiva stampa. Ed ecco che oggi, dopo tante preghiere e tanti sacrifici, il Signore ci concede la grazia che il primo gruppo di sette giovani si accostino all’altare per vestire la divisa che li indica morti al mondo e consacrati al Signore, per riparare gli innumerevoli peccati che si commettono specialmente colla stampa cattiva. E ripareranno in modo speciale colla vita mortificata e pia, coll’esercizio continuo delle virtù nascoste, impiegando le loro energie nel campo dell’Apostolato-Stampa. Le loro devozioni principali sono: l’assistenza devota alla Santa Messa, e l’Esercizio della Via Crucis. A loro l’augurio di un Apostolato fruttuosissimo e ricchissimo di meriti; e al Divin Maestro la preghiera che siano tanti suoi Discepoli e tali quali Egli li vuole».338
209
[DFst 55-56] Su questa missione riparatrice non manca certamente un particolare conforto venuto dall’enciclica di Pio XI Miserentissimus Redemptor, sulla Riparazione, pubblicata il 10 maggio 1928,339 ripresa da Don Alberione, pochi giorni dopo, negli Esercizi Prolungati340 e commentata da Francesco Chiesa, con profondità e ampiezza, in un libro preparato nei mesi successivi.341
Questa enciclica viene a inserirsi nell’ampio solco dei riferimenti a Cristo Redentore da parte di Don Alberione, e costituisce un immediato richiamo per la lettura del capitolo Gesù Redentore del DF (pp. 55-56) nella prospettiva della Casa.
210
[DFst 85] Dopo la prima vestizione dei Discepoli, in un articolo su L’ora delle vocazioni, il bollettino dell’UCAS presenta in modo nuovo la Casa, descrivendo fine, mezzi e spirito del ramo maschile, composto di due classi (Studenti e Coadiutori laici-Discepoli), e del ramo femminile, in due sezioni (le Figlie o Suore di San Paolo e le Pie Discepole).342
211
[DFst 88] Il numero dell’UCAS del settembre 1929 continua la pastorale vocazionale343 e fornisce un quadro statistico degli alunni della Pia Società San Paolo (ramo femminile incluso), che raggiungono ormai un totale di 900 presenze, provenienti da 32 province italiane.344
212
[DFst 88] Nel mese di ottobre si inizia in UCAS la presentazione vocazionale dei Discepoli del Divin Maestro,345 e si completa la fisionomia che la Casa manterrà inalterata per alcuni anni e costituirà il quadro delle persone a cui sarà rivolta la proposta formativa del DF.
213
Don Alberione vuole, però, poter contare su un’elaborazione filosofica e teologica, completa, secondo lo spirito della Casa. Questo compito non può che essere affidato a Francesco Chiesa, con cui ha approfondito ogni ricerca e progetto in quasi un trentennio di intercomunicazione.
214
Un passo in avanti in questo senso fu operato con la redazione dell’Introduzione all’Ascetica,346 come Manuale di studio, allo scopo di far «conoscere i principii generali e di mostrare la connessione dell’Ascetica colla Teologia».347
215
[DFst 36] Ripetutamente Francesco Chiesa indica Gal 4,19 come il compito di tutta la vita spirituale: «Il compito della grazia in noi si esprime in vari modi: si dice che esso consiste nell’estendere in noi il regno della perfezione, della santificazione, della virtù, dell’amor divino, o dello Spirito Santo, o il regno di Gesù Cristo; o nell’estendere la vita di Gesù in noi, donec formetur Christus in vobis. È la stessa cosa. Tutto si avvererà allo stabilirsi in noi del regno delle virtù cristiane».348
216
[DFst 17. 28. 37. 67] In una lettera, del 4 novembre 1928, Don Alberione annuncia a Giaccardo: «Ho pensato che il Can. Chiesa potrebbe farci una Teologia».349 Riprende il discorso il 10 gennaio 1929: «Il Can. Chiesa incomincerà la Teologia verso Pasqua a Dio piacendo».350 A settembre annuncia la buona notizia: «La Teologia del Can. Chiesa è in esame dal nostro Vescovo».351 Infine, in una lettera di cui si ignora la data, chiede: «Quando avrai nella Visita, letta qualche lezione del Can. Chiesa, egli desidera che gli dica se ti pare il frutto corrisponderà alla spesa di tempo, energia, denaro».352
Queste lettere testimoniano l’interesse per le Lezioni di Teologia del Chiesa, che racchiudevano per Don Alberione il riferimento teologico per lo spirito paolino della sua famiglia religiosa.
In realtà questo Corso di Teologia, in quattro volumi, costituisce il quadro di riferimento entro cui Don Alberione ha completato il lavoro di stesura definitiva del DF, specialmente per quanto riguarda la Teologia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Non essendo possibile, però, presentare qui la stretta relazione tra le Lezioni di Teologia e il DF,353 ci si limiterà, percorrendo il testo, a fare dei richiami nei punti di contatto più significativi.
217
[DFst 70-71] L’intenso lavoro di ricerca di Francesco Chiesa trova un ulteriore sviluppo: egli applica alla formazione del clero la visione teologica esposta nelle Lezioni di Teologia. Ne deriva l’opera: Per l’unità nella formazione del Clero.354
La formazione viene vista come un lavoro di unificazione di tutta la persona. È significativo come questo sia anche l’obiettivo che Pio XI, richiamandosi esplicitamente al testo paolino donec formetur Christus in vobis, assegna all’educazione cristiana, nell’enciclica Divini illius Magistri del 31 dicembre 1929: «Fine proprio ed immediato dell’educazione cristiana è cooperare con la grazia divina nel formare il vero e perfetto cristiano, cioè Cristo stesso nei rigenerati col Battesimo, secondo la viva espressione dell’Apostolo: Figliuolini miei, che io nuovamente porto in seno fino a tanto che sia formato in voi Cristo. Giacché il vero cristiano deve vivere la vita soprannaturale in Cristo: Cristo è la vita vostra e manifestarla in tutte le sue operazioni: affinché anche la vita di Cristo sia manifesta nella nostra carne. Perciò appunto l’educazione cristiana comprende tutto l’ambito della vita umana, sensibile e spirituale, intellettuale e morale, individuale, domestica e sociale, non per menomarla comecchesia, ma per elevarla, regolarla e perfezionarla secondo gli esempi e la dottrina di Cristo» (La Civiltà Cattolica, anno 81°, vol. I, quad. 1911, 25 gennaio 1930, pp. 225-226).
In tale linea, il Chiesa considera cinque modi di unificazione, secondo che si scelga la via della storia, della psicologia, della ragione, della fede, o dell’amor di Dio.
Giungendo al penultimo di questi gradini, il Chiesa afferma che l’unificazione della fede, o sintesi teologica, non basta, ma è necessaria l’unificazione nell’amore, o sintesi mistica: «Ma la fede strettamente presa, da sola, non tocca ancora le ultime sublimità della vita spirituale. Nunc manent fides, spes, charitas, dice l’Apostolo, maior autem horum est charitas. La carità che divinizza la volontà, la quale è la regina di tutte le umane facoltà, è anche la virtù nella quale l’anima umana raggiunge le vette più sublimi della sua elevazione. Si può credere senza amare. [...] Invece nella carità si dà una sintesi nella quale veramente si compie ogni altra unificazione».355
218
[DFst 12. 39-40] Don Alberione condivide pienamente la visione teologica del Chiesa356 e, per la sua famiglia religiosa, indica come meta del lavoro formativo l’unificazione in Cristo, secondo l’indicazione mutuata da Paolo: «Filioli mei, quos iterum parturio, donec formetur Christus in vobis» (Gal 4,19).
219
[DFst 52-53. 85. 93-95] Agli inizi degli anni Trenta, quella che in futuro doveva essere chiamata Famiglia Paolina si trovava in una fase di continua espansione nelle opere,357 nel numero delle persone358 e nelle fondazioni di nuove case.359 Nel 1931, infatti, aveva iniziato anche la sua diffusione in altri continenti.360
Diventava perciò imprescindibile una ratio formationis, che più di un trattato avesse il carisma di una testimonianza, capace di suscitare più vita, in quanto nata dalla vita.
Don Alberione, allora, decide di completare la stesura della sua proposta formativa e la intitola Donec formetur Christus in vobis.361
Il Donec formetur può essere considerato, perciò, come il libro che racchiude in sé tanti altri libri, al fine di ottenere un unico scopo: interpretare quell’inesauribile documento che è la vita vissuta da Don Alberione e dalle prime generazioni paoline, totalmente dediti a corrispondere alla chiamata alla santità.
Per questo non può essere letto semplicemente come una raccolta di scarni appunti, ma va considerato, come giustamente è, il libro della santità paolina.
Roma, 31 dicembre 2000.

ANTONIO F. DA SILVA

220

1 G. D. P. H., Donec formetur Christus in vobis, Meditazioni del Primo Maestro, Pia Società San Paolo, Alba-Roma, 1932. - In molte opere dei primi tempi della fondazione la sigla G. D. P. H. (che significa: Gloria Deo, Pax Hominibus) era utilizzata in sostituzione del nome dell’autore. Vedi il frontespizio (DFst 3) riprodotto a pag. 175 di questa edizione.

2 G. ALBERIONE, Donec formetur Christus in vobis, Edizione critica a cura di A. Damino, Edizioni Paoline, 1985.

3 Sembra opportuno introdurre l’uso di citare questa edizione critica con la sigla DFcr. Presentiamo una tabella di concordanza tra i numeri di pagine del DFcr, del DFms e del DFst alle pagine 281-284 della presente edizione.

4 Le citazioni di passi di questa Introduzione avranno la sigla “DFin” seguita dal rispettivo numero marginale.

5 G.T. GIACCARDO, Diario, 1913-1925 1942-1946, pagine scelte, Edizioni Centro di Spiritualità Paolina, Roma, 1996, 19 novembre 1917, p. 92.

6 Ibid., 3 gennaio 1919, p. 249.

7 Di questo documento si conservano due versioni: il testo manoscritto (= ADms) e il testo dattiloscritto (= ADds). L’edizione del 1985, a cura di E. Pasotti e L. Giovannini, tenta una sintesi delle due versioni. L’edizione del 1998, a cura di A. Colacrai e E. Sgarbossa, parte dalla versione dattiloscritta.

8 Si è preferito citare direttamente l’UCBS, anche se molti dei brani si trovano pubblicati in La primavera paolina (= PP), a cura di Rosario F. Esposito, Roma, 1983. I testi citati nella presente Introduzione potranno essere ritrovati in PP attraverso il relativo Indice analitico (pp. 1257ss) e Indice dei nomi (pp. 1279ss).

9 Il Donec formetur stampato (1932) viene citato con la sigla DFst seguita dal numero di pagina. Cf DFin 5.

10 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione, un uomo - un’idea, Vita e opere del Fondatore della Famiglia Paolina (1884-1971), Edizioni dell’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, Roma 1991, pp. 73ss.

11 Su questo periodo Sr. Mercedes Mastrostefano, FSP, afferma: «I tre eccellenti di Cherasco erano il prof. Giovanni Ferrua, il musicista, padre di don Ernesto Ferrua, compagno di Seminario dell’Alberione; il prof. Bartolomeo Rinaldi, il poeta e il matematico; il prof. Giovan Battista Adriani, lo storico. Tutti e tre insegnavano al Ginnasio ed erano amici di don Montersino, parroco di S. Martino. Nell’anno in cui l’Alberione fece il ginnasio, un anno solo perché poi entrò in Seminario a Bra, non aveva più la possibilità di avere la refezione come alle elementari e allora don Montersino lo invitò a pranzare a casa sua in canonica. Con il parroco c’era il vice parroco don Giuseppe Colombara, la zia Angela e la nipote Vittoria. Don Montersino spessissimo, quasi tutti i giorni, invitava i tre eccellenti a prendere il caffè in canonica. Alberione raccontava: “Non ho mai dimenticato quelle persone che mi impressero l’amore per il libro. La loro conversazione mi affascinava: musica, letteratura, storia, filosofia.... Credo di aver appreso da loro il valore e la gioia del libro e della lettura”. Così la Bonfante [poi direttrice didattica a Cherasco] mi raccontò e scrisse. Aggiungeva che il piccolo Alberione era molto felice anche se molto in soggezione».

12 F. TORBIDONI, Un ritratto grafologico del giovane Giacomo Alberione come risulta dai manoscritti (1900-1907), in AA.VV., Conoscere Don Alberione (1884-1907), Strumenti per una biografia, Edizioni del Centro di Spiritualità Paolina, Roma, 1994, p. 315.

13 Le affermazioni di Don Alberione trovano conferma in recenti approcci ai suoi scritti giovanili: «In Analisi Transazionale si afferma che all’inizio della vita (copione esistenziale) la persona stabilisce un suo piano di vita che può essere definito da una sola parola; quindi lo fa all’inizio dell’età adulta e ancora, ad ogni mutamento importante di questa, ridefinisce il piano mutandolo o confermandolo o, ancora, confermandolo solo in parte (Palinsesti esistenziali). Il copione esistenziale di Giacomo è definibile con un DOPO (la felicità vera e l’amore sono solo dopo la morte, ora, per la poca vita che mi spetta sarò forte e gentile e buono per essere grande). Anche alla fine della adolescenza la scelta copionale può essere riassunta in un “Dopo”, che però si proietta come premio a un duro e lungo lavoro...» (M. T. ROMANINI, Lettura ermeneutica analitico-transazionale degli scritti giovanili di Don Alberione, in AA.VV., Conoscere Don Alberione (1884-1907), Strumenti per una biografia, Edizioni del Centro di Spiritualità Paolina, Roma, 1994, p. 246). Anche dallo studio comparato della sua scrittura risulta che il giovane Alberione «...deve aver sminuzzato i suoi sentimenti e la sua vocazione; deve aver attentamente sviscerato le conseguenze e implicazioni delle scelte compiute e da compiere» (F. TORBIDONI, Un ritratto grafologico..., o. c., p. 315).

14 Cf R. F. ESPOSITO, L’enciclica “Tametsi Futura” e la notte eucaristica del secolo, Società San Paolo, Casa Generalizia, Roma 2000, pp. 320.

15 Cf R. BALLERINI, Il Cattolicismo cadente il secolo XIX, in La Civiltà Cattolica, Serie XVII, Vol. V, Quaderno 1166, 21 gennaio 1899, pp. 170-175.

16 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., pp. 114ss.

17 Cf Manoscritti di Don Alberione, Quaderno 36, a cura del Centro di Spiritualità Paolina, 1993. Utili sussidi per la conoscenza di questo Quaderno: Guido GANDOLFO, Per un primo approccio alla lingua di Alberione nei manoscritti, in AA.VV., Conoscere Don Alberione (1884-1907), Strumenti per una biografia, Edizioni Centro Spiritualità Paolina, Roma, 1994, pp. 145ss; Angelo COLACRAI, “Dio” e “Storia”. Un profilo dello studente Alberione (1901-1907), in Ibid., pp. 165ss.

18 G. ALBERIONE, “Sono creato per amare Dio”, a cura di G. Barbero, Edizioni Paoline, 1980.

19 G. ALBERIONE, Taccuini, n. 2.

20 Cf G. BARBERO, Introduzione, in G. ALBERIONE, Mazzo di fiori a Maria Santissima, Edizioni Archivio Storico Generale Famiglia Paolina, n. 4, Roma, 1981. Nel Mazzo di fiori a Maria Santissima, il giovane Alberione si limitò a copiare «...il libro della Contessa Rosa di San Marco; pensò ricalcarne lo schema, il pensiero ed anche l’espressione verbale, pur concedendosi la libertà di abbreviare, modificare come gli suggeriva l’intimo sentimento» (Ibid., p. 5). «La scelta deve essere stata certamente determinata proprio dal titolo del volume Un Mazzo di fiori, che richiamava alla mente la Madonna dei Fiori di Bra (Cuneo), veneratissima nel locale santuario omonimo. [...] La mamma condusse Giacomino ancora bambino davanti all’altare della Madonna dei Fiori, e a Lei lo consacrò diverse volte» (Ibid., p. 6).

21 G. ALBERIONE, La B. Vergine delle Grazie in Cherasco (La Madonnina). Memorie - Ossequi, Alba, Tip. Albese di N. Durando, 1912, 136 p., 8 ill., 15,5 cm.

22 Cf Lavori vari, n. 4. Quaderno inedito, restaurato e conservato presso il Centro di Spiritualità Paolina.

23 Nel 1933 Don Alberione propone un elenco di santi da imitare nella formazione: «Miriamo a Sacerdoti Santi. 1. S. Gregorio Magno - Pastorale. 2. S. Bernardo - -. 3. S. Francesco di Sales - Ascetica. 4. S. Alfonso di Lig. - Morale. 5. S. Bonaventura - Mistica. 6. Tomaso d’Aq. - Filosofia. 7. S. Agostino - Teologia» (LV01, p. 163).

24 Nella formazione sacerdotale del giovane Alberione ha esercitato un influsso importante il pontificato di Pio X e il suo programma tracciato nell’enciclica E Supremi Apostolatus: «Pure, poiché al voler divino piacque di sollevar la Nostra bassezza a tanta sublimità di potere, pigliamo coraggio in Colui che Ci conforta; e ponendoCi all’opera, appoggiati nella virtù di Dio, proclamiamo di non avere, nel Supremo Pontificato, altro programma, se non questo appunto di “ristorare ogni cosa in Cristo” (Ef 1,10) cotalché sia “tutto e in tutti Cristo” (Col 3,11). [...]
Gli interessi di Dio saranno gli stessi Nostri; pei quali siamo risoluti di tutte spendere le Nostre forze e la vita stessa. Per lo che, se alcuno da Noi richiede una parola d’ordine, che sia espressione della Nostra volontà, questa sempre daremo e non altra: “Restaurare ogni cosa in Cristo”. [...]
Se non che, Venerabili Fratelli, questo richiamo degli uomini alla maestà ed all’impero di Dio, per quanto ci adoperiamo, mai non si otterrà se non per mezzo di Gesù Cristo. “Niuno, così ce ne avverte l’Apostolo, può porre altro fondamento all’infuori di quello che è stato posto, che è Gesù Cristo” (1Cor 3,11). È Cristo il solo, “che il Padre santificò e spedì in questo mondo” (Gv 10,36), splendore del Padre ed immagine della sua sostanza (Eb 1,3), Dio vero e vero Uomo; senza del quale veruno può conoscere Iddio, come si conviene a salute, imperciocché “né il Padre conobbe alcuno se non il Figlio e quegli cui volle il Figlio rivelarlo” (Mt 11,27). Dal che consegue, che instaurare le cose tutte in Cristo e ricondurre gli uomini alla soggezione a Dio è uno stesso ed identico scopo. Qua pertanto fa mestieri volgere le nostre cure a ricondurre l’uman genere sotto l’impero di Cristo; con ciò solo, lo avremo ricondotto anche a Dio.
A voi, o Venerabili Fratelli, si spetta di assecondare le Nostre industrie colla santità, colla scienza, coll’esperienza vostra, e soprattutto collo zelo della divina gloria; null’altro avendo di mira se non che si formi Cristo in ognuno.
Quali mezzi poi sia mestieri di adoperare per conseguire sì grande scopo, sembra superfluo indicarlo; giacché son ovvî di per se stessi. Le prime vostre premure siano di formar Cristo in coloro i quali, per dovere di vocazione, son destinati a formarlo negli altri. Intendiamo parlare dei sacerdoti, o Venerabili Fratelli. Imperocché quanti sono insigniti del sacerdozio debbono conoscere che, in mezzo ai popoli coi quali vivono, essi hanno quella missione medesima, che Paolo attestava di aver ricevuto con quelle tenere parole: “Figlioletti miei, che io genero di nuovo finché si formi Cristo in voi” (Gal 4,19). Or come potranno eglino adempiere un tal dovere, se prima essi medesimi non si siano rivestiti di Cristo? E rivestiti in guisa, da poter dire coll’Apostolo: “Vivo io, non più io, ma vive in me Cristo” (Gal 2,20). “Per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21). Per la qual cosa, benché a tutti sia rivolta l’esortazione di inoltrarsi verso l’uomo perfetto, nella misura dell’età della pienezza di Cristo (Ef 4,13); nondimeno è diretta pria d’ogni altro a coloro che esercitano il ministero sacerdotale; i quali perciò son chiamati un altro Cristo, non già solo per la comunicazione della potestà, ma eziandio per la imitazione delle opere, per cui debbono portare espressa in se medesimi l’immagine di Cristo. [...]
Giacché non è vero che i progressi della scienza estinguano la fede, ma piuttosto l’ignoranza; onde avviene che dove più domina l’ignoranza ivi fa più larga strage l’incredulità. E questa è la ragione per cui Cristo ordinò agli Apostoli: “Andando, ammaestrate tutte le genti” (Mt 28,19).
Perché, però, da questo apostolato e zelo d’insegnamento si raccolga il frutto sperato ed in tutti si formi Cristo, si rammenti bene ognuno, o Venerabili Fratelli, che nulla è più efficace della carità. Imperocché il Signore trovasi nella commozione (1Re 19,11). Indarno si spera di attirare le anime a Dio con uno zelo amaro: che anzi il rinfacciare duramente gli errori, il riprendere con asprezza i vizi, torna sovente più a danno che ad utilità. Esortava, è vero, l’Apostolo a Timoteo: “Accusa, prega, riprendi”; ma soggiungeva pure: “con ogni pazienza” (2Tm 4,2). Certo Gesù cotali esempi ci ha lasciato. “Venite - così troviamo aver Egli detto - venite a me tutti voi che siete infermi ed oppressi, ed io vi consolerò” (Mt 11,28)» (cf La Civiltà Cattolica, Serie XVIII, Vol. XII, Quaderno 1280, 7 ottobre 1903, pp. 129-149).

25 Lettera del 26 aprile 1906. Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., pp. 135-136.

26 G. ALBERIONE, Istruzione I, in Ut perfectus sit homo Dei, Mese di Esercizi Spirituali, aprile 1960, Vol. IV, Quarta Settimana, E. P., Ostia (Roma), 1962, p. 7. Cf Ibid., nel volume unico: G. ALBERIONE, Ut perfectus sit homo Dei, Mese di Esercizi Spirituali, aprile 1960, Edizioni San Paolo, 1998.

27 È significativo che nella predica tenuta il giorno della sua prima Messa (30 giugno 1907) nella chiesa parrocchiale di San Martino a Cherasco, il giovane sacerdote abbia voluto citare l’invito di Gesù “Venite ad me omnes” che lo aveva segnato profondamente nella notte di passaggio del secolo: «Grazie spirituali: Gesù ha guarito tanti infermi, ha consolati tanti afflitti, ha illuminato tanti dubbiosi, ha fortificato tanti deboli. Corrano a lui le vedove, gli orfani, i poveri, i vecchi, i giovani, i ricchi e poveri: egli ha grazie per tutti perché infinito in potenza ed in misericordia: sentite le sue parole: Venite ad me omnes qui onerati et laborati estis et ego reficiam vos: venite a me tutti che siate afflitti o dalle colpe o dai difetti, o dalle perdite di persone care, o da disgrazie materiali: venite tutti, tutti che io vi ristorerò e vi consolerò» (Q007).

28 Cf G. ALBERIONE, Appunti di Teologia Pastorale (Pratica del Ministero Sacerdotale per il giovane Clero), Cav. Pietro Marietti Editore, Torino, 1915

2 .

29 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., p. 154.

30 Cf A. DAMINO, Quaderni autografi di Don Alberione (anteriori al 1914), in Conoscere Don Alberione nostro Primo Maestro, Informazioni dell’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, n. 3 - novembre 1981, pp. 9-18. Questi tre Notes vengono classificati come Lavori vari: 1) Schemi di meditazioni (Notes), 1912-1954 (LV01), 187 p.; 2) Schemi e indice di meditazioni, 1908-1912 (LV02); 3) Schemi di esercizi spirituali, 1909 [?]-1913 (LV03).

31 Don Alberione ha composto un Quaderno di Indice delle sue prediche, che a loro volta occupano alcune decine di Quaderni manoscritti.

32 Nei Quaderni, Don Alberione aggiungeva delle annotazioni come questa che si trova dopo il testo della meditazione seconda su “Io credo”: «Luogo - Tutto Semin. Data - 29 ottobre 1911. Tempo - Bello. Prepar. - Scarsa. Durata - 30 min. Dicitura - Scadente. Effetto - Soddisfacente» (G. Alberione, Quaderno 50, p. 23). In Appunti di Teologia Pastorale, Don Alberione scrive: «Annotando queste cose il predicatore avrà una norma allorché occorrerà di dover ripetere quella predica: rimedierà ai difetti occorsi, riterrà ciò che vi fu di buono» (o. c., p. 258).

33 Ad esempio: «Esercizi SS. ai Ven. Chierici - Ottobre 1911 - Predicatore - P. Giusta S. J. - Poco pratico nelle applicazioni. Piacque poco in generale. - Frutto scarso - non fece riflettere seriamente. Non si entrò nel vero spirito dei SS. Esercizi» (LV03, p 30); «Esercizi SS. ai Ven. Chier. giugno 1912 - Predicatori: P. Latini e P. Mario (Missionari). Molto pratici nelle applicazioni - piacquero assai - Frutto abbondante, poiché fecero riflettere assai» (Ibid., p. 30); «Esercizi SS. ai Chierici - Ottobre 1913. Predicatore: P. Cerutti: pratico e intimo» (Ibid., p. 25b).

34 Cf IRÉNÉE HAUSHERR, Direction spirituelle chez les spirituels orientaux, in AA.VV., Direction spirituelle, in Dictionnaire de spiritualité, fasc. XX-XXI, 1956, col. 1015.

35 «Sulla meditazione - 27 ottobre 1908.
Necessità -
a) per non lasciare inerte la grazia di Dio (fede - speranza - carità)
b) per non lasciare inerti i doni naturali (ragione - volontà - cuore)
c) per togliere le massime cattive (Montar orologio)
d) per poter poi fare il bene agli altri».

36 «Modo di farla:
Prenotandi:
1° non voler giudicare il libro o il predicatore
2° dite pure se vi saranno cose utili a meditarsi
3° faremo gli esercizi in grande - via purgativa, odiare pecc.[peccato] - via illuminativa, virtù di G.[Gesù] C.[Cristo] - via unitiva, i premii» (LV02, p. 1). I punti “a” e “b” dello schema sulla Necessità della meditazione corrispondono rispettivamente al “1°”, “2°” del Modo di farla; e i punti “c” e “d” corrispondono al “3°”. Questi sette punti vengono ampiamente sviluppati in DFst.

37 Alla fine di LV03 Don Alberione compone un indice di 56 temi di meditazione e discernimento ispirati allo “Spirito di S. Franc. di Sales”.

38 P. CHAIGNON, Il prete santificato dalla pratica dell’orazione ossia Corso di meditazioni pei sacerdoti, voll. I-III, Venezia, 1907

5 .

39 F. G. FABER, Progressi dell’anima nella vita spirituale, Cav. Pietro Marietti, Torino, 1872.

40 Per esempio l’“Istruz. X Imitare G. C.” (pp. 31a-31b) ha per sottotitolo «Sancti estote, estote perfecti: ma della santità di G. C.» e termina così: «...ricopiarlo, prendendo ogni mattina qualche esempio di G. C., meditandolo e cercando nel giorno tradurlo in noi come fa il pittore nel ricopiare un gran modello. Donec formetur Christus in vobis, exemplum dedi vobis... Vita Christi manifestetur in corporibus vestris (S. Paolo)». - DFst 44ss.

41 È possibile che questo corso non sia stato solo di tre giorni, poiché gli appunti, che vengono interrotti a pagina 17b con l’Istruzione III, sembra che riprendano a pagina 27 con l’Istruzione VII. I temi infatti si ricollegano. Per esempio, il tema della misericordia annunciato nel secondo punto dell’Introduzione viene svolto nella Meditazione VII, sulla Bontà di Dio (p. 27). Don Alberione ha fatto in questa casa anche gli Esercizi del luglio 1909 e 1910. Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., n. 14, p. 175. Di per sé la Meditazione VIII potrebbe collegarsi agli “Esercizi SS. ai Sacerdoti 1912 - Seminario d’Alba”. In ogni caso, perciò, questo schema di Meditazione sembra anteriore al 1913.

42 Questa Meditazione presenta temi ripresi anche in DF: «Nosce te ipsum = e migliorato dal: noverim me, noverim te (cf DFst 17). ... Donde veniamo?... [...] Che siamo?... [...] A che siamo? Per salvare gli altri e con essi noi».

43 «G.C. è:
Via = poiché per mezzo della sua umanità andiamo alla divinità -
(da Lui fummo redenti - l’umanità ci fa conoscere gli attributi della divinità[)] -
noi dobbiamo pure avere divozione alla S. sua umanità.
Verità = poiché ce la comunicò.
Vita = Chi vive come Lui può dire: vivo ego jam non ego - vivit autem in me Christus».

