Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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IL FINE DELLA VITA CRISTIANA

La considerazione del fine è la prima cosa da farsi nello studio di una qualsiasi realtà dinamica. Poiché la vita cristiana è essenzialmente dinamica e perfettibile, almeno nella attuale condizione di viatori, è necessario che anzitutto sappiamo dove andiamo, qual è il fine che intendiamo raggiungere. Per questo, S. Tommaso comincia la parte morale del suo sistema - il ritorno dell'uomo a Dio - con la considerazione del fine ultimo (l).

Alla vita cristiana si possono assegnare due fini: un fine ultimo o assoluto e un fine prossimo o relativo. Il primo è la gloria di Dio; il secondo, la nostra santificazione.

I - La gloria di Dio fine ultimo
e assoluto della vita cristiana

E' divenuta classica la definizione della gloria: clara notitia cum laude . In forza della sua stessa definizione, esprime qualche cosa di estrinseco al soggetto cui si riferisce. Tuttavia in un senso meno ristretto, possiamo distinguere in Dio una duplice gloria: l'intrinseca , che sgorga dalla sua vita intima, e l'estrinseca , che procede dalle creature.

La gloria intrinseca è quella che conviene a Dio in seno alla SS. Trinità. Il Padre - per via di generazione intellettuale - concepisce di sé un'idea perfettissima: è il suo Verbo, nel quale si riflettono la sua
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vita, la sua bellezza, la sua immensità, la sua eternità, tutte le sue infinite perfezioni. Dalla mutua contemplazione, tra il Padre e il Figlio si stabilisce - per via di processione - una corrente di indicibile amore: lo Spirito Santo. Tale conoscenza e tale amore, tale lode eterna ