Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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13. LA MORTE1

Esercizi Spirituali (6-15 agosto) alle Superiore e Suore con voti perpetui delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Ariccia, Casa Divin Maestro, 7 agosto 1959*

Ho celebrata una Messa per tutte coloro che hanno lavorato a preparare le paramenta di questa chiesa.
Memento mori quia pulvis es et in pulverem reverteris2: ricordati, o uomo, che sei polvere ed in polvere hai da ritornare. Sì, la terra finirà con l'assorbirci, per quanto si cerchi di preparare delle tombe adatte alla conservazione.
La morte che cosa è? La morte è pena del peccato. E allora noi tutti accettiamo la morte in isconto, e scancellare, con la morte, tutte le responsabilità che non vogliamo portar davanti a Dio, al suo tribunale; e scancellare anche la pena dovuta, meritata per le nostre colpe: il purgatorio. Che possiamo, appena usciti da questo mondo, appena l'anima avrà lasciato il corpo, entrare, attraverso al giudizio di Dio, entrare alla contemplazione, ad amare perfettamente il Signore, ognuno secondo i suoi meriti. La morte è, quindi, pena del peccato. Accettarla così. La morte è entrata nel mondo per causa del peccato per peccatum mors2. E Gesù Cristo che veniva a scontare i peccati nostri, ha accettato la morte.
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In secondo luogo: che cos'è la morte? La morte è il più grande atto di obbedienza che possiamo fare alla volontà di Dio: fiat voluntas tua1. Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito2. Chi è abituata all'obbedienza, all'unione con i Superiori, troverà facile fare questo atto dell'ultima e più perfetta obbedienza che guadagnerà un merito grandissimo: Non mea, sed tua voluntas fiat3. Chi sempre è con i Superiori, non troverà difficoltà a fare questa accettazione, perché sempre unita alla volontà di Dio, attraverso ai Superiori. E il segno di esser sulla via della santità, è l'essere uniti coi Superiori e il segno di non vivere nella volontà di Dio è l'essere disuniti di pensieri, di sentimenti e di cuore, dai Superiori.
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Terzo: che cos'è la morte? Accettata bene, è il più grande atto di amore che noi facciamo a Dio. E chi è abituato a eccitarsi ad atti di carità verso Dio, abituato a far bene le sue comunioni, a fare anche comunioni spirituali, allora compirà questo atto di amore che sarà il compimento, meglio, la corona di tutti gli altri atti di amore.
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Quarto: che cos'è la morte? La morte è una grande penitenza, è il maggior atto di mortificazione e di penitenza che possiamo compiere, sì. Già noi andiamo, qualche volta, quasi indovinando: quando sarò spirato, non vedrò che cosa viene fatto attorno a me, attorno alla mia salma, come sarà composta, come verrà chiusa in una cassa, come sarà celebrato il funerale, come sarò calato in una tomba. Ma accetto tutto questo e anche, poi, il disfacimento graduale, pure lento, se la tomba è ben fatta, del corpo. Tutto questo, accettato bene, è una grande penitenza dei nostri peccati.
Guardiamo di accettar tutto e non aspettare che questo succeda senza che noi lo accettiamo, perché ci priveremmo di un grande merito e, soprattutto, di una grande penitenza, di un grande mezzo di purificazione. Allora l'anima sarà già separata dal corpo, quindi non ci saranno più meriti. Ma l'accettarla adesso, il merito è adesso.