44 Per la comprensione di Donec formetur sembra importante riportare qui l’inizio della prima meditazione del Quaderno 53, tenuta il 31 marzo 1912, sullo Spirito Santo come Autore della Bibbia: «“Credo nello Spirito Santo”. La Bibbia. 1. Lo Spirito S. è quegli che nel battesimo ci dà la virtù della fede, della speranza, della carità: da Lui vengono i doni di sapienza e intelligenza, di consiglio e di fortezza, di scienza, di pietà, di timore. Da Lui le otto beatitudini evangeliche annunziate dal Signore nel sermone del monte: da Lui i dodici frutti detti dello Spirito S. descritti da S. Paolo: da Lui le ispirazioni, da Lui l’intera santificazione dell’anima, da Lui la Chiesa è resa infallibile e indefettibile. Per parlarvi meno inconvenientemente dello Spir. S. dovrei dunque spiegarvi tutte queste cose: ma il tempo non lo permette. Non posso però tralasciare di occupare un’istruzione sopra una delle opere dello Spir. S. - Essa è d’una importanza straordinaria: essa forma oggi l’oggetto degli studi più profondi e più vari: voglio dire della S. Bibbia. Io sarei ben fortunato e ben riconoscente allo Spir. S. se potessi invogliare un pochino di leggerla anche uno solo: mi sarebbe già più ricompensata la fatica che devo fare per questa predica. Vi dirò dunque: 1° che sia la Bibbia, 2° qualcosa della sua bellezza - 3° quali doveri abbiamo verso di essa» (p. 3).

45 G. ALBERIONE, La donna associata allo zelo sacerdotale (Per il clero e per la donna), Alba, Scuola Tipografica “Piccolo Operaio”, 1915, pp. 342.

46 E. SWOBODA, La cura d’anime nelle grandi città, Studio di Teologia Pastorale, versione italiana a cura di B. Cattaneo sulla seconda edizione tedesca, F. Pustet, Roma 1912, pp. 392.

47 C. KRIEG, Scienza Pastorale, Teologia Pastorale in quattro libri. Versione autorizzata sulla I. edizione tedesca per l’Arciprete Antonio Boni.

48 Per quanto riguarda il Krieg, G. Alberione si riferisce qui specialmente a C. KRIEG, Libro I. Cura d’anime speciale, Cav. Pietro Marietti Editore, Torino, 1913, pp. 652. Cf A. F. DA SILVA, Cristo Via, Verità e Vita centro della vita, dell’opera e del pensiero di don G. Alberione, in AA.VV., L’eredità cristocentrica di don Alberione, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1989, pp. 241ss.

49 C. KRIEG, Enciclopedia scientifica e metodologia de le scienze teologiche, Libreria eccl. Editrice Cav. Ernesto Coletti, Roma, 1913, pp. 392.

50 «Il desiderio innato del sapere ha dato origine a due forme di Enciclopedia: alle compilazioni riassuntive materialmente ordinate; ed all’Enciclopedia formale o scientifica, esposta in forma sistematica. Ciascuna delle due forme ha la sua lunga storia, ambedue hanno un progresso abbastanza armonico, ambedue rispondono a leggi psicologiche. L’enciclopedia formale si è venuta svolgendo a poco a poco da quella materiale, per la sempre crescente somma delle cognizioni scientifiche, che ha condotto ad un più esatto ordinamento ed all’organizzazione sistematica di esse. In particolar modo, dopo la metà del sec. XVIII, accanto ai “lessici” materiali, appariscono delle enciclopedie in numero crescente, opere che non solo abbracciano quasi tutti i rami delle scienze e delle arti, ed in cui la tendenza alla chiarezza ed alla sintesizzazione [sic!] si va sempre più accentuando, ma dove si tenta ancora di riprodurre la connessione reciproca delle scienze particolari, ossia l’organismo unitivo di tutta l’umana conoscenza in una sintesi sistematica» (Ibid., p. 10).

51 «Ma nell’età classica, il greco dovette, per esser ritenuto “colto”, possedere una cultura enciclopedica ossia un’istruzione scolastica convenzionale determinata. Chi aveva percorso il kuklos era ritenuto per enkúklios, “colto”, paideutós, ma non specialista, scienziato; chi no, era akúklios od apoideutós [apáideutos?], cioè incolto; egli non possedeva la paideia en kuklo. Con kuklos si indicava dal greco tanto il cerchio od il movimento circolare, quanto un campo del sapere: giacché un sapere ordinato secondo determinate leggi forma un cerchio, nel cui mezzo sta l’idea fondamentale. Di contro alla paideia eleuthéra, erano, in un ordine inferiore, le téknai (bánausoi), le arti puramente meccaniche, che non servivano al perfezionamento del libero uomo, come lo concepivano i Greci, ed in un ordine superiore le scienze superiori. Solo le prime costituivano per gli Elleni un dotto e perciò un vero uomo. Al di sopra si compiva la cultura particolare con la filosofia» (Ibid., p. 13).

52 Come guida, all’enciclopedia «compete un doppio compito: essa deve essere introduttiva e direttiva. [...] Ciascuna scienza, come la teologia o la giurisprudenza, forma un circolo chiuso del sapere, ossia di cognizioni, con un’idea feconda nel mezzo, e varie parti o membri, che, come rami, partono a guisa di raggi dall’idea fondamentale (principium, arké), e tornano al centro. I rami particolari formano insieme il tutto (totum); ossia la totalità d’una scienza, e, intimamente congiunte dall’unico principio (o idea), hanno in esso il loro unico centro. Così, per la Teologia l’idea di Dio, e, per la giurisprudenza il concetto di diritto, costituiscono il concetto fondamentale (l’idea fondamentale o generale). Ora l’enciclopedia deve appunto mettere in evidenza l’idea fondamentale d’una scienza, ed indicare come da essa le singole parti derivino, senza tuttavia svolgere o trattare queste parti materiali» (Ibid., pp. 4-5). «Ma l’enciclopedia ha anche un ufficio pratico; poiché essa vuol essere direttiva e guida del come va studiata una determinata scienza. [...] Tocca perciò all’enciclopedia l’altro ufficio, di essere Metodologia, ossia d’indicare allo studioso la retta via ed il mezzo più conducente allo scopo, come egli debba entrare nello spirito d’una scienza, e se ne assimili il contenuto. Questo è il lato pratico, o didattico-propedeutico dell’enciclopedia. Sicché l’enciclopedia non solo vuole e deve teoreticamente erudire, ma ad un tempo guidare e praticamente preparare allo studio, nonché alla professione ed alla vita. Essa, facendoci conoscere la natura della scienza, ed il suo nesso con altri rami, e mostrandoci in questo orientamento come ci dobbiamo assimilare il contenuto spirituale d’una scienza e tradurlo un giorno in atto nella vita pratica, diviene odegetica e Metodica. Come metodologia l’enciclopedia deve indicare come s’abbia a preparare, regolare e proseguire lo studio della scienza, come lo studioso si possa elevare a ricerche, pensieri ed osservazioni originali, ed inoltre quali doti di cuore e di volontà egli debba possedere, perché il suo studio sia fecondo» (Ibid., pp. 6-7).

53 «La Teologia morale deve adempiere ad un triplice compito il cui componimento richiede una speciale trattazione della legge morale. Conformemente a ciò si sono anche storicamente sviluppati tre metodi relativi alla concezione ed all’esposizione della Morale: lo speculativo (scolastico), il mistico ed il pratico-casuistico. Questi tre indirizzi nella trattazione della morale corrispondono alle tre vie che ci sono aperte per conseguire il fine dell’operare morale. La legge del N. T. fa dipendere la vita eterna prima dalla conoscenza della verità (Io. 17,3) [nel testo si legge: “conseguenza” della verità, probabilmente per errore], poi dall’adempimento dei precetti (Mt. 19,17) e finalmente dall’unione con Cristo (Io. 6,57). Secondo che riceve l’uno o l’altro indirizzo, l’esposizione della teoria morale riveste un differente carattere. La trattazione scientifica deve perciò tendere a riunire le tre vie, senza professare esclusivamente l’uno o l’altro metodo, perché essi di fatto convengono fra di loro, si integrano e si appoggiano a vicenda. Appunto il campo morale richiede un saggio e discreto contemperamento dei tre suindicati metodi di ricerca e di esposizione; ogni trattazione unilaterale conduce a certo deviamento, perché nel metodo esclusivamente speculativo la vita e la pratica non vengono sufficientemente considerate, ed in quello casuistico le leggi fondamentali della moralità facilmente svaniscono e vengono indebolite o dimenticate» (C. KRIEG, Enciclopedia scientifica e metodologia de le scienze teologiche, Libreria eccl. Editrice Cav. Ernesto Coletti, Roma, 1913, pp. 310-311).

54 «Il metodo mistico considera i principî ed i precetti della vita morale sotto l’aspetto del suo scopo supremo, ossia dell’unione dell’anima con Dio, mediante un’impulsiva e più alta conoscenza ed intimo amore di Dio (unio mystica). Presa sotto questo punto di vista, la dottrina morale si mostra essenzialmente come dottrina della virtù, e, praticamente riguardata, come ascetica, ossia come scienza dei mezzi per conseguire la virtù, o di quei morali esercizi, per cui l’intima vita della grazia viene ricevuta, promossa e portata all’adempimento ed alla perfezione. Qui la Morale presenta principalmente la vita cristiana virtuosa nella sua perfezione, e l’adempimento di tutti i precetti morali come mezzi per conseguirla. Questa trattazione soprattutto pone in evidenza i mezzi atti a promuovere la vita interiore dell’anima, ossia la vita dell’uomo nascosta in Dio (Col. 3,3: Mortui enim estis et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo). Essa ci dà principalmente la guida per salire ai tre gradi della perfezione cristiana: sulla via purgativa (purificazione con le opere di penitenza), sulla via illuminativa (superiore cognizione spirituale-morale), e sulla via unitiva (grado dell’unione con Dio per la contemplazione e simili mezzi)» (C. KRIEG, Enciclopedia scientifica..., o. c., p. 311).

55 «L’Ufficio pastorale di Cristo e sua divisione.
1. La Teologia pastorale è la scienza dell’ufficio redentore di Cristo, o, secondo la denominazione metaforica del § 109, da illustrare, delle funzioni pastorali di Cristo, che la Chiesa adempie mediante i suoi organi. Quelle manifestazioni della vita della Chiesa formano l’oggetto della Pastorale. Il Signore aveva dovuto compiere - questa era la sua “missione” - una grande opera vitale (opus Dei, Ioh. 4,37; 17,4), cioè l’opera della Redenzione (sotería), alla quale appartiene un complesso di funzioni, che si possono dividere in tre gruppi; esse sono i così detti uffici (officia, munera) di Cristo, che insieme formano un solo opus od officium. Il Signore stesso si presenta al mondo in una triplice qualità: egli si chiama alétheia, zoé ed odós (Ioh. 14,6). Gli scritti apostolici lo chiamano logos, arkieréus, leitourgós ed arkegós, e arkipoimén (1Petr. 5,4), voce che abbraccia tutti gli attributi. Per salvare l’umanità il Salvatore (sotér) [I Teologi greci contemporanei dividono così: 1) kerux kai Didáskalos; 2) arkieréus; 3) basiléus] dovette:
a) rivelare la verità eterna, con cui gli uomini riacquistassero il possesso della pura conoscenza di Dio. Cristo soprattutto dischiuse la rivelazione soprannaturale di Dio all’umanità, nella sua forma suprema ed assoluta. Per essa la ragione fu liberata dai legami dell’errore;
b) espiare il peccato dell’umanità e pagare con la maledizione (Eph. 2,14) la pena che in conseguenza del peccato pesava sovra di essa, per riconciliarla con Dio e porla in una nuova relazione vitale con Lui (idea principale che domina la splendida lettera agli Efesini). Questo avvenne in virtù della condegna soddisfazione di Cristo;
c) portare all’umanità una nuova legge di vita, per educare ed elevare la debole volontà.
Con questa triplice funzione redentrice il Signore venne incontro ad un triplice bisogno spirituale, che Egli stesso afferma, chiamandosi Via, Verità e Vita. Quindi col triplice ufficio veniamo ad indicare il complesso organico di tutte quelle azioni, che nel divino consiglio doveva adempiere l’Uomo-Dio, e che la Chiesa prosegue fino ad oggi, mediante i suoi servi. Esse sono oggetto della Pastorale» (Ibid., pp. 326-327).

56 Per comprendere l’orizzonte mentale e la preoccupazione di Don Alberione davanti a quanto lo attendeva, sembra utile analizzare i seguenti schemi di meditazione.
«L’Editto di Costantino -
1° Tutto il mondo in festa. Dovrebbe esserlo assai più ancora
2° Mondo pagano - Adorava falsi dei.
Era immorale.
Perseguitava i cristiani - persecuzioni.
Proibizioni di predicare
L’opera di Costantino - Apparizione della croce.
Editto - La croce - Templi - Facoltà di ereditare.
Processioni - libertà di parola -
Liberò schiavi
Proibì immoralità -
Donna - Imperatore -
Libertà - uguaglianza - fraternità -
Riflessioni - Ringraziare - Potenza di G. C.
Farsi animo - Non credere che sia finita - martiri -
Lavorare - Farsi buoni per essere santi ministri, far conoscere ed amare G.C.
3° Spunti in cielo la libertà da ottenersi colla preghiera, col sacrificio - col lavoro» (LV01, p. 21).

57 Non essendo possibile riprodurre la disposizione grafica delle 29 righe dello schema manoscritto, qui il testo viene presentato in forma più scorrevole ed è omessa la parentesi della riga 19 (“Era Italiano!! ?”) di difficile interpretazione:
«Giubileo Costantiniano - Persecuz.[Persecuzioni] moderne -
1° Le feste costantiniane hanno scopo di ringraziare - ed anche di imparare pei tempi moderni. Sono mutati i persecutori - sono cambiati i supplizi: ma la sostanza è sempre uguale - anzi la malizia si è affinata -
2° Persecuzioni - :
I governi contro catechismo nelle scuole - crocifisso - matrimonio religioso - Papi - vescovi -
La stampa con calunnie - con contraffare i dogmi - che ignorano - con gettare il discredito sul clero - con stampare oscenità...
La massoneria = contro Chiesa - socialismo - che si vale d’elezioni - con divertimenti disonesti, con discorsi, cercando di prendere anche donna -
Vittorie -
In Inghilterra - 32 profess. - e il meglio -
Negli Stati Uniti - 2.500 convertiti dotti che si convertono ogni anno.
Nella Cina - si apre al cristianesimo la via -
Nel Giappone - università cattolica -
Nella Germania - raddoppiati i cattolici che hanno il centro -
Nella Francia - felice risveglio nelle scuole e all’università - Lourdes -
In Austria - Congresso Eucaristico
In Italia - a Leone XIII -
Mezzi -
a) Zelo di tutti - anche di donna in famiglia - difendere religione... la religione è vostra: come vostra è la salute, non del medico; vostra la vita, la borsa
b) Unione popolare -
c) Catechismo nella scuola - scheda popolare, Francia - (lode) mandare al catechismo.
d) Contro stampa cattiva - contro moda - (Popolo - stampa - clero)... E giornale dei preti!
Obiez.: Ma lo dicono i preti ... E perciò bisogna far il contrario? - dicono anche di non uccidere - né uccidersi -
3° È finito il tempo delle mezze misure -».

58 Negli Appunti del Chierico Giaccardo (spesso egli si firmava Giaccardi) troviamo sunti di prediche su questo tema. Cf Ch. GIACCARDI GIUSEPPE, Sunti di prediche, panegirici, istruzioni, meditazioni, n. 19, sunto CLXVIII e CLXX.

59 L’incontro dell’undicenne Giaccardo con Don Alberione e il suo itinerario vocazionale fino all’ordinazione, è raccontato, pur senza che i nomi siano esplicitati, in Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 5, 15 maggio 1924, pp. 3-4. - Da chierico, il Giaccardo così riassume il suo itinerario: «1. Vengo in Seminario; passioncella per la “Gazzetta”, anche per gli altri. Voglio far del bene in famiglia con buoni libri, che poi o pigrizia o rispetto umano o prudenza impediscono in gran parte. 2. Ultimo di Ginnasio e Liceo: desiderio di lavorare nell’Azione Cattolica, di essere presto libero per lavorare nella stampa e nell’A.C. Poi di essere vice o Parroco ma di lavorare in questo campo. In verità non mi soddisfaceva il campo di una sola Parrocchia... Sento di più la stampa il mio campo. Amore part. alla Chiesa, al Papa; fede viva nel vero trionfo della Chiesa. In Teol. l’opera della Stampa mi pare più importante: poi mi convinco della necessità dell’apostolato, poi lo sento, poi mi convinco e lo sento eppiù mio apostolato. Inclinazione fortissima. Vedo che non so di che cosa riempirebbe. Salesiano. Gesuita o Missionario. 3. Relazione col Teologo. Mi parla di Sacerdoti della Stampa, ed io non capisco la volontà di Dio. Fonda la Tipog. e subito intuisco dove vuole andare, e non me ne parla più. Desiderio di vederla, diritto. Non volere io. Mi considera come un membro = Non voglio. Mi parla delle necessità tali pret. = Ostacolo. Parla direttamente di me; porgo difficoltà e mi prendo tempo per la sua scuola. Intanto mi ci sento suo membro. Mi convinco e mi sento inclinatissimo che è mio campo. Giorni di convinzione, di persuasione; di forte inclinazione, per la stampa, e la Congregazione, al Teologo, ai suoi sentimenti, perché non mi parla = ciò che sente ora. 4. Convincermi della necessità dell’Apostolato e della Congregazione! Mio campo. Frenesia. Motivi = Frenesia. Tempo? Superbia e Missione?» (G. T. GIACCARDO, Diario..., o. c., pp. 278-279). Per quanto riguarda il primo anno di Liceo, Giaccardo scrive in un riassunto di predica dettata da Don Alberione: «I. La società moderna è molto in basso. 1° I socialisti hanno in mano gli operai e agricoltori, per mezzo della loro Camera del lavoro, e infondono in loro l’odio contro Dio, la Chiesa, il Sacerdote, e li scristianizzano. 2° Neppur la classe nobile, colta, possidente è con noi, che solo è dedita al lusso, ai piaceri, agli spassi. Noi siamo agni inter lupos. II. Tuttavia a noi spetta riformare la società, e la riformeremo: 1° con mezzi intellettuali: diffondendo e favorendo la stampa: a) intellettualmente: spedendo articoli brevi e freschi e importanti; b) moralmente: a) elogiando i nostri giornali; b) avvisando la direzione, quando qualcosa non piace; c) congratulandosi con essa, quando piace; c) finanziariamente...» (G. GIACCARDO, Libretto per i Santi Spirituali Esercizi, giugno 1913, XIX, inedito).

60 A. PAVISSICH, La stampa grande potenza, in La Civiltà Cattolica, anno 64°, vol. 1, quad. 1502, 18 gennaio 1913, pp. 129-140; Ibid., anno 64°, vol. 1, quad. 1504, 15 febbraio 1913, pp. 398-408.

61 «L’opera pertanto di restaurazione sociale non è semplicemente un’opera di distruzione del male, ma altresì di edificazione del bene, cioè di sostituzione della stampa buona alla stampa malvagia. Alle energie rovinose del capitalismo imperante è forza opporre, sul campo della stampa, le energie sane e vigorose di una coltura rigeneratrice, attinta dalle pure fonti della civiltà cristiana. Perocché solo i principii cristiani, da cui la società contemporanea ha avuto le sue origini e il suo sviluppo, con tutti i vantaggi di cui va sì altiera, possono arrestare e conquidere i danni della moderna apostasia, che ne va minando i fondamenti» (A. PAVISSICH, La stampa grande potenza, o. c., pp. 407-408).

62 G. BORGNA, Il Re dei tempi, Mano alla Stampa, Premiata Scuola Tipografica Michelerio, Asti 1914, pp. 114.

63 «Cinquant’anni fa si poteva ancor chiedere: Chi è che legge? ora si dovrebbe dire: Chi è che non legge? È una necessità dell’epoca nostra, la nostra società non saprebbe vivere senza la lettura. Oggi si vuol essere al corrente di tutto ciò che succede nel mondo. Ciascuno si alza ogni mattina impaziente di ricevere il giornale, avido di conoscere le nuove politiche, le sorprese di borsa, il movimento commerciale, le avventure galanti, le stranezze che accadono sotto il bel cielo della luna dall’uno all’altro continente, dall’uno all’altro mar» (Ibid., p. 28).

64 «La brama di novità è quella che sostiene la moda ed è pur quella che alimenta il giornalismo. Il banditore delle novità è appunto il giornale che invecchia in un giorno. Il suo campo non ha limiti: esso parla di tutto: s’incarica del movimento religioso e politico, riferisce e discute intorno alla scuola, al commercio, agli avvenimenti, parla del teatro, di infortuni e delitti, economia agraria e domestica, di ginnastica... s’aggira insomma intorno a tutto ciò che abbraccia la natura, la cultura, il mondo» (Ibid., p. 29).

65 «Chi non conosce questo ritrovato moderno e che forma per tanti il divertimento di ogni giorno? chi non ha visto la baraonda di scene che in brevi ore, in pochi minuti fa passare sulla tela? Il giornale è qualcosa di simile, poiché in esso vediamo, osserviamo minuziosamente, ininterrottamente l’agitarsi convulso dell’universo, del cielo e della terra, del mare e degli elementi, delle nazioni e dell’umanità» (Ibid., p. 30).

66 «Sale [il giornale] nei palazzi e scende nei tuguri, entra nelle officine e penetra nei quartieri, passa per le accademie, si posa sul tavolo del dotto, corre nei pubblici ministeri, entra nelle scuole, circola per le vie e per le piazze, prende la strada ferrata, si ramifica per le vie della nazione, s’insignorisce di tutte le parti dell’organismo sociale, s’impone all’intelligenza e forma l’opinione pubblica» (Ibid., p. 31).

67 Questo capitolo è riportato integralmente, senza peraltro che ne sia citata la fonte, nel bollettino Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II (1919), n. 7, p. 7: «“O stampa, così scrive il Rosegger, tu sei l’oratore, il gran predicatore del nostro tempo. Le parole che tu pronunzi con tanta passione echeggiano in poche ore in tutto il paese. Tu predichi nelle osterie e nei caffè, negli omnibus, nelle ferrovie e nelle case private e potentemente in tutte le piazze. Dove più persone si trovano insieme, tu sei in mezzo a loro e predichi. Ma la tua parola non si perde, come dal pulpito, appena pronunziata. Quello che non s’imprime nella memoria del bramoso lettore, rimane impresso sulla carta, e, a chi vi getti un’occhiata, predica assiduamente. Così tu gridi giorno per giorno, senza tregua e senza riposo”. La stampa è per le grandi moltitudini del popolo il fornitore universale degli elementi spirituali: essa è l’unico pane quotidiano d’innumerevoli anime; i suoi giudizi formano il “Credo” di milioni».

68 «Quando comparisce il giornale, milioni di mani lo afferrano, milioni di sguardi lo divorano, ed esso insensibilmente prende il dominio delle loro intelligenze e dei loro cuori. Semina le sue idee, le feconda, e ne ottiene frutti di opere secondo il suo volere» (Ibid., p. 31).

69 «Ai nostri giorni in cui da tanti si vorrebbe cancellato il nome di re, si è costretti a subire l’impero di una potenza nuova ed indomabile: quella della stampa. Essa è il re dei tempi, perché esercita la sua potenza magica e misteriosa su di tutti gli uomini, nessuna classe o condizione eccettuata. Il mondo non va da sé: è menato pel naso dal giornale.
È il re dei tempi, perché parla di tutto quanto succede nel tempo e nello spazio.
È il re dei tempi, perché fa sentire il suo comando, le sue leggi in ogni giorno, in ogni ora e contemporaneamente in dieci, in cento, in mille luoghi, dappertutto.
È il re dei tempi, perché tiene in pugno il presente, il passato e l’avvenire.
È infine il re dei tempi, perché il suo potere va smisuratamente crescendo col progredir degli anni, della istruzione e della civiltà.
Aveva quindi ragione l’ebreo-massone Crémieux quando nel 1842, gridava alle logge massoniche di Parigi: “Fratelli, reputate l’oro come un nulla: la stampa è tutto. Comprate la stampa e voi sarete padroni dell’opinione pubblica, vale a dire padroni dell’intera nazione”. Così avvenne: e la Massoneria si è fatta in realtà padrona della Francia e di molte altre nazioni.
Intendiamolo anche noi: la stampa è tutto: senza di essa si farà nulla: essa è il re dei tempi» (Ibid., pp. 40-41).

70 «È un flagello più formidabile della guerra. È un flagello più formidabile della peste. È un flagello più formidabile della fame. Quale è dunque questo flagello tanto formidabile? il giornale cattivo» (Ibid., p. 45).

71 L’autore cita le parole di Luigi Windthorst al Congresso Cattolico di Friburgo: «Aiutare la buona stampa!... ecco un grande apostolato, l’apostolato moderno e degno, se l’Autorità suprema lo credesse opportuno, di essere stabilito come precetto della Chiesa» (Ibid., p. 78).

72 «È carità, carità per eccellenza. Ce lo disse il Divin Maestro: “non ogni carità è fatta di pane”. [...] Beati coloro che capiscono che la più crudele di tutte le fami è la “fame della verità” secondo l’espressione di Mons. Delamaire. Rischiarando per mezzo dei giornali le menti ottenebrate da errori, concorreremo al trionfo della verità e alla redenzione sociale. Guai a noi se invece di spendere il nostro denaro in fondare e sostenere i giornali buoni lo spendiamo in cose da nulla o anche in opere buone, ma di cui non possono usufruire tutti. Lo si noti bene e non si dimentichi mai: L’Opera più importante, più necessaria per i tempi moderni è la stampa: aiutarla e sostenerla è il più fiorito atto di carità» (Ibid., p. 83).

73 «Ha fatto il giro del mondo l’espressione di Mons. Ketteler, Arciv. di Magonza: “Se S. Paolo ritornasse al mondo si farebbe giornalista”. Ed io lo credo fermamente» (Ibid., p. 97). L’intero capitolo è riportato, senza fonte, in Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 5, maggio 1919, pp. 5-6: «S. Paolo redivivo. Ha fatto il giro del mondo l’espressione di Mons. Ketteler, Arcivescovo di Magonza: “Se S. Paolo tornasse al mondo si farebbe giornalista”, ed io lo credo fermamente.
In verità che faceva S. Paolo? Seminava dappertutto la parola di Dio. A tal fine sceglieva i luoghi e le cattedre più riputate per farsi udire da un maggior numero di persone. Ne cercava e domandava alle sinagoghe, ne domandava all’Areopago d’Atene, al tribunale di Agrippa, al Teatro della grande Diana d’Efeso, alle prigioni Romane.
Supponiamo che un giorno avessero detto a S. Paolo: Paolo, vi ha una cattedra donde si può essere uditi non solamente da una piccola sinagoga, ma dal popolo intero, anzi da tutto il mondo: dalla Siria, dalla Palestina, da tutta l’Asia, dall’Egitto, dalla Grecia e dall’Italia ancora: dall’alto di questa cattedra tu puoi annunziare Cristo, predicare la Croce, sollevare i popoli verso la giustizia e la verità.
Io sono sicuro che S. Paolo avrebbe subito chiesto: “Dov’è questa cattedra? Voglio salirvi”. E se gli fosse stata indicata egli l’avrebbe salita in un batter d’occhio e vi sarebbe rimasto per tutta la vita, come gli stiliti sulle loro colonne.
Questa catedra [cattedra] non esisteva al tempo di S. Paolo, ma esiste adesso: è il buon giornale. Ecco il pulpito dell’umanità: la “missione perpetua” come la chiamava Leone XIII».

74 L’autore riporta una pagina contenente dieci “vorrei” o auspici riguardo all’apostolato stampa. Ne riportiamo il primo: «Vorrei, sono questi i desiderii ed i sentimenti di un valente cattolico, vorrei come vogliono tanti miei amici, come vollero e vogliono tante anime ferventi di prodi cristiani e di zelantissime cattoliche, i quali coi loro esempi mi infervorano alla propaganda della buona stampa, vorrei, - come scrisse un brioso giornale francese - che, nella stessa guisa che nei tempi andati si distribuiva la minestra ai poveri alle porte dei conventi, oggi si distribuisca alla porta delle chiese il giornale cattolico» (Ibid., pp. 106-107).

75 G. F. RE, Lettera ufficiale alla S. C. dei Religiosi chiedendo il nulla osta per l’erezione della SSP in congregazione religiosa diocesana, 31/12/1921. Cf G. ROCCA, La formazione della Pia Società San Paolo (1914-1927), Appunti e documenti per una storia, Roma 1982, pp. 562-563.

76 G. F. RE, Lettera ufficiale alla S. C. dei Religiosi..., del 31/12/1921, cf Ibid., p. 563. Il nome “Scuola Tipografica Piccolo Operaio” è stato certamente una scelta dettata da motivi di convenienza, in attesa dell’ora opportuna per esplicitare il vero intento dell’opera. A questo proposito è interessante la testimonianza di Don Alberione, nel quarantennio della fondazione: «Quando furono raccolti i primi giovanetti, nel 1914, in una piccola casa ed una minuscola tipografia, avvenne un fatto curioso, quasi un allarme: “Si porta via lavoro e pane ai tipografi”. Furono fatti ricorsi alle Autorità. La autorità ecclesiastica rispose: “Rispettate la libertà di tutti”. L’autorità civile rispose: “È cosa nata-morta... la vigileremo, alle prime illegalità, sarà chiusa”. Bisognava, dunque, nascere ancora più piccoli, e neppure far sentire un vagito... Allora si coperse tutto sotto il titolo “Scuola Tipografica piccolo operaio”. Un presepio. Si deve sempre e solo considerarci piccoli operai di Dio; come si è di fatto rispetto al mondo intero ed ai colossali mezzi di cui dispongono i falsi maestri, nemici di Gesù Cristo e della Chiesa» (G. Alberione, Nel quarantennio, Saluto ai visitatori dell’esposizione paolina, Alba [20.08.1954]). Le FSP, in Fascicoli 1954, informano sulla data di questa predica: «Stampata in SP, luglio-agosto 1954, pp. 1-3; in RA [Regina Apostolorum], agosto 1954, pp. 1-3. È stata riprodotta in CISP, pp. 145-148; in CVV 212. Il testo presente è ripreso da RA, agosto 1954. C’è la registrazione. Nelle varie edizioni a stampa manca la data. La registrazione riporta la seguente: Alba: 20.08.1954».

