Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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LA CONFIGURAZIONE A CRISTO

La configurazione a Cristo è lo scopo di tutta la nostra vita cristiana ordinata alla propria santificazione e alla gloria di Dio, termine ultimo e assoluto della creazione. Nel piano attuale della divina Provvidenza non possiamo santificarci né glorificare Dio se non per mezzo di Gesù Cristo e in lui.

Spesso nella predicazione e nei libri di pietà si dà poco risalto alla parte preponderante della persona di Cristo nella nostra santificazione. La «devozione a nostro Signore» viene presentata come uno dei tanti mezzi, al pari della lettura spirituale, dell'esame di coscienza o del programma di vita. Così si deforma la pietà dei fedeli i quali si fanno un'idea molto confusa di ciò che in realtà costituisce la pietra angolare dell'edificio della nostra santificazione.

Non saremo santi se non nella misura in cui viviamo la vita di Cristo o, meglio ancora, nella misura in cui Cristo vive la sua vita in noi . Il processo di santificazione è un processo di cristificazione . Il cristiano deve diventare un altro Cristo: christianus alter Christus. Solamente quando potremo dire «vivo ma non più io, bensì vive in me Cristo» (Gal. 2, 20), saremo sicuri di aver raggiunto la perfezione cristiana.
Esamineremo, quindi, le linee fondamentali di quello che S. Paolo chiama il «mistero di Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (Col. 2, 2-3).
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Articolo I
Il mistero di Cristo

L'attività che Cristo svolge nella vita delle sue membra vive costituiva l'idea ossessionante di S. Paolo. La sua costante preoccupazione fu di rivelare al mondo il «mistero di Cristo» (Col. 4, 3), questo «sacramento nascosto» (Ef. 3, 9) nel quale abita corporalmente la pienezza della divinità (Col. 2, 9), nel quale il cristiano troverà tutte le cose (ivi 10) e sarà ripieno della pienezza di Dio (Ef. 3, 19).
Noi esporremo le linee fondamentali della dottrina cristologica in relazione alla vita spirituale, prendendo come punto di partenza le parole stesse di Cristo conservateci nel Vangelo di Giovanni: «Io sono la Via la Verità e la Vita» (Giov. 14, 6).

1. - GESÙ CRISTO, VIA

Gesù Cristo è l'unica Via. Nessuno può andare al Padre se non per mezzo di lui (Giov. 14, 6), giacché non ci fu dato un altro nome sotto il cielo mediante il quale possiamo salvarci (Atti 4, 12) Secondo il piano divino della nostra predestinazione, la santità alla quale Dio ci chiama con la grazia e l'adozione soprannaturale consiste in una partecipazione alla vita divina portata al mondo da Gesù. Consta espressamente dalla rivelazione:

«Come pure ci elesse in lui prima della fondazione del mondo, affinché fossimo santi e immacolati al cospetto suo in amore; egli ci predestinò ad adozione filiale in lui mediante Gesù Cristo, conforme al beneplacito della sua
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volontà, in lode di gloria della sua grazia che graziosamente ci elargì nell'amato suo Figlio» (Ef. 1, 4-6).

Gesù Cristo ha ristabilito il piano divino della nostra salvezza, distrutto dal peccato di Adamo. «L'amore di Dio verso di noi si è dimostrato in questo, nell'avere il Padre mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, affinché noi avessimo la vita per mezzo di lui : ut vivamus per eum » (1 Giov. 4, 9). D'ora innanzi, Cristo sarà l'unica via per andare al Padre: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Giov. 14, 6). Senza di lui non possiamo fare assolutamente nulla: nihil (Giov. 15, 5). Tutta la preoccupazione del cristiano deve consistere nel vivere la vita di Cristo, nell'incorporarsi a lui, nel lasciar circolare attraverso le sue vene, senza frapporre ostacoli, la linfa vivificatrice di Cristo. Perché egli è la vite e noi i tralci, la vita del tralcio dipende dalla sua unione alla vite, dalla quale riceve la linfa vivificante. Separato da essa, secca e viene buttato nel fuoco (Giov. 15, 1-6).

San Paolo non trovava parole appropriate per esprimere l'ineffabile realtà dell'incorporazione del cristiano alla vita divina. La vita, la morte, la risurrezione del cristiano: tutto deve operarsi nella più intima unione con Cristo. Nell'impossibilità di esprimere questa realtà con i termini correnti del linguaggio umano, coniò espressioni del tutto nuove, anche se ancora inadeguate: Siamo morti con Cristo: commortui (2 Tim. 2, 11), con lui siamo stati sepolti: consepulti Rom. 6, 4), con lui siamo risuscitati: conresuscitati (Ef. 2, 6), con lui siamo stati vivificati: convivificavit nos in Christo Ef. 2, 5) e compiantati: et complantati (Rom. 6, 5), affinché viviamo con lui: et convivemus (2 Tim. 2, 11), e con lui eternamente regniamo: et consedere fecit in coelestibus in Christo Jesu (Ef. 2, 6).
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Scrive Don Columba Marmion nel suo magnifico volume, Cristo, vita dell'anima :

«Dobbiamo comprendere che non saremo santi che nella misura stessa in cui la vita di Gesù Cristo sarà in noi, Dio ci domanda solo questa santità, né ve n'è altra. Saremo santi in Gesù Cristo o non lo saremo affatto La creazione non trova in se stessa nessun atomo di questa santità, essa deriva da Dio per un atto sovranamente libero della sua potentissima volontà, e perciò esso è soprannaturale. San Paolo rileva più di una volta sia la gratuità del dono divino della adozione, sia l'eternità dell'amore ineffabile, che ha risolto di renderne partecipi anche noi, è il mezzo ammirevole della sua effettuazione per la grazia di Gesù Cristo» (1).

Cristo è, quindi, l'unica via per andare al Padre, l'unica forma possibile di santità nel piano attuale della divina Provvidenza. Solamente per lui, con lui ed in lui possiamo raggiungere la mèta e l'ideale fissato da Dio nella creazione, redenzione e santificazione del genere umano: la lode della sua gloria (cfr. Ef. 1, 5-6). La Chiesa ce lo ricorda tutti i giorni in uno dei momenti più augusti del sacrificio dell'altare: «Per ipsum, et cum ipso et in ipso est tibi Deo Patri omnipotenti in unitate Spiritus Sancti omnis honor et gloria ». Soltanto tramite il Cristo il Padre accetta il nostro amore e i nostri omaggi. Così si comprende come i grandi santi, illuminati da Dio di una luce tutta speciale per intendere il «mistero di Cristo», desideravano scomparire e lasciarsi assorbire da lui affinché Cristo vivesse in loro la sua vita. Sr. Elisabetta della Trinità, una delle anime che più a fondo compresero tale mistero, rivolgendosi a Cristo così lo pregava:
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«Rivestimi di te, immedesima la mia anima a tutti i movimenti dell'anima tua, sommergimi, invadimi, sostituisciti a me, affinché la mia vita non sia che una irradiazione della tua vita. Vieni in me come adoratore, come riparatore e come salvatore. O Verbo eterno, parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi docilissima ad ogni tuo insegnamento, per imparare tutto da te; e poi, nelle notti dello spirito, nel vuoto, nell'impotenza, voglio fissarti sempre e starmene sotto il tuo grande splendore.

O mio astro adorato, affascinami perché io non possa più sottrarmi alla tua irradiazione. O fuoco consumante, Spirito d'amore, discendi in me, perché si faccia nell'anima mia quasi una incarnazione del Verbo! Che io gli sia un prolungamento di umanità, in cui egli possa rinnovare tutto il suo mistero. E tu, o Padre, chinati verso la tua povera, piccola creatura, coprila della tua ombra, non vedere in essa che il diletto nel quale hai posto le tue compiacenze» (2).