Nostro Signore sta nel tabernacolo. E quante irriverenze a Gesù Ostia, quante dimenticanze! Gesù, quando ha istituito il Santissimo Sacramento, prevedeva tutto e ha accettato tutto: di stare coi figli degli uomini anche se i figli degli uomini lo avrebbero dimenticato oppure, anche avrebbero mancato di rispetto, magari avrebbero negato la sua presenza reale. E quindi, allora, un immenso merito, un infinito merito ha fatto Gesù quando ha detto: Questo è il mio corpo. Questo è il calice del mio sangue1.
Si possono accettar tutte queste cose? Come noi possiamo accettare tutte le umiliazioni del sepolcro, il disfacimento del corpo in penitenza e a merito, sì.
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La morte, dunque, è entrata nel mondo per il peccato. Che cosa è, dunque, ancora la morte? La morte, ancora, è, fisicamente, la separazione dell'anima dal corpo. Finché l'anima è unita al corpo, vi è vita; quando c'è la separazione, ecco la morte, perché questa è privazione della vita, la morte. Come quando si commette un peccato grave, cessa la vita spirituale, soprannaturale, l'anima viene a separarsi da Dio, così quando l'anima si separa dal corpo, ecco diciamo: la morte. Peccato mortale, quanto all'anima, e morte, quanto all'anima e al corpo, allorché si chiude la vita presente.
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Che cos'è la morte? La morte è il tempo che finisce, la chiusa per noi di quegli anni di vita che il Signore ci ha preparati e che ci ha dati. Avevi tanto tempo, magari pochi anni, magari un po' più di anni, magari tanti anni, la morte chiude il tempo, finisce. E con questo cessa il potere di far meriti e cessa anche la possibilità di peccare. Oh, il potere di far meriti. Notiamo, tanti desideri abbiamo: "voglio farmi santo"1. E si ripete tante e tante volte: "Fateci santi". Venit tempus quando nemo potest operari2: viene l'ora quando si cessa di meritare. Se tu quei desideri di santità li hai seguiti e realizzati, ecco il premio eterno. Che gioia nel presentarti carica di meriti al tribunale di Dio! E chi, invece, avesse sol fatto dei sospiri, dei desideri e mezzi propositi senza volontà risoluta? Venit mors quando nemo potest operari2. Non contentiamoci mai di semplici aspirazioni. Il Signore lo si ama quando si opera. E cioè: quando i pensieri son santi, i sentimenti son santi, le parole sono sante, le opere sono sante e si fa il lavoro di correzione, di emendazione dei difetti e si lavora all'acquisto delle virtù e si compie la volontà di Dio nell'apostolato e si entra sempre più in intimità con Gesù.
Con la morte finisce la possibilità di peccare. Ebbene, offrire la morte perché in quel giorno si commetta un peccato di meno nel mondo. E la nostra morte ripari i peccati che si commettono nel mondo e si impedisca qualche peccato nel mondo. Grande grazia che ci facesse questo il Signore e che speriamo. Cessa la possibilità di peccare. Ma guai a chi cessa di peccare soltanto quando non può più peccare. Mio caro e buon Gesù non ti voglio offender più. Per qualcheduno sembra che, invece, si voglia dire: "non ti posso offender più". Ah, non ti voglio offender più, invece. Con la volontà nostra cessare da quelle volontarie imperfezioni di parole, di opere, di sentimenti, di pensieri. Non aspettar la morte a venirci a distaccare dal peccato e a metterci nell'impossibilità di peccare più. Cessare adesso, mentre che siamo in tempo.
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Che cosa è la morte? La morte, ancora, è l'imitazione della morte di Gesù. Quando un'anima si prepara bene alla morte, quando noi entriamo nel nostro Getsemani e considerando come la salute va declinando, i segni di debolezza si accrescono, considerando che la morte può essere anche oggi, entriamo nel nostro Getsemani e diciamo al Signore: Padre, non sia fatta la mia volontà1; è vero che la morte ripugna, ma non sia fatta la mia volontà, ma la vostra, o Signore. Non mea, sed tua voluntas fiat2.