77 Abbiamo la testimonianza di G. B. Bernocco: «Il giovane sacerdote mi fece ottima impressione per il modo caloroso e concreto con il quale esponeva il suo programma di azione. Dall’aspetto e dalla voce traspariva l’ardore di uno zelo operoso, ispirato a concretezza di intendimenti per la realizzazione di un’Opera lungamente pensata» (cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., pp. 229-230).

78 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., p. 233.

79 Cf Documento del giorno dell’Assunzione, 1916, in G. ROCCA, La formazione..., o. c., pp. 551-552. È molto significativo ciò che il Chierico Giaccardo scrive nel suo Diario il 19 ottobre 1917. Per motivo di spazio ne riportiamo solo una parte: «Dichiarazioni del Sig. Teologo agli alunni più capaci di comprenderlo, perché possano decidere con cognizione di causa del loro avvenire: 1° Dove andiamo: La Casa sarà un Istituto Religioso col primo, secondo e terzo ordine, di cui i primi due faranno professione dei voti. Il primo ordine è il maschile e si compone di studenti e di operai. Gli studenti saranno laureati in scienze sociali, alcuni si fermeranno qui; gli altri, che aspirano al sacerdozio, saranno ordinati; sacerdoti dottori e semplici dottori; il loro compito è la direzione, la redazione, lo scrivere i giornali, dirigere e tenere conferenze. Gli artigiani, diventati abili tipografi, avranno la direzione della tipografia, la compilazione e la tecnica dei giornali. Il primo ordine maschile è già iniziato; vi sono già alunni coi voti, legati alla Casa: studenti e artigiani. Il secondo ordine femminile è pure già iniziato: suo compito: stampare, scrivere, catechizzare, dare tutta la cooperazione all’azione cristiana-sociale. Il terzo ordine, che si spera presto canonicamente eretto, abbraccia i cooperatori dell’uno e dell’altro sesso: questi, coll’aiuto materiale e morale, col consiglio e la propaganda, bene informati dallo spirito della Casa. Questo terzo ordine esiste già in realtà.
Ordinamento: La Casa avrà un Direttore Generale che darà le norme direttive, i punti di lotta a cui tutti debbono ubbidire. Ogni giornale avrà il suo Direttore; accanto ai più grandi, sorgerà pure un Noviziato di alunni. La Casa si estenderà in Italia, poi in Europa e nel mondo.
Fine: La buona stampa: il giornalismo: i giornali di tutto il mondo, nostri, si aiuteranno materialmente e moralmente con ogni mezzo. La nostra lotta sarà per il trionfo della Chiesa, del Papa, della civiltà cristiana, contro tutte le potenze del diavolo, e specie contro la Massoneria» (cf G. T. GIACCARDO, Diario..., o. c., pp. 79-81).

80 G. T. GIACCARDO, Diario..., 8 dicembre 1917, o. c., pp. 105-106. Parallelamente anche il ramo femminile percorreva il suo itinerario di consacrazione attraverso i voti privati. Cf C. A. MARTINI, Le Figlie di San Paolo, Note per una storia, 1915-1984, Roma, 1994, p. 96.

81 Parole di Alberione riportate dal Giaccardo. Cf G. T. GIACCARDO, Diario..., 8 dicembre 1917, o. c., pp. 104-105.

82 Il Giaccardo, il 29 aprile 1918, lascia trasparire anche il grave problema della fame: «La pioggia continua. Contribuisce a castigarci con la fame. Guerra, fame e peste sono tre sorelle sempre legate. Dio ora è per castigarci e ci colpisce e bisogna che si vada al fondo: finisce anche la guerra, non finiranno i flagelli, finora furono colpiti i figli del popolo. Chi ha voluto la guerra si è imboscato e mangia pane bianco, ma Dio non la lascerà passar liscia» (G. T. GIACCARDO, Diario..., o. c., p. 201).

83 Troviamo puntuale riscontro a queste affermazioni nella pagina del Diario di Giaccardo, del 29 novembre 1917: «Stassera a tavola il Sig. Teologo ci disse che la situazione dei tempi è gravissima, tale che non la comprendiamo, che non mangeremmo neppur più. E protesta perciò vivamente contro la spensieratezza della vita nei cine e nei teatri. Gravissima la situazione militare, gravissima la politica, gravissima la economica e la sociale, gravissima la situazione religiosa. Siamo quindi ad un punto che l’Italia non ha più passato da mille anni. Questo in occasione che il Sotto Prefetto ha censurato il Vangelo sui bollettini. I Funzionari si vedono in cattive acque e si sforzano a tenersi su: di più sono essi il peso schiacciante della Massoneria, che la vuole fare pagare ai preti: lo spirito contro la Chiesa è fortissimo. Ai tempi di S. Paolo si parlava e poi si moriva: ora non si può neppur più parlare per la censura. È Dio dietro gli uomini che li acceca e li lascia andare al fondo: è da tutto ciò che la Chiesa avrà un grandissimo trionfo ma prima saran giorni assai dolorosi: la questione romana è la spina d’Italia, ma non solo essa è peccatrice: tutta l’Europa. La Buona Stampa è missione di restaurazione e di forza» (G. T. GIACCARDO, Diario..., o. c., p. 95).

84 Nel suo Diario, il 19 marzo 1918, Giaccardo scrive: «Il caratteristico del Padre nostro non è lo straordinario, ma l’ordinario: Egli ci raccomanda la preghiera e la fede e con essa la cura, la diligenza, il lavoro, la sveltezza, la vita, l’allegria, e non la poesia, ma ci educa alla realtà sottoponendoci ai gravi stati della vita individuale, politica, nazionale: vuol darci lo spirito, ma insiste sull’umiltà, sulla naturalezza, sulla semplicità» (G. T. GIACCARDO, Diario..., o. c., p. 194).

85 «Due soli i miei fastidi, ci dice il Venerato Padre nella meditazione: che io non sono ancora abbastanza buono e voi non siete ancora abbastanza santi. Questi due solamente sono i miei fastidi, altri non ne ho, tutto il resto è nulla e viene da sé. Tanto ci venisse anche un terremoto che spianasse la casa, questa risorgerà e si estenderà in tutto il mondo nelle principali nazioni e durerà diversi secoli, è necessaria assolutamente: la necessità è impellente e Dio vuole far questo, ma noi poniamo i bastoni nelle ruote della Provvidenza. Chissà quanti bollettini sarebbero venuti di più, quanto più avrebbero guadagnato la causa dei nostri giornali se in noi ci fosse più spirito, se fossimo più santi» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 15 febbraio 1918, o. c., p. 191).

86 Nel Diario Giaccardo riporta il sermoncino tenuto da Don Alberione il 12 marzo 1918: «...Perciò col Signore bisogna fare i patti chiari e con molta semplicità: Signore, io debbo sapere molte cose ed ho poco tempo a studiare: ho anche da comporre, da stampare, io dunque comporrò e stamperò finché volete e quel che volete, Voi datemi la scienza. Patti chiari e fiducia. Gli Apostoli erano ignoranti e ricevuto lo Spirito Santo hanno fatto stupire il mondo e confuso i dotti, e illuminati tutti gli uomini. Lo Spirito Santo non discenderà su noi in forma di globo di fuoco, ma terrà questo modo: ci farà imparare più presto ciò che leggiamo; ritenere di più quello imparato; e applicare meglio lo studio; di modo che quello imparato dagli altri in tre ore o non ricordato con facilità o non vissuto, noi lo impareremo in un’ora, lo ricorderemo, lo applicheremo. Si abbia questa fede e si toccherà con mano. Il Padre ha fatto l’esperienza su due giovani che con tale fede in un mese hanno fatto quanto in sei. Non si dica: non ho fatto studio, non ho imparato. Non hai fatto studio, hai imparato di più, non la grammatica forse, ma d’altro, e vedrai a trent’anni se non ne sai di più degli altri. Questa fede è essenziale nello spirito della Casa, come è nuovo lo spirito, così possiede nuovi mezzi: uno dei principali, parte essenziale dello spirito è la fede di imparare senza tanto studio. Chi non ha questa fede è dissonante e si fa ridere appresso. Bisogna fissarselo bene in mente: questa fede è essenziale. S. Paolo lavorava per Dio e diceva a Dio che Egli aveva diritto che gli procurasse il cibo: qui altari deservit, de altari vivere debet. Lo stesso è per noi: dobbiamo lavorare per Dio e abbiamo bisogno di sapere molte cose. Noi lavoriamo e pensa il Signore a darci il cibo, non solo della bocca ma anche della mente e del cuore. Lavoriamo per Lui, dobbiamo vivere di Lui, abbiamo diritto a vivere di Lui. Non dobbiamo quindi regolarci come ci dicono gli altri, ma come richiede la vita della Casa. A chi ci obbietta il poco studio, rispondiamo: Siamo noi e la grazia di Dio. Una parte noi, due la grazia di Dio» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 13 marzo 1918, o. c., pp. 195-196).

87 Parole di Alberione riportate dal Giaccardo. Cf G. T. GIACCARDO, Diario..., 8 dicembre 1917, o. c., pp. 103-104.

88 Il Giaccardo scrive, il 30 settembre 1918, riferendosi al giorno precedente: «E ci spiegò il Sig. Teologo il triplice ramo della nostra Casa: maschile, femminile, cooperatori; e continuò: “Quest’ultimo presentava più difficoltà di tutti; non che i primi siano già stabiliti, ma vi si può godere più libertà. Ora è anche partito l’ultimo: l’unione dei Cooperatori della Buona Stampa. Durante gli Esercizi ne ho steso il regolamento, poi l’abbiamo raccomandato a Dio; ora l’ho presentato e sottoposto a Mons. Vescovo, che non solo l’ha approvato pienamente, ma ha voluto essere il primo iscritto. Ringraziamo quindi Iddio che si sia partiti e così bene”. Ci spiegò il contenuto dello Statuto: vi possono entrare tutti quelli che si impegnano di fare per la buona stampa o speciali preghiere o offerte o lavorare, scrivere... “Partire non è ancora tutto; dopo verranno le difficoltà, le disapprovazioni, gli impedimenti, gli scoraggiamenti e sarà come spingere una nave in un bosco. Bisogna quindi pregare; e pregate, preghiamo; S. Paolo non ha difficoltà. Egli prenderà e farà fruttificare la nuova Unione, voi ne sarete zelatori presso tutti quelli che potrete. Fra trent’anni comprenderete l’importanza di quanto ho detto stasera: fra trent’anni”» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 30 settembre 1918, o. c., pp. 233-234).

89 È interessante notare che già nel gennaio 1918 il Giaccardo, sotto il titolo “Conversione di S. Paolo”, aveva tracciato per sé un programma di vita, impostato su tre punti che sono gli stessi indicati da Don Alberione come mezzi dell’Unione Cooperatori Buona Stampa: preghiera, offerta, azione (cf G. T. GIACCARDO, Diario..., 1918, o. c., pp. 124-125).

90 G. ROCCA, La formazione..., o. c., pp. 551-552.

91 «25 ottobre 1918. Ieri sera disposti i bollettini della Unione Cooperatori Buona Stampa davanti a Gesù Sacramentato, il Sig. Teologo li benedisse con la Pisside e il Santissimo Sacramento. Noi tutti eravamo inginocchiati attorno. Ci disse prima il caro Padre: “Per la prima volta che esce il bollettino che deve sostenere la nostra buona stampa, è bene che esca con la benedizione del Signore. Noi abbiamo fatto tutto il possibile per farlo uscire bello e adatto, ma se Dio non dà la sua benedizione, non valgono nulla le nostre industrie; con la benedizione di Dio, invece, penetrerà e otterrà frutto”. Ci porta l’esempio della Benedizione della... morente, le ultime parole di Clelia. Che costa a Dio suscitare Cooperatori alla Buona Stampa? Egli con un fiat ha lanciato i cieli, fatto comparire i pesci che guizzano nell’acqua, gli uccelli che solcano il firmamento ed ha creato l’uomo “re di tutto il creato”. Bisogna che noi siamo profondamente convinti che erigere l’opera della buona stampa è miracolo grande, e stiamo tranquilli che Dio farà. Ma per parte nostra bisogna: 1) Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius, il resto sarà la giunta del macellaio. Cercare solo la santità e la gloria di Dio; 2) confidare unicamente in Dio e non nelle nostre forze. Noi diciamo a Dio: lascia fare a me. Dio si ritira e noi ci rompiamo la testa. Dio che non ha paura di nulla, ha paura del nostro amor proprio. Dio fa tutto bene e sempre “bene omnia fecit”. Quindi quando vediamo le cose andar male, segno è che c’è entrato del nostro e domandiamoci pur subito: che ho fatto io? Da parte di Dio ci vuole la sua grazia che noi otteniamo con la preghiera: umiltà quindi e preghiera» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 25 ottobre 1918, o. c., pp. 237-238).

92 «La conversione di S. Paolo. Il 25 corrente il mondo cattolico celebra la festa della conversione di S. Paolo. Data memoranda nella Chiesa. Saulo era il più terribile avversario del cristianesimo nascente: moveva furibondo verso la città di Damasco con i suoi soldati per legare prigionieri quanti cristiani avesse trovati. Ma la grazia di Dio lo colpisce alle porte della città ed egli è cambiato in tutt’altro uomo. Io l’ho eletto perché predichi il mio nome agli ebrei, ai gentili, ai principi, ed ai re, dice il Signore. E Saulo, fatto Paolo, diviene il primo tra gli apostoli, colui che radunò nel seno della Chiesa più anime di tutti gli apostoli. Per lui la Chiesa ebbe una vita nuova; invece d’un persecutore. Come a ragione dunque vien celebrata questa gran festa nel mondo cristiano. Vi sono alcune parrocchie ove sarà solennizzata con la “giornata della buona stampa”. In altre si farà una speciale funzione per la conversione dei peccatori; specialmente di quelli che, come Saulo, si servono del loro ingegno, della loro cultura, della loro posizione sociale per combattere la Chiesa, il Vicario di Cristo, la religione. Tutti gli ascritti all’“Unione Cooperatori buona stampa” sono vivamente invitati a far in quel giorno la Comunione a tale scopo. Chiediamo di convertirci da una vita tiepida ad una vita d’ardore: chiediamo l’energia e lo spirito giusto agli scrittori cattolici; chiediamo la conversione dei giornalisti empi. Si celebri anche la sua novena: specialmente con la recita della preghiera stampata sulle immagini di S. Paolo» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 1, gennaio 1919, p. 2).

93 «L’Apostolo Paolo ha corso il mondo allora conosciuto facendo ovunque risuonare la buona novella e radunando sotto il vessillo della croce un numero sterminato di cristiani. Egli è dunque l’uomo dello zelo: quasi sembra che in S. Paolo lo zelo siasi personificato. Di qui venne naturale che l’Apostolo Paolo fosse scelto a protettore della Stampa Buona. Nessun mezzo di propaganda oggi può essere più universale ed efficace del giornale in specie e della stampa in genere. Per esso il giornalista chiuso nel suo gabinetto di redazione estende la sua opera e fa giungere la sua parola fino agli estremi confini della terra. Non è vuota di senso, né proferita a caso la frase di Ketteler: “Se S. Paolo nascesse ora si farebbe giornalista”» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 1, gennaio 1919, p. 4).

94 «Annunzia la parola» (2 Tm 4,2).

95 «Fa’ opera di evangelista» (2 Tm 4,5).

96 «Lo spirito di San Paolo si rileva dalla sua vita, dalle sue lettere, dal suo apostolato» (ADds 94).

97 «L’indirizzo degli studi, quale si ebbe nel periodo anteriore alla guerra, portò di propria natura, l’attenzione dei colti alle origini della Chiesa. Le antichità cristiane formarono l’oggetto preferito degli studiosi di cose cristiane. Molte aberrazioni vennero fuori nel campo modernistico e protestante: non mancarono, anzi sovrabbondarono i buoni frutti. Fra questi buoni frutti è certo uno di migliori: una più vasta e più profonda conoscenza della vita, delle opere e delle dottrine dell’Apostolo Paolo. Né solo questo; ma anche (e questo è conseguenza naturale) il desiderio di rendere di nuovo più pratico e quasi volgarizzare il culto a questo grande predicatore delle Genti» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 1, gennaio 1919, p. 4). «Divozione a S. Paolo. Diceva molto bene Mons. Bonomelli che molti dei santi più distinti nella Chiesa sono quelli che vengono meno ricordati dal popolo. Quanti sono infatti che pregano S. Pietro, S. Paolo, S. Giov. Grisostomo, S. Ignazio Martire, ecc. Se conoscessimo il bene che ha fatto al mondo S. Paolo, specialmente a noi discendenti dai gentili! se ne leggessimo la vita, le opere, le epistole: quanto più noi lo pregheremmo, lo ameremmo, lo imiteremmo. Da lui impareremmo due virtù che sono il fondamento del cristianesimo: l’amore a Gesù e l’amore che si mostrerà nello zelo pel prossimo. Celebriamo devotamente la festa di S. Paolo il 30 giugno: sarà una bella occasione per far conoscere il grande apostolo. Diffondiamo pure la sua immagine e invochiamolo come protettore della Buona Stampa. È pure utilissimo. Spiegare le epistole di S. Paolo almeno una volta. Questo si fa già in sostanza in alcune parrocchie ove ogni 5, oppure 6 anni, invece del Vangelo, si spiega al popolo l’epistola della Messa: e l’epistola è quasi sempre un tratto delle lettere di S. Paolo» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 6, giugno 1919, p. 2).

98 Ogni numero del bollettino UCBS riferisce detti sull’importanza della stampa. Ne riportiamo alcuni: «Il mondo è governato dalla pubblica opinione e questa dal giornalismo», Pavissich (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno I, n. 2, 28 novembre 1918, p. 2). «Oggi il popolo non si forma altra opinione e non regola la sua vita che dalla lettura quotidiana dei giornali», Leone XIII (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, [n. 2?, tra febbraio e aprile], 1919, p. 3). «Credetemi, questa necessità di consacrare tutte le nostre forze allo sviluppo della stampa è una necessità di tale importanza che io, vescovo, ritarderei la costruzione di una chiesa per concorrere alla fondazione di un giornale», Card. Mercier (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, [n. 2?, tra febbraio e aprile], 1919, p. 7).

99 «La nuova missione della donna. All’apostolato grande della stampa non può restar fuori la donna: anzi nella stampa vi sono delle parti che specialmente convengono alla donna. Questa è una missione altissima. Del resto presso i Salesiani, possiamo vedere la conferma. Ho già visto in tre luoghi le suore in tipografia, lavorano benissimo: molte ve ne sono che scrivono: poco tempo fa un Cardinale esortava ad adibire le suore alla stampa dei giornali. 1. Vi sono donne, maestre, addette agli uffici postali, telegrafici, commesse, donne colte che possono scrivere la rubrica femminile, corrispondenze, articoli varii. 2. Moltissime donne hanno tempo per promuovere e raccogliere abbonamenti ai nostri giornali, ai bollettini religiosi; a distribuirli; a far funzionare biblioteche. 3. Molte donne hanno la possibilità di far offerte, anziché spendere tanto in cose poco utili. 4. Figlie che volessero darsi alla stampa buona potrebbero far un’opera molto migliore che le suore degli Asili, Ricoveri, Ospedali, missioni: esse nei lavori tipografici per molte cose riescono meglio degli uomini. 5. Tutte le donne poi possono pregare, far Comunioni, recitare rosarii per la buona stampa, iscriversi e diffondere l’Unione Cooperatori Buona Stampa» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno I, n. 2, 28 novembre 1918, p. 2).

100 «L’idea fondamentale. È questa: la stampa buona è oggi un vero apostolato, il primo degli apostolati, dopo quello della preghiera. Ma perché sia un vero apostolato dobbiamo non considerarla come un’impresa industriale o come un mestiere: ma formare delle anime, delle menti, dei cuori d’apostolo. Cioè occorre: che coloro che vi si dedicano siano uomini di preghiera, di sacrificio, di virtù sociali; siano uomini di carattere adamantino, siano persone colte, per cui i nemici della Chiesa possono venire smascherati, le verità della religione ben esposte, la morale ed i dogmi ben difesi. Occorre avere anche buoni operai tipografi, che non cedano alle attrattive del lucro e dell’onore, mettendosi a servizio del liberalismo o delle sette: operai che prestino la loro opera con spirito di fede come ad un sacro apostolato: operai così abili che non temano concorrenza di alcuno. Operai tipografi, dunque, e scrittori di virtù e di scienza. L’ideale. L’ideale sarebbe di avere: Una famiglia, unione di anime e di cuori, consacrata all’opera tanto urgente della stampa. Essa dovrebbe comporsi di operai tipografi, di scrittori; ma persone che si vincolassero con promessa sacra e solenne di dedicare tutte le loro energie all’opera della stampa. A questo dovrebbero associarsi i cooperatori che nel limite del possibile aiuterebbero con la preghiera, l’offerte, l’opera» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, [n. 2?, tra febbraio e aprile] 1919, pp. 2-3).

101 «I giovani sono divisi in due sezioni: i semplici artigiani e gli studenti artigiani. I primi apprendono l’arte tipografica ed hanno il loro tempo diviso fra la scuola, il lavoro, le pratiche di pietà. I secondi meno lavoro e molto più studio. Per i semplici artigiani il corso completo è di cinque anni. Ricevono al termine apposito diploma di abilitazione e, se occorre, si procura loro impiego conveniente. Per gli studenti artigiani il corso è di otto anni e possono laurearsi in scienze sociali (facoltà pontificia di Faenza). Qualora non riuscissero negli studi avrebbero però certamente la vantaggiosissima professione tipografica» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, [n. 2?, tra febbraio e aprile] 1919, p. 2).

102 «Sezione femminile della Scuola Tipografica. Non è certo una novità che la donna si applichi al lavoro per la stampa; ma è una cosa che ai giorni nostri deve prendere uno sviluppo molto maggiore. Le fanciulle possono lavorare a comporre, a stampare, a legare, a spedire, a scrivere. Molti lavori possono farli meglio e più facilmente dei giovani e degli uomini. Nell’intento di riuscire a questo, in Alba è stata aperta la sezione femminile della scuola tipografica. Essa ebbe un lungo lavoro di preparazione: ora, essendo ormai in grado di poter funzionare da sé è stata traslocata a Susa dove la direzione diocesana le ha affidato il giornale e la tipografia, e Mons. Vescovo ha fornito l’alloggio. Ha lo scopo della sezione maschile; cioè di favorire la stampa buona. Soltanto che: mentre i giovani vengono preparati alla laurea in scienze sociali, le figlie (quando intendono studiare) vengono preparate alle patenti di maestra elementare. Rivolgersi al T. Alberione in Alba: oppure alla maestra Boffi Angelina a Susa. N.B. In Alba la sezione femminile della Scuola Tipografica aveva la libreria di Via Accademia, che di conseguenza ora rimane chiusa. Chi ha ancora delle note da pagare si rivolga alla Scuola Tipografica sezione maschile, editrice della Gazzetta d’Alba» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 1, gennaio 1919, p. 8).

103 «Sarebbe un grave errore. Confondere la Scuola Tipografica con gli ordinari istituti di beneficenza e ricovero. La Scuola Tipogr. è opera essenzialmente dedicata all’opera della Stampa Buona ed i giovani per essere accolti devono essere buoni e mostrarvi poi vera inclinazione. L’essere più o meno ricchi, di grande o discreta intelligenza non costituiscono difficoltà. Nessuno ne sarà escluso per la sola povertà» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, [n. 2?, tra febbraio e aprile] 1919, p. 5).

104 Don Giaccardo scriveva il 26 dicembre 1919: «Diversi mal intenzionati vorrebbero danneggiare la tipografia. Il Sign. Teologo vi dormì con due giovani. Ieri sera mi diceva: Bisogna prendere le misure umane e quanto suggerisce la prudenza dai tetti in giù. Del resto, io sono molto tranquillo; l’Angelo Custode veglia lui. Ciò che mi consola di più è il pensare che queste cose non sono mie, ma del Signore; così mi par di conservare il distacco del cuore; e se venisse poi il caso di doverle lasciare, non mi affliggerò: la Provvidenza dispone a farle venire, a tutelarle, ad accrescerle. Oh, la Provvidenza! Solo ieri sera ho saputo che si temeva della mia vita: si era deciso di uccidermi nella settimana delle elezioni: eppure noi siamo passati per le vie tutte le ore di notte: e Dio ci ha protetti» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 26 dicembre 1919, o. c., p. 287).

105 «7 gennaio 1919. Ieri sera il caro Padre ci ha invitati tutti a fare un patto col Signore. Il patto che ha fatto lui: studiare uno e imparare quattro. Stamane nella meditazione ci ha ripetuto l’importanza, i fondamenti, le condizioni, l’invito. La sua parola era infiammata e piena di convinzione e persuasiva. [...] Nella Santa Messa si sono recitate al proposito le litanie della Beata Vergine, il “Veni Creator”, 3 Pater Ave Gloria, uno per ogni condizione che si deve porre. Prima delle “Ave Maria” il caro Padre recitò la formula del patto, chi volle la ripeté nel cuore» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 7 gennaio 1919, o. c., pp. 250-252).

106 «Le SS. Quarantore mi sono andate bene. Sotto l’influsso di Gesù Eucaristico questi testi mi han prodotto una impressione nel salutarissimo: Docentes eos servare omnia e... et ecce ego vobiscum sum; praedicate evangelium...; quaerite primum regnum Dei et haec omnia.....; non vos... sed ego elegi vos ut eatis. E tutti questi testi in relazione alla buona Stampa. S’è risvegliato in me uno spirito più forte di preghiera, ma di fede viva e di confidenza in Gesù eucaristico, formatore dei Chierici: una passione per l’umiltà, l’umiliazione e per il sacrificio. Bramo di vivere tutta la vita di Gesù C. Sacerdote. Ho visto più chiara, mi ha maggiormente impressionato la mia missione per l’Apostolato Stampa e mi son sentito più acceso per esso. Apostolato di civiltà cristiana, basato su Gesù C. primo missionario, che ora manda noi. Bramo suggellare una vita tutto amore per Dio e le anime, tutta santità, umiltà, tutta zelo, suggellare lo zelo e la dottrina di Dio diffusa colla buona stampa, col sacrificio della mia vita; piacesse a Dio sulla croce come Gesù C. A questo desidero venire con una serie di piccoli sacrifici, e mortificazioni, spirituali e sensibili corporali» (G. T. GIACCARDO, Diario..., o. c., pp. 42-43).

107 Ecco il dialogo tra Don Alberione e il Chierico Giaccardo: «Bisogna porre al posto della reclame Bianchi una della libreria. = Rende di più - io interruppi. = Se renda di più non so: ma è di maggior vantaggio alle anime. Ora quaerite primum regnum Dei: il resto è giunta!». Prosegue Don Alberione: «Badate alla sostanza: nella contabilità badare alla sostanza, alla semplicità: quando sarete più avanti, tenete pure una contabilità moderna, precisa; farete bene; ora badate alla sostanza. Dicevano: Per aprire una Casa simile ci vogliono direttori, professori... Se si fosse voluto cominciare così, la casa non si sarebbe aperta mai!...» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 19 marzo 1919, o. c., pp. 261-262).

108 Commentando Mt 6,24-33 alle Suore Pie Discepole, il 16 settembre 1962, Don Alberione dice: «“Cercate piuttosto il regno di Dio”, in primo luogo, e la santità e le altre cose saranno di conseguenza, adiicientur vobis. Quello è l’apostolato: cercare il regno di Dio o con le Adorazioni o con il servizio sacerdotale o con la liturgia. Ma soprattutto, per ogni individuo: la santità. Primo, che il regno di Dio sia in noi, e cioè, che siamo santi, poi il regno di Dio su tutta la terra, e allora, tutto il resto viene in aggiunta, et haec omnia adiicientur vobis. Perché (il paragone è molto materiale, questo): se vai [ad] acquistare carne dal macellaio, ci pensa lui a dare l’osso in aggiunta» (G. ALBERIONE, Alle Pie Discepole del Divin Maestro, Roma, 1986, n. 164, p. 166).