Come errano, quindi, coloro i quali ritengono la «devozione a nostro Signore» come uno dei tanti esercizi di pietà , al pari dell'esame di coscienza o della lettura spirituale. La nostra devozione e incorporazione a Cristo è la pietra angolare , l'alfa e l'omega, la sostanza stessa della nostra vita soprannaturale. In realtà è questa la vera ascetica e la vera mistica della quale le altre non sono che derivazioni e conseguenze. Le anime che desiderano santificarsi veramente, faranno bene a tenersi lontani dalle dispute e dalle controversie delle diverse scuole di spiritualità, per dedicarsi a vivere in una forma sempre più piena e profonda la vita di Cristo. Se esse riusciranno a
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conseguire questo ideale, avranno senza dubbio raggiunto le più alte vette dell'ascetica e della mistica cristiana. Al vertice della perfezione tutti i santi, senza eccezione alcuna, si ritrovano con queste due uniche consegne: «Vivo ma non più io, vive in me Cristo» (Gal. 2, 20); e: «Su questo monte abita soltanto l'onore e la gloria di Dio» (S. Giovanni della Croce).

2. - GESÙ CRISTO, VERITÀ

Cristo non è soltanto la via; è anche la verità. La verità assoluta ed integrale. Sapienza increata in quanto Verbo, comunicò alla sua umanità santissima, e per essa a noi, tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio.
Ciò ci induce a parlare della causalità esemplare di Cristo, esercitata in noi a) con la sua persona; b) con le sue opere; c) con la sua dottrina.

a) Con la sua persona . Ecco come si esprime Don Columba Marmion: «La filiazione divina di Cristo è il tipo della nostra filiazione soprannaturale, la sua condizione, il suo «essere» di Figlio di Dio è l'esemplare dello stato nel quale deve stabilirci innanzi tutto la grazia santificante. Cristo è il Figlio di Dio per natura e per diritto, in virtù dell'unione del Verbo eterno con la natura umana; noi lo siamo per adozione e per grazia, ma lo siamo realmente e ad un titolo molto vero. Cristo ha in più la grazia santificante egli ne possiede la pienezza. In noi, essa deriva da questa pienezza più o meno abbondantemente, ma nella sua sostanza, la stessa grazia che riempie l'anima creata di Gesù ci divinizza. San Tommaso dice che la nostra filiazione
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divina è una somiglianza della filiazione eterna: quaedam similitudo filiationis aeternae (3).

Tale è il modo primario e sopraeminente, col quale Cristo è il nostro modello: nell'incarnazione egli è costituito, per diritto, Figlio di Dio. Noi dobbiamo divenirlo con la partecipazione della grazia, che deriva da lui, e che, divinizzando la sostanza dell'anima nostra, ci costituisce nello stato di figli di Dio. Questa è la linea prima e fondamentale di rassomiglianza, che dobbiamo avere con Gesù Cristo, il quale regola tutta la nostra attività soprannaturale» (4).

Così che, «ogni vita cristiana, come ogni santità, si riduce a questo: essere per grazia ciò che Gesù è per natura: il Figlio di Dio» (5). Questa deve essere la preoccupazione fondamentale del cristiano: contemplare Gesù e far proprio, anzitutto, il suo atteggiamento di figlio davanti al Padre celeste, che è anche nostro Padre. Ce lo ha detto Cristo stesso: «Ascendo al Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Giov. 20, 17).

«Queste realtà - continua Don Columba Marmion - costituiscono l'essenza del cristianesimo. Non comprenderemo mai nulla non solo della perfezione e della santità, ma neppure del semplice cristianesimo, se non ci persuadiamo che il fondo più essenziale è costituito dallo stato di figlio di Dio, dalla partecipazione per mezzo della grazia santificante alla filiazione eterna del Verbo incarnato. Tutti gli insegnamenti di Gesù e degli Apostoli si riassumono in questa verità, tutti i misteri di Gesù tendono a determinare questa realtà nell'anima nostra» (6).
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b) Con le sue opere. Cristo praticò quello che insegnava ed insegnò quello che praticava: «Coepit facere et docere », dicono gli Atti degli Apostoli (7) La sua vita e la sua dottrina formavano un tutto armonico ed unitario, dal quale saliva incessante verso il cielo la più bella glorificazione di Dio.
Secondo S. Tommaso d'Aquino, la redenzione del genere umano fu il fine principale, ma non unico, dell'incarnazione del Verbo (8). Assumendo la natura umana, Cristo intese darci nella sua persona un esemplare perfettissimo di tutte le virtù. E questo non senza un disegno adorabile della divina provvidenza.

Difatti, assolutamente parlando, il prototipo e l'esemplare supremo di ogni perfezione e santità è il Verbo eterno. Egli è, se ci è lecito esprimerci così, l'ideale stesso di Dio. Il Padre si contempla nel Verbo con infinito amore. Egli è il suo ideale vivente splendido, infinito, personale, nel quale trova le sue compiacenze da tutta l'eternità. Per mezzo suo sono stati creati gli angeli, gli uomini, l'universo intero: «Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil quod factum est» (Giov. 1, 3). Ideale di Dio, è anche l'ideale degli angeli e degli uomini; e lo sarebbe, per naturale diritto, di tutte le creature che a Dio piacesse trarre dal nulla, in tutti i tempi e in tutti i luoghi.

«E' possibile che noi abbiamo il medesimo ideale di vita di Dio? - si domanda con stupore un pio autore. - Sì; e non ci è dato di eleggerne uno meno elevato. Considera, anima mia, quanto grande è la tua dignità; osserva se nobiltà ti obbliga...
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Però questo ideale sublime non eccedeva soltanto le capacità della ragione umana; era troppo alto anche per la fede. Per questo Cristo si abbassò. Si fece uomo, bambino, servo; volle conoscere le debolezze dei nostri primi anni; i nostri lavori, le nostre fatiche; la povertà, l'oscurità, il silenzio, la fame, la sete, il dolore e la morte. Di tutte le nostre miserie, una sola non ne ha sperimentata: il peccato e certi disordini che dal peccato derivano. Non potendo prendere in sé questa debolezza, prese la sua somiglianza e ne portò la pena.
Non mi resta, quindi, che salire al cielo per cercare là il pensiero di Dio a mio riguardo; non devo fare altro o Gesù mio, che contemplarvi. Voi siete l'ideale completo nel quale io trovo il mio» (9).

c) Con la sua dottrina . Infine, Cristo esercita su di noi la sua causalità esemplare comunicandoci, attraverso la sua dottrina, lo splendore della sua sapienza infinita.
L'intelligenza di Cristo è un abisso nel quale la povera ragione umana, anche illuminata dalla fede, si perde. In Cristo esistevano quattro specie di scienza, completamente distinte e armonizzate: la scienza divina , che possedeva in quanto Verbo di Dio; la scienza beatifica, che gli spettava come beato anche sulla terra; la scienza infusa , che ricevette da Dio in grado superiore a quello degli angeli; e la scienza acquisita , che andò sviluppandosi o manifestandosi sempre più perfettamente durante tutto il corso della sua vita (10). A ragione S. Paolo rimane meravigliato nel contemplare riuniti in Cristo tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col. 2, 3).
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Questi tesori infiniti non volle riservarli esclusivamente per sé. Piacque al Padre di comunicarli ai figli adottivi, nella misura e nel grado che erano necessari per la loro vita soprannaturale. Cristo stesso diceva al Padre nell'ultima cena: «Le parole che desti a me, le ho date a loro; ed essi le hanno accolte, e veramente hanno riconosciuto che io sono uscito da te, ed hanno creduto che tu mi hai mandato» (Giov. 17, 8).

Com'è sublime la dottrina di Cristo! «Nessun uomo ha mai parlato come lui» (Giov. 7, 46). Le più famose ideologie dei cosiddetti «geni dell'umanità» impallidiscono e sfumano di fronte ad un solo versetto del sermone della montagna. La sua morale, avviata nei divini paradossi delle beatitudini e compiuta nelle sette parole pronunciate mentre agonizzava sulla croce sarà sempre per l'umanità, assetata di Dio, il codice della più eccelsa santità e perfezione. L'anima che vuole trovare la vera via per andare a Dio non deve fare altro che aprire il Vangelo e attingeva la verità che da esso promana. I santi, a contatto del libro divino, perdevano il gusto dei libri scritti dagli uomini: «Quanto a me, diceva S. Teresa del Bambino Gesù, non trovo più nulla nei libri, eccetto che nel Vangelo. Questo mi basta» (11).

3 - GESÙ CRISTO, VITA

Cristo è la nostra via, la nostra verità e, soprattutto, la nostra vita. Siamo giunti all'aspetto più profondo e nello stesso tempo più commovente del «mistero di Cristo» per quel che riguarda noi.
Tre sono i principali motivi per i quali Cristo può essere detto la nostra vita : perché ci meritò la grazia,
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vita soprannaturale dell'anima (causa meritoria ); perché questa vita sgorga da lui (causa efficiente ); e perché ce la comunica (influsso capitale ). a) Gesù Cristo, causa meritoria della grazia (12). Il merito di Cristo per noi è infinitamente legato al suo sacrificio redentore. Ricordiamo, brevemente, i termini fondamentali della sua soddisfazione infinita, che ci meritò e restituì la vita soprannaturale persa per il peccato di Adamo (13).

1. Impossibilità per la stirpe umana di soddisfare in modo adeguato il peccato di Adamo. Dio poteva, se avesse voluto, condonare il debito. Invece, richiese una soddisfazione rigorosa, ad aequitatem . Il genere umano era nella più assoluta impotenza di renderla. Solo un Dio fatto uomo avrebbe potuto colmare questo abisso infinito e offrire alla giustizia divina una soddisfazione piena ed esauriente. L'incarnazione del Verbo era, dunque, assolutamente necessaria per la redenzione del genere umano (14).

2. «E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi» (Giov. 1, 14). Unendosi in Cristo le due nature, la divina e l'umana, nell'unica persona divina del Verbo, tutte le sue azioni risultavano di un valore infinito. Con il più lieve sorriso delle labbra, con un semplice sospiro del cuore, Gesù avrebbe potuto redimere milioni di mondi. Tuttavia, di fatto, la redenzione si operò solo con il sacrificio della croce. Piacque così all'eterno Padre per un disegno inscrutabile della sua divina provvidenza. I teologi si sono sforzati di mostrare la convenienza di questa condotta divina (15), però la sua ragione ultima rimarrà sempre occulta ai nostri sguardi.
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3. Cristo non merita soltanto per sé, ma anche per noi, con un rigoroso merito di giustizia: de condigno ex todo rigore iustitiae, dicono i teologi. Tale merito trova il suo fondamento nella grazia capitale di Cristo, in virtù della quale è stato costituito capo di tutto il genere umano; nella libertà sovrana di tutte le sue azioni e nell'amore ineffabile con cui, per salvarci, accettò la passione.

4. L'efficacia della sua soddisfazione e dei suoi meriti è assolutamente infinita e, di conseguenza, inesauribile. Ciò deve essere per noi fonte di una illimitata fiducia nel suo amore e nella sua misericordia. Nonostante le nostre debolezze e miserie, i meriti di Cristo hanno una efficacia sovrabbondante, capace di portarci al vertice della perfezione. I suoi meriti sono i nostri: stanno a nostra disposizione. Egli continua in cielo ad intercedere incessantemente per noi: «Semper vivens ad interpellandum pro nobis» (Ebr. 7, 25). La nostra debolezza e povertà costituiscono un titolo alla sua misericordia divina. Facendo valere i nostri diritti ai meriti soddisfatori del suo Figlio, glorifichiamo immensamente il Padre e lo colmiamo di gioia, perché in tal modo proclamiamo che Gesù è l'unico mediatore che gli piacque porre sulla terra.

5. A nessuno è lecito scoraggiarsi considerando le proprie miserie e deficienze. Le inesauribili ricchezze di Cristo stanno a nostra disposizione (Ef. 3, 8). «Non chiamarti povera poiché tu possiedi me», diceva Gesù ad un'anima che si lamentava della sua miseria.

b) Gesù Cristo, causa efficiente della nostra vita soprannaturale . Tutte le grazie che l'uomo ricevette da Adamo fino alla venuta di Cristo gli furono concesse unicamente in vista di lui: intuitu meritorum Christi . Tutte quelle che riceverà l'umanità fino alla consumazione dei secoli sgorgano dal Cuore di Cristo come dalla loro unica sorgente. Non abbiamo più la gratia Dei , come l'hanno gli angeli e l'ebbero i nostri progenitori nello stato di giustizia originale; la nostra, quella di
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tutta l'umanità caduta e riparata, è la gratia Christi , ossia, la grazia di Dio attraverso il Cristo , la grazia di Dio cristificata .

Questa grazia ci viene comunicata nelle forme più diverse; ma la sorgente è unica: Cristo, la sua umanità santissima unita personalmente al Verbo. Tale è il significato dell'espressione: «Cristo, causa efficiente della grazia o vita soprannaturale».
Gesù è fonte viva. La sua santa umanità è lo strumento congiunto (16) della divinità per la produzione efficiente della vita non solo soprannaturale, ma anche, volendolo, corporale. Ci dice il Vangelo che da lui usciva una virtù che sanava gli infermi e risuscitava i morti: «Virtus de illo exibat et sanabat omnes» (Luc. 6, 19). Il lebbroso, il cieco nato, il paralitico, il sordomuto, la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Naim e i suo amico Lazzaro ci parlano eloquentemente di Cristo fonte di salute e di vita corporale.

Però è come sorgente di vita soprannaturale che qui ci interessa considerare Cristo. In questo senso, a lui dobbiamo interamente la vita .
Per comunicarci la vita naturale , Dio ha voluto servirsi, come strumento, dei nostri genitori. Per comunicarci la vita divina , ha utilizzato l'umanità di Cristo, da lui costituito capo, pontefice supremo, mediatore universale, fonte e dispensatore di ogni grazia. E questo, soprattutto, in vista della sua passione, per avere realizzato con le sue sofferenze e con i suoi meriti la salvezza del genere umano: «Semetipsum exinanivit... humiliavit semetipsum... propter quod et Deus exaltavit illum et donavit illi nomen, quod est super omne nomen» (Fil. 2, 7-9).
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Il Vangelo ci mostra in che modo Cristo, durante la sua dimora sulla terra, si serviva della sua umanità per conferire la vita soprannaturale alle anime. «Figlio - dice rivolgendosi al paralitico con la sua parola - ti sono perdonati i tuoi peccati». Si produsse un immediato movimento di sorpresa e di scandalo tra coloro che lo udirono: «Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?». E Cristo che avverte nel loro animo quel moto di scandalo, offre loro l'argomento schiacciante per dimostrare che ha piena potestà, proprio in quanto uomo , di perdonare i peccati. «Che cosa andate pensando nei vostri cuori? Che è più facile, dire: Ti son rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? Ma, affinché sappiate che il Figlio dell'uomo ha sulla terra il potere di rimettere i peccati, rivolto al paralitico esclamò: Dico a te: alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua». E questi fece subito quanto gli aveva comandato, con la più grande meraviglia della folla (17).

Cristo usa di proposito l'espressione Figlio dell'uomo. E' certo che nessuno può perdonare i peccati se non Dio solo o chi ne ha ricevuto da lui la potestà. Ora, colui che osa perdonare i peccati non in nome di Dio, ma in nome proprio («Io te lo comando») e conferma con un grandioso prodigio di avere effettivamente tale potestà, dimostra in un modo inequivocabile di possedere la stessa potestà di Dio, di essere personalmente Dio. Cristo è Figlio di Dio, l'autore della grazia, l'unico che può perdonare i peccati in forza della propria autorità . Però teniamo ben presente: questo Figlio di Dio si serve della sua umanità come strumento (congiunto alla sua divinità) per la produzione
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efficiente della vita soprannaturale nelle anime. Egli usa l'espressione Figlio dell'uomo , come per significare che, se precisamente in quanto uomo opera i suoi miracoli, perdona i peccati e distribuisce la grazia con una libertà, un potere e una indipendenza sovrana, ciò avviene perché la sua umanità è per natura sua santificante, è strumento atto a produrre e causare la grazia in virtù della sua unione personale con il Verbo divino (18).

Non presenta gravi difficoltà la spiegazione della causalità strumentale della umanità di Cristo durante la sua permanenza sulla terra, anche intendendola in senso fisico , come l'intende la scuola tomista. Ma dal momento in cui l'umanità di Cristo salì al cielo, cessando così di avere un contatto fisico con gli uomini, come si dovrà concepire questo influsso dell'umanità di Cristo su di noi? Si tratterà forse di una semplice causalità morale , dovuta ai suoi meriti e alle sue soddisfazioni infinite, o si può continuare a parlare di un vero influsso fisico ? Ecco la questione da esaminare.

c) Influsso vitale di Cristo sulle membra del suo Corpo mistico . Ricordiamo i principi fondamentali della dottrina sul Corpo mistico.
Gesù Cristo è il capo di un Corpo mistico. Ce lo dice espressamente la rivelazione: «Omnia subiecit sub
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pedibus eius, et ipsum dedit caput super omnem Ecclesiam, quae est corpus ipsius et plenitudo eius, qui omnia in omnibus adimpletur» (Ef. 1, 22).

La prova di ragione ci viene fornita da san Tommaso in un magnifico articolo in cui si risponde alla questione: «Se spetta a Cristo, in quanto uomo, essere capo della Chiesa» (19). Per dimostrare questa verità, il Dottore angelico stabilisce una analogia con l'ordine naturale. Nel capo dell'uomo, possiamo considerare tre cose l'ordine , la perfezione e l'influsso sul corpo. L'ordine, perché il capo è la prima parte dell'uomo a partire dall'alto. La perfezione, perché in esso sono contenuti tutti i sensi esterni ed interni, mentre nelle altre membra si trova solo il tatto. Infine, l'influsso su tutto il corpo, perché la forza e il moto delle altre membra e il governo dei loro atti procede dalla testa a motivo della virtù sensitiva e motrice che in essa domina.

Ora, nell'ordine spirituale, tutte queste prerogative sono proprie di Cristo. Dunque, a lui spetta essere capo della Chiesa. Infatti:

a) Gli spetta il primato di ordine , giacché egli è il «primogenito tra molti fratelli» (Rom. 8, 29) ed è stato costituito nel cielo «sopra ogni principato e potestà e virtù e denominazione e ogni nome nominato non solo in questo secolo ma anche in quello futuro» (Ef. 1, 21) affinché «tenga il primato su tutte le cose» (Col. 1, 18).

b) Gli spetta il primato di perfezione , giacché risiede in lui la pienezza di tutte le grazie, secondo la espressione di S. Giovanni (1, 14): «Lo abbiamo visto pieno di grazia e di verità».

c) Gli spetta, infine, il primato di influsso vitale
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su tutti i membri della Chiesa, giacché «dalla pienezza di lui noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia» (Giovanni 1, 16).

San Paolo riassume queste tre funzioni di Cristo come capo della Chiesa in un magnifico passo della lettera ai Colossesi (1, 18 20): «Egli è il capo del corpo, che è la Chiesa; come è il principio, il primogenito di Dio tra i morti, affinché in tutto abbia il primato (ordine ). Poiché a Dio piacque di far abitare in lui tutta la pienezza (perfezione ) e di riconciliare per mezzo suo tutte le cose, dirigendole verso di lui, pacificando, mediante il sangue della croce di lui, di lui dico, e ciò che è sulla terra e ciò che è in cielo (influsso )».
Altrove, san Tommaso dimostra che Cristo è capo della Chiesa a motivo della sua dignità , del suo governo e della sua causalità (20). La ragione formale per cui è nostro capo risiede nella pienezza della sua grazia abituale. Per il Dottor angelico, quindi, la grazia personale per cui l'anima di Cristo è santa e quella per cui santifica gli altri in quanto capo della Chiesa è essenzialmente la stessa; esiste tra le due soltanto distinzione di ragione (21).

Fin dove si estende questa grazia capitale di Cristo? A chi si estende e in che forma o misura? San Tommaso afferma che si estende agli angeli e a tutti gli uomini (eccetto i dannati), benché in gradi e forme diverse.
1. Cristo è capo degli angeli . - Viene affermato espressamente dalla S. Scrittura. Parlando di Cristo, S. Paolo dice:
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«Egli è il capo di ogni principato e di ogni potestà» (Col. 2, 10).

S. Tommaso ne dà la ragione teologica quando dice che il corpo mistico della Chiesa non è formato soltanto dagli uomini, ma anche dagli angeli, giacché tanto gli uni quanto gli altri sono ordinati allo stesso fine: la gloria della visione beatifica. Cristo è il capo di tutta questa moltitudine, perché la sua umanità è personalmente unita al Verbo e, di conseguenza, partecipa dei suoi doni in modo molto più perfetto degli angeli, ai quali comunica molte grazie: la gloria accidentale, i carismi soprannaturali, le rivelazioni dei misteri di Dio, ecc. Cristo, dunque, è capo degli angeli (22).

2. Cristo è il capo di tutti gli uomini, ma in grado diverso. - Ecco come lo spiega S. Tommaso (23).
a) Lo è perfettamente dei beati , perché stanno uniti a lui in modo definitivo, essendo stati confermati in grazia e nella gloria eterna.
b) Lo è perfettamente anche dei cristiani in grazia , poiché a cagione dell'influsso di Cristo posseggono la vita soprannaturale, i carismi e i doni di Dio e rimangono uniti a lui come membra vive e attuali in virtù della grazia e della carità.

c) Lo è in modo meno perfetto dei cristiani in peccato , i quali mediante la fede e la speranza informi, conservano ancora una certa unione attuale con lui.
d) Gli eretici e i pagani , sia che si salvino sia che si dannino, non sono membra attuali di Cristo, ma solo in potenza. E con questa differenza: i predestinati sono membra in potenza chiamati a diventarlo in atto; i reprobi sono membra in potenza che non lo diventeranno mai in atto e, se pur lo diventeranno, sarà solo per breve tempo.

e) I demoni e i dannati in nessun modo saranno membra di Cristo perché sono definitivamente separati da lui
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e non gli saranno mai più uniti, neppure in potenza. Lo stesso vale per i bambini del Limbo .
Gesù Cristo esercita il suo influsso vitale sulle membra vive che rimangono unite a lui in questa vita con la grazia e la carità in molti modi, ma specialmente mediante i sacramenti e la fede informata dalla carità.