Uniformarsi, poi, alla Passione di Gesù Cristo, sì, quando noi ci abbandoniamo nel volere di Dio. Il Figlio di Dio incarnato, Gesù Maestro, ci dice: Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce, mi segua13. Una vita ben vissuta, accompagnata da quelle quotidiane mortificazioni, ma non grandi, in generale, ma frequenti e, diciamo, quotidiane e quasi di ogni ora, queste frequenti mortificazioni, e suonano, quando son bene accettate, un accompagnare Gesù al calvario: Chi vuol venire dietro di me rinneghi, cioè, mortifichi se stesso: la volontà, i sentimenti, i pensieri, la lingua, il corpo tutto rinneghi se stesso e prenda la sua croce. Ognuno di noi, la croce, generalmente, non la porta sulla fronte, ma l'ha dentro, nel cuore, ognuno ha la sua croce. Tutti portan la croce quaggiù14. Ora, ecco come si può compiere quel desiderio: voglio accompagnare Gesù al calvario. Accompagnarlo ogni giorno, ogni giorno. Il piccolo martirio quotidiano .
Quando abbiamo inaugurato il primo altare, costruito poveramente dalla Pia Società San Paolo, abbiamo chiesto che questi altari, queste presenze di Gesù si moltiplicassero e Gesù abitasse in tanti luoghi sulla terra. E questa grazia è compita.
Voi, Pie Discepole, avete anche la missione di pregare perché si estendano e si moltiplichino i tabernacoli nel mondo. Mettete questa intenzione generale nelle adorazioni che farete nella vostra vita: che Gesù abiti da per tutto e regni e ammaestri e consoli e illumini: Adveniat regnum tuum5. Vengano i tuoi tabernacoli. Io sarò sempre con voi fino alla consumazione dei secoli16. E che Gesù, stando in tutte le parti, in tutti gli angoli della terra, ripeta sempre agli uomini: Venite ad Me omnes qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos7 venite a me tutti voi che siete travagliati e che sentite il peso del peccato, io vi ristorerò.
Allora inaugurando quel primo altare, ecco, colui che ha letto, ha detto: Che accettiamo il martirio quotidiano in unione col sacrificio che Gesù rinnova di se stesso sull'altare, specialmente il rinnegamento della nostra volontà, dei nostri desideri. Perché, noi ci uniamo bene alla consacrazione, quindi al centro della Messa, quando con Gesù diciamo: Fiat voluntas tua8 quando Gesù piega la testa, l'ultimo atto di obbedienza: et emisit spiritum9, sì. Ora, noi accompagnare quotidianamente Gesù al calvario, finché ci moriremo là. E se Gesù è morto sopra un tronco di legno, noi moriremo su un piccolo altare, il letto, che diviene anche propriamente un piccolo altare, dove noi non diciamo soltanto a parole, ma a fatti compiamo: Vi offro in unione con tutti i sacerdoti che oggi celebrano la santa Messa ...me stesso10
La morte, dunque è la separazione dell'anima dal corpo e ci impedisce di fare altri meriti.
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Facciamo un'applicazione pratica adesso, perché possiamo avere materia di riflessione, notando bene che non è il sentir la predica che conti tanto per gli Esercizi, sono i riflessi e le preghiere. La predica è come guardarsi nello specchio se c'è una macchia sul volto e, se c'è una macchia, dopo bisogna toglierla, ecco. E cioè, dopo aver veduto nella meditazione, nella predica, quali macchie ancora abbiamo, lavarle col pentimento, con la riparazione e più, con la conversione, cambiamento, correzione.