109 «Per noi il Signore esige pure una fede speciale, una fede che ci deve distinguere dagli altri: questa fede è fondamento della Casa. La casa la possiede e riuscirà; ma chi non la possiede non riuscirà e sarà agli altri di ingombro. Bisogna aver fede anche senza intendere: perché certe cose non le intende nemmeno il Signor Teologo: e qui sta la prova della fede: quando si opera e si crede senza vedere, anzi con previsioni contrarie. Che atto di fede dovette fare il Cottolengo quando stava per gettare le basi della Piccola Casa, ed era creduto matto, e nessuno lo sosteneva! Ma la fede operò i miracoli. Che cosa dobbiamo credere noi: che Dio vuole la B.S., che Dio vuole la nostra Casa per la B.S., che si acquisterà la scienza necessaria, anche con meno studio, e scienza per scrittori e giornalisti, che si avrà la pietà che Dio esige da noi anche senza quasi la direzione spirituale. Che Dio manderà le vocazioni vere, anche che la B.S. sia poco intesa nelle popolazioni nostre; che Dio manderà il necessario per il lavoro, i soldi, il cibo, e nulla mancherà» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 19 marzo 1919, o. c., p. 260).

110 Scrive il Gastaldi su Giuseppe Benedetto Cottolengo: «La grazia dell’ingegno, apertosi in Giuseppe si può dire per miracolo, mostrava pure come Iddio avesse sopra di lui disegni non ordinari e comuni. [...] Riconoscente perciò il giovanetto a benefizio così prezioso, volle mostrarne la sua gratitudine, con proporre e stabilire di volersi far santo. Cominciò dunque a penetrarsi profondamente di questa verità, che Dio lo vedeva in ogni luogo ed in ogni tempo; e dovunque andasse o qualunque cosa facesse, Dio era presentissimo a lui, ed egli presentissimo a Dio. Non contento di aversela scolpita nel cuore, la volle vedere cogli occhi; e quindi sui frontespizi dei libri e dei quaderni, invece di epigrafi o di sentenze quali costumano i giovanetti, scriveva questa verità: Dio mi vede; nella sua stanza da studio e da letto aveva appeso un cartello che gli ricordava di continuo la presenza di Dio; né di ciò soddisfatto, e forse anche per ricordarlo ad altri, nel cortile di casa dove prendeva le ricreazioni coi suoi compagni, aveva scritto a grossi caratteri sopra un muro: Dio mi vede» (P.P. GASTALDI, I prodigi della carità cristiana descritti nella vita di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, Piccola Casa della Divina Provvidenza, Cottolengo, Torino, 1959, pp. 18-19).

111 «Parlando alcuna volta il Venerato Padre della preghiera e della confidenza che devesi avere in Dio, diceva di se stesso: Quantunque si possa domandare al Signore qualche cosa determinatamente anche temporale, e la Chiesa medesima ce ne dia l’esempio, tuttavia per quanto mi spetta temerei di mancare se chiedessi a tal modo, perché mi sento attirato da un altro spirito. Pregava dunque e moltissimo, ma nelle sue preghiere non domandava né soccorsi, né aiuti; e parlando coi ricoverati medesimi diceva: Nella Piccola Casa non si deve pregare mai per il pane materiale. Il nostro Signore, soggiungeva, ci ha insegnato a cercare prima il regno di Dio, e che tutto il resto sarebbe venuto in seguito, ed a noi tocca di pregare così. Non condanno alcuno, diceva altre volte, ma in quanto a me, per la strada in cui Dio mi vuole, sento di dover piuttosto pregare così, e lasciarmi tutto nelle sue mani pregando: Quaerite primum regnum Dei, e questo ci basta. Egli conosce i nostri bisogni: Scit Pater vester quia his omnibus indigetis; pensiamo solo a contentarlo; preghiamolo, sì, ma in generale. Da principio così nobile ne veniva che non solo il Santo, ma nessuno della Piccola Casa faceva, almeno in pubblico, particolari domande per i bisogni temporali, molto invece si domandava di esser fatti santi; e migliaia di migliaia di volte nel giorno e nella notte, si ripeteva questa bellissima preghiera: Vergine Maria Madre di Gesù, fateci santi» (P.P. GASTALDI, I prodigi della carità cristiana..., o. c., pp. 314-315).

112 Negli ambienti della nascente Famiglia Paolina si seguiva perfettamente l’esempio della Piccola Casa della Divina Provvidenza: dire sempre “Deo gratias”, come si può costatare dalla testimonianza resa da Domenico Bosso nel processo per la Beatificazione e Canonizzazione del Cottolengo: «Non incominciava mai azione senza invocare l’aiuto di Dio: ripeteva sovente in Domino: e voleva che queste parole fossero ripetute dalla Piccola Casa. Quindi le case e le varie famiglie ed i cortili avevano nomi sacri, ad esempio, della Provvidenza, della Casa di Dio, della Speranza, della Fede, di Betlemme, della Carità etc. Le famiglie poi erano state da lui poste sotto la protezione dei santi. Aveva poi fondata tutta la piccola Casa sulla fede. Mi basti il dire che aveva stabilito il Deo gratias nella Piccola Casa, col quale voleva, cominciando egli il primo, che si ricevesse tutto da Dio, il pane materiale, il pane spirituale con tutto il rimanente ripetendo sempre Deo gratias! Egli considerava tutti i benefattori della Piccola Casa, come tanti strumenti della Divina Provvidenza, e voleva che di tutto si ringraziasse unicamente Iddio ripetendo Deo gratias e nelle ricevute di denaro o di oggetti scriveva il Venerabile ordinariamente il Deo gratias. Noto che nella piccola Casa il Deo gratias è il palpito del cuore di ogni famiglia e che ancora ai tempi nostri si ripete ad ogni più piccola cosa che si riceve sia dai superiori che dai compagni. Anche nella pubblica chiesa, quando il predicatore qualunque siasi ha finita la sua predica, gli si risponde dai ricoverati Deo gratias, come già si diceva al termine delle prediche del Venerabile. E voleva questi che questo Deo gratias si ripetesse ancora quando succedeva qualche infortunio o si riceveva qualche correzione come egli stesso faceva in simili casi, uno dei quali ho accennato poco sopra, cosicché voleva che la Piccola Casa vivesse di gratitudine e di riconoscenza verso il Signore sperando sempre nel Signore, quindi è che in Domino e Deo gratias erano il cuore della piccola casa» (Recensio Virtutum, pp. 19-20, in SACRA RITUUM CONGREGATIONE, TAURINEN. BEATIFICATIONIS ET CANONIZATIONIS VEN. SERVI DEI JOSEPHI BENEDICTI COTTOLENGO, Nova Positio Super Virtutibus, Romae, 1899).

113 «Chi dà tutto alla Casa è la Divina Provvidenza e il Signor Teologo voleva che esprimessimo al Signore il senso della riconoscenza col Deo gratias, come si fa alla Piccola Casa del Cottolengo: e l’uso si introdusse nei grandi e nei piccoli, e il Deo gratias si ripete ogni volta che si riceve un beneficio. È del resto la forma paolina, che si legge in ogni epistola, l’inno riconoscente di S. Paolo, anche per le cose più piccole» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 4, 15 aprile 1924, p. 8).

114 «Per tanto orrore al peccato sin dal principio della Piccola Casa, egli [Cottolengo] volle che ad ogni battere delle ore si dicesse da tutti: a peccato mortali libera me Domine. Ma dopo breve tempo osservando che era poco esser liberati dal peccato mortale, voleva ancora che ciascuno fosse liberato dagli stessi peccati veniali, correggendo fece dire: ab omni peccato libera nos Domine. Se gli accadeva alcunché di avverso, o se la Divina Provvidenza ritardava un poco negli aiuti, soleva subito dire, facciamo l’esame di coscienza, così per dire che ricercava tosto in sé se avesse commessa una colpa anche piccola da far così ritardare i soccorsi divini. L’andar che faceva dicendo, esaminiamoci, sarò io, sarò io la causa dell’indugio, faceva più che qualsiasi predica o correzione. Di qui è che il Venerabile Servo oltre l’esame che per regola pose nella Piccola Casa alla sera in tempo delle orazioni, voleva che si facesse nelle suddette circostanze di avversità da ciascuno un esame particolare, mettendosi sott’occhio, sarò io causa perché la Provvidenza indugia?» (Summarium super dubio, Summ. Num. IX, De Heroica Charitate in Deum, p. 401, in SACRA RITUUM CONGREGATIONE, TAURINEN. BEATIFICATIONIS ET CANONIZATIONIS VEN. SERVI DEI JOSEPHI BENEDICTI COTTOLENGO, Positio Super Virtutibus, Romae, MDCCCXCVI).

115 Espressione di questi due punti di riferimento sono le opere di Sant’Alfonso e dello Chautard, che ispirano le meditazioni proposte da Don Alberione: «Oltre gli Esercizi Spirituali sulla pietà, tutte le meditazioni e lavorio spirituale di quest’anno sono diretti alla vita interiore per svilupparla; ci lesse e spiegò ben bene il caro Padre Il gran mezzo della preghiera nella prima parte. Ora ci svolge L’anima dell’apostolato. Tutte le novene sono dirette al proposito degli Esercizi e tutte le prediche concludono su esso» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 17 gennaio 1919, o. c., p. 252).

116 La celebrazione della Conversione di San Paolo, il 25 gennaio 1919, servì anche da ritiro mensile. Il Giaccardo afferma che i quattro intrattenimenti del caro Padre erano tali che per non riportarli in modo sbiadito sarebbe stato necessario fotografarli. Riferisce comunque le parole di Don Alberione: «Ma statemi bene attenti, aprite le orecchie e non dormite col cuore: siate svegli. In ogni sforzo dovete progredire per dieci. E perché questo? Perché il Signore vi chiama ad una santità altissima a cui non potete giungere con le sole vostre forze e con le grazie ordinarie. Quanta santità? [...] Voi siete ai piedi di una grande montagna, salitevi su, mirate il vostro orizzonte: è tutto il mondo: quando una palla è ben liscia e rotonda, poggia su un marmo ben levigato, tocca per un punto solo e tutte le parti della palla pesano su quel punto. Sulla vostra coscienza pesano un milione, tre milioni, dieci milioni di anime... ecco perché dovete essere molto santi e molto più santi dei sacerdoti ordinari. Si tratta di salvare molte anime, di salvarne dieci milioni o di salvarne un milione solo. Ma il Teologo è matto a parlarci stasera di dieci milioni. Ed io vi dico che un buon giornalista ne salva di più. Alzate gli occhi, mirate in alto un grande albero di cui non si vede la cima: questa è la nostra Casa che è davvero un alberone, voi non siete che alle radici. La Casa attuale non è che la radice di questo grandissimo albero. Oh, se voi capiste mai il tesoro che è in voi, dove il Signore vi chiama, voi sareste tutti pieni di vita, non mi lascereste più stare, cioè non lascereste più stare il Signore, gli sareste sempre attorno a dirgli: “Ma io ho ancora bisogno di questo, ma io ho ancora bisogno di quello, ma fammi ancora questa grazia...”. Ma, voi direte, dove vuol portarci stasera il Teologo? Voglio portarvi sul monte della perfezione. Capite quanto dovete essere santi» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 1919, o. c., pp. 254-255).

117 «Gli unici fastidi sono questi: io non sono ancora abbastanza buono e voi non siete ancora abbastanza santi. Il resto mi importa tanto quanto vi sia una ciabatta nella fogna. Se pertanto mi volete bene, prendetevi anche voi questi fastidi, sentiteli, abbiatene pena, vogliate liberarne la Casa. Ci vuole più spirito di umiltà, di docilità, di slancio: tutto dipende dal vostro fervore, ci vuole l’unione perfetta di animo e di cuore con me. Fatelo, assumetevi questi fastidi, unici fastidi per amore del Cuore di Gesù e pregate tanto. In Paradiso vedremo quanto danno han portato all’opera i nostri peccati, vedremo come la santità era il solo, vero fastidio di quaggiù. Rideremo degli altri fastidi e ci stupiremo di non averci preso abbastanza questo» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 15 febbraio 1918, o. c., pp. 191-192).

118 Nel 1919, a partire dal 13 aprile, si parla sempre di più della Società San Paolo. Cf anche 25 aprile 1919, 25 maggio 1919, 30 giugno 1919, 17 agosto 1919 (cf G. T. GIACCARDO, Diario..., 1919, o. c., pp. 263ss.).

119 «Da più giorni il caro Padre ci inculca la verità di sopra [= fede e santità]. Stasera ci ha detto: “Il prossimo numero di UCBS illustrerà la casa. Proviamo a prendere per quest’estate una decina di giovani. Io conto anche su voi. Pregate: che il Bollettino sia ben accetto, produca frutto, vengano giovani di vocazione, si lascino formare; voi siate fermi, di buona volontà, capaci di formarli. Che io capisca come si deve eseguire il festina lente, e un’altra cosa che io so”» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 21 febbraio 1919, o. c., p. 259).

120 Nella citata predica del 19 marzo 1919, Don Alberione prosegue: «Non bisogna pensare che questa fede venga unicamente da Dio; bisogna pur sudare per acquistarla e mantenerla. Quando tutte le previsioni umane sono contrarie il credere fermamente è gran merito e ottiene. La fede alla prova: credete che prima della fine dell’anno avremo 40 ragazzi? Nessuno dubiti: se uno dubita ne avremo solo più 39. Credete che a gennaio sarà pagata la seconda macchina? Se uno dubita, un migliaio di lire di meno!» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 19 marzo 1919, o. c., pp. 260-261).

121 Il 30 giugno 1919, prima della rinnovazione dei voti, Don Alberione fa alcune considerazioni sul “perché la casa non dà tutti i frutti”: «Si dice, perché non si è uniti abbastanza fra noi di carità e di spirito: ma il male radicale si trova nella mancanza di sufficiente spirito di preghiera e si risolve qui sopra: ne esce il proposito: TUTTI FAREMO ALMENO UN QUARTO D’ORA DI VISITA AL SS. SACRAMENTO! Il caro Padre parlò in casa di questa risoluzione come di un fatto di prima importanza. Man mano che si alimenta l’amore si potrà chiedere di più e si dovrà giungere ad una ora al giorno di adorazione. Dopo 17 giorni tutti siamo stati fedeli con piccola eccezione: e più di tutto contentissimi del proposito» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 30 giugno 1919, o. c., p. 267).

122 «La prima settimana di ogni mese in Casa: Lunedì: a S. Paolo. Funzione per i Cooperatori B.S.; Martedì: Anime del purgatorio; Mercoledì: S. Giuseppe; Giovedì: Angelo Custode: Venerdì: SS. Eucarestia, S. Cuore, ora di adorazione. Sabato: Maria SS.» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 1 settembre 1919, o. c., p. 285).

123 «Accanto ai quotidiani ed ai settimanali sono sorti da qualche tempo i bollettini parrocchiali. Essi hanno lo scopo di integrare l’opera del parroco: col mantenere più viva la comunicazione fra di lui ed il suo gregge; col portare a tempo opportuno la parola del pastore anche a quella parte della popolazione che, per qualsiasi ragione, non interviene alle istruzioni del parroco; col ricordare anche per iscritto gli avvisi del parroco; col mantenere in vita e far prosperare tutte le loro istituzioni sorte attorno alla parrocchia (asilo, ospedale, catechismi, ecc.). Nella Diocesi d’Alba ve ne ha una ventina: per quanto si consta nessuno dei parroci che ne ha iniziata la pubblicazione, si è poi dovuto ricredere o ebbe a sospenderla. Volontariamente la popolazione ha dato e il bollettino non fu mai una passività. La Scuola Tipografica di Alba ne stampa di ogni misura, periodicità e formato. Essa cerca anche di facilitare l’opera sia per i prezzi come per la compilazione e la spedizione. Ad esempio: può fornire materia comune per due o tre pagine del periodico; può incaricarsi della spedizione, ecc. Chiedere saggi, preventivi, ecc. alla Scuola Tipografica di Alba» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 5, maggio 1919, p. 2).

124 Cf Unione Cooperatori Buona Stampa, anno I, n. 2, 28 novembre 1918, p. 3. Nel n 6, giugno 1919, p. 5, si annuncia il raggiungimento della cifra necessaria di L. 20.034,95; concludendo: «La fiducia non fu vana: la macchina fu pagata interamente, come può rilevarsi dal prospetto che riportiamo sopra. S.E. nostro Vescovo si è degnato di recarsi a benedirla: e speriamo che colla grazia divina, le cose continuino bene. Quindi a tutti la nostra più viva riconoscenza: colle preghiere per ogni più larga benedizione del Signore». Cf anche G. T. GIACCARDO, Diario..., 5 marzo 1919, o. c., p. 259, dove si parla dell’acquisto di un’altra macchina dall’ammontare di £ 16.500. Cf Ibid., 30 maggio 1919, pp. 265-266, dove Giaccardo parla della benedizione del Vescovo e del nome “Paolina”, dato alla Linotype.

125 «In ogni parrocchia. Vi dovrebbe essere un deposito rivendita di libri e oggetti religiosi. [...] I membri dell’Unione Cooperatori Buona Stampa sono in modo speciale invitati ad adoperarsi perché il deposito - rivendita venga aperto in ogni parrocchia. Nessuno più di essi conosce il bene che la stampa buona può fare: e forse poche altre forme di propaganda possono ottenere risultati quanti ne può ottenere un deposito - rivendita» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 5, maggio 1919, p. 6).

126 Sembra utile citare per intero l’articoletto di promozione: «Biblioteca fatta!!! Facciamo una proposta ai Sigg. Cooperatori della Buona Stampa. Un certo numero di essi desidererebbe promuovere una bibliotechina pel bene morale della popolazione in generale di una parrocchia, o in particolare di una certa classe di persone. Ebbene la libreria della Scuola Tipografica, sul metodo di quello che già si pratica in Inghilterra, provvede a prezzo fisso, una piccola biblioteca, con libri scelti, sicuri quanto al buon costume, a condizioni mitissime. Per ora propone per ogni classe di persone le seguenti, riservandosi di offrire in seguito altri tipi per signorine, studenti, operai, contadini, ecc. Bibliotechina di 25 volumi L. 25. Comprende N. 5 vol. di lettura amena. N. 5 vol. di vite di santi. N. 5 vol. di coltura, N. 5 vol. di ascetica, N. 5 vol. di romanzi. Bibliotechina di 50 vol. L. 50. Comprende 10 vol. di lettura amena; 10 vol. di vite di santi; 10 vol. di coltura; 10 vol. di ascetica; 10 romanzi. Bibliotechina di 100 vol. L. 100. Comprende 20 vol. di lettura amena; 20 romanzi; 20 vol. di vite di santi; vol. di ascetica; 20 vol. di coltura. Bibliotechina di 200 vol. L. 200. Comprende 40 romanzi; 40 vol. di lettura amena; 40 vol. di coltura; 40 vol. di ascetica; 40 vol. di vite di santi. Teniamo anche pronte biblioteche di 500 vol.; di coltura, di racconti educativi ed ameni, romanzi, ecc. che possiamo cedere a L. 450» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, n. 6, giugno 1919, p. 2).

127 L’elenco comprende giornali (Gazzetta d’Alba, Torre di S. Stefano Belbo, Avvisatore Ecclesiastico Albese Astese Alessandrino Saluzzese), una quindicina di Bollettini Parrocchiali, cinque libri editi, Libreria e legatoria, Specialità Catechistiche (Dottrina cristiana per le 3 classi), Libretti di Classe (delle quattro classi) e Biglietti Pasquali (cf Unione Cooperatori Buona Stampa, anno II, [n. 2?, tra febbraio e aprile] 1919, p. 8).

128 Si presentano due libri di Don Alberione, La donna associata allo zelo sacerdotale e Vigolungo Maggiorino Aspirante all’apostolato Buona Stampa, e il libro Un modello di Catechista Emilia Moglia, del Can. Francesco Chiesa (cf Unione Cooperatori Buona Stampa, anno III, [luglio?] 1920, p. 8).

129 «Il caro Padre chiamò attorno a sè la Pia Società S. Paolo; ci ammonì di tenerlo troppo poco avvisato di quanto avviene in Casa; poi ritornò alle fondamenta. Bisogna che formiamo la famiglia: del resto l’opera della B.S. muore con noi. Per questo è prima necessario che siamo uniti tra noi, che ci vogliamo bene, ci aiutiamo a vicenda, preghiamo tanto; e ci imbeviamo per bene dello spirito della Casa. Bisogna formar lo spirito: lavorare per Dio: il Sig. Teologo per abituarci a vivere da noi, non ci dà carezze: noi resistiamo. Bisogna formare la famiglia» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 25 maggio 1919, o. c., p. 265).

130 Giaccardo riceverà il nome di Timoteo, da lui segretamente desiderato, in occasione della sua professione religiosa, il 30 giugno 1920, dopo l’ordinazione sacerdotale.

131 Cf G. ALBERIONE, LV01, p. 92.

132 «10 febbraio 1920. Molte cose succedono degne di nota ed utili a noi ed ai nostri figli: io mi dimentico o non trovo tempo a scrivere. Quest’anno si chiama l’anno del consolidamento, come l’anno scorso anno delle vocazioni. I presenti ricordano quanto disse il Sig. Teologo inaugurando il primo gennaio» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 10 febbraio 1920, o. c., p. 288).

133 «Abbiamo pregato per una casa. S. Paolo ci ha fatto la grazia nel giorno della sua conversione: ci ha mandato un orto in posizione veramente felice. Si deve ammirare la provvidenza divina: tre luoghi che parevano acconci, alla vigilia di conchiudere andava in aria ogni relazione di contratto; questo, fuori progetto, è venuto; e non si sperava di poterlo avere. È quindi il luogo di Dio: la preghiera che tutto si effettui riposa sotto i piedi di Gesù nel S. Tabernacolo firmata da tutti i componenti la Società S. Paolo. Si escogitano i mezzi per soddisfare le 350.000 £ di debito. Primo: fede e preghiera; secondo: santità e lavoro diligente per la B.S.; terzo: ciascuno bene la sua parte perché ci guadagniamo col lavoro almeno il vitto» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 10 febbraio 1920, o. c., p. 288).

134 «Poi: Maestro: cercar anime buone che si facciano del bene aiutando la B.S.; Torquato: vie segrete della Provvidenza; Assistente: U.C.B.S. e mezzi di libreria: immagini, cartoline; Vice-Piazza: abbonamenti alla Gazzetta, lotteria...; Ambrosio: sottoscrizione. Il Sig. Teologo dirigeva ogni progetto e lavoro. Si prega e si pensano pure le pratiche affini di contratto: sicurezza legale, costruzione...» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 10 febbraio 1920, o. c., p. 288). L’assistente è Costa e il Vice Marcellino, come possiamo costatare in questo testo: «27 settembre: Oggi sono giunti da Bergamo l’Assistente Costa e il Vice Marcellino: Han superato felicemente l’esame del primo corso di scienze sociali. Deo gratias!» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 27 settembre 1919, o. c., p. 286).

135 Cf G. ROCCA, La formazione..., o. c., p. 559.

136 «Uno dei primi giovani attesta che, nel novembre 1919, il fondatore gli disse un giorno a bruciapelo: “Coraggio; l’anno venturo avremo una grande tipografia e una bella casa, e poi una bella Chiesa che dedicheremo a S. Paolo. Ma noi non ci fermeremo in Alba”. E molti anni più tardi nel corso di un’esortazione ai suoi giovani, il fondatore confidò che, mentre esaminava per la prima volta il terreno su cui sorgono ora le case e la chiesa di S. Paolo, aveva avuto un momento di smarrimento misterioso, durante il quale aveva visto in un modo chiarissimo l’intero complesso di edifici, così come si presenta ora allo sguardo del visitatore» (L. ROLFO, I primi passi (1914-1930), in AA.VV., Mi protendo in avanti, Edizioni Paoline, Alba, 1954, p. 117). Cf G. ALBERIONE, Mihi vivere Christus est, Edizioni Paoline, Roma, 1972, n. 138.

137 «Attendiamo dalla Provvidenza. Che cosa è necessario? Ci è necessaria una casa capace di alloggiare un cento persone: poiché attualmente la Scuola Tipografica ne raccoglie 46 e questo numero dovrà poi raddoppiarsi presto, per aumentare ancora. Dunque è necessario: un laboratorio dove possano collocarsi una decina di macchine tipografiche (quante cioè ne ha attualmente la Scuola Tipografica) e possano comodamente lavorare i compositori, gli impressori, i linotypisti, i legatori, gli spedizionieri, i correttori; almeno tre camere, per direzione, contabilità, parlatorio; camere per uso studio, scuola, cucina, refettorio, cappella, ecc.; camerata grande per un numero sufficiente di letti; cortile vasto ove i giovani possano ricrearsi sufficientemente; orto-giardino che dia modo di risparmiare un po’ della somma molto considerevole che attualmente è spesa nella carne e negli ortaggi. Ora però si vuol unicamente provvedere quanto è subito necessario. A che punto ci troviamo? Si è comperata un’area abbastanza ampia per costruire una casa, lasciarvi un cortile, un orto e quanto è necessario per i bisogni attuali ed anche prossimamente futuri. Essa però ha costato assai: e che cosa non ha prezzi elevati ai nostri giorni? L’area trovasi in Alba e comprende la proprietà detta comunemente Fornace: trovasi presso la piazza Savona a sinistra di chi dalla città voglia recarsi al Santuario della Moretta e viene a confinare col viale. Le cinque strade. Varie sono le vie per cui la Divina Provvidenza ci manderà quanto occorre: 1. Vi sono le sue vie segrete di cui noi uomini poco o nulla possiamo sapere. 2. Apriamo una sottoscrizione. 3. Ci rivolgiamo alle persone che hanno. 4. Promoveremo una lotteria. 5. Ai cooperatori buona stampa» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno III, n. 2, 1920, pp. 3-4).

138 «Nel mese di giugno [1920] furono compiuti i lavori di sterramento; nella prima quindicina di luglio le fondamenta sono state ultimate; nella seconda quindicina si diede principio ai muri; al momento in cui scriviamo (25 settembre) si sta per collocare i travi di ferro per la volta del primo piano. [...] Il piano terreno è destinato alle macchine da stampa, a magazzino, con due camere che serviranno per parlatorio. Notevole specialmente il locale per le macchine: di altezza conveniente, lungo 20 metri, largo 11,50, potrà benissimo contenere N. 10 macchine, rimanendo ancora lo spazio libero per i movimenti degl’impressori ed un corridoio per il personale di assistenza, per il trasporto delle forme, della carta, ecc. Ben esposto, provvisto di aria, luce in abbondanza; potrà fornirsi di un conveniente ascenseur per far discendere dalla soprastante sala dei compositori le forme per la stampa. Gli allievi impressori quasi ogni sera si portano a vedere i lavori per il loro locale e benedicono la Provvidenza e pregano pei loro benefattori. Lo spirito con cui si edifica la casa della Scuola Tipografica è ben diverso da quello che spinge alla costruzione di altre case. Qui si lavora come per innalzare una Chiesa: dalla Casa della Stampa Buona dovrà continuamente uscire la parola della verità, che, scritta sulla carta, dovrà volare in tutte le parti a illuminare, confortare, spronare al bene. Anzi questa casa sarà come un Seminario di Apostoli ed Operai della Stampa Buona! Un semenzaio, un’aiuola benedetta da cui verranno trapiantati in tanti, tanti luoghi» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno III, n. 7, settembre 1920, pp. 3-4).

139 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno IV, n. 5, 15 luglio 1921, p. 10.

140 Ibid.

141 Ibid., anno IV, nn. 3-4, 10-15 aprile 1921, p. 2.

142 Ibid., anno V, n. 2, marzo 1922, p. 4.

143 Il 6 marzo 1921 il Giaccardo scrive: «Le parole del sig. Teologo sulla nostra santità mi penetrano l’anima, mi scuotono: propongo e prego meglio. [...] Vedo che il Sig. Teologo corre corre, ed io non sono capace di tenergli dietro, nemmeno nella piccola parte mia!» (G. T. GIACCARDO, Diario..., 6 marzo 1921, o. c., p. 298).

144 Preziosa la descrizione del Giaccardo: «Un vento alquanto burrascoso s’è levato in questi giorni contro la Casa; si rappresentava come in grave disagio economico; il Sig. Teologo era un illuso, reietto dalle autorità ecclesiastiche: queste voci avevano fatto colpo anche sui Parroci di Vezza (D. Vigolungo) e di Benevello (D. Brovia). Il Sig. Teologo stese il bilancio della Casa in cui risulta un attivo di 524.000 £. In buono arrivò una lettera di Pisa che insisteva per la nostra andata presso il card. Maffi. Mons. Vicario ci consigliò a rimanere in Alba. Mons. Vescovo dice al Can. Chiesa che stima la scuola tipografica più di lui. Queste cose riferite ai Parroci sullodati, e a chi ne aveva bisogno, calmarono il vento, e il Signore sempre buono ha voluto concederci nella sua misericordia e nella sua sapienza la bonaccia» (G. T. GIACCARDO, Diario..., aprile 1921, o. c., pp. 298-299).