1. Mediante i Sacramenti. - E' di fede che Cristo sia autore dei sacramenti (24). Essendo «segni sensibili che significano e producono la grazia santificante», solo Cristo, sorgente unica della grazia, poteva istituirli. E li ha istituiti precisamente per comunicarci, con essi, la sua vita divina: «Ego veni ut vitam habeant, et abundantius habeant» (Giov. 10, 10). Questi segni sensibili ci comunicano la grazia per virtù intrinseca (ex opere operato ), però unicamente come strumenti di Cristo, in virtù, cioè, dell'impulso che ricevono dall'umanità di Cristo unita al Verbo divino e ripiena della sua vita. «Pietro battezza? - si domanda S. Agostino - E' Cristo che battezza. Giuda battezza? E' Cristo che battezza» (25). Quindi, l'indegnità del ministro che conferisce i sacramenti - peccatore, eretico... - non costituisce un ostacolo per la loro validità, purché abbia l'intenzione di fare quello che fa la Chiesa, ponendo il rito sacramentale. Cristo volle comunicare la sua grazia attraverso i sacramenti indipendentemente dalle debolezze e dalle miserie umane; la qual cosa dà a noi cristiani la più assoluta certezza dell'efficacia di questi segni divini se ricevendoli, non poniamo impedimenti.

Perché, è necessario notarlo, noi possiamo porre un ostacolo insormontabile all'efficacia santificante dei sacramenti.
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Nessun sacramento è valido se non si ha la volontà sincera di riceverlo (26). La mancanza di pentimento impedisce la recezione della grazia del sacramento della penitenza o nel battesimo di un adulto in peccato, e che si accosta ai sacramenti dei vivi consapevole (27) di essere in stato di peccato mortale, non solo non riceve la grazia, ma commette anche un sacrilegio.

Se abbiamo le disposizioni indispensabili per una valida e fruttuosa recezione, la misura della grazia che in ogni caso ci verrà comunicata dipenderà oltre che dalla maggiore o minore dignità del sacramento, dal grado di fervore delle nostre disposizioni. Se l'anima vi si accosterà con un grande desiderio di unirsi perfettamente a Dio, riceverà una misura di grazia piena e traboccante. Si ricorre spesso alla immagine della fonte e del vaso: la quantità di acqua che in ogni caso si raccoglie non dipende soltanto dalla fonte ma dalla capacità del recipiente con cui andiamo ad attingerla.

Per questo è di somma importanza una fervorosa preparazione prima di ricevere i sacramenti, soprattutto quello dell'Eucaristia, che ci conferisce non solamente la grazia, ma la sorgente stessa della grazia. E' per essi in modo particolare che Cristo esercita il suo influsso vitale su di noi. Ad essi dobbiamo ricorrere per incrementare la nostra vita soprannaturale e la nostra unione con Dio. Sono le fonti autentiche della grazia, che nessun altro mezzo potrà mai sostituire. Ci sono delle anime che non si sono rese a sufficienza conto di questa verità e vogliono trovare in altri
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esercizi o pratiche di devozione un aumento per le loro anime che è di gran lunga meno efficace dei sacramenti. E' fare torto al Signore il non apprezzare debitamente o il porre in secondo ordine questi canali autentici che egli stesso ha voluto istituire per comunicarci le sue grazie, la sua vita divina: ed equivale a tributargli un omaggio di gratitudine e di amore l'accorrere a bere con avidità, con la massima frequenza possibile, l'acqua viva che essi ci comunicano; acqua che sgorga dal Cuore di Cristo (28), si riversa nelle nostre anime e zampilla per la vita eterna (Giov. 4, 14). Lo stesso Cristo ci invita con insistenza: «Colui che ha sete venga a me e beva» (Giov. 7, 37).

2. Mediante la fede . - San Paolo, in una sua epistola, ha una espressione misteriosa. Dice che Cristo abita mediante la fede nei nostri cuori: Christum habitare per fidem in cordibus vestris (Ef. 3, 17). Che significa? Si tratta di una inabitazione fisica dell'umanità di Cristo nelle nostre anime, alla maniera della SS. Trinità in ogni anima in grazia? Sarebbe un grave errore pensarlo. L'umanità di Cristo viene fisicamente nelle nostre anime nel sacramento dell'Eucaristia, però la sua presenza reale, fisica, è così vincolata alle specie sacramentali, che viene a cessare quando queste si alterano sostanzialmente, rimanendo unicamente nell'anima la sua divinità (con il Padre e lo Spirito Santo) e l'influsso della sua grazia.

Tuttavia è un fatto - ed è affermato espressamente nelle parole di S. Paolo - che Cristo, in qualche modo, abita mediante la fede nei nostri cuori. S. Tommaso, commentando le parole dell'Apostolo, ne dà questa interpretazione: «Per fidem Christus inhabitat in nobis, ut dicitur Eph.3, 17. Et ideo virtus Christi copulator nobis per fidem». Queste ultime parole ci offrono la vera soluzione. E' la virtù di Cristo che abita propriamente nei nostri cuori mediante la fede. Ogni volta che ci dirigiamo a lui con il contatto
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della nostra fede vivificata dalla carità (29), promana da Cristo una virtù santificante che esercita sulle nostre anime un influsso benefico. Il Cristo di oggi è lo stesso del Vangelo, e tutti quelli che si avvicinavano a lui con fede e con amore partecipavano di quella virtù che da lui si dipartiva e sanava le infermità dei corpi e delle anime: «Virtus de illo exibat, et sanabat omnes» (Lc. 6, 19). «Come dunque dubitate che, quando ci avviciniamo a lui, anche fuori dei sacramenti, per mezzo della fede, con umiltà e confidenza, emani da lui una potenza divina capace di rischiararci, fortificarci, aiutarci, soccorrerci? Nessuno si è mai avvicinato con fede a Gesù Cristo senza essere stato colpito dai raggi benefici che si sprigionano continuamente da questo focolare di luce e di calore: virtus de illo exibat...» (30).

L'anima che vuole santificarsi deve moltiplicare e intensificare sempre più questo contatto con Cristo mediante la fede ardente vivificata dall'amore. Questo esercizio altamente santificante si può ripetere ogni momento, infinite volte al giorno; a differenza del contatto sacramentale con Cristo, che può effettuarsi una sola volta.
Rispondiamo ora alla questione che abbiamo formulata sopra (31). Di che natura è l'influsso vitale dell'umanità di Cristo su di noi? Si tratta di un influsso fisico o solamente morale, dovuto ai suoi meriti e alle sue soddisfazioni?

I teologi non sono della stessa opinione. Alcuni ritengono che si tratti solo di un influsso morale . La scuola
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tomista sostiene, invece, con forza, l'influsso fisico dell'umanità di Cristo, estendendo al nostro problema la propria teoria sulla causalità fisica dei sacramenti. Infatti, se i sacramenti, strumenti separati da Cristo, producono fisicamente la grazia, perché non dovrebbe produrla nello stesso modo l'umanità di Cristo, strumento congiunto della divinità?
Contro questa teoria si potrà obiettare che l'azione fisica suppone un contatto fisico tra l'agente e il paziente. Tale contatto esisteva effettivamente durante la vita terrena di Cristo (per es.: quando toccava i lebbrosi e li guariva miracolosamente), ma ora che la sua umanità si trova gloriosa in cielo, come si può parlare di un tale contatto fisico?

Rispondiamo:
1. Questa obiezione suppone un concetto di causalità fisica, da parte dell'umanità di Cristo, che non si può accettare, poiché immagina il contatto causale come qualche cosa di ordine quantitativo . Si tenga presente che all'umanità di Cristo non appartiene soltanto il corpo, ma anche l'anima. E l'anima di Cristo può operare con la sua volontà, come strumento del Verbo, e causare effetti soprannaturali materialmente distanti da essa. La volontà umana di Cristo fu elevata alla produzione o alla causalità immediata delle opere soprannaturali con la sua efficienza volitiva , alla quale partecipa il resto dell'umanità di Cristo sotto l'impero della volontà umana (32).

2. L'umanità di Cristo non è presente fisicamente in ogni parte, ma lo è il Verbo divino, al quale si trova ipostaticamente unita. Non c'è difficoltà ad ammettere che il Verbo si serva ovunque della virtù strumentale della sua umanità per la produzione della grazia nelle nostre anime. E' sufficiente il contatto virtuale della umanità di Cristo,
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come spiega S. Tommaso, a proposito della causalità efficiente della risurrezione di Cristo sulla nostra(33).

3. Occorre attribuire all'umanità di Cristo gloriosa tutte le prerogative che aveva sulla terra e che sono compatibili con lo stato attuale. Ora la causalità fisica strumentale è perfettamente compatibile con lo stato di gloria, non c'è motivo, quindi, per negarla. Diversamente, questa umanità sarebbe meno perfetta in cielo di quanto lo fosse sulla terra.

4. Il piano dell'incarnazione risulta più bello, secondo questa teoria. L'azione fisica di Gesù non rimane, in tal modo, ristretta soltanto all'Eucarestia. In ogni luogo, in ogni tempo e in ogni ordine di grazie, Cristo è presente con la sua influenza benefica e ci ricolma di benedizioni. Non c'è una sola anima, un solo popolo, che non sia fisicamente visitato dall'Uomo-Dio. E' il prolungamento senza fine, attraverso i secoli, di quel pertransiit benefaciendo et sanando omnes (Atti 10, 38), che riassume in maniera commovente il passaggio del Figlio di Dio per questa valle di lacrime (34).

Articolo II
Come vivere il mistero di Cristo


La gloria di Dio come fine ultimo assoluto, la nostra santificazione come fine prossimo verso il quale bisogna tendere incessantemente, l'incorporazione a Cristo
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come unica via possibile per conseguire i due fini: ecco la perfezione della vita cristiana. In ultima analisi tutto si riduce a vivere con una sempre maggiore intensità e perfezione il «mistero di Cristo» che assillava S. Paolo.

C'è una formula che riassume mirabilmente tutto quello che dovremmo fare per scalare le più alte vette della perfezione cristiana. L'adopera la Chiesa nel santo sacrificio della Messa, e costituisce da sola uno dei riti più augusti. Il sacerdote immediatamente prima di recitare l'orazione domenicale fa la genuflessione davanti al SS. Sacramento posto sul corporale e, prendendo con riverenza l'ostia santa, traccia con essa cinque croci, tre sul calice e due fuori di esso, mentre pronuncia queste parole: «Per ipsum, et cum ipso, et in ipso est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria».

Soffermiamoci un momento su questa formula e vedremo che essa racchiude la perfezione della vita cristiana e la via unica per giungere alla santità.
Idea generale . La glorificazione della SS. Trinità è il fine assoluto della creazione del mondo e della redenzione e santificazione del genere umano. Ma nella economia attuale della provvidenza e della grazia, questa glorificazione non si realizza se non per mezzo di Cristo, con Cristo, e in Cristo. Tutto quello che l'uomo cerca fuori di Cristo per glorificare Dio è fuori della via e assolutamente inadatto per conseguire questo fine. Tutto si riduce, quindi, ad incorporarsi sempre più a Cristo per compiere tutto «per lui, con lui e in lui, sotto l'impulso dello Spirito Santo, per la gloria del Padre». La vita cristiana è tutta qui.
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«Per ipsum ...». Cristo è l'unica via (Giov. 14, 6). Nessuno può andare al Padre senza di lui (ivi) giacché lui solo conosce il Padre e colui al quale egli vorrà rivelarlo (Matt. 11, 27).

La preoccupazione fondamentale, vorremmo dire unica, del cristiano che aspira alla santità deve essere quella di incorporarsi sempre più intimamente a Cristo per compiere tutto per mezzo di lui . E' necessario che noi scompariamo, o, meglio ancora - per togliere all'espressione ogni colore panteistico - è necessario incorporate a Cristo tutte le nostre buone opere, onde tutte presentarle al Padre per mezzo di Cristo, attraverso il Cristo . Tale atto sarà accetto all'eterno Padre, in realtà, non ha che un solo amore e una sola preoccupazione eterna, se così è lecito esprimersi: il suo Verbo. Nulla lo interessa fuori di lui, e se ci ama infinitamente, è «perché noi amiamo Cristo e abbiamo creduto che è uscito da Dio». Cristo stesso ce l'ha detto: «Ipse enim Pater amat vos quia vos me amastis et credidistis quia ego a Deo exivi » (Giov. 16, 27). Sublime mistero che dovrebbe fare del nostro amore a Cristo l'unica vera preoccupazione della nostra vita, come lo è dell'eterno Padre e come lo fu e lo sarà sempre di tutti i santi! Che fa e che cosa ci insegna la Chiesa nella sua liturgia? Nonostante che sia la sposa di Cristo, libera da ogni più piccola macchia e da ogni più piccola ruga (Ef. 5, 27), non osa chiedere nulla all'eterno Padre in nome proprio , ma tutto chiede in nome del suo divino sposo: per Dominum nostrum Iesum Christum Filium tuum.. .

Per mezzo di Cristo : ecco la prima grande sollecitudine che deve avere il cristiano nel compiere le opere buone. Senza di essa camminerebbe fuori della via, non farebbe un solo passo innanzi, non giungerebbe mai al vertice della
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perfezione. Quale disorientamento, quindi, quello di coloro i quali ritengono la «devozione a nostro Signore», come uno dei tanti mezzi di santificare, al pari dell'esame di coscienza o della lettura spirituale!
«et cum ipso ...». Fare tutte le cose per mezzo del Cristo , è ancora poco. Bisogna compierle con lui, in unione intima con lui.

La divinità di Cristo, il Verbo di Dio, è presente in modo permanente ed abita in ogni anima in grazia. Il Verbo può utilizzare continuamente la sua umanità, alla quale è unito ipostaticamente, per ricolmarci di vita soprannaturale. Non dimentichiamo che Cristo, uomo-Dio, è la sorgente e la fonte unica della grazia, che la grazia di Cristo che ci santifica non è la sua grazia di unione - che gli è propria ed esclusiva - ma la sua grazia capitale, la grazia abituale, cioè, di cui è ripiena la sua anima, e che da lui si effonde su di noi come dalla testa la vita si diffonde in tutte le membra di un organismo vivo (1).

Non è, quindi, un'illusione, bella ma irrealizzabile, quella di compiere tutte le cose con Cristo ; è una realtà profondamente teologica. Mentre restiamo in grazia, Cristo abita in noi, dentro di noi - fisicamente con la sua divinità, virtualmente con la sua umanità - e nulla si oppone a che facciamo tutto con lui , intimamente uniti a lui. Le nostre opere acquistano agli occhi dell'eterno Padre un immenso valore, quando gliele presentiamo incorporati a Cristo e in unione intima con lui. Senza questa incorporazione non varrebbero assolutamente nulla: nihil , per usare la parola stessa di Gesù (Giov. 15, 5). Con lui, invece, acquistano un
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valore assolutamente incomparabile. E' la goccia d'acqua che non vale nulla per se stessa, ma che, versata nel calice e mescolata con il vino del sacrificio, si converte nel sangue di Cristo con tutto il suo infinito valore redentivo.