Questo corpo è per noi grande strumento di meriti e può essere strumento di peccati, unito all'anima. Il peccato originale ha portato una doppia legge in noi. Ce n'era una sola prima: la legge di Dio. E invece, adesso, c'è anche entrata la legge del senso, la ribellione: Vedo un'altra legge nelle mie membra che non è più la legge di Dio, ma la legge del peccato1. Non permettere che questa legge del peccato abbia il sopravvento sulla legge di Dio. E la legge di Dio abbia, invece, il sopravvento sulla legge del senso, del corpo. Allora, vedere se il nostro corpo è obbediente allo spirito, all'anima e non che pretenda di far valere i propri gusti e che in noi abbiano dominio le passioni: orgoglio, avarizia, ira, accidia, lussuria, golosità; no, la legge dello spirito sopra la legge della carne. E chi vuol bene al suo corpo, veramente bene, condanna il suo corpo a tante privazioni, a tante voglie che ha e lo fa lavorare, il corpo, e così lo santifica e prepara al corpo la gloriosa risurrezione finale. Chi, invece, crede di contentare il corpo, lo odia. Chi vuol salvare l'anima sua la perde, cioè, chi vuol salvare la vita sua e chi, invece, immola la vita sua per Gesù, la trova2.
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Allora l'esame dev'essere un po' particolareggiato.
Il corpo: come si dominano gli occhi? Vi è in noi una grande tendenza alla curiosità, ancor prima, diciamo, di riflettere sugli sguardi, uno spirito di curiosità. E la tendenza al sapere è immessa da Dio in noi, ma il male è di voler curiosare, cioè, sapere quel che non importa a noi, non interessa, anzi, quello che, qualche volta distrae dalla preghiera, poi, l'abuso della tendenza al sapere, sì, perché la nostra mente è fatta apposta per sapere. E quando è sana tende a sapere, a conoscere le cose belle, buone, sante, le cose di Dio, le cose dei nostri uffici, le cose che ci santificano, sì. Si domina la curiosità, ecco. Voler sapere cose che non interessano la vita religiosa, i nostri uffici, ecc.; voler comunicare così, con facilità, notizie che disturbano anche il raccoglimento delle sorelle. Voler vedere. Tanta sete di spettacoli, di conoscere questa persona, quell'altra e di esser presi in istima, considerati. Volere che altri ammirino quel che si è fatto, lo apprezzino, lo giudichino in bene. Conoscere i sentimenti degli altri e non conoscere noi stessi, e non conoscere abbastanza Gesù. Creati per conoscere Dio, primo punto; poi amarlo e servirlo.
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Gli occhi, la vista, si è sempre dominata? Non si è abusato del gran dono degli occhi, della vista contro l'anima nostra, dando la vittoria al senso, anziché la vittoria allo spirito? Vedere e guardare e fissare cose che possono essere di pericolo per l'anima perché: iam moechatus est in corde suo1 sì. Perché, vedere le cose materiali, per sé, non è il peccato, uno può dover fare un servizio a un malato; ma il peccato sta nel vedere sensualmente, senza necessità. E la mortificazione degli occhi può estendersi di più. Nessun scrupolo. Non pretendere di camminare con gli occhi sempre per terra per andare nel fosso oh, ma si può estendere molto di più. Quello che non serve per la vita nostra, la vita eterna, toglie sempre un po' al servizio di Dio, all'amor di Dio. Mortificare gli occhi. Li adoperi bene? Non solo evitar la parte negativa, ma guardi bene l'Ostia? Guardi bene il tabernacolo? Guardi bene i quadri, il Crocifisso? per aver sentimenti pii? Leggi bene il catechismo? Leggi volentieri il Vangelo? Leggi volentieri le Costituzioni? Ti sei fatto un programma di leggere nella tua vita tutta la Bibbia? tutta la lettera che il Padre celeste ha mandato a noi, figli suoi2? E guardi le cose che hai da fare per imparar bene, il ricamo, supponiamo, imparar bene la cucina e farla bene e far bene la pulizia. Adoperi, quindi, gli occhi per tutti i servizi che devi fare e che son da farsi per l'anima, per lo spirito. (...). Santificare gli occhi. Che quando li chiuderemo l'ultima volta, possiamo dire: "Li ho chiusi sempre al male, spero di aprirli a contemplare Iddio in cielo". Come diceva Savio Domenico quando lo incoraggiavano a guardare gli spettacoli dei ciarlatani e altre cose: Io riservo i miei occhi per guardar la Madonna in paradiso, rispondeva. E non era peccato guardare quei chiacchieroni di ciarlatani, era una cosa lecita, per sé. Oh, Averte oculos meos ne videant vanitatem3. Può essere che gli occhi vedano ciò che è vano e dopo si desideri ciò che è vanità.