145 «Una nuova canagliata socialista ha insanguinato le vie di un’altra città italiana. Sul municipio di Ferrara dalle ultime elezioni sventola la bandiera rossa: e i compagni il 19 dicembre vollero tenere nel teatro comunale un comizio di protesta per certi maltrattamenti che si dicevano fatti a Bologna contro due onorevoli del partito, Bentini e Niccolai. L’autorità che aveva permesso il comizio ai socialisti, non potè proibire agli avversari una manifestazione patriottica nell’ora successiva alla riunione nel teatro: e così era stato ordinato. Ma non fu vero che i socialisti si attenessero alle ingiunzioni dell’autorità: quindi mentre i fascisti e nazionalisti in gruppi serrati percorrevano le vie principali della città, all’angolo di piazza del Commercio s’incontrarono con un branco di socialisti della Lega tra gli infermieri del manicomio, preceduto dalla bandiera rossa. Avventatisi per prenderla, furono accolti da un colpo di rivoltella che ferì uno dei fascisti. A quel segnale, dalla terrazza degli aranci, che dall’alto del Castello domina la via, cominciò una tempesta di colpi di moschetto contro i fascisti posti tra due fuochi, sorpresi dall’agguato e in una situazione dannosissima. Le vittime furono numerose: tre morti e più di venti feriti tra i fascisti: degli estranei un morto e non pochi feriti, tra cui il dottore Magrini che recavasi all’ospedale» (cf Cronaca contemporanea, 23 dicembre - 6 gennaio 1921, in La Civiltà Cattolica, anno 72°, vol. I, quad. 1694, 8 gennaio 1921, pp. 180-181).

146 «In tutto il paese continuano gli scontri sanguinosi che deploravamo nelle cronache precedenti, con l’aggiunta di qualche circostanza che ne rende più odiosa la violenza brutale. In non pochi casi gli scontri si vedono provocati da proditorie aggressioni di socialisti contro fascisti... [...] Si va però facendo manifesto, per confessione degli stessi capi del fascismo, che il movimento, sorto dapprima per reazione contro le prepotenze dei socialisti-bolscevichi-comunisti o anarchici di qualunque razza, non di rado oltrepassa i limiti della misura, peccando di quella stessa arbitraria violenza giustamente rinfacciata ai sovversivi e raddoppiando la confusione invece di servire all’ordine e alla pubblica tranquillità. Per citare qualche esempio di prepotenze arbitrarie entrate nelle abitudini fasciste, basti ricordare i maltrattamenti usati a Pisa giorni sono contro l’on. Modigliani che viaggiava con la signora, e fu obbligato di scendere dal treno che i tumultuanti non lasciavano partire. A Pavia l’on. F. Mani, insultato mentre sedeva in un pubblico caffè, inseguito nei piani superiori della casa, venne malmenato bruttamente: e si tentò di buttarlo da un balcone nella strada perché non volle gridare quello che gli imponeva il capriccio di quei violenti. Allo stesso modo venne fischiato e svillaneggiato l’on. Albertelli a Pavia, obbligandolo a ritirarsi da un pubblico ritrovo e ricoverarsi in casa. In parecchi luoghi, i fascisti assalirono le case private cercando degli uomini d’altro partito e bastonandoli e offendendoli in ogni modo, come fecero a Mantova contro il socialista Zanolli, con aperta violazione del domicilio privato» (cf Cronaca contemporanea, 28 aprile - 12 maggio 1921, in La Civiltà Cattolica, Anno 72°, vol. II, quad. 1702, 14 maggio 1921, p. 371).

147 «Il duello tra socialisti e fascisti va diventando ognor più accanito e sanguinoso, mettendo a repentaglio l’ordine e la pace cittadina. I socialisti, secondo il solito, urlano a perdifiato contro gli avversari, facendosi vittime lamentose delle costoro violenze; ma, a ben esaminare, la cosa corre tra galeotto e marinaro. Intanto però non si può negare che l’Italia non solo nelle maggiori città, ma nelle minori borgate e fin nelle campagne presenta uno spettacolo indegno di una nazione civile: ne vogliamo dare in prova la cronaca sommaria di queste ultime settimane. Ai 6 di aprile, a Padova uno studente fascista è aggredito e percosso da operai: di rimbalzo la Camera del lavoro vien devastata e va in fiamme: sei feriti. Il giorno appresso, un fascista è maltrattato e ferito da ferrovieri alla stazione di Reggio Emilia: accorrono a difenderlo i compagni che invadono la Camera del lavoro e gli uffici del giornale socialista La Giustizia e vi mettono il fuoco. Lo stesso giorno, a Venezia baruffe tra le due parti in Campo santi Apostoli: intervento di guardie: colpi di rivoltella contro di esse: un morto e quindici feriti. [...] E le rovine vanno ogni giorno moltiplicandosi sì che sarebbe troppo lungo seguirne le tracce. Mentre scriviamo ecco tumulti, tafferugli, revolverate, incendi a Taranto, a Minervino Murge, a Ortenova, a Spinazzola, a Parma, a San Damiano nel Piacentino, a Legnago, a Viadana, a Campitelio, a Girgenti, a Nettuno, ad Arcole, a Iglesias in Sardegna, di nuovo a Torino, a Livorno, a Figline Valdarno: e potremmo continuare la triste enumerazione se questo non sovrabbastasse a mostrare lo stato di profondo sconvolgimento in cui si consuma il paese» (cf Cronaca contemporanea, 7-28 aprile 1921, in La Civiltà Cattolica, anno 72°, vol. II, quad. 1701, 30 aprile 1921, pp. 275-277).

148 «Le prepotenze malvage e le criminose aggressioni socialiste contro i cattolici si moltiplicano in modo assai grave; ed è ormai manifesto che vi è un motto d’ordine, una campagna di violenza per soffocare, magari anche nel sangue, ogni manifestazione di libertà religiosa. La più recente tragedia avvenne ad Abbazia San Salvatore in quel di Siena, la domenica del 15 agosto. Si celebrava colà la festa dell’Assunta con una tradizionale processione, alla quale partecipavano in maggior parte donne e fanciulle. La lega socialista aveva tenuto in quello stesso giorno un comizio, in cui un deputato socialista, dei più furiosi bolscevichi, aveva sfogato la sua bile contro i preti e i carabinieri, incitando quei villani a ogni eccesso. Difatti una frotta di quei brutali affrontò il pio corteggio e, malmenati i sacerdoti, “ferirono gravemente il parroco e menarono pugni e bastonate all’impazzata”. Allora, come narra il Resto del Carlino, giornale non sospetto di clericalismo, “sentendo che un nucleo di facinorosi si era diretto a corsa verso la chiesa del Convento, il maresciallo dei carabinieri vi si rivolse con diciassette militi: ma i socialisti li accolsero a sassate e a colpi di rivoltella. Due colpi a bruciapelo ferirono l’appuntato Nazzareno Ciarrocchi, che poco dopo moriva, e qualche pugnalata faceva stramazzare a terra il carabiniere Buriggi. A quella vista i carabinieri fecero uso delle armi; e il portabandiera socialista Ovidio Sabbatini, che i militi stessi credono di poter indicare come il feritore dell’appuntato, cadde trafitto da un proiettile”. Nello stesso tempo un gruppo di socialisti era penetrato nella chiesa, assalendo i fedeli ivi rifugiati. Un religioso, frate Angelico, dei Minori, venne ucciso. Nella mischia spaventosa che ne seguì, i carabinieri dovettero nuovamente adoperare le armi a difesa, e la chiesa echeggiò di colpi da una parte o dall’altra; due degli aggressori ed un povero bambino caddero nel sangue. I carabinieri dovettero ritirarsi in caserma e asserrarvisi contro la teppa, che tentò appiccarvi il fuoco. Nuove scariche di moschetto e colpi di sassi e di rivoltella fino verso le ore 22. Il conto della giornata sommava a otto morti e numerosi feriti; altri molti dei rivoltosi arrestati. Per compenso i socialisti, al solito, proclamarono lo sciopero generale; il colmo della impudenza bestiale dopo la più bestiale ferocia» (cf Cronaca contemporanea, 12-26 agosto 1920, in La Civiltà Cattolica, anno 71°, vol. III, quad. 1685, 28 agosto 1920, pp. 464-465).

149 Cf L. ROLFO, I primi passi (1914-1930), in AA.VV., Mi protendo in avanti, o. c., p. 127.

150 Cf S. LAMERA, Lo spirito di don Giaccardo, servo di Dio, Edizioni Paoline, III edizione, s. d., p. 115.

151 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., p. 311.

152 G. ALBERIONE, Sectamini fidem..., Ricordi del Primo Maestro ai Sacerdoti Sampaolini, Pia Società San Paolo, Alba, p. 48.

153 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., p. 362.

154 «A questo sogno che dovrebbe risalire al 1923, e forse, ai primi mesi di quell’anno, quando la sua salute stava per subire la crisi più grave della sua vita, il Fondatore attribuì sempre una grande importanza, nel senso che le parole che diceva d’aver udite dalle labbra del Salvatore divennero per lui una certezza e un programma di vita» (L. ROLFO, Don Alberione, Appunti per una biografia, Edizioni San Paolo, 1998

3 , p. 187).

155 C. A. MARTINI, Le Figlie di San Paolo, o. c., p. 129.

156 P. GILLI, Così come mi ricordo, Cenni sulla storia della Congregazione, Alba, luglio 1995. Appunti inediti, consegnati dall’autore al CSP.

157 Trascrizione dalla registrazione su videocassetta della tavola rotonda, svoltasi nell’Auditorium degli Stabilimenti del Gruppo Periodici, ad Alba, il 13 settembre del 1995, con la partecipazione del rag. Antonio Buccolo, del Prof. Edoardo Borra, del dott. Gianfranco Maggi e del dott. Piero Reggio. Cf M. BUCCOLO, Alba 1914-1925: don Alberione fondatore e il suo tempo, in Il Cooperatore Paolino, n. 9, novembre 1995, pp. 12-13.

158 «Il cortile di prima era da sistemare: durante le pioggie trasformavasi in un laghetto e l’acqua perdurava piuttosto. L’inconveniente era grave. Venti giovani di Priocca si offrirono di appianarlo. Un bel lunedì mattina arrivarono su due birocci con zappe, picchi, badili... A testa di tutti era l’ottimo Sig. Corsero Stefano, che tanto bene va facendo alla nostra Casa. Tagliarono il rialzo posto davanti, allargarono il cortile di oltre tre metri, l’innalzarono in vari luoghi di 30, 40, 50 cm., portando la terra ovunque con carrette a mano e a... cavallo. Se avessero lavorato per proprio conto, non avrebbero potuto dedicarsi con maggiore fervore. [...] Il lavoro terminò venerdì sera tardi» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 2, 27 febbraio 1923, p. 4).

159 Riportiamo per intero questa pagina memorabile: «Innanzi al macchinario. Riflessioni. Le macchine sono materia; e questa non avrebbe per l’uomo cristiano alcunché di attrattiva: se non fosse che l’uomo stesso non è solo spirito. Ma questa materia che costituisce le macchine è l’opera di Dio, e venne lavorata dal genio meraviglioso dell’uomo cui il creatore l’aveva consegnata. Queste macchine maravigliose divengono care e venerande, come sacro e venerando all’oratore sacro, il pulpito. San Paolo in quel monumento di scienza e di carità innalzato al cospetto dei secoli: la lettera sua ai Romani, esclama: la fede dall’udire e dall’udire il vangelo: quanto sono belli i passi di coloro che annunziano la pace, annunziano la felicità! Quanto sono belle le macchine destinate agli evangelizzanti il bene. L’apostolo della stampa buona innanzi alle macchine prova qualcosa di più che non san Francesco quando sentiva uscire dall’anima l’inno al fratello sole. Il pensiero dell’apostolo passa nella macchina che lo materializza in foglio che è quasi vivo, perché porta verità eterne, alimento spirituale che nutrirà lettori infiniti: non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio. La divina sapienza per la parola divina ha nutrito il cuore e l’anima dell’apostolo che l’ha meditata sulle divine Scritture; dalla sua anima è passata a prendere consistenza, incarnarsi, materializzarsi attraverso il crogiuolo, le spire, gli ingranaggi, i plateaux di una macchina; è uscita con un corpo di carta; essa sarà il pensiero di altri uomini, di altre anime; passerà i mari, valicherà i monti; renderà fratelli i sentimenti, le idee di due anime che non si sono mai viste, lo scrittore ed il lettore; cristiano lo scrittore, cristiano il lettore. La verità divina illumina il mondo, il regno di Gesù Cristo, guadagna nuove menti, nuovi spiriti, nuovi cuori. Il missionario della stampa buona ama la sua macchina, la vuole bella, moderna, celerissima, tanto da raggiungere e sorpassare nella corsa la stampa cattiva; ama la sua chiesetta, la tiene pulita ed ordinata; la sogna sempre in attività, eruttare la parola buona. Vorrei sempre essere trovato sul piedistallo della mia macchina. I santi vengono dipinti con in mano gli strumenti, i simboli, gli emblemi della loro santificazione: io, dice l’apostolo della stampa, vorrei venire ritratto con la penna e il calamaio, o ritto accanto alla macchina in piena funzione. Come infatti altrimenti svolgere in una tela il pensiero di quella mente vastissima che fu Tertulliano: verrà giorno in cui l’inchiostro degli scrittori varrà quanto il sangue dei martiri. I martiri mostrano le spade, i roghi, le graticole, le croci, le belve... E come ci si presentano molti santi? San Paolo si è dipinto con in mano il libro delle sue epistole; san Tommaso tiene fra le dita la penna; Savio Domenico porta nella mano destra la carta; gli evangelisti in atto di mettere sulla pergamena quanto loro inspirava lo Spirito di verità; san Francesco di Sales ha daccanto le opere che l’hanno fatto dichiarare dottore della divozione; san Gregorio Magno è ritratto in atto di comporre il suo libro dei Morali; san Giovanni Berchmans si stringe al petto il libro delle regole tanto a lungo meditato» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno IV, n. 5, 15 luglio 1921, pp. 5-6).

160 Ibid., p. 8.

161 G. T. GIACCARDO, Diario..., maggio 1921, o. c., p. 299.

162 G. T. GIACCARDO, Diario..., 19 giugno 1921, o. c., p. 299. «Comunarsi interamente» qui sta, verosimilmente, per «essere, avere tutto in comune».

163 G. ROCCA, La formazione..., Documento n. 31, o. c., pp. 569-570.

164 G. ROCCA, La formazione..., Documento n. 31, o. c., p. 570.

165 G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., pp. 319-320.

166 G. T. GIACCARDO, Diario..., 10 febbraio 1918, o. c., p. 190.

167 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno V, n. 1, 5 febbraio 1922, p. 5.

168 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno V, n. 1, 5 febbraio 1922, p. 3.

169 Ibid., p. 7.

170 Ibid., anno V, n. 7, agosto 1922, p. 4.

171 Ibid., p. 2.

172 Ibid.

173 Ibid., p. 4.

174 G. ALBERIONE, Quaderno 39, 29 novembre 1909, p. 15.

175 R.-F. ROHRBACHER, Storia universale della Chiesa, 16 voll., Giacinto Marietti, Torino, 1869-1870

3 .

176 Cf, ad esempio, G. ALBERIONE, Quaderno 39 e R.-F. ROHRBACHER, Storia universale della Chiesa, o. c., vol. IV, pp. 149ss.

177 G. VENTURA, Le donne del Vangelo, Giosuè Rondinella Editore, Napoli 1856-1875; ID., La donna cattolica, 3 voll., Carlo Turati, Milano - Dario G. Rossi-Genova, coeditori, 1855; ID., La Madre di Dio Madre degli uomini ovvero La Santissima Vergine a piè della croce, Rondinella & Loffredo, Librai-Editori, Napoli, 1903

6 .

178 Cf F. ANDREU, Ventura, in Dictionnaire de Spiritualité, vol. 16, fasc. CII-CIII, Paris, 1992, coll. 364-372.

179 Cf G. VENTURA, Le donne del Vangelo, o. c., parte seconda, pp. 24-77.

180 Ibid., p. 34.

181 Ibid., pp. 41-42.

182 Ibid., pp. 42-43.

183 Ibid., pp. 43-44.

184 Ibid., pp. 44-45.

185 Ibid., pp. 45-46.

186 Ibid., p. 48.

187 Cf Ibid., pp. 49-67.

188 Ibid., p. 53.

189 Questi rimandi al DFst valgono anche per i successivi numeri di questa sezione (nn. 125-131).

190 G. ALBERIONE, La donna associata allo zelo sacerdotale, o. c., p. 46.

191 Ibid., p. 24.

192 L’opera del Ventura aiuta a situare le affermazioni di Don Alberione sull’Apostolato della donna nel passato, nel quarto capitolo, prima parte, del libro La donna associata allo zelo sacerdotale, 1915, pp. 42ss. Cf, ad esempio, ciò che Don Alberione scrive su santa Olimpiade (pp. 49-50) e il II vol. di La donna cattolica, pp. 126ss. Anche se il Ventura privilegia l’esposizione sulla donna considerata come madre o nelle funzioni ecclesiali non monastiche e si indirizza a presentare le donne che operarono nella Chiesa francese, l’opera La donna cattolica costituisce un quadro di riferimento vastissimo per il pensiero di Don Alberione.

193 G. VENTURA, La donna cattolica, o. c., vol. I, p. 258.

194 Ibid., p. 259.

195 Ibid., p. 260.

196 Ibid., p. 263.

197 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno V, n. 7, agosto 1922, p. 9.

198 Ibid.

199 Cf Ibid., anno V, n. 4, 6 maggio 1922, p. 8.

200 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., pp. 373-374.

201 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno V, n. 7, agosto 1922, p. 11.

202 Cf C. A. MARTINI, Le Figlie di San Paolo..., o. c., p. 119.

203 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno V, n. 7, agosto 1922, p. 10.

204 G. T. GIACCARDO, Diario..., luglio 1922, o. c., p. 300.

205 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno V, n. 8, 10 settembre 1922, p. 2.

206 Ibid.

207 Ibid., anno V, n. 12, 23 dicembre 1922, p. 3.

208 «Lavoro compiuto. Nel 1922 dalla Scuola Tipografica della Pia Società San Paolo uscirono 350.000 copie della Gazzetta d’Alba; 482.000 copie di bollettini parrocchiali d’ogni formato e periodicità; 120.000 copie di Vita Pastorale (rivista per il clero); 150.000 copie di catechismi piccoli e grandi; 9 libri di divozione per un totale di 27.000 copie; 36.000 copie di “Dottrina e fatti”; 12.000 copie di “Armonie Sociali”, rivista sociologica del Pontificio Ateneo di Bergamo. Due collezioni di romanzi “Tolle et lege” e “Fons aquae” per un totale di 69.000 copie; undici libri di vario genere: fra tutti 27.500 copie. Si sono inoltre pubblicati 70.000 calendari; biglietti pasquali di tipo differente, circa 75.000; 75.000 foglietti volanti religiosi; una immensa quantità di circolari, fogli, manifesti, registri e biglietti per catechismi. Eppure si è fatto nulla! Nel campo della stampa e di fronte alla stampa cattiva non siamo che una infima minoranza, un punto impercettibile! Vocazioni ci vogliono, tipografie, aiuti» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno V, n. 12, 23 dicembre 1922, p. 4).

209 Nei Cenni storici generali della Pia Società S. Paolo, dopo aver parlato degli inizi dei progetti fondazionali di Don Alberione, nel 1903-1904, e dei due primi giovani avviati nel 1908 alle scuole del Seminario, si presenta la crescita numerica degli alunni della Casa: «Il 20 agosto il primo alunno entrava a dar principio alla novella famiglia; nel 1915 erano 9; nel 1916, salirono a 14; nel 1918 a 25; nel 1919 a 35, nel 1920 a 42, nel 1921 a 90, nel 1922 a 172» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 2, 27 febbraio 1923, p. 10).

210 Cf Ibid., pp. 2-3.

211 Questi rimandi al DFst valgono anche per i successivi numeri di questa sezione (nn. 138-143).

212 IGNAZIO DI LOYOLA, Autobiografia, n. 3. Cf ID., Gli scritti, a cura di M. Gioia, UTET, Torino, 1977, p. 660.

213 A. RABALLO (Suor Teresa, F.S.P.), Memorie del Primo Maestro Rev. Teologo Giacomo Alberione, Opera inedita. Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., p. 359.

214 A. RABALLO (Suor Teresa, F.S.P.), Memorie del Primo Maestro..., o. c. Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., p. 359.

215 G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione..., o. c., p. 360.

216 G. ALBERIONE, San Paolo, luglio-agosto 1954, p. 2.

217 «L’anno scorso [1922] la sera del 29 giugno, una prima processione accompagnava Gesù Sacramentato dalla Cappella interna a prendere possesso della nuova chiesa, che si era allora benedetta; il 1° maggio di questo anno una seconda processione aux flambeaux al canto delle Litanie lauretane, portava in trionfo nella nuova Chiesa il quadro della Regina degli Apostoli; il 1° giugno ultimo scorso, San Paolo, il patrono e l’anima della casa e della nostra Pia Società, veniva a porsi vicino a Gesù benedetto, il Divin Maestro, e a Maria Regina, nella chiesa a lui dedicata» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 6, 21 giugno 1923, p. 7).

218 In un articolo del giugno 1923, dal titolo Date eucaristiche, il bollettino UCBS tratteggia lo sviluppo della spiritualità eucaristica della Casa, dagli inizi fino al 30 maggio di quell’anno: Messa, Comunione, Presenza eucaristica, laus perennis eucharistica, visita, saluto o visitina. Particolarmente significativi sono l’inizio e la fine dell’articolo: «La divozione al Divin Maestro in Casa è concentrata nel Santo Tabernacolo. Quando la casa era piccola e formata di tutti piccoli, Gesù si contentava che si andasse a lui al mattino per la Messa e a riceverlo nella S. Comunione. Noi però già si sapeva che, quando la Casa si fosse sviluppata, avremmo avuto la laus perennis eucharistica come al Cottolengo. Intanto i piccoli vennero più grandi e cominciò uno nel 1917 a fare tutti i giorni la visita al SS. Sacramento in S. Damiano. [...] Il 22 luglio [1922] si stabilì così la visita: i membri della Pia Società San Paolo avrebbero fatto al SS. Sacramento un’ora di visita tutti i giorni in ora libera; i Servi di Maria mezz’ora al giorno insieme; i Discepoli e gli alunni venti minuti tutti assieme. Le Figlie di San Paolo avrebbero anche fatto un’ora di visita tutti i giorni; le altre mezz’ora. Questa regola vige ora in Casa. Così nel pomeriggio dalle 2 alle 9 Gesù ha continuamente degli adoratori: mentre al mattino dalle 4 alle 8 si succedono le SS. Messe. Allora si è potuto, grazie alla misericordia di Dio, realizzare una parte di quello che è il sogno del principio: la laus perennis. [...] Mezza giornata di Laus Eucharistica! Ma anche le ore del meriggio e del mattino ci trovano sovente presenti al Tabernacolo e confidiamo in un’altra misericordia: che Gesù possa rimanere esposto dalle 4 alle 21. E le altre ore della notte? Oh anche esse sono e debbono essere del Divin Maestro presente nel Tabernacolo!» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 6, 21 giugno 1923, pp. 8-9).

219 L’iconografia propria si è sviluppata lungo il primo decennio della Casa: «Il quadro di S. Paolo era collocato in Casa al posto d’onore, tra l’artistico Sacro Cuore del Morgari, e la Immacolata del Murillo. [...] Il primo ed ogni sabato del mese [si consacra] a Maria Santissima: e ad onor di Maria si prese subito a fare il mese di maggio con fiori, con fioretti, con pensieri e con meditazioni; la chiusa del mese di maggio era ogni anno, fin dal primo anno, una poesia divina, una mistica armonia di cuori, di palpiti, di fiori, di preghiera, cantici. La divozione alla Madonna è la leva di ogni iniziativa, di ogni progresso, di ogni buona riuscita, della vittoria sul demonio, della santità più bella e più alta» (San Paolo [= UCBS], anno VI, n. 11, 22 novembre 1923, p. 8).

220 «A S. Paolo vien consacrato in Casa tutto il mese di giugno che è il mese grande della Casa: di lui si parla due volte al giorno: due volte al giorno si va a fargli visita ossequio ed Egli ricambia l’ossequio e l’amore con grazie copiose. La divozione a S. Paolo si diffonde in Alba, e si diffonde fuori: molti sono quelli che si raccomandano a lui per conversioni, per aiuti materiali e ottengono: nella sua chiesa è quasi continuamente presente qualche persona, e le candele davanti a lui ardono quasi di continuo» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 6, 21 giugno 1923, p. 7). - Nel 1923 UCBS, che da agosto a novembre esce sotto il titolo di San Paolo, pubblica numerosissimi articoletti su San Paolo. Si parla della “Paologia dantesca” (San Paolo [= UCBS], anno VI, n. 8, 25 agosto 1923, p. 19) e, addirittura, del cuore eucaristico di S. Paolo, come se anche lui avesse coltivato le devozioni alla maniera della Casa (cf Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 7b, 20 luglio 1923, p. 5). Interessanti sono gli articoletti su “I paolini dei tempi apostolici”, seguendo il calendario liturgico: S. Tecla: 23 settembre (Ibid., n. 9, p. 5), San Dionigi Areopagita: 9 ottobre (Ibid., n. 10, p. 3), San Clemente Romano: 23 novembre (Ibid., n. 11, p. 5), S. Filemone e S. Appia: 22 novembre (Ibid., n. 12, p. 4), S. Timoteo: 24 gennaio (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 1, 15 gennaio 1924, p. 4), S. Tito: 6 febbraio (Ibid., n. 2, p. 8).

221 Nel numero di febbraio 1923, si inizia la pubblicazione dei “Cenni storici generali della Pia Società S. Paolo”. Sono interessanti le annotazioni dei Cenni storici... del numero di giugno: si riferisce sul trasferimento da Villa Moncaretto alla Casa Perrando [= Perraudo], in via Mazzini; si nota che dalla Scuola Tipografica si va staccando l’appellativo Piccolo Operaio e rimane solo quello di Scuola Tipografica; si conclude: «In casa Perrando [= Perraudo] la Casa si sviluppò e prese fisionomia» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 6, 21 giugno 1923, p. 6). Il numero di luglio descrive come, nell’abitazione di Via Mazzini, si era un cuor solo e un’anima sola attorno a Don Alberione ed aggiunge: «Nel parlatorio della Casa era stato collocato, su di un modestissimo tronetto, il quadro di san Paolo: fu l’inizio primissimo della Cappella di S. Paolo: là, tutti inginocchiati per terra recitavano le preghiere mattino e sera, gli “Angelus”, si facevano gli esami di coscienza, si diceva l’Ave Maria prima d’uscire, ed appena entrati, inginocchiati per terra, recitavano le preghiere in Casa. Una lampada elettrica ardeva costantemente in casa e in Tipografia. San Paolo vegliava, proteggeva, benediceva, cresceva» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 7b, 20 luglio 1923, p. 7).

222 Ibid., p. 13.

223 San Paolo [= UCBS], anno VI, n. 11, 22 novembre 1923, p. 1.

224 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 1, 15 gennaio 1924, p. 12. Particolarmente sentita è la presentazione della Società Biblica: «Sezione Società Biblica. Perché diffondere il Vangelo. Rifacciamoci un po’ indietro. La vita cristiana in noi non c’è se non la infonde Gesù C.; né valgono le scoperte anche più meravigliose a farla venire in noi! Il giansenismo staccò i cristiani dalla fonte della vita propria di loro: dall’Eucarestia e dal Vangelo, e la vita cristiana languiva. Pio X, santo, la cui grandezza apparirà sempre maggiore nell’avvenire, riattaccò i cristiani a queste due fonti e subito si vide un rifiorimento. Ma se fu fatto molto per ricondurre alla Comunione, altrettanto non si può dire per la penetrazione popolare del Vangelo, pur essendosi già lavorato parecchio. Onde il lavoro, la disciplina, l’ordine, il dolore, la gioia, la povertà, le ricchezze, il divertimento, l’autorità, la forza, il diritto, la legge, l’economia privata e peggio la pubblica, tutto è visto e guidato con principii e massime del mondo, razionalisticamente, naturalisticamente; fin dove giungono le cause seconde si ha fiducia, di lì in là più nulla. È questo che bisogna gridare forte ai piccoli e agli alti con propaganda privata e ancor più affermazioni pubbliche, attorno al Vangelo, farlo stimare e creare l’ambiente. Di qui, o uomini, si passa: Cristo solo è la via e la vita, ed egli che è Dio questo solo ha fatto e questo solo ha detto e non altro. Questo è per noi un dovere e una grave responsabilità: abbiamo la salute, nelle mani; Gesù Cristo ce la affidò e c’impose di applicarla; applichiamola con ogni pazienza, ma anche opportune et importune. G. C. ci chiederà conto del sangue che scorre sotto i nostri occhi, delle rovine morali e materiali che si accumulano, e delle anime che periscono. Non possiamo restare spettatori inerti e passarsela con un commento da giornale o lamentele; siamo sacerdoti, altri G. C., che farebbe egli al nostro posto? Ecco il perché della diffusione del Vangelo: riattaccare l’intelligenza del nostro popolo alla mente divina, perché armonizzi con Lei pensieri e giudizi e conseguentemente le azioni. Da questo si vedrà già lo spirito che anima la Società Biblica, lontanissimo da una speculazione commerciale che farebbe poi anche del bene, ma sopra tutto che il regno di G. C. scenda nelle intelligenze e nei cuori per il Vangelo, e le rimetta in comunicazione con la vita di G. C.» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 8, 15 agosto 1924, p. 11).

225 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 12, 15 dicembre 1923, p. 2.