Tale verità costituiva la preoccupazione costante di San Paolo. L'uomo che più di ogni altro aveva ricevuto da Dio la grazia di penetrare nell'insondabile abisso del «mistero di Cristo», non sapeva come spiegare al mondo le incomprensibili ricchezze racchiuse in lui: «investigabiles divitias Christi» (Ef. 3, 8), e in che maniera l'eterno Padre ci ha arricchiti con esse: «Propter vos egenus factus est cum esset dives, ut illius inopia vos divites essetis» (2 Cor. 8, 9), fino a riempirci in Cristo della pienezza stessa di Dio: «Et estis in illo repleti» (Col. 2, 10), «ut impleamini in omnem plenitudinem Dei» (Ef 3, 19).

Tutti gli sforzi del cristiano devono essere indirizzati ad aumentare e ad intensificare sempre più tale unione con Cristo. Egli deve compiere tutte le sue azioni con Gesù in intima unione con lui: l'orazione, il lavoro, la ricreazione, la refezione, il riposo... tutto deve essere portato a Cristo perché tutto sia compiuto insieme a lui. Un solo atto di Gesù glorifica Dio più di quanto lo glorificheranno, per l'eternità, gli atti degli angeli e dei beati insieme inclusa la Madre di Dio. Quali ricchezze insondabili abbiamo in Cristo e quale povertà e miseria fuori di lui! Quand'anche ci flagellassimo a sangue, i nostri dolori, se non li uniremo a quelli di Cristo, non avranno alcun valore.

Il nostro sangue è impuro, e solamente nell'unione con quello di Cristo può trovare valore agli occhi di Dio. I santi approfittavano di continuo di queste ineffabili ricchezze che l'eterno Padre ha poste a nostra disposizione, per guardare con ottimismo al futuro, senza lasciarsi spaventare dalla loro povertà. «Non chiamarti povera, poiché possiedi me», disse Gesù ad una anima che si lamentava con lui della sua miseria.
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«...et in ipso ...». E' sublime tutto quello che abbiamo detto finora, ma c'è ancora qualche cosa che lo supera. Le azioni compiute per mezzo di Cristo e con Cristo sono di un valore incalcolabile, ma il compierle in lui, identificati con lui significa elevare fino al limite del possibile la loro sublimità e grandezza. Le due prime modalità (per mezzo, con ) sono qualche cosa di estrinseco a noi e alle nostre opere; la terza ci pone nel Cristo , identificando in certo qual modo il nostro essere con il suo essere e le nostre azioni con le sue azioni. Tema sublime che va trattato con la massima serenità ed esattezza per non deformarlo, sminuendone la dignità, e non oltrepassare i limiti, cadendo in deplorevoli errori.

Per intravvedere un poco questo mistero ineffabile è necessario ricordare le linee generali della nostra incorporazione a Cristo come capo del Corpo Mistico. In virtù di tale incorporazione il cristiano diventa parte del Cristo. Il Cristo totale di cui parla S. Agostino, è il Cristo più noi . Il cristiano in grazia forma una sola cosa con Gesù. Tralcio di Cristo, vive della sua stessa vita, circola per le sue vene la linfa divinizzatrice della sua divina vite. Gesù Cristo non è completo senza di noi. Non raggiunge la sua pienezza di Cristo totale se non formiamo una sola cosa con lui. Unendoci a lui, siamo parti integranti della sua unità totale.

«Si dice: "Christianus alter Christus ". " Il cristiano è un altro Cristo ", e nulla è più vero. Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno. "Altro " non significa "diverso". Noi non siamo un Cristo diverso dal Cristo vero. Siamo, per destinazione, il Cristo, il solo che esista, il Cristo unico: Christus facti sumus , come dice S. Agostino. Non dobbiamo divenire una cosa diversa da lui, dobbiamo divenire lui » (2).
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Tenendo presente questa divina realtà, si comprendono meglio le misteriose espressioni di san Paolo e del Vangelo: le nostre sofferenze completano quello che manca alla sua passione (Col. 1, 24); egli è colui che combatte in noi (Col. 1, 29) e colui che trionfa. Quando siamo perseguitati è lui che viene perseguitato (Atti 9, 5); il più piccolo servizio reso a noi, lo accetta e lo ricompensa come se lo avessero fatto a lui (Mat. 10, 22; 25, 34-36). L'ultimo e supremo desiderio espresso da Cristo nella notte della cena è che siamo una cosa sola con lui (Giov. 17, 21) in modo sempre più perfetto fino a che giungiamo ad essere «consumati nell'unità» nel seno del Padre (Gv. 17, 23).

E' fuori dubbio che Cristo ci ha incorporati a sé, ci ha fatti sue membra, ci ha convertiti in qualche cosa di suo siamo realmente suo Corpo . Dipendiamo interamente da Cristo, Christi sumus ; meglio ancora, Christus sumus , non solo di Cristo, ma Cristo. Sant'Agostino non esita ad affermare: «Concorporans nos sibi, faciens nos membra sua ut in illo et nos Christus essemus ... Et omnes in illo et Christi et Christus sumus , quia quodammodo totus Christus , caput et corpus est» (3).

Se le cose stanno così, si comprende subito che il cristiano deve compiere tutte le sue opere non solamente per mezzo di Cristo e con Cristo, ma in Cristo, identificato con lui. Deve rivestirsi talmente di Gesù Cristo (Rom. 13, 14), da apparire all'eterno Padre, quando lo contempla come Cristo stesso. Era questa la suprema aspirazione di Sr. Elisabetta della Trinità: «Non guardate in me se non il Figlio diletto, nel quale avete posto tutte le vostre compiacenze». Aveva chiesto a Cristo che «la sostituisse» e allo Spirito Santo che realizzasse nella sua anima «quasi una incarnazione del Verbo», allo scopo di convertirsi per mezzo di lui in «un prolungamento di umanità, in cui egli potesse rinnovare tutto il suo mistero» (4).
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Non è, quindi, un'aspirazione illusoria quella di voler compiere tutte le nostre azioni in Cristo , identificate con le sue. E', al contrario, una divina realtà, la cui attuazione sempre più intensa e frequente, eleverà il cristiano fino alle vette della santità, fino a sentirsi dominato e posseduto da Cristo, da esclamare con S. Paolo: «Mihi vivere Christus est»: la mia vita è Cristo (Fil. 1, 21), perché non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me: «Vivo autem, iam non ego; vivit vero in me Christus» (Gal. 2, 20). Il cristiano ha raggiunto allora la sua pienezza in Cristo (Ef.4, 13), è giunto alla sua completa e totale cristificazione, si trova al vertice della perfezione e della santità.

«...est ...». La Chiesa usa questo verbo all'indicativo, e non sit , al congiuntivo. Non si tratta della manifestazione di un desiderio che non si è ancora realizzato, ma dell'affermazione di un fatto che è già presente in tutta la sua realtà infinita. «Qui, dove è radunata la Chiesa, e precisamente attorno all'altare sul quale si trova il sacramento, convenuta proprio per offrire devotamente il corpo e il sangue di Cristo, Dio accoglie effettivamente tutti gli onori e tutti le glorificazioni (5).