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Secondo: l'esame sulla fantasia e mettiamo insieme anche la memoria, perché non sono un'unica facoltà dell'anima, un'unica facoltà nostra, meglio che dell'anima, di tutto l'uomo insieme. La fantasia ci può servire: se una si riproduce le scene della vita di Gesù, per esempio, le scene della Passione, Via Crucis; se una si riproduce le scene dei misteri del rosario; se una sa un po' immaginarsi, qualche volta, il paradiso; se una adopera la memoria e si sforza di ricordare il catechismo, ricordare gli avvisi e i consigli del confessore, ciò che si è sentito nelle correzioni, ciò che si è udito nelle conferenze, si è aiutato la memoria prendendosi appunti. E poi per ricordare si cerca di ripetere magari le stesse risposte del catechismo, magari si cerca di ritornare sopra quelle cose che furono ascoltate e si cerca di meditarle perché sono utili per l'anima, per la nostra vita religiosa. La fantasia, però, è una pazza e non lasciarti disturbare dalle fantasie, né di notte né di giorno, e dalle memorie di quello che può portare nello spirito un po' di disturbo, allo spirito. Dominare la fantasia, fare in maniera che resti lì quando preghiamo, che non vada in cucina o altrove o immaginare... Vi sono, alle volte, fantasie che riproducono cose e persone o fatti o detti, parole che abbiam sentito, che possono un po' rallentare il fervore spirituale. Sii un onesto e astuto amministratore, ciò che giova abbondantemente quando si può, ciò che, un po' non solo danneggi, ma anche se, detrimentum cioè ci porta un pochetto di privazione di meriti, togliamo. Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?1 Detrimentum. Anche che non si venga proprio al peccato, ma che faccia perdere un po' di fervore, un po' di meriti, sia anche soltanto una cosa inutile che è una perdita di tempo. Il tempo è una grande grazia in cui sono incluse tante altre grazie.
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E dominare l'udito, sì. Certe cose non bisogna stare a sentirle. Apri i tuoi orecchi alla Parola di Dio, alle ammonizioni; apri il tuo orecchio a sentire tutte le cose che ti conducono alla santità: le correzioni, le istruzioni, la scuola; quello che viene insegnato per compiere l'apostolato, come ti viene insegnato, come vien detto di fare; apri l'udito, l'orecchio, come dice la Scrittura1, ecco. Allora evitiamo di sentire discorsi, critiche, persone, le quali ci mettono anche soltanto distrazioni, anche soltanto quello che è un perditempo, che non fa per noi. La letizia nella vita religiosa ci vuole, rende saporosa la vita religiosa, ma la letizia sana, i discorsi sani, sì, non gli altri. Quindi, santificar l'udito e allora sentirai le armonie celesti; come santificando gli occhi, la visione di Dio in paradiso.