226 Ibid., p. 13.

227 San Paolo [= UCBS], anno VI, n. 11, 22 novembre 1923, p. 8.

228 Un quaderno inedito contenente 68 pagine manoscritte di Don Alberione e 49 pagine manoscritte del Giaccardo. Mancano diversi fogli: per esempio, quelli riguardanti il quarto, quinto, settimo, ottavo, nono e ventitreesimo giorno.

229 Cf A. DAMINO, Bibliografia di Don Giacomo Alberione, Roma, 1994

3 , pp. 31-32.

230 Un mese a San Paolo, meditazioni e letture, Pia Società San Paolo, Alba, 1925. Si tratta del testo di Don Alberione, completato e rielaborato in alcune parti ad opera del Giaccardo.

231 Cf L’Immacolata e il Natale, in Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VI, n. 12, 15 dicembre 1923, pp. 2-3.

232 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 1, 15 gennaio 1924, p. 11.

233 Quaderno manoscritto Timoteo Giaccardo, n. 6, p. 125.

234 Cf Ibid., pp. 125-130.

235 Cf Ibid., pp. 132-150.

236 Probabilmente questa meditazione fu tenuta durante la messa della domenica: perciò, al mattino.

237 Quaderno manoscritto Timoteo Giaccardo, n. 6, p. 133.

238 Cf Ibid., pp. 150-155.

239 Cf Ibid., pp. 150-151.

240 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 2, 15 febbraio 1924, pp. 11-12.

241 «Perciò per l’autunno prossimo sarà aperta una casa annessa alla Società S. Paolo per i giovani che aspirano alle missioni: con intendimento di lavorare per gli infedeli o scismatici, in modo particolare (non esclusivo) colla stampa. Già 14 giovani vi hanno fatta domanda: essendo già utile il tempo destinato a ciò» (G. ALBERIONE, in Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 2, 15 febbraio 1924, p. 3).

242 «Perché la diffusione del Vangelo possa avere una diffusione sempre maggiore si è formata una società fra i Cooperatori con statuto apposito. Schema dello Statuto.
1 - È istituita presso la Pia Società San Paolo la sessione “Società Biblica” dell’Unione Cooperatori Buona Stampa.
2 - Si propone la diffusione e penetrazione fra il popolo della Bibbia, e in modo particolare dei Ss. Vangeli.
3 - Si compone: di soci perpetui che versano L. 1000 una volta sola; di soci benemeriti che versano L. 500 una volta sola, di soci ordinari che versano L. 5 ogni anno; di quelli che fanno una Comunione per settimana a favore dell’opera, o si impegnano alla propaganda personalmente, coi giornali o altri mezzi.
4 - Partecipano in vita e dopo morte alle Mille Ss. Messe che ogni anno si celebrano nella Pia Società S. Paolo, alle indulgenze concesse dalla S. Sede a tutti i Cooperatori della Buona Stampa e al bene della Pia Società S. Paolo.
5 - Ricevono mensilmente il bollettino “Unione Cooperatori B. S.” dove si darà un resoconto del bene compiuto.
6 - I proventi delle offerte sono impiegati nella diffusione gratuita o al minimo prezzo della Bibbia e del Vangelo.
7 - La Direzione è presso la Pia Società S. Paolo in Alba.
Il presente statuto ha l’approvazione del Vescovo» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 2, 15 febbraio 1924, p. 5).
Si deve ricordare qui anche l’influsso dell’enciclica Spiritus Paraclitus, di Benedetto XV, pubblicata il 15 settembre 1920, in occasione del quindicesimo centenario di San Girolamo, nella quale si richiama l’importanza dello studio della Sacra Scrittura.

243 Per chi sente sete di anime - come Gesù -. «Signore, io vi offro in unione con tutti i Sacerdoti che oggi celebrano la Santa Messa, la Vittima Divina, Gesù Ostia, e me stesso, piccola vittima:
1° In riparazione delle innumerevoli bestemmie, errori ed oscenità che si stampano in tante tipografie da cui ogni giorno esce un fiume di carta, che allaga il mondo come torrente putrido;
2° Per invocare la vostra misericordia sugli innumerevoli lettori, perversi o innocenti, che la stampa scandalosa strappa dal vostro Cuore di Padre, assetato di anime;
3° Per la conversione di tanti scrittori e stampatori ciechi, ministri di satana, falsi maestri che hanno alzato cattedra contro il Divin Maestro, avvelenando ogni insegnamento, il pensiero umano e le sorgenti dell’umana attività;
4° Per onorare, amare, ascoltare, unicamente Colui, che Voi, o Padre Celeste, nel Vostro gran Cuore avete dato al mondo, proclamando: “Questo è il mio Figlio diletto: Lui ascoltate”;
5° Per conoscere che solo Gesù è perfetto Maestro: cioè la Verità che illumina, la Via o il modello di ogni santità, la Vita vera dell’anima cioè grazia santificante;
6° Per ottenere che si moltiplichino nel mondo i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose, consecrati a diffondere la dottrina di Gesù a mezzo della stampa;
7° Perché gli scrittori ed operai di questa stampa siano santi, pieni di sapienza e di zelo, per la gloria di Dio e per le anime;
8° Per domandarvi che la stampa cattolica prosperi, sia diffusa, aiutata, e si moltiplichi, innalzando la sua voce, così da coprire l’inebriante e trascinante strepito della stampa perversa;
9° Perché tutti noi conosciamo la nostra ignoranza e miseria, e il bisogno di starcene sempre coll’occhio supplichevole ed a capo chino innanzi al vostro Santo Tabernacolo, o Signore, invocando luce, pietà, misericordia» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 2, 15 febbraio 1924, p. 4).
Si noti in particolare il punto quinto che evidenzia Gesù come perfetto Maestro: «Verità che illumina, Via o modello di ogni santità, Vita vera dell’anima cioè grazia santificante». Cf “Per chi sente sete di anime come Gesù”, Offertorio Paolino, a cura di A. COLACRAI, Edizioni Archivio Storico Generale Famiglia Paolina, n. 8, Roma 1985.

244 «Le Pie Discepole. Sono una famiglia religiosa di figliuole, in Alba (Piemonte), dai 16 anni in avanti. Si consacrano ad adorare, continuamente per turno, il Divin Maestro, Gesù Sacramentato per effettuare l’“Avvenga il tuo regno” specie col mezzo della Buona Stampa. Conducono vita comune, a modo delle suore facendo privatamente i loro voti. Hanno ciascuna due ore di adorazione per ogni giorno: oltre le altre pratiche comuni di pietà; si occupano poi anche di lavori comuni (cucire, rammendare ecc.). Vivono in casa propria, sotto la guida del Superiore della Pia Società S. Paolo. Devono essere scelte fra le figlie che più inclinano alla pietà specialmente eucaristica. Siano sane di mente e di corpo, e non oltrepassino i 25 anni; entrando non pagano pensione di sorta; ma devono essere fornite di un corredo sufficiente: e nei primi due anni sono a loro carico le spese di vestito, bucato ecc. ecc. TEOL. ALBERIONE GIACOMO.
La Casa delle Pie Discepole. Per le Pie Discepole si stanno adattando per bene i locali della casa in fondo al giardino: vi sarà posto per cinquanta figliuole, e per i loro laboratori di bucato, sartoria ecc. La Casa ebbe un nome divino, è chiamata “Divin Maestro”, e a chi vuol sapere dove sono le Pie Discepole, si risponde: sono al “Divin Maestro”» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 2, 15 febbraio 1924, p. 28). - Per ulteriori approfondimenti si possono consultare gli accurati studi pubblicati recentemente dalle Pie Discepole, specialmente: R. CESARATO, L’albero visto dalle radici, Le Pie Discepole del Divin Maestro tra carisma e storia, Appunti, Fascicolo 1, Pro manuscripto, Roma, 1997; R. CESARATO - G. M. J. OBERTO, L’albero visto dalle radici, Le Pie Discepole del Divin Maestro tra carisma e storia, Appunti, Fascicolo 2, Pro manuscripto, Roma, marzo 2000; AA.VV., Eucaristia, Sacerdozio, Liturgia, l’unità come mistica del servizio, Atti del Seminario Internazionale sull’unità delle tre dimensioni apostoliche, Camaldoli, 22 febbraio - 5 marzo 1998, Roma, uso manoscritto, ottobre 1998.

245 Cf la presente Introduzione, n. 144, nota 218.

246 Cf R. CESARATO, Dagli inizi al 1944, in R. CESARATO - G.M.J. OBERTO, L’albero visto dalle radici..., o. c., Fascicolo 2, p. 43.

247 «Il Signor Teologo Alberione compì la cerimonia alle 6,30, ed impose a tutte il nome nuovo, e celebrò per loro la S. Messa e disse “paterne parole che debbono meditare”. Una funzioncina raccolta, semplice di senso e di amore e di gioia e di esultanza, per quelle figlie che affrettavano il giorno e l’ora con vivissimo desiderio. Fu preparato un ritualino proprio di questa funzione: Ecco anche il nome delle otto Pie Discepole che fecero la prima vestizione: Suor Scolastica della Divina Provvidenza, Suor Antonietta del Divin Maestro, Suor Maria di S. Giuseppe, Suor Teresa dell’Addolorata, Suor Annunziata di Maria, Suor Paolina dell’Agonia di Gesù, Suor Giacomina dell’Angelo Custode, Suor Margherita delle Anime Purganti» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 4, 15 aprile 1924, p. 24).

248 Cf M. RICCI, Madre Maria Scolastica Rivata, fedele Discepola del Divin Maestro, Edizione non commerciabile, Roma, 10 febbraio 1996. Orsola Rivata è nata a Guarene, il 12 luglio 1897. È probabile che abbia visto e ascoltato Don Alberione in occasione della sua predicazione a Guarene, ad esempio, il 9 ottobre 1910 (su I Ss. Angeli Custodi) e il 10 aprile 1910 (su San Vincenzo Ferreri e l’importanza della Parola di Dio). Il 29 luglio 1922 entra tra le Figlie di San Paolo, in Alba.

249 Cf la presente Introduzione, n. 113.

250 «Le Pie Discepole. Sono una famiglia religiosa, a lato delle Figlie di San Paolo. Raccoglie figliuole che si vogliono consecrare al Signore con l’adorazione perpetua della S. Eucarestia, pregando per la dilatazione del regno di N. S. Gesù Cristo; e occupando il rimanente tempo in lavori comuni a favore dei Sacerdoti e religiosi della Buona Stampa (cucire, rammendare, far cucina, ecc.). Fanno i loro voti al Signore e di particolare hanno due ore di adorazione ogni giorno. Vestono divisa propria. [...] Il nome di “Pie Discepole” viene dal loro ufficio: esse dovrebbero compiere verso il Divin Maestro l’ufficio delle Pie Donne, della prima fra le Pie Donne, cioè la Santa Madonna: Adorare Gesù, consolarlo nella SS.ma Eucarestia, vegliare innanzi al S. Tabernacolo per amore ardendo più e meglio che le candele di cera; invocare dal Divin Maestro il trionfo della Stampa Buona sulla cattiva; poi adempiere verso i Sacerdoti gli uffici ed i servizi che la Madonna adempieva verso Gesù e gli Apostoli. Ecco riassunta la loro vita umile, nel silenzio, nell’amore, nella preghiera; ricordata anche dall’abito che reca i colori della Madonna, il bianco e l’azzurro, con un raggio eucaristico, fiammante sul petto» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 9, 20 agosto 1925, pp. 10-11).

251 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 11, 15 novembre 1924, p. 20.

252 Ibid., anno VII, n. 5, 15 maggio 1924, seconda di copertina.

253 Ibid., anno VII, n. 8, 15 agosto 1924, pp. 1-2.

254 «I nuovi Paolini hanno anche assunto un nome nuovo, testimonio e monito dell’uomo nuovo vestito» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 8, 15 agosto 1924, p. 8).

255 «La venuta di una alunna o di un’adulta in Casa è accolta con quel piacere, con quella gioia che si fa attorno ad un neonato. Compito principale delle Figlie è ora specialmente la formazione dello spirito che le prepari ad essere buone apostole. Man mano che arrivano le nuove, trovano il loro Angelo Custode, e sono coltivate come le piantine. Vien loro insegnato il modo di far bene la santa meditazione, di praticare gli esercizi di pietà: la Santa Messa, la S. Comunione, la lettura spirituale, il S. Rosario, il lavoro spirituale, gli esami di coscienza al mattino, al mezzodì ed alla sera; il modo di ben confessarsi, di star unite al Signore; ad imitare da vicino gli esempi di Gesù, specialmente la sua ubbidienza, umiltà, spirito di sacrificio e di amore. Poi le piccole all’Assistente, le adulte alla Maestra delle Novizie, aprono con figliale fiducia l’animo loro, manifestando le difficoltà incontrate, i difetti, le virtù, i santi desideri, a fine di essere guidate, confortate, e sostenute nel lavoro personale e costante che ciascuna deve compiere per vincere se stessa, per progredire nella purezza del cuore e nella pratica graduale della virtù» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 8, 15 agosto 1924, p. 22). - In questo stesso periodo viene pubblicato il manuale Metodo di esame particolare, secondo Sant’Ignazio, Alba, Pia Società San Paolo, senza data, pp. 54. Al termine del libro, sono riportate le tabelline settimanali, utili per segnare mancanze e vittorie nel lavoro spirituale quotidiano.

256 Tra gli impegni elencati in uno degli “Ora et labora” si trova quello della diffusione del Vangelo nelle famiglie cristiane e del Giornalino, settimanale illustrato a colori per i fanciulli, le cui pubblicazioni erano iniziate il 1° ottobre 1924. Il numero di ottobre dell’UCBS informava: «La Sezione la “Società Biblica”. Si propone la diffusione e penetrazione fra il popolo della Bibbia, e in modo particolare dei SS. Vangeli. In un anno di vita diffuse 200.000 copie del S. Vangelo. Sono in preparazione pure: Il Santo Vangelo unificato, il S. Vangelo per famiglie, il S. Vangelo per fanciulli, le lettere di S. Paolo e degli altri Apostoli, i Vangelini domenicali, la Bibbia completa» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VII, n. 10, 25 ottobre 1924, p. 11).

257 G. ALBERIONE, A tutti i cari e buoni Cooperatori della Pia Società San Paolo, Alba, 31 dicembre 1924, in Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 1, 20 gennaio 1925, p. 1.

258 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 1, 20 gennaio 1925, p. 9. Il numero di febbraio si apre con un articolo su Le Lettere di S. Paolo, in cui, tra l’altro, si afferma: «Abbiamo potuto esaminare e far esaminare il manoscritto delle Lettere di S. Paolo, che è a Roma per la revisione: fu trovato veramente bello e alla portata del popolo, tanto per la traduzione chiara, semplice, quanto per le note e copiose e opportune e vive. [...] San Paolo ha una missione e un compito sociale, religioso, da ben valutarsi: è il ministro del Vangelo per i popoli gentili. L’umanità era separata da una profonda divisione: il popolo di Dio (gli ebrei) e il popolo non di Dio (tutti gli altri uomini). Gesù Cristo venne per salvare tutti, il ministero di S. Paolo era questo: di predicare l’universalità della redenzione, e di attaccare il popolo non di Dio, sul popolo di Dio, e farne un sol popolo, inserire l’olivastro sulla buona oliva, perché tutti fossero salvi. Le sue lettere fanno questo lavoro: instaurare omnia in Christo, instaurare ogni cosa in Gesù Cristo: e poi far vivere agli uomini una vita celeste, perché le membra del corpo, che prima hanno servito a cattive azioni, fossero ora consacrate al servizio di Dio come ostie viventi e tempio dello Spirito Santo. Più ancora: che tutta la natura, guastata pur essa col peccato d’origine fosse associata all’uomo in un inno continuo di benedizione a Dio. [...] Speriamo che il grande Apostolo il quale prende i popoli pagani e li pianta su Gesù Cristo, perché lo spirito suo penetri in essi e vivifichi tutta la loro vita sino a far dell’uomo un Dio saprà attirarsi non solo ammiratori, non solo studiosi critici, ma anime che l’amino, se ne innamorino o tentino con lui l’ascesa verso Dio fino al vivo iam non ego, vivit vero in me Christus» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 2, 20 febbraio 1925, pp. 1-2).

259 Il Tempio di San Paolo fu costruito tra la Casa San Paolo (a destra di chi osserva la facciata del Tempio) e la Casa della Divina Provvidenza (a sinistra), e parallelo alla Casa Regina degli Apostoli. Il numero di UCBS dell’agosto 1925 pubblica la fotografia di queste tre case (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 9, 20 agosto 1925, pp. 7-8).

260 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, 1° aprile 1925, pp. 1-2. In questo stesso numero si informa che «si è fatto acquisto della macchina cinematografica, per la ricreazione educativa dei grandi giorni. Nella bella sera di Pasqua si è rappresentato: Fabiola, con S. Sebastiano, S. Agnese, S. Tarcisio e l’arte delle carte geografiche» (Ibid., p. 9). Si fa pure un cenno anche ad altri nuovi mezzi di apostolato: «Treno, telegrafo, telefono, stenografia, linotype, rotative, elettricità, ecc. Questi elementi che Dio ha creato per la sua gloria, guai a noi se neghittosi lasciamo che servano al regno di satana» (Ibid., p. 24).

261 Nel bollettino dell’UCBS si trovano spesso considerazioni sulla necessità di costruire in fretta il Tempio di San Paolo, anche per far fronte alle necessità dei numerosi membri della Casa, che raggiungevano ormai il numero di 408 persone, provenienti da 30 province italiane (cf Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 9, 20 agosto 1925, p. 1). Nel maggio 1925 si pubblica un foglietto di quattro pagine a modo di supplemento dell’UCBS, dove si fa ai Cooperatori e Amici una interessante presentazione della Casa: «Questa famiglia si compone di due grandi rami: gli interni, i membri della Pia Società S. Paolo che lavorano nella diffusione del Vangelo e pregano; sono i Religiosi e le Figlie di S. Paolo; e gli esterni, gli Amici e Cooperatori, che accudiscono ai loro lavori e aiutano la Casa colle loro offerte». Le Pie Discepole vengono chiamate suore: «È nata in seno alla Casa anche la famiglia delle Pie Discepole. Sono suore le quali, oltre ad attendere ai bisogni ordinari del numeroso Istituto, stanno per turno giorno e notte ininterrottamente davanti al SS. Sacramento, esposto nella Cappella, per implorare le benedizioni di Dio sulla Casa e sulle famiglie dei Cooperatori» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, 10 maggio 1925, p. 1).

262 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 9, 20 agosto 1925, pp. 7-8. Si moltiplicano le celebrazioni della Festa del Divin Maestro, per la diffusione del Vangelo. Viene solennizzata l’intronizzazione del Vangelo, come si apprende dalla descrizione di ciò che si è fatto a Benevello: «Sul tronetto, a destra e a sinistra del Raggio si collocarono due volumetti di “Il Divin Maestro”, Vangelo unificato, ben visibili, per dare anche materialmente l’idea che il s. Vangelo è come la continuazione di Gesù Cristo Eucaristico, la sua Parabola [Parola?], il suo complemento» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 13, 20 dicembre 1925, p. 20). Il libro in questione è Il Divin Maestro, Testo concordato dei Quattro Vangeli, con note, Società S. Paolo Editrice, Alba-Roma, 1925.

263 Quaderno manoscritto Timoteo Giaccardo, n. 6, p. 125.

264 Ibid., p. 132.

265 Ibid., p. 150.

266 Questo accostamento tra Verità-Maestro-Dottrina; Via-Esempio e Vita-Grazia non è nuovo nella Casa. Anzi, già nel 1910, parlando ai seminaristi di Alba, Don Alberione affermava: «È sul sacro Cuore di Gesù Cristo che noi dobbiamo modellarci: quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagini Filii sui. Egli ci ha dato l’esempio delle più alte e perfette virtù. Egli è così buon Maestro che mentre insegna ci dà l’esempio e comunica alla volontà debole la grazia medicinale» (G. ALBERIONE, Quaderno 8, 1° giugno 1910, p. 35). Inoltre, Timoteo Giaccardo annota in un testo del suo Diario del settembre 1918: «La sera d’ingresso, dopo le orazioni, il Sig. Teologo mi presentò ai giovani e mi diede il nome di maestro e mi invitò a dire due parole: io non volli parlare perché impreparato. Avrei dovuto parlare: se entrassi oggi = dopo un anno e più... direi: Maestro: io faccio l’ubbidienza: uno solo però è il nostro maestro: Gesù che ci parla e ci coltiva per mezzo del Sig. Teologo». In un altro testo del medesimo periodo, il Giaccardo ha certamente in mente il trinomio Verità, Via, Vita, considerato sotto l’aspetto di dottrina, esempio, grazia, dove il termine Maestro acquista una connotazione speciale con Verità-Dottrina: «Gesù Maestro: 1. Vos dicitis me magistrum et bene dicitis quia ego sum: colla dottrina, coll’esempio, colla grazia. 2. Il Teologo mi fa chiamare maestro: lo debbo essere colla dottrina, coll’esempio, colla preghiera. 3. L’esame, proposito, preghiera» (cf Quaderno manoscritto Timoteo Giaccardo, n. 68, schema LXX).

267 F. CHIESA, Gesù Cristo Re, Pia Società San Paolo, Alba, 1926.

268 F. CHIESA, Gesù Maestro, Pia Società San Paolo, Alba-Roma, 1926.

269 F. CHIESA, Ego sum Vita, Pia Società San Paolo, Alba-Roma, 1927.

270 F. CHIESA, Gesù Cristo Re, o. c., p. 22.

271 La rivista La Civiltà Cattolica ha pubblicato, l’11 settembre 1926, una recensione del libro, che qui riportiamo integralmente: «Sulle tracce dell’Enciclica di Pio XI “Quas Primas” il ch. canonico Chiesa ha steso trenta letture, “che distribuite pei giorni del mese di ottobre, potranno servire di ottima preparazione per la festa della regalità di Gesù Cristo”, che cade quest’anno ai 31 di ottobre. L’idea è stata opportunissima, e l’A. ha avuto la bella sorte di eseguirla presto e bene, due cose, per solito, che male vanno insieme d’accordo. Il libro che può riuscire di grande vantaggio al clero, anche per la predicazione, nulla lascia a desiderare per esattezza di dottrina, che è proposta in forma chiara e degna del nobilissimo soggetto. Avremmo omesso, in un libro di questa natura, la figura in principio della lettura XXIV, e la spiegazione, che, in qualche punto non è chiara, p. es. a p. 239 dove un errore di stampa (la volontà unita alla morte [?]) rende meno perspicua la analisi psicologica dell’Autore. Le trenta letture del can. Don Chiesa, sulla sovranità di Gesù Cristo, mostrano anche quanto importante sia questa prerogativa, che riunisce intorno alla sua luce, a dir così, tutti gli splendori della dottrina cattolica, come ad es. può vedersi dalle letture XVII-XXI, sul Regno di Gesù Cristo, sulla sua forma generale, la sua costituzione organica, la forma di governo, la estensione del Regno, che danno una esatta idea della vera Chiesa di Cristo» (La Civiltà Cattolica, anno 77°, vol. III, quad. 1830, 10 settembre 1926, pp. 535-536).

272 Cf La Civiltà Cattolica, anno 77°, vol. I, quad. 1814, 8 gennaio 1926, pp. 97-126.

273 In F. CHIESA, Gesù Cristo Re, o. c., p. XI. L’importanza di questo passaggio della Quas primas per Don Alberione la si può desumere anche dal fatto che ispirò il ritiro mensile della Festa di Cristo Re, del 31 ottobre 1926, secondo gli appunti presi da Maestra Tecla Merlo (cf Quaderno n. 4, inedito, pp. 5-6).

274 «Il Regno di Dio si estende nell’universo, nella società, nelle famiglie; ma è certo che suo ultimo scopo siamo noi. È in noi, ossia nella nostra anima, nella nostra persona che Gesù Cristo vuole regnare. Regnum Dei intra vos est. Tutto l’universo sensibile non vale un’anima. L’anima è spirito e nello spirito vi ha la libertà. Nello spirito Dio esemplifica se stesso. Nello spirito tutto l’universo ritorna a Dio, perché lo spirito è capace di conoscere che tutto viene da Dio, e di tutto rivolgere a Dio, dando consapevolmente e liberamente gloria a Lui, come a primo Principio ed ultimo Fine» (F. CHIESA, Gesù Cristo Re, o. c., p. 234).

275 Il Chiesa presenta alcune considerazioni importanti per l’interpretazione del DF. In primo luogo traccia il suo quadro delle facoltà: «Il regno di Gesù Cristo deve soprattutto stabilirsi nella nostra anima. Questo abbiamo considerato nella precedente lettura. Ma la nostra anima ha varie facoltà: facoltà intellettuali, sentimentali, morali. Vediamo ora come questo regno deve stabilirsi nella nostra mente» (Ibid., p. 245).
Avvia poi il suo insegnamento parlando nel primo paragrafo dell’importanza dell’idea, paragonata a un seme che dà origine ad un animale o ad una pianta, ad un cedro del Libano o ad un elefante. E prosegue: «Da che cosa dipende tutto questo? Dall’entelechia direbbe Aristotele; - dalla forma, direbbe S. Tommaso; - ossia dall’anima che l’informa. Se quella materia è informata dall’anima di un grano di frumento, diverrà frumento, se dall’anima di un elefante, crescerà in elefante. Chi guida l’evoluzione del seme è l’anima. Infatti donde venne la diversità infinita delle specie e varietà di viventi? Appunto dall’anima. [...] Ora bisogna, che pensiamo che quello che è l’anima, nell’evoluzione biologica, è l’idea nella storia degli uomini. Alfredo Fouillée ha scritto bei volumi sull’idea-forza. L’Eymieu, nel suo Governo di se stesso ne ha bellamente utilizzata la dottrina a riguardo della nostra educazione. È cosa da tutti conosciuta che in qualunque secolo il pensiero è sempre il germe del progresso. Tutta l’era cristiana è venuta dall’idea cristiana che si è diffusa, penetrando profondamente l’umanità e producendo i suoi frutti. [...] Insomma, ripeto! l’idea è un seme; e come per avere una pianta si semina il seme, così per avere degli uomini di carattere formato, bisogna incominciare dall’idea. L’educazione deve incominciare dall’istruzione. Niente può esser voluto e giudicato senza che sia conosciuto. Nil volitum quin praecognitum, dice il proverbio. E così il regno di Cristo deve incominciare dalla mente. Prima di essere vita cristiana, deve essere idea cristiana. Senza l’idea, la vita mancherebbe di fondamento» (Ibid., pp. 245-247).
Nel secondo paragrafo della lettura il Chiesa afferma che dovunque si trova l’insegnamento di Cristo, là si trova l’idea cristiana e che «Gesù Cristo è Re della mente, perché verità essenziale come Dio, e perché in Lui abita tutta la pienezza della sapienza e scienza divina». Prosegue indicando che l’idea cristiana si trova nella Sacra Scrittura e nella Tradizione cristiana e che viene interpretata dal magistero.
Nel terzo paragrafo della lettura afferma che dobbiamo conoscere l’idea cristiana mediante lo studio e l’ascolto degli insegnamenti e appropriarcene per mezzo della fede, che deve essere universale, ferma e costante (cf Ibid., pp. 247-253).

276 «La volontà di Dio si manifesta in tre modi principali: nei comandamenti, negli esempi e negli avvenimenti. La prima e la seconda si chiamano volontà di segno; la terza volontà di beneplacito. [...] E quali comandamenti! Amare Dio sopra ogni cosa ed il prossimo come noi stessi. Rispettare la vita, l’onore, la roba, la fama del prossimo. Dar cibo all’affamato, vestire l’ignudo, perdonare al nemico, far del bene a chi ci offese, e tanti altri di cui è pieno il Vangelo. Appartengono pure alla volontà di Gesù, non però come comando, ma come consiglio certe altre cose più perfette come sono p. e. la povertà evangelica, e la castità perfetta. Questa volontà viene a regnare in noi per la virtù dell’obbedienza ai precetti di Dio. La medesima volontà di Gesù il Cristo si manifesta cogli esempi. Anzi gli esempi di Gesù formarono le prime espressioni della sua volontà. Coepit facere et docere (Act. I, 1). E quale abbondanza di esempi! La sua nascita nella povera capanna di Betlemme, e tutta la sua vita privata di trent’anni sono la più efficace espressione della sua volontà che ci comanda l’umiltà e l’amore alla povertà e al nascondimento. Qual chiara espressione della sua volontà nel suo digiuno di quaranta giorni, nell’esempio continuo di preghiera, di unione col suo Eterno Padre, di mansuetudine, di pazienza, di longanimità. Che diremo poi della sua Passione, della sua preghiera per i suoi nemici, della sua morte in croce? L’esempio è molto più chiaro e molto più efficace che la parola. Verba movent, exempla trahunt, dice il proverbio. Le parole muovono, ma gli esempi trascinano. Quanto dobbiamo noi ringraziare il nostro Divin Salvatore per essersi degnato di darci i suoi esempi! Le parole potevano sempre lasciar qualche incertezza sul modo di mettere in pratica la legge. Ma l’esempio toglie ogni ombra. La volontà espressa negli esempi viene in noi per mezzo dell’Imitazione della vita di Gesù. Vi ha finalmente la volontà di beneplacito che si manifesta negli avvenimenti. Anche qui qual vasto campo pel Regno di Dio in noi! Tutti gli avvenimenti della storia, della nostra famiglia, della nostra persona, esprimono la volontà, o almeno la permissione divina. Il tempo bello o brutto, l’abbondanza o la carestia, la sanità o la malattia, la ricchezza o la povertà, la pace o la guerra, la buona riuscita o la disdetta, la vita o la morte, tutto quanto avviene intorno e dentro di noi, tutto noi possiamo riconoscere da Dio» (Ibid., pp. 259-261).