La stessa cosa avviene per le azione del cristiano che salgono al cielo per mezzo di Cristo, con Cristo e in Cristo. La più piccola di esse acquista un valore in certo modo infinito e glorifica immensamente Dio. Vivere incorporati a Cristo, non ci stancheremo mai di ripeterlo, dovrebbe costituire l'unica e costante preoccupazione del cristiano. Soltanto così è possibile rimanere sempre sulla via maestra che conduce alla santità, volti direttamente a Dio, senza tentennamenti e deviazioni.
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«...tibi Deo Patri omnipotenti. ..». Tutto è ordinato a lui. La gloria del Padre è il pensiero dominante del Cristo, il quale non esita a rinunciare alla sua volontà quando questa comporta una opposizione, anche minima, alla volontà del Padre (Mt. 26, 39); lavora solo per piacergli (Giov. 8, 29); vive per mezzo di lui e per lui (Giov. 6, 58); e se, giunto il momento, chiede al Padre che lo glorifichi, lo fa unicamente perché anch'egli possa glorificare il Padre (Giov. 17, 1).

Il cristiano deve rassomigliare al suo divino modello in tutto, ma specialmente in questa continua aspirazione verso il Padre celeste. San Paolo ce lo ricorda quando - stabilendo la gerarchia dei valori di tutto quanto esiste - afferma: «Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio» (1 Cor. 3, 22-23). Un po' più innanzi, nella stessa epistola, completa il suo pensiero: «E' necessario che egli (Cristo) regni, finché non abbia posto sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici... Quando poi tutte le cose saranno sottoposte a lui, allora anche lui, il Figlio, si sottometterà a colui che tutto gli ha sottomesso, affinché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor. 15, 25-28). La gloria di Dio è il fine ultimo, assoluto, di tutta la creazione del mondo, della redenzione e glorificazione del genere umano. Nel cielo si compirà in tutta la sua perfezione ed integrità quello che dice S. Giovanni della Croce: «Su questo monte dimora soltanto l'onore e la gloria di Dio».

«...in unitate Spiritus Sancti. .». Questa gloria di Dio, com'è ovvio, non appartiene esclusivamente alla persona del Padre. E' la gloria della divinità , del Dio uno e trino della rivelazione. Di conseguenza, questa gloria che riceve il Padre per mezzo di Cristo, con Cristo e in Cristo, appartiene anche allo Spirito Santo, legame che unisce il Padre e il Figlio in un ineffabile
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vincolo di amore che consuma i tre nella unità della stessa essenza.

«...omnis honor et gloria ». Omnis , ogni onore e gloria; perché nel piano attuale dell'economia della grazia, tutta la gloria che la SS. Trinità riceve dai figli degli uomini deve salire ad essa per mezzo di Cristo, con Cristo e in Cristo.
Non c'è dubbio. Nel per ipsum della Messa abbiamo una magnifica formula di santificazione. Il cristiano che si sforzerà di viverla troverà in essa un programma completo di perfezione ed una manna nascosta capace di alimentare la sua vita spirituale fino al più completo sviluppo.
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(1) Cf. Marmion , Cristo, vita dell'anima 1,1,6.

(2) Suor Elisabetta della Trinità . Elevazione alla Trinità. Si veda in Philipon, La dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità, c. 9.

(3) III, 23, 2 ad 2.
(4) Marmion , Cristo, vita dell'anima 2, 3.
(5) Id., Cristo nei suoi misteri 3, 6.
(6) Ivi.

(7) Atti 1, 1.
(8) Cf. III, 1, 3.

(9) Sauvè, Jèsus intime, Elev. 5, n. 5, c. 2034.
(10) Cf. 3, 9-12.

(11) Cf. Storia di un'anima, Novissima verba n. 740.

(12) Cf. 3, 48 e 49.
(13) Cf. Marmion , Cristo, vita dell'anima c. 3.
(14) Cf. III, 1, 2 ad 2, I-II, 87, 4.
(15) Cf. III, 46, 3.

(16) La filosofia si serve dell'espressione «strumento unito» per designare lo strumento che aderisce per natura alla causa principale che lo usa, (per es.: il braccio o la mano è uno «strumento unito» all'uomo che pittura o scrive), e «strumento separato» per designare quello che di per sé è distinto dalla causa principale (per esempio, il pennello dell'artista o la penna dello scrittore).

(17) Cf. Mt. 9, 1-8; Marco 2, 1-12; Luca, 5, 17-26.

(18) Dice S. Tommaso: «Dare gratiam aut Spiritum Sanctum convenit Christo, secundum quod Deus, auctoritative; sed instrumentaliter ei convenit secundum quod est homo inquantum scilicet eius humanitas fuit instrumentum divinitatis eius. Et ita actiones ipsius ex virtute divinitatis fuerunt nobis salutiferae, utpote gratiam in nobis causantes, et per meritum et per efficientiam quandam» (III, 8, 1 ad 1). In un altro articolo di questa stessa questione scrive: «Interior autem influxus gratiae non est ab aliquo nisi a solo Christo cuius humanitas ex hoc quod est divinitati adiuncta, habet virtutem iustificandi» (Ivi, a. 6).

(19) Cf. III, 8, 1.

(20) Cf. De veritate q. 29 a. 4.
(21) Dice espressamente S. Tommaso: «Et ideo eadem est secundum essentiam gratia personalis qua anima Christi est iustificata, et gratia eius secundum quam est caput Ecclesiae iustificans alios, differt tamen secundum rationem».

(22) Cf. III, 8, 4.
(23) Cf. III, 8, 3.

(24) Cf. Denz. 844.
(25) «Petrus baptizet, hic (Christus) est qui baptizat, Paulus baptizet, hic est qui baptizat: Iudas baptizet, hic est qui baptizat» (Tract in Jo. 6: ML 35, 1428).

(26) Nei bambini che ricevono il battesimo la Chiesa supplisce questa intenzione.
(27) Sottolineamo questa parola perché, secondo il consenso quasi unanime dei teologi, colui che in stato di peccato mortale si accostasse in buona fede ad un sacramento dei vivi (per esempio, l'Eucarestia) con pentimento di attrizione soprannaturale, riceverebbe validamente e fruttuosamente il sacramento, riceverebbe, cioè, la grazia sacramentale.

(28) «Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Is. 12, 3).

(29) «La fede senza le opere è morta», dice l'apostolo S. Giacomo (2, 26). E' necessario che la fede sia vivificata dalla carità, «in caritate radicati et fundati», aggiunge S. Paolo dopo aver detto che Cristo abita per mezzo della fede nei nostri cuori (Ef. 3,17).
(30) Marmion, Cristo, vita dell'anima I, 44.
(31) A pag. 33.

(32) Cf. Solano, De Verbo Incarnato n. 323, in Sacrae Theologiae Summa, vol. III, B.A.C., Madrid, 1953.

(33) «Resurrectio Christi est causa efficiens nostrae resurrectionis virtute divina, cuius proprium est mortuos vivificare. Quae autem virtus praesentialiter attingit omnia loca et tempora. Et talis contactus virtualis sufficit ad rationem huius efficientiae» (III, 56, 1 ad 3).
(34) Cf. per la causalità fisica dell'umanità di Cristo lo studio di P. Hugon : La causalité instrumental en Thèologie, Paris, 1907, soprattutto il capitolo 3: «La causalité instrumentale de l'humanité sainte de Jésus», e quello del P. Sauras, El Cuerpo mistico de Cristo, B. A. C., Madrid, 1952, c. 2, a. 3.

(1) III, 8, 5.

(2) Plus , In Cristo Gesù, Introduzione.

(3) S. Agostino , In Ps., 26 enarr. 2, 2; ML 36, 200.
(4) Suor Elisabetta della Trinità , Elevazione alla SS. Trinità.

(5) Jungmann , S. J. Missarum solemnia, vol. II, Marietti,