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Santificare la lingua, non profanarla. Questa lingua che viene al contatto delle carni immacolate dell'Agnello, che dica solo parole buone, che piacciono a Dio, ecco. Questa lingua, da san Giacomo è chiamata: l'università dei mali, meglio, l'universalità dei mali, sì1. Questa lingua che esprime sentimenti interiori non buoni, parole ispirate all'orgoglio, parole ispirate all'invidia, quindi anche giudizi che non sono conformi a quel che vuole il Signore. La lingua. E questa lingua adopera a pregare; questa lingua adopera a cantare le belle lodi di Dio; questa lingua adopera a tener le conversazioni sante, liete; adopera a far scuola; adopera a insegnare lì, a una sorella o aspirante... che ha bisogno di imparare; questa lingua, in sostanza, adopera così, che noi meritiamo poi, un giorno, di essere in cielo e cantare con gli angioli, coi santi; questa lingua, che alle volte eccita alla disobbedienza, eccita alle mancanze di carità; questa lingua che, qualche volta, può eccedere ancora più largamente, più profondamente. Un esame sull'uso della lingua.
Grandi doni: gli occhi, l'udito, la lingua. Ma se questi doni di Dio li usiamo bene, corrispondiamo alle grazie. Se non li usiamo bene? Forse per qualche persona di questo mondo, oh, certamente, sarebbe stato meglio per loro esser nati muti, che insegnano tanto male. E il sordomuto avrà poi usato bene del suo udito e della sua lingua, dopo che ebbe il miracolo da Gesù? Speriamo.
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Il gusto. Vedere che non si faccia troppa differenza fra cibo e cibo e non si prenda per solo gusto e che non sia il gusto quello che ci regola, ma la necessità. Abbiamo l'obbligo di curare la salute e di nutrirci e di riposare. Il tatto, quindi, che riguarda il riposo, ma il gusto riguarda la parte del nutrimento. Il tatto riguarda la fatica anche, ma il gusto riguarda anche quello che c'è da compiere perché il servizio sacerdotale sia più perfetto, più intelligente. Oh, riguardo, poi al tatto, già accennato. Siamo pronti agli orari? alle fatiche? Rispettare il corpo.
Nei vizi capitali se ne accennano tre e uno è la lussuria. Santificare il corpo giorno e notte. L'altro riguarda la gola. Mangiare per due motivi: mantenerci nel servizio di Dio e nell'apostolato. E poi riguarda la fatica. Che non ci sia la pigrizia, la pigrizia specialmente spirituale che è la freddezza, l'indifferenza nel pregare, il tramandar sempre la preghiera. Le Superiore devono fare almeno mezz'ora di più delle altre, di preghiera, perché, oltre a provvedere per sé, devono ancora ottener le grazie e avere i lumi per le sorelle che devono dirigere. Oh, evitare questi tre peccati capitali: la golosità, la lussuria, la pigrizia che sono veramente capitali e capitani di molti altri inconvenienti. Basta.
Quando daremo, col nostro spirito, l'addio al corpo e lo lasceremo freddo e senza vita sul letto di morte, potremo avere le consolazioni di averlo guidato bene e di avergli preparata l'eterna felicità anche a lui? Dopo l'umiliazione del sepolcro, la risurrezione gloriosa? Ecco l'esame.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 * Nastro 27/b (= cassetta 61/b). - Per la datazione cf PM: “Le Superiore devono fare almeno mezz'ora di più degli altri di preghiera” (cf c82 in VV). - dAS 7/8/'59: “Celebra [il PM] per la comunità delle suore esercitanti (PD) alle ore 5,45. tiene due prediche: una subito dopo Messa e l'altra alle ore 9 15. (Verso le ore 10,30 parte per Roma... nel pomeriggio ritorna alla Casa "Divin Maestro")”.

1 Gn 3,19.

2 Rm 5,12

1 Mt 26,42.

2 Lc 23,46.

3 Lc 22,42.

1 Mt 26,26.

1 Intendere: dobbiamo avere il solo desiderio di farci santi.

2 Cf Gv 9,4: più esattamente è: venit “nox” quando...

1 Lc 22,42 e par.

2 Lc 22,42 e par.

3 Cf Mt 16,24.

4 PARZANESE P.P., La Croce, v. 6.

5 Mt 6,10.

6 Mt 28,20.

7 Mt 11,28.

8 Mt 26.42.

9 Mt 27,50.

10 Cf Le Preghiere della Pia Società San Paolo, “Per chi sente sete di anime come Gesù” p. 22, edizione senza data collocabile tra il 1957-1959.

1 Cf Rm 7,23.

2 Cf Lc 17,33.

1 Mt 5,28.

2 Cf GREGORIO MAGNO, EP V, 46, Feg Gr I, 435.

3 Sal 118,37.

1 Mt 16,26.

1 Sal 77,1.

1 Cf Gc 3,1ss.