277 «1. Il cuore umano. - Fisiologicamente il cuore umano è un muscolo della grandezza di un pugno, che è il centro propulsore della circolazione del sangue. Siccome poi dal sangue si mantengono tutte le parti del corpo, può dirsi che il cuore è la causa che alimenta e conserva il corpo umano. Psicologicamente parlando, il cuore è il centro della vita affettiva. Nel cuore possiamo considerare come vari piani o strati che rappresentano diversi gradi della virtù affettiva dell’uomo. Costituiscono il fondo del cuore le tendenze, prima fra tutte la tendenza alla felicità. Questa porta con sé l’altra tendenza ad odiare tutto quanto porterebbe al disgusto ed all’infelicità. Sopra le tendenze vengono le inclinazioni, che sono anch’esse tendenze, ma più determinate. Così per esempio la medesima tendenza alla felicità genera l’inclinazione alla ricchezza, all’onore, al lavoro e simili. Le inclinazioni però sono disposizioni di carattere permanente, calmo ed uguale. Ad esse, in certo modo si sovrappongono le passioni le quali occupano la parte centrale e principale del cuore, e formano addirittura un mondo vasto e complesso dentro di noi. Sopra le passioni fluttua varia e mutabile la moltitudine dei sentimenti e degli affetti. [...] 2. Come si possa nel cuore stabilire il Regno di Gesù. - È chiaro che dev’essere cosa di altissima importanza dominare il cuore. Di certo sovrano si disse: se volete guadagnarlo, cercate di volgere prima a voi il suo favorito ministro che tiene le chiavi del suo cuore. La volontà è la regina di diritto; ma il cuore è il suo favorito. Dominando il cuore, si domina l’uomo. Fortunatamente però la volontà può avere un dominio d’industria, come lo chiama San Francesco di Sales, sullo stesso cuore. Come dunque sarà possibile impadronirsi del cuore? Ecco: col farvi entrare un vero e forte amore, e questo è l’amor di Dio. Già abbiamo sopra osservato che tutti i dodici generali dell’esercito delle passioni, stanno sotto il comando di un generalissimo che è l’amore. Per questo dice S. Agostino: Ama et fac quid vis. Ama e fa quello che vuoi. Se in un cuore domina l’amor divino, possiamo dirgli senza timore: fa quello che vuoi. Siam certi che non farà che bene» (Ibid., pp. 267-271).

278 «1. Corpo e membra. - L’uomo è un composto di anima e di corpo. L’anima è la parte invisibile e spirituale, il corpo è la parte visibile e materiale. Noi intendiamo appunto di parlare di questo corpo in quanto, unito all’anima, è parte essenziale dell’uomo vivente ed attivo. Esso può essere robusto o debole, sano od infermo, perfetto o difettoso. Il corpo può usarsi bene o male, come l’anima. Può essere strumento di virtù o di vizio. Quanto poi alle membra, esse sono le porte di uscita delle nostre impressioni, come i sensi sono le porte di entrata. Ogni cognizione incomincia dal senso, ed ogni espressione termina al corpo ed alle membra. Il nome di membra si dà anzi tutto alle mani e ai piedi. [...] Ma insieme alle membra, vi sono anche i sensi, i quali possono servire sotto l’impero della volontà ad infiniti usi. [F. Chiesa passa in rassegna gli occhi, le orecchie, la lingua, la bocca, l’odorato e il gusto e il tatto]. - 2. Perché il Regno di Dio si estenda anche al corpo e alle membra. - Se anche corpo, membra e cose si considerassero solamente in se stessi, senza relazione coll’anima, pure apparterrebbero al Regno di Dio, in quanto questo si estende a tutte le cose create. Domini est terra et plenitudo eius (Ps. XXIII, 1). Ma noi consideriamo qui corpo e membra in quanto sono parti essenziali dell’uomo e quindi dipendenti dall’anima spirituale ed immortale. In questo senso corpo e membra vengono a cadere nel regno spirituale di Gesù Cristo, precisamente come appartengono le anime da lui create, redente e santificate. - 3. Come si estenda il Regno di Dio al corpo ed alle membra. - È cosa semplicissima: facendo servire corpo e membra come strumenti non a fare la nostra volontà, i nostri capricci o piaceri, ma unicamente a fare la volontà di Dio. [...] Ecco il genuino avveramento delle parole famose: Vivo autem iam non ego, vivit vero in me Christus (Gal. II, 20). E vivo non già io, ma vive in me Cristo. E cosa è tutto questo? È il Regno di Gesù Cristo che, incominciato nella mente e passato nella volontà, scese nel cuore per passare ad irradiarsi col corpo e nelle membra. È la completa realizzazione del Regno di Gesù in noi!» (Ibid., pp. 279-286).

279 F. CHIESA, La chiave della vita, Pia Società San Paolo, Alba-Roma, 1927. Cf A.F. DA SILVA, Cristo Via, Verità e Vita, centro della vita, dell’opera e del pensiero di Don G. Alberione, in AA.VV., L’eredità cristocentrica di don Alberione, o. c., pp. 253-254.

280 Nel numero dell’11 febbraio 1929, La Civiltà Cattolica ne ha fatto una recensione molto positiva: «Che le cinque lezioni contenute nel bel volume, che l’infaticabile Canonico Chiesa presenta al pubblico, incontrassero “la soddisfazione dei 62 insegnanti che presero parte al corso” di cultura magistrale, indetto in Alba dall’Istituto Superiore di Magistero del Piemonte, e che molti di essi ne chiedessero “con istanza, la pubblicazione” (p. VII), non ci fa maraviglia alcuna. Per la sodezza e profondità della dottrina, per la forma chiara, accostevole e quasi famigliare, per l’ordine mirabile e la stringatezza del ragionamento non poteva essere altrimenti. Eppure il ch. A., senza far troppo faticare i suoi ascoltatori, li conduce ad altezze di pensiero sublimi. Che cosa è la vita dell’uomo, e che cosa in essa e per essa deve conseguire? quale sarebbe il fine naturale della vita umana; e quale ne è ora di fatto il fine soprannaturale? (pp. 1-48). Dunque la vita nostra qui in terra è una preparazione; dobbiamo prepararci alla vita del cielo: preparazione della mente con la fede e l’istruzione religiosa (pp. 49-96); preparazione della volontà con l’osservanza della divina legge (pp. 97-145); preparazione del cuore col coltivare i sentimenti del bello e del buono per la virtù e i mezzi di grazia (p. 146-195); preparazione del corpo con la mortificazione e l’esercizio del bene (p. 196-258). Tale l’ossatura del bel lavoro, senza dire dell’arte con cui il chiaro Autore conduce le menti a concetti astratti e sottili per dare un solido fondamento intellettuale alla vita. Sia ad esempio la felice similitudine dei raggi X (p. 54). Oltre a qualche errore di stampa (v. pp. 3, 51, 65, 71, 76 ecc.) non ci pare esatta qualche espressione, come quella (p. 58) riguardante la luce; né diremmo che “lo stato di vedere le cose con lume proprio e naturale” è per la mente “oggetto più di rinunzia che di esercizio” (pag. 72); perché la vita soprannaturale non può nell’uomo fare di meno della vita di lui naturale. Ma ad ogni modo, il libro ci è parso ben condotto e molto a proposito pei tempi nostri, e vorremmo che fosse letto da molti» (La Civiltà Cattolica, anno 80°, vol. I, quad. 1888, 11 febbraio 1929, pp. 359-360).

281 Cf La chiave della vita, in Donec formetur Christus in vobis, Pia Società San Paolo, Alba-Roma, 1932, p. 16 (DFst 16). Non essendo possibile presentare qui anche semplicemente un riassunto dei punti di contatto tra La chiave della vita di Francesco Chiesa e il pensiero di Don Alberione, sembra interessante riportare almeno questo brano, sulla preparazione della volontà: «Or eccoci disposti a capire in che cosa debba consistere la preparazione della volontà. Siam sempre nel medesimo principio: prepararci è far ora quello che faremo allora. Quando si parlava della visione beatifica, questo significava allenare la nostra mente in questo mondo ad intendere le cose in Dio; come in Dio le vedrà nella vita futura. E qui che potrà significare? È chiaro. Incominciare fin da questa vita a vivere nella volontà di Dio e non nel nostro egoismo. La distinzione che si vedrà chiara nella vita futura tra beati e dannati, si vede anche nella vita presente. Vi sono degli uomini che vivono in se stessi, e degli uomini che vivono in Dio. Vivono in se stessi quelli che in tutto cercano di fare quello che loro piace. Non questa è la via che ci ha insegnato il nostro Salvatore e modello Gesù, che è via verità e vita. Egli ci ha ammaestrati coll’esempio prima, e poi colla parola, che la via da tenere è ben altra. Io son disceso dal cielo, egli dice, non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Giov. VI, 38)» (F. CHIESA, La chiave della vita, o. c., pp. 128-130).

282 F. CHIESA, Gesù Maestro, Pia Società S. Paolo, Alba-Roma, 1926.

283 F. CHIESA, Gesù Maestro, o. c., p. 1. Il bollettino dell’UCBS, del 20 febbraio 1927, informa che «Il mese di gennaio fu dedicato al Divin Maestro: ogni giorno fu tenuta la meditazione a tutta la Casa sul Divin Maestro, seguendo il libro: Gesù Maestro, scritto appositamente per fornire la materia di predicazione adatta» e presenta una sintesi del libro (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 2, 20 febbraio 1927, p. 12). Nel numero del 29 settembre 1928, la rivista La Civiltà Cattolica ha pubblicato la seguente recensione del libro Gesù Maestro: «La Pia Società S. Paolo, che con sì generoso zelo promuove l’apostolato della Buona Stampa, se pubblicherà spesso dei libri come questo del Can. Chiesa, non può essere che non trovi favore ed aiuto. Gesù Maestro è un volume che piacerà e farà molto bene alle anime; ma vorremmo che fosse letto e meditato specialmente dai sacerdoti, che sotto la guida di Gesù sono chiamati ad essere maestri. Il libro certamente lo merita: dottrina sicura ed esposta con molta chiarezza, attinta al De Magistro di S. Agostino e più di S. Tommaso; felicità di limpida presentazione di concetti anche sottili e sublimi sotto figurazione di oggetti e di rapporti comuni e quotidiani e sopratutto una cospicuità di ordine logico, che certamente risalterebbe anche di più, se il ch. A. ampliasse l’indice dei capi in un indice analitico delle dottrine. Il Can. Chiesa deve essersi intimamente formato alle nitide visioni dottrinali di S. Tommaso una mente limpida ed efficacemente assimilatrice, per potere esporre con così precisa chiarezza la dottrina dei nostri mezzi di conoscenza (pagina 46, ss.). Talora però pare a noi che insista troppo sulle analogie, come appunto su quella del sole e della luna (pp. 46 e 278, ss.), e che sui maestri estranei a Gesù meglio sarebbe dato contentarsi di semplici accenni senza entrare nel pelago storico delle loro dottrine, (vedi specialmente Zarathustra, p. 57, ss.) in quest’ora, nella quale sulla Storia delle religioni si fanno studi così minuti; molto più che non ha detto nulla dei maestri dell’antico Testamento. Certi neologismi li escluderemmo affatto, in un libro che vuol essere ed è di facile intelligenza: es.: valorizzate (p. 9), torpetica [sic!] (p. 193), plastica pedagogica (pagina 207)» (La Civiltà Cattolica, anno 79°, vol. IV, quad. 1879, 29 settembre 1928, pp. 73-74). In UCAS, parte di questa recensione fu ripresa più di una volta, per. es., nel numero 12, del 15 dicembre 1928, p. 9.

284 È molto interessante il pensiero del Chiesa che considera la natura e la Sacra Scrittura come due maestri dati da Dio all’umanità: «Tertulliano in una frase felicissima, che lo dimostra veramente un genio, riassume e scolpisce il maestro divino nell’umanità e ne segna lo scopo. Egli dice: Praemisit tibi naturam magistram submissurus et prophetiam, quo facilius credas prophetiae, discipulus naturae (De Resur. Carnis, c. 12). Come si dicesse: due sono i maestri che Dio ha mandato agli uomini: la natura e la S. Scrittura. Ma Dio, da quell’insuperabile pedagogo ch’egli è, ha voluto osservare il debito ordine, procedendo dal facile al difficile. E che fece perciò? Egli mandò per prima la natura, perché nella varietà e magnificenza dei suoi spettacoli, facesse da maestra agli uomini: e così gli uomini, ammaestrati alla scuola della natura, più facilmente potessero approfittare del magistero della S. Scrittura. Mandò, son le sue parole, dapprima a te maestra la natura, essendo per mandare in seguito la profezia, a che tu più facilmente credessi alla profezia, essendo già stato discepolo della natura. Ebbene noi, anche di fronte alla stessa natura, già abbiamo bisogno di un maestro che ci guidi, e ci aiuti ad interpretarla rettamente. Ciò intendiamo specialmente nel campo che sovra ogni altro ci interessa, cioè nel campo delle verità morali e religiose» (F. CHIESA, Gesù Maestro, o. c., pp. 27-28). Sono concetti che Don Alberione ha frequentemente ripreso nei suoi scritti.

285 Nei suoi appunti del venerdì 25 novembre 1927, Maestra Tecla Merlo annota l’indicazione di Don Alberione: «Gesù Cristo dice: Io sono la Verità (per comprendere meglio questo leggere il libro: Gesù Maestro)» (Quaderno n. 4, inedito, p. 102). Da parte sua Maestra Teresa Raballo annota: «Io sono la Verità, per considerarlo quanto merita, bisognerebbe leggere il libro stampato in Casa intitolato: Gesù Maestro. Argomento considerato in detto libro sotto vari aspetti: filosofico, teologico, ascetico e pastorale» (A. T. RABALLO, Quaderno 19, inedito, venerdì 25 novembre 1927, p. 56).

286 F. CHIESA, Gesù Maestro, o. c., pp. 138-139.

287 Ibid., pp. 147-148.

288 Ibid., pp. 155-156.

289 Ibid., pp. 165-166.

290 Ibid., p. 179.

291 Ibid., pp. 180-181.

292 Ibid., pp. 193-195.

293 Ibid., pp. 207-208.

294 Cf G. ALBERIONE, Metodo d’educazione, in Quaderno 40, 17-19 ottobre 1911, pp. 143-157.

295 F. CHIESA, Gesù Maestro, o. c., pp. 213-215.

296 Ibid., p. 220.

297 «Noi prendiamo qui il termine morale in senso ampio, in quanto si riferisce alla volontà, comprende perciò sia la morale propriamente detta, sia l’ascetica e la mistica. Vedremo ora come l’insegnamento del Divin Maestro si estenda a tutte tre queste parti» (F. CHIESA, Gesù Maestro, o. c., p. 235).

298 «È però da osservarsi che, parlando di Stampa, non ci dobbiamo limitare al solo Vangelo stampato. Nel Vangelo si contiene la dottrina di Gesù Maestro ma non tutta. Ricordiamo le parole con cui termina il Vangelo di S. Giovanni: “Sono molte altre cose fatte da Gesù, le quali, se si scrivessero ad una ad una, credo che nemmeno tutta la terra contener potrebbe i libri che sarebbero da scriversi” (Giov. XXI, 25). Possiamo considerare come dottrina di Gesù non solo le Lettere degli Apostoli e gli altri libri del nuovo Testamento, ma tutta intiera la Bibbia. Non solo. Nella sala d’entrata della Pia Società S. Paolo in Alba, ove appunto si formano gli Apostoli della Buona Stampa, sopra un quadro è rappresentata la figura del sole, che spande intorno la sua luce con tanti raggi. Nel centro il libro del Vangelo: i raggi all’intorno, rappresentano gli altri buoni libri, periodici e fogli che si stampano e diffondono: Bollettini parrocchiali, libri, Giornalino, ecc. E difatti ogni buon libro che diffonda lo spirito evangelico può a buon diritto chiamarsi raggio del Vangelo. Come la luce del sole forma tutti i quindicimila colori dell’iride, così la luce del Vangelo irradia in tutta la buona stampa. Ora se osserviamo come si realizza in pratica questa Buona Stampa, noi tosto conosceremo il modo di cooperazione. Per la Buona Stampa occorrono tre cose fondamentali: 1) formare gli uomini; 2) stampare i libri; 3) diffonderli. Ecco aperto un campo vastissimo di cooperazione» (F. CHIESA, Gesù Maestro, o. c., pp. 417-419).

299 F. CHIESA, Ego sum Vita, o. c., pp. V-VI.

300 Ibid., p. VI.

301 Nei suoi appunti del martedì 29 novembre 1927, Maestra Tecla Merlo annota: «Che cosa significa: Ego sum Vita (Libro)» (cf Quaderno n. 4, inedito, p. 107). Maestra Teresa Raballo annota: «L’ultimo libro stampato della collezione è intitolato: Ego sum Vita» (A. T. RABALLO, Quaderno 19, inedito, martedì 29 novembre 1927, p. 60).

302 F. CHIESA, Ego sum Vita, o. c., p. 331.

303 Cf A. F. DA SILVA, Tavola sinottica dei documenti relativi al testo di Donec formetur Christus in vobis, 35 pp. (inedita).

304 «Gli Esercizi sono un tempo in cui la novizia si prepara ad essere vera religiosa. Il noviziato è un tempo in cui l’anima si orienta verso il Signore» (T. MERLO, Quaderno B2.5, inedito, martedì 11 ottobre 1927, p. 3).

305 Cf Regole, Pia Società San Paolo, 1927. Nello stesso 1927 fu pubblicata l’opera Corso di Esercizi Spirituali per otto giorni secondo il metodo di S. Ignazio, compilato per uso speciale dei Religiosi e Sacerdoti dal P. Luigi Pincelli S.J., 2 voll., Pia Società San Paolo, Alba, 1927. L’anno seguente fu pubblicato il libro di L. BELLECIO, Gli Esercizi Spirituali secondo il metodo di S. Ignazio di Lojola, tradotti e in alcuni luoghi compendiati dal Padre Antonio Bresciani, Pia Società San Paolo, Alba, 1928; cf A. F. DA SILVA, Il cammino degli Esercizi Spirituali nel pensiero di Don Giacomo Alberione, Centro di Spiritualità Paolina, Casa Divin Maestro, Ariccia, 1981, pp. 33ss.

306 Non si ha notizia di appunti presi da Suor Scolastica Rivata riguardanti questo “Corso di Esercizi prolungati”. In un suo quaderno inedito del 1928 si trovano però appunti dai temi molto simili a quelli impartiti da Don Alberione per la formazione del ramo femminile della Casa e contenuti in forma lapidaria nel DF. Ad esempio, gli appunti del “Ritiro. Maestre. 4-28” contengono dei cenni all’apostolato stampa, simili alle affermazioni contenute nell’istruzione svolta il 16 aprile 1928, nel Corso di Esercizi prolungati. Si può percepire la particolare attenzione a ciò che era più pertinente alla vita delle Pie Discepole: «Gesù ha fatto similmente con me come ha fatto cogli Apostoli; essi erano poveri pescatori, ed io povera contadina! Cosa ne sapevano loro della sua missione? Così io dell’Apostolato Stampa. [...] Io debbo amare gli altri che son in altri istituti come fratelli e sorelle, ma considerare che noi col nostro Apostolato abbracciamo tutti loro pure; e come non bastando più le altre cose per fare quel bene necessario a gloria di Dio e a beneficio del prossimo, questo nostro apostolato rimane un nuovo modo per completare, comprendere ancor gli altri e far tutto insieme. Non è che sia nuovo nel suo genere perché la sua data vien già dai tempi di N.S.G.C., ma è nuovo nel suo modo. Pochi han compreso il vero senso dell’Apostolato Stampa, e noi siamo quelle anime fortunate che Iddio ha scelto per questa delicatissima missione. Colla preghiera e colla stampa: Colla preghiera per ottenere che la stampa faccia del bene e chi la fa abbia lume e grazia di farla santamente e ottenere una larga diffusione, e molti frutti di bene. Io sono ignorante che so niente e meno che niente, io più incapace d’ogni altro, fui scelta a fare questo gran bene» (SUOR SCOLASTICA, Quaderno 1928, inedito).

307 Cf Quaderno manoscritto di Suor Giuseppina Ambrosio, Istruzioni I-XX + 1 Ritiro mensile sullo Stato Religioso (inedito, attualmente conservato presso il Centro di Spiritualità Paolina).

308 Particolarmente interessante è l’Istruzione XVIII, su Gesù Maestro Via, Verità e Vita. Ne riportiamo un ampio brano: «Una grande grazia che dobbiamo chiedere al Divin Maestro è questa: Che possiamo sempre essere fedeli alla nostra vocazione, facendo in modo che la nostra stampa sia sempre pastorale, cioè sia essa sempre scritta con spirito pastorale, parrocchiale, con le verità che salvano. Voi amerete davvero il Divin Maestro quando darete la stampa pastorale, non di lusso, ma tutto ben chiaro e semplice, perché Gesù ha detto: “Io sono la Via la Verità e la Vita” e noi dobbiamo farla giungere a tutti questa stampa e salvare le anime, far arrivare a tutte le famiglie la luce del Vangelo. Questo è il primo omaggio che vi suggerisco di fare a Gesù Maestro. [...] Gesù Maestro Via Verità e Vita è la nostra strada finché noi staremo lì, staremo bene, saremo benedetti, sarà benedetto il nostro Apostolato. Tenetevi perciò su queste rotaie, non scappate da esse, non tenete altre vie libere, dite a Gesù: Gesù Maestro Via e Verità e Vita abbiate pietà di noi, siate la nostra strada, illuminateci, guidateci a Voi, teneteci per carità strette a Voi. - L’ossequio nostro a Gesù Maestro - In pratica l’ossequio che voi dovete fare a Gesù Maestro, in secondo luogo oltre il Vangelo è lo studio del Catechismo. Verità - La prima parte del Catechismo è il Credo, il dogma e onorerete Gesù Verità. Via - La seconda parte cioè quella dei precetti e dei comandamenti e virtù cioè la morale - va ad onorare Gesù Via. Vita - La terza parte comprende i sacramenti, la Messa, le preghiere, ossia il culto ad onore di Gesù Vita. “Io sono la vera Vita”». Nella conclusione dell’Istruzione successiva, Don Alberione afferma: «La vita religiosa è la Via la Verità e la Vita vissuta nel modo più perfetto. Bisogna che nel tempo di noviziato dimostriate di ascendere alla vita religiosa, ai voti, e li pratichiate già prima con slancio e fervore» (G. AMBROSIO, Quaderno 1929, inedito).

309 Tra le tante iniziative si ricordi l’inizio degli scavi per la costruzione della chiesa di Gesù Maestro, il 14 marzo 1927, ad Alba, in Borgo Piave.

310 «Due notizie... Maiuscole. Sono quelle che comunicò alla famiglia paolina il Signor Teologo la sera di quell’assalto di cui diciamo altrove, ossia alla vigilia della sua festa. - Ma perché notizie maiuscole? - Perché tutte le altre, in confronto, sono... minuscole. Eccole queste due notizie: 1ª La conclusione del contratto per la costruzione della Cartiera; 2ª L’acquisto del terreno per la nuova sede della Casa di Roma. Ed anche senza nulla aggiungere, è facile capire come si tratti per la Casa di due avvenimenti di massima importanza. Come siano state accolte dai ragazzi queste due notizie di grosso calibro lo possono facilmente immaginare gli amici» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 8, 20 agosto 1927, p. 12).

311 Ibid., anno X, n. 3, 20 marzo 1927, pp. I-XVI.

312 Ibid., anno X, n. 9, 20 settembre 1927, pp. 8-9.

313 «Debitamente approvato dalla Regia Procura Generale di Torino, un nuovo giornale è venuto in questi giorni ad aggiungersi alla famiglia numerosa dei confratelli che vedono la luce sotto l’egida di S. Paolo. “La Famiglia Cristiana” è un grande settimanale a 12 pagine, un vero tesoro per le famiglie cristiane, ed è destinato specialmente a quelle diocesi che sono prive di un settimanale cattolico o che stentano a mantenerlo in vita. Auguriamo al novello predicatore del Vangelo di Cristo una grande diffusione ed una copiosa messe di bene» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 9, 20 settembre 1927, p. 14). Questo periodico cessò le pubblicazioni dopo qualche mese. “La Famiglia Cristiana” rinacque nel 1931.

314 «Maestro era il titolo con cui Gesù Cristo preferiva essere chiamato. Satana con la stampa cattiva detronizzò Gesù Cristo dalle menti, e per esse nei cuori, nei desideri e nelle opere. La festa del Divin Maestro vorrebbe rimettere in trono Gesù Cristo mediante il Vangelo nelle menti e per esse nell’uomo e nella vita; attuare il regno di Gesù Cristo nelle menti conquistandole con la parola potente del Vangelo; le altre stampe han meno forza sull’uomo» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno IX, n. 1, 20 gennaio 1926, p. 11). L’articolo continua esponendo nove motivi per la promozione della festa.

315 Cf Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 10, 20 settembre 1925, pp. 12-13.

316 Ibid., anno IX, n. 11, 20 novembre 1926, pp. 8-9.

317 Il Congresso si apriva il 30 giugno «colla benedizione del Papa, coll’adesione di una ventina fra Cardinali, Arcivescovi e Vescovi e colla più schietta approvazione del clero e del laicato cattolico delle diocesi piemontesi. [...] Si legge il telegramma del Papa accolto fra una salve di applausi: “Santo Padre compiacendosi opportuna attività Pia Società San Paolo Apostolato-Stampa invia di cuore soci e partecipanti Congresso Vangelo implorata benedizione. Card. Gasparri”» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 7, 20 luglio 1927, pp. 2-5).

318 Ibid., anno X, n. 7, 20 luglio 1927, pp. 6-7.

319 «Giugno si chiude con la festa di San Paolo: quelli che hanno consacrato al Sacro Cuore il mese di gennaio, diano tutto giugno a San Paolo: quelli che onorano il Cuore di Gesù in giugno, si facciano introdurre da San Paolo nell’amore al Sacro Cuore. San Paolo è il prigioniero di Gesù; è l’Apostolo dell’amore di Gesù Cristo; è consumato dalla carità verso Gesù Cristo: è la vita di Gesù Cristo. La divozione a San Paolo è segno di predilezione di Dio: la divozione a San Paolo ci scrive nel libro della vita. Sono così grandi i Santi presso Dio, e così potenti di aiuto a noi, quanto più s’avvicinano e ricopiano il Divin Maestro via, verità e vita. Via come modello; verità con gli insegnamenti; vita colla grazia che ci comunicano pregando per noi. San Paolo è via: lo Spirito Santo gli fa scrivere tre volte queste parole “imitate me, come io imito Gesù Cristo”. San Paolo è verità: egli è il Maestro e il dottore, così possiede e comunica il Vangelo che lo chiama “mio Vangelo” e “genera nel Vangelo”. San Paolo è vita: perché la sua vita è immedesimata con quella di Gesù Cristo: “vivo, ma non più io, e vive in me Gesù Cristo”» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 7, 15 giugno 1925, p. 1).

320 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 8, 20 agosto 1927, p. 1.

321 «La Casa di S. Paolo ha i suoi protettori speciali che ne ispirano l’istituzione e che con un’incessante assistenza la fanno prosperare; e verso di Essi nutre e pratica particolari devozioni ogni giorno, e più solennemente e tutta unita al principio di ogni mese. La prima settimana del mese ha preso perciò il nome di Settimana delle divozioni, e costituisce sempre un avvenimento d’una certa singolarità. [...] Ed ecco un breve accenno alle varie divozioni. La Casa vuole caratterizzarsi collo spirito e la vita di S. Paolo: ha preso nome da lui la Società S. Paolo, la prima casa, la Cappella; e tale sarà anche il nome della Chiesa in costruzione. Onde a S. Paolo si dedica il primo Lunedì del mese. In secondo luogo, l’apostolato stampa si distingue, ma non si separa mai dall’apostolato della preghiera: si propone di salvare le anime e non lascia se non quando sono entrate in cielo. Nel Purgatorio vi è chi soffre per la cattiva stampa, e la Casa non può non occuparsene. Perciò il primo martedì si consacra alle Anime del Purgatorio. L’apostolato stampa ha bisogno di mezzi materiali, e niuno è miglior Provveditore di quei che fu scelto a provvedere alla S. Famiglia, S. Giuseppe. L’apostolato stampa è apostolato universale, e ben conviene che si appoggi sul Patrono della Chiesa Universale. La stampa cattiva è quella che ha seminata la miscredenza, l’odio alla Chiesa, che ha valorizzato le pratiche religiose, i sacramenti... ecc. ed è causa che tante persone s’appressino impreparate e indisposte alla morte. Tocca agli apostoli della stampa buona riparare a questi mali coll’interporre la meditazione del Protettore dei moribondi. Gli alunni son tutti ascritti alla S. Crociata per i moribondi, e al primo Mercoledì del mese onorano e pregano in particolare S. Giuseppe a tal fine. Il primo giovedì è dedicato all’Angelo Custode. Ogni buon libro, ogni buon Giornale è un Angelo che parte dalla tipografia ispiratore di buoni sentimenti, fautore di forti propositi, seminatore di un’eletta semenza che porta frutti eterni. Molti dei Bollettini infatti si denominano “Angelo” ed hanno per simbolo un Angelo. E in vero compiono appunto quell’opera di presenza prolungata, silenziosa, dolcemente insinuante, senza pretese come il buon angelo custode. Chi scrive poi non ha che una comunicazione anonima e insensibile con chi legge mentre gli angeli di chi scrive e di chi legge possono con estrema facilità mettersi in comunicazione e preparare un terreno adatto per una parte e una semente appropriata per l’altra. L’apostolato stampa non è che la continuazione dell’Evangelizzazione incominciata dal Divin Maestro: è l’esecuzione del comando: “Andate nel mondo universo, predicate il Vangelo ad ogni creatura...”. Il Divin Maestro è l’ispiratore, è quegli che dà l’incremento, che dà la vita al seme e lo fa germogliare; che sostiene e guida il seminatore evangelico. Gli è consacrato il primo Venerdì colla Comunione riparatrice, la Comunione dei nove venerdì, e spiegazione dell’intenzione dell’apostolato della preghiera. Il sabato è dedicato a Maria. Gli Apostoli furono consegnati a questa Madre e devono ad essa la fecondità del loro apostolato. Maria è Regina degli Apostoli, ed è anche Regina della Buona Stampa poiché tutti gli scrittori sacri le hanno consacrate le più belle pagine! Le più dolci espressioni, come la letteratura, anche profana, e le arti affini hanno creato per Lei i più bei capolavori. Si spiega la perfetta divozione secondo il beato Grignion de Montfort» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 8, 20 agosto 1927, pp. 10-11).

322 «Le vetrate nel Tempio a S. Paolo - Alba. Le finestre devono essere proporzionate per stile, ricchezza, pietà col rimanente della Chiesa. Ed è perciò che si è compiuto con particolare attenzione uno speciale studio: e stanno riuscendo bellissime per stile, vetrate, intelaiature, figure. Le finestre sono 22 in alto, di cui: 1. Quattro a forma di conchiglia con un vetro di quattordici metri quadrati. Esse avranno vetri istoriati rappresentanti: la lettera di S. Paolo ai Romani, la conversione di S. Paolo, il martirio di S. Paolo, la gloria di S. Paolo. 2. Quattro ad elissi ovali, di circa metri quadrati otto; si aprono nel pedritto del voltone centrale. Esse avranno vetri istoriati rappresentanti gli evangelisti con i rispettivi simboli, cioè: S. Matteo coll’Angelo; S. Marco col leone; S. Luca col bue; S. Giovanni con l’aquila. 3. Dodici finestre di forma rettangolare-barocca, aperte sopra i quattro transetti della Chiesa, di due dimensioni, cioè parte di metri quadrati 6 e parte di metri quadrati 4. Avranno pure vetri istoriati, e vi si metteranno i dodici apostoli. 4. Due altre finestre a forma di uovo di conchiglia, di metri quadrati otto, aperte sopra il braccio di entrata nella Chiesa. I vetri istoriati rappresentano due discepoli di S. Paolo: S. Tito e S. Timoteo. S. Timoteo nell’atto in cui viene ordinato Sacerdote da S. Paolo; S. Tito nel momento in cui spira l’anima sua “plenus dierum ac meritorum”. Così i giovani che dovranno essere un giorno gli apostoli del Vangelo a mezzo della Stampa avranno continuamente sotto i loro occhi gli esempi dell’Apostolo per eccellenza, S. Paolo; e dei dodici altri Apostoli, scelti dal Signore, e degli Evangelisti che ci hanno lasciato questo tesoro inesauribile del Vangelo. Di S. Paolo ci ricorda la conversione del cuore; il capo-lavoro dei suoi scritti, l’epistola ai Romani; le sue fatiche pel Vangelo specie il martirio; la sua corona di giustizia, cioè la gloria eterna fra quanti l’hanno seguito, S. Luca, S. Tito, S. Timoteo, S. Tecla ecc. ecc. E così le finestre saranno come una continua storia, predicazione ed incitamento ai Chierici a percorrere, sull’esempio del loro celeste protettore, la via cui Dio li chiama. E affinché la vita d’apostolato sia sempre considerata nel suo principio di grazia e di missione data dalla Chiesa ecco S. Timoteo che riceve l’ordinazione sacra da S. Paolo. Ed affinché sia pure considerato nel suo vero fine ecco S. Tito che già lascia la terra circondato dai discepoli e già va al premio del cielo. I più illustri esempi di virtù e zelo li hanno lasciati gli apostoli, eletti direttamente da N. S. G. C. e da Lui forniti di autorità, poteri, doni speciali. Perciò la loro presenza sarà una scuola continua. Gli Evangelisti ci ottengano poi la grazia di ben comprendere, e vivere, e pubblicare il Vangelo ad ogni creatura. Il lavoro riesce degno per quanto umanamente si può dire. Lo stile è in intonazione giusta colla chiesa; i colori sono distribuiti con ricchezza e proporzione; le figure sono vive, parlanti; la posizione d’ognuno ha un proprio significato» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XI, n. 8, 31 agosto 1928, p. II).

323 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno VIII, n. 8, 20 luglio 1925, pp. 17-18.

324 Ibid., anno IX, n. 6, 15 giugno 1926, pp. 2-3.

325 Ibid., anno X, n. 6, 15 giugno 1927, pp. 1-3.

326 Accanto al resoconto delle celebrazioni della benedizione del Tempio a San Paolo, un articoletto informa sugli Esercizi Spirituali ai giovani e, tra l’altro, riferisce: «Gli Esercizi Spirituali non si risolvono soltanto in una buona Confessione, ma molto più facilmente in una buona elezione dello stato, ed in una conversione a Dio sincera e duratura per mezzo della vita cristiana. A “San Paolo” quest’anno si ebbero vari corsi di Esercizi SS. alla gioventù esterna: oltre ai soliti per le persone interne. Tre corsi per figlie, in cui 210 giovani si infervorarono nella vita cristiana e pia; e un corso per i giovani, al quale attesero in modo edificantissimo 60 giovanotti. Molti giovani hanno fatto insistenza per avere anch’essi tale fortuna; molte figlie attendono che venga il loro turno; ora poi hanno pur chiesto uomini e donne. Si confida di poter tutti accontentare. Ma, di qui, ognuno vede, di quale immenso vantaggio sarebbe avere qualcosa più adatto e più stabile» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XI, n. 11, novembre 1928, p. 2). Sensibile alla pastorale degli Esercizi Spirituali, agli inizi del 1930 Don Alberione compie i primi passi per la costruzione di una Casa di Esercizi. Cf A. F. DA SILVA, Cristo Via, Verità e Vita centro della vita, dell’opera e del pensiero di don G. Alberione, in AA.VV., L’eredità cristocentrica di don Alberione, o. c., pp. 282-283.
Si può costatare che questa iniziativa di Don Alberione rispondeva a quanto auspicava l’enciclica Mens nostra, di Pio XI, sull’“importanza e l’utilità di promuovere gli Esercizi Spirituali”. Per costatare la sintonia del DF con questa enciclica, basta forse riportare qui il seguente brano: «Nei tempi difficili in cui viviamo, nei quali il vero senso di Cristo, lo spirito soprannaturale, essenza della nostra santa religione, soffre tanti ostacoli ed impedimenti, nell’imperversare del naturalismo, che tende ad illanguidire la vivezza degli ideali della fede e a smorzare gli ardori della carità cristiana, è quanto mai salutare sottrarre l’uomo a quell’“affascinamento della vanità” che “oscura il bene” (Sap 4,12), e trasportarlo in quella beata solitudine, ove in un celeste magistero l’anima apprende il vero valore dell’umana esistenza, riposta appunto nel servizio di Dio, il salutare orrore alla colpa, il santo timore di Dio, la vanità delle cose terrene, e nella contemplazione di Colui che è “via e verità e vita” (Gv 14,6) impara a deporre “l’uomo vecchio” (Ef 4,22) e a rinnegare se stesso e nell’esercizio dell’umiltà, dell’ubbidienza, della mortificazione, a rivestirsi di Cristo, fino a giungere a quell’“uomo perfetto” e a quella “misura dell’età piena di Cristo” (Ef 4,13) di cui parla l’apostolo, anzi fino a poter dire con lui: “Vivo non già io, ma vive in me Cristo” (Gal 2,20): sublimi ascensioni e divina trasformazione che l’anima compie sotto l’azione della grazia invocata nella più frequente e fervorosa preghiera, attinta nella partecipazione più devota ai sacrosanti Misteri» (La Civiltà Cattolica, anno 81° [1930], vol. I, quad. 1909, 28 dicembre 1929, pp. 10-11).

327 Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 1, 20 gennaio 1927, pp. 4-6.

328 Regole, Pia Società San Paolo, 1927, Prima Parte, La Pia Società S. Paolo, art. III. Nel mese di aprile 1927, il bollettino dell’UCBS dedica diverse pagine alle Sezioni Parrocchiali. Prima di presentarne lo Statuto, Don Alberione si rivolge ai Cooperatori: «La Pia Società San Paolo lavora nell’Apostolato Stampa; cioè spende la sua attività alla diffusione delle verità e vita cristiana col mezzo di fogli, giornali, libri, biblioteche, bollettini, ecc. ecc. Essa si dedica alla diffusione, popolarizzazione, difesa della parola di Dio con la Stampa: come i Sacerdoti con la predicazione. Perciò essa tende: a formare sacerdoti-scrittori e operai religiosi; a scrivere, stampare, diffondere; formare maestre-scrittrici e operaie religiose; a diffondere la persuasione che occorre stare attaccati a Gesù Maestro che ci si manifesta nella tradizione e predicazione come nella Scrittura e Apostolato-Stampa. Attualmente la Pia Società S. Paolo ha circa cinquecento giovanetti, numero che aumenta ogni anno, che educa con duecento Figliuole che si dedicano all’Apostolato-Stampa. Ma nelle parrocchie essa tende a formare le Sezioni dei Cooperatori: queste esercitano sul posto l’Apostolato-Stampa e fanno vivere le opere della Società San Paolo col suo spirito e col suo indirizzo. Riescono così di efficacissimo aiuto ai RR. Parroci ed alle anime; mentre che colle preghiere, con il lavoro, con le offerte sostengono le iniziative del Centro. [...] L’Apostolato-Stampa è oggi un mezzo ordinario di istruzione pel Parroco come a S. Paolo le sue lettere, come la S. Scrittura accanto alla predicazione» (Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 4, 20 aprile 1927, p. 5).

329 Si annuncia, ad esempio, la pubblicazione de “La Bibbia delle Famiglie”: La Bibbia ridotta a breviario del popolo, a libro di santa devozione è indirizzata alle famiglie e alle scuole ove potrebbe essere per i genitori e per i figli, per i maestri e per i discepoli fonte inesauribile d’istruzione, d’educazione e di opere sante. «Siccome è per il popolo, la traduzione è della Volgata, secondo i desideri della Chiesa; e le note sono o dei Padri o dei Dottori, o degli scrittori ecclesiastici già approvati. Importante: la “Bibbia delle Famiglie” uscirà anche a dispense settimanali illustrate» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XI, n. 2, 15 febbraio 1928, p. 27).

330 Ad esempio: «Dio vuole l’Apostolato-Stampa» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XI, n. 6, 30 giugno 1928, pp. 8-9); «Dio stesso assegna lo scopo diretto dell’Apostolato-Stampa, ossia la sua magistrale missione» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XI, n. 7, 31 luglio 1928, pp. 7-9).

331 Cf Unione Cooperatori Buona Stampa, anno X, n. 2, 20 febbraio 1927, pp. 4-5.

332 T. GIACCARDO, Regina degli Apostoli, le ragioni del titolo, i benefici del titolo, il culto del titolo, Pia Società S. Paolo, Roma, Alba, Torino, 1928. In una lettera al Giaccardo, pubblicata a modo di presentazione del libro, Don Alberione scrive: «La dottrina, i pensieri, i sentimenti, gli ossequi che vi sono esposti non sono cose nuove per noi: li abbiamo insieme meditati, studiati, praticati. Ma il vederli oggi proposti in modo ordinato, fissati sopra pagine destinate anche ad altri è cosa utile, meritoria, certamente gradita a Maria» (G. Alberione, Alba, 19 marzo 1928).

333 Cf Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 4, 16 aprile 1929, pp. 6-7.

334 Il Giaccardo dedica un capitolo a “Maria Regina della Stampa”, composto di un’introduzione e di tre punti: il regno della stampa, il regno di Maria nella stampa e l’apostolato della stampa sotto il governo di Maria. Al termine del capitolo, segue un esempio in cui si racconta la vocazione di Don Alberione, quella dello stesso Giaccardo e lo sviluppo della Casa. Sembra opportuno riportare alcuni dei capoversi dell’articolo: «...noi, figliuoli di San Paolo, piccoli ministri dell’apostolato della stampa che procediamo dalla volontà del Santo Padre, cui per vincolo religioso siamo legati per la difesa e la propagazione della Chiesa col mezzo della Stampa. L’apostolato della stampa si riveste di libri, e di giornali, è la parola viva di Dio vivo e salvatore, com’è la parola viva di Dio vivo e salvatore la predicazione che si riveste di suono articolato. L’apostolato della stampa è la difesa, la spiegazione, la divulgazione, la applicazione, la popolarizzazione del Vangelo. [...] I. IL REGNO DELLA STAMPA. Nella potenza di questo regno risplende la corona regale di Maria. [...] Ogni campo nuovo della attività umana e dello zelo cristiano, destinato ad estendere il regno del Padre celeste, è per dono di Dio soggetto all’impero della Santissima Vergine e riconosce Maria Santissima sua Regina. Il fenomeno della stampa è oggi forse la principal manifestazione nel campo dell’attività umana: uno dei principalissimi mezzi di zelo. I progressi più meravigliosi, le più strabilianti scoperte, di questi ultimi anni si sono fatti nel campo della stampa e a servizio della stampa. La maggior parte dell’attività intellettuale degli uomini è dedicata alla stampa. Il giornale è la fame di oggi, è la sete di oggi e il respiro di oggi: il giornale suscita le idee, dirige le volontà, forma le coscienze, domina l’opinione pubblica. Il giornale, la stampa è chiamata con una frase molto vera e molto espressiva il Re dei tempi. E di questo importantissimo regno, di questa somma potenza, di questa suprema manifestazione di vitalità, di questa nobilissima ed efficacissima opera di zelo Maria è e deve essere Regina; Maria ha cura della stampa, e la stampa e gli uomini della stampa la riconoscono» (T. GIACCARDO, Regina degli Apostoli, o. c., pp. 197-199).

335 Cf il dossier «1928. I primi Fratelli Discepoli di Gesù Divin Maestro», di Fr. Maggiorino S. Caldellara, consegnato dall’autore al Centro di Spiritualità Paolina.

336 Questa novità non viene ancora rispecchiata nel numero di dicembre dell’UCAS, in una notizia sul Sig. Giovanni Marengo, assistente degli Operai: «È un bravo Paolino che ora è fuori di Casa per adempiere il suo dovere verso la patria. Fu per dieci giorni tra di noi e venne unicamente per gli esercizi spirituali. Lo trovammo bene e lo si rivide volentieri: gli fecero molta festa i suoi allievi operai che coltivava con gran cura e pari cuore. Ancora pochi mesi e poi sarà per sempre tra noi» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XI, n. 12, dicembre 1928, p. 5). Invece, nel numero di maggio 1929, si afferma: «Anche i Discepoli, nel loro cortile, innalzarono un piloncino su cui posero una bella statua di Maria Immacolata» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 5, 16 maggio 1929, p. 6).

337 G. ALBERIONE, Alba 29/05/1929 (cf Corrispondenza Don Alberione - T. Giaccardo, inedita, conservata presso l’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, in Casa Generalizia SSP).

338 Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 7, 16 luglio 1929, p. 2.

339 PIO XI, Lettera enciclica della riparazione che tutti debbono al Cuore Sacratissimo di Gesù, cf La Civiltà Cattolica, anno 79°, vol. II, quad. 1871, 23 maggio 1928, pp. 385ss.

340 Cf Quaderno n. 6, inedito, Venerdì 18 maggio 1928, p. 177.

341 F. CHIESA, Riparazione!, Commento dell’enciclica “Miserentissimus Redemptor” in un mese di Istruzioni con esempi, L.I.C.E., Lega Italiana Cattolica Editrice, Torino, 1930. Si noti che la Prefazione dell’autore porta la data: «Alba, Festa dell’Epifania, 1929».

342 «Molti sono gli istituti religiosi nella Chiesa: antichi e recenti, venerandi tutti e ricchi di frutti per le anime. Oggi conviene in modo specialissimo un istituto che si dedichi al divino e necessario Apostolato-Stampa. L’Apostolato-Stampa è nella sua sostanza antico quanto la Bibbia; oggi però ha assunto una forma, un’efficacia ed una necessità nuova, date le condizioni sociali odierne e le recenti invenzioni. Per tale apostolato sono stati approvati, come congregazioni religiose, a norma dei sacri canoni, due istituti. Sono distinti nella loro Direzione e Amministrazione, affini tra di loro per comunità del fine, per la comunità di molti mezzi, per la comunità dello spirito. Sono: LA PIA SOCIETÀ S. PAOLO (ramo maschile). LA PIA SOCIETÀ DELLE FIGLIE DI SAN PAOLO (ramo femminile). - Fine. Entrambi si propongono di predicare con la Stampa, come vengono predicate con la parola, le verità cristiane; allo scopo di santificare i propri Membri; attirare le anime alla scuola del Divin Maestro per condurle al cielo. Mezzi. La vita comune, i voti religiosi, le pratiche di pietà, l’Apostolato quotidiano, la pratica delle virtù, ecc. sono i mezzi per la santificazione propria. Per la diffusione della dottrina cristiana i Membri si occupano: a) a scrivere giornali, opuscoli, libri, fogli con lo spirito di comunicare, commentare, diffondere il Santo Vangelo e i suoi insegnamenti; b) a stampare, cioè compiere il lavoro tipografico di composizione, impressione, brossura, legatura ecc.; c) a spargere e diffondere con varie iniziative biblioteche, bollettini parrocchiali, opera biblica, settimanali ecc. SPIRITO. È comando del Maestro Divino che il suo insegnamento sia predicato ad ogni creatura, secondo viene custodito ed insegnato dalla Chiesa Cattolica, Maestra infallibile di verità. La predicazione deve essere fatta in semplicità e manifestazione intera di Gesù Cristo Via, Verità, Vita, secondo l’esempio e sotto la protezione dell’Apostolo S. Paolo, vaso eletto e dottore delle Genti. Il Signore, gli Scrittori Sacri, gli Apostoli, i SS. Padri, i Dottori, la Chiesa, sono i maestri, i modelli di questo Apostolato, esercitato unicamente perché questa è la vita eterna, che conoscano Te (o Padre) e Colui che hai mandato» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 8, 16 agosto 1929, p. 1).

343 Tra le notizie della Casa di Alba si parla del ritorno del Sig. Giovanni dal servizio militare e della sua vestizione religiosa tra i Discepoli Riparatori: «In questi giorni è ritornato dal servizio militare il nostro giovane Signor Giovanni, il quale, dopo una settimana di Esercizi Spirituali, vestì l’Abito Religioso della Famiglia “Discepoli Riparatori”. Mentre ringraziamo il Signore che l’ha conservato buono anche fra tutti i pericoli della vita militare, porgiamo a lui l’augurio di un sempre più fecondo apostolato» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 9, 16 settembre 1929, p. 12).

344 Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 9, 16 settembre 1929, p. 5. Cf la presente Introduzione, n. 166.

345 «I Discepoli del Divin Maestro sono, nella Pia Società S Paolo, i religiosi laici che si dedicano all’Apostolato della Stampa. Duplice è il loro scopo: 1) Riparare colla vita pia, coll’esercizio delle virtù cristiane, colla propria santificazione gli innumerevoli peccati causati dalla stampa cattiva. 2) Lo studio teorico pratico del lavoro tipografico di composizione, di stampa, di legatura, della carta, degli inchiostri, di propaganda ecc. Essi si mettono al seguito di Gesù Maestro praticando due importantissime divozioni: l’assistenza devota alla S. Messa (due SS. Messe ogni giorno) e l’esercizio della Via Crucis due volte alla settimana (martedì e venerdì) oltre alla Visita quotidiana al SS. Sacramento. Essi spendono tutte le loro energie, sempre allegri e contenti applicandosi ai più svariati generi di lavoro, debbono possedere un corredo completo di cognizioni teoriche e pratiche di tutto quanto riguarda il lavoro tipografico non solo, ma di una Casa in cui non basta comporre o stampare ma preparare gli inchiostri per la stampa, fondere i caratteri per la composizione, lavorare la carta ecc., ecc. Quindi è bello vederli passare dalla compositoria alla stamperia, dalla stereotipia agli inchiostri, dall’officina meccanica alla lavorazione della carta, alla diffusione pratica dei libri stampati. E tutto questo svariato lavoro lo compiono con molta cura ed applicazione; spinti da un unico pensiero: guadagnarsi dei meriti, e molti meriti per il Cielo; salvare tante, tantissime anime. I Discepoli del Divin Maestro vanno aumentando sempre più, specialmente in questi giorni: è il Maestro Divino che fa sentire la sua chiamata. Preghiamolo affinché siano tanti al suo seguito, e che nessuno dei chiamati abbia a disertare ma che tutti corrispondano generosamente. Raccomandiamo a tutti i nostri carissimi Cooperatori ed in modo speciale ai RR.mi Parroci l’opera delle vocazioni all’Apostolato-Stampa tra i Discepoli del Divin Maestro. Nei Circoli della Gioventù Cattolica Maschile, spesso si incontrano giovanetti ed anche giovanotti che inclinano assai alla pietà; sarebbe una buona carità avviarli alla vita religiosa ove i loro meriti si moltiplicherebbero! Si incontrano fanciulli innocenti, candidi; è gran carità suggerire una casa religiosa ove facilmente si salveranno da molti pericoli e svilupperanno il germe divino di una vocazione. Talvolta si incontrano giovani che sono soli oppure in famiglia sono quasi di troppo: se possedessero pure tale fondo di pietà e docilità in cui si possa coltivare una speciale speranza di vocazione religiosa, ecco l’occasione di una bell’opera che Dio ci presenta» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 10, 16 ottobre 1929, pp. 2-3).

346 F. CHIESA, Introduzione all’Ascetica, Pia Società San Paolo, Alba-Roma, 1929.

347 F. CHIESA, Prefazione, in Introduzione all’Ascetica, o. c., p. VII.

348 F. CHIESA, Introduzione all’Ascetica, o. c., p. 166.

349 G. ALBERIONE, Alba 04/11/1928 (cf Corrispondenza Don Alberione - T. Giaccardo, inedita, conservata presso l’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, in Casa Generalizia SSP).

350 G. ALBERIONE, Alba 10/01/1929 (cf Corrispondenza Don Alberione - T. Giaccardo, inedita, conservata presso l’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, in Casa Generalizia SSP).

351 G. ALBERIONE, Alba 11/09/1929 (cf Corrispondenza Don Alberione - T. Giaccardo, inedita, conservata presso l’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, in Casa Generalizia SSP).

352 G. ALBERIONE, [1929?] (cf Corrispondenza Don Alberione - T. Giaccardo, inedita, conservata presso l’Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, in Casa Generalizia SSP).

353 Cf A. F. DA SILVA, Il cammino degli Esercizi Spirituali nel pensiero di Don Giacomo Alberione, o. c., pp. 72ss; A. F. DA SILVA, Cristo Via, Verità e Vita centro della vita, dell’opera e del pensiero di don G. Alberione, in AA.VV., L’eredità cristocentrica di don Alberione, o. c., pp. 263ss.; A. F. DA SILVA, Gv 14,6: eredità carismatica per la Famiglia Paolina, in “Spezzate il pane della Parola”, Dossier per l’Anno Biblico Paolino 1991-1992, Roma, Casa Generalizia SSP, gennaio 1991, Pro manuscripto, pp. 52ss.

354 F. CHIESA, Per l’unità nella formazione del Clero, Pia Società San Paolo, Alba-Roma, 1932.

355 F. CHIESA, Per l’unità nella formazione del Clero, o. c., pp. 130-131.

356 Si consideri la consonanza del pensiero dell’Alberione con il seguente passo di F. Chiesa: «Or che cosa si dice del Sacerdote? Non è egli un altro Cristo? Sacerdos alter Christus. E se è così, non dovrà essere la preparazione al Sacerdozio che si fa dal Chierico in Seminario, uno studio continuo di ricopiare in se stesso gli esempi di Cristo, donec formetur Christus in nobis? (Gal. IV, 19). È certo che lo scopo del Sacerdozio è continuare la missione di Gesù in mezzo agli uomini. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos (Jo. XX, 21). Ma per ciò stesso il Sacerdote in tanto potrà esercitare la missione, in quanto sarà unito a Cristo suo mandante e modello. Come il filo metallico in tanto è capace di portare a noi la corrente che anima un motore, in quanto è attaccato alla sorgente di energia elettrica; - e come, secondo la bella similitudine dello stesso Nostro S.G. Cristo, un tralcio in tanto può portare frutto in quanto rimane nella vite, - così il Sacerdote. Questi non potrà portare nelle anime la redenzione di Gesù, se non in quanto sarà unito a Gesù, fatto una cosa sola con Lui: Sine me, nihil potestis facere (Jo. XV, 5). Or quale sarà il Chierico, che più efficacemente si prepara ad essere un altro Cristo, e quindi a portare frutti più abbondanti nella mistica vigna di Cristo? Certo quello che con maggior diligenza attende ad unificare in se stesso i tre elementi della missione di Gesù, che sono di essere via, verità e vita; ossia quello che si fa, ad imitazione di Gesù, via dei fedeli cogli esempi; verità coll’apprendimento della vera dottrina di Gesù per poterla a suo tempo insegnare; e vita, colla frequenza dei Sacramenti per poterli poi, a suo tempo, amministrare ai fedeli. Mente e cuore, insegnamento e vita, studio e virtù, teologia e condotta, teoria e pratica, tutto deve essere una cosa sola in lui: Chierico, come si dice, tutto di un pezzo, senza contraddizioni e riserve» (F. CHIESA, Per l’unità nella formazione del Clero, o. c., pp. 52-53).

357 Si pubblica, ad esempio, la fotografia dei Discepoli che lavorano in cartiera (cf Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XIII, 17 luglio 1930, p. 5). Ad agosto del 1931 si annuncia la nuova traduzione italiana della Bibbia (cf Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XIV, n. 8, 17 agosto 1931, p. 14). Nel numero di febbraio 1932, dell’UCAS, Don Alberione dedica una pagina all’annuncio solenne del progetto di pubblicare, ognuna in quattro volumi, diverse edizioni della Bibbia: Bibbia latina-italiana; latina-francese; latina-inglese; latina-spagnola (cf Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XV, n. 2, febbraio 1932, p. 10).

358 Il numero di dicembre 1929 dell’UCAS pubblica in un calendario, per il 1930, 12 fotografie presentando i vari gruppi della Casa, in Alba (cf Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XII, n. 12, 17 dicembre 1929, pp. 4-15). Il numero di luglio 1930 pubblica le fotografie della solenne Processione del Corpus Domini (cf Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XIII, n. 14, 17 luglio 1930, pp. 10-11).

359 Oltre alle fondazioni già citate, ecco un elenco delle nuove case aperte. Nel 1929: Brescia (FSP: 8 agosto), Udine (FSP: 17 settembre), Genova (FSP: 25 novembre), Palermo (FSP: 28 novembre). Nel 1930: Novara (FSP: 10 maggio), Treviso (FSP: 27 giugno), Ancona (FSP: 10 luglio), Bologna (FSP: 20 luglio), Sanfré (SSP: 15 settembre), Napoli-Capodimonte (FSP: 8 ottobre). Nel 1931 le fondazioni in Italia furono una diecina circa.

360 Durante il 1931 avvennero le partenze dei Paolini per il Brasile, Argentina e Stati Uniti e delle Figlie di San Paolo e Pie Discepole per il Brasile e l’Argentina.

361 Nel numero di febbraio dell’UCAS, tra le notizie della Casa Madre, ad Alba, si afferma: «Il mese di gennaio. - È dedicato dalla Casa a Gesù Maestro ed il Primo Maestro nell’ora di adorazione fatta il giorno 3 ci disse che nel mese di gennaio si doveva ottenere la grazia di crescere, di andare innanzi e di progredire, donec formetur Christus in nobis. Il mese si consacrò alla giovinezza di Gesù per ottenere di imitarlo nella sua vita privata. Il Primo Maestro ci spiegò così: crescere per noi significa essere più santi, più sapienti, acquistare maggior spirito di pietà e non solo aumentare i giorni della vita. Noi siamo i discepoli e come tali dobbiamo imitare il maestro il quale ci disse: quemadmodum ego feci ita et vos faciatis» (Unione Cooperatori Apostolato Stampa, anno XV, n. 2, febbraio 1932, p. 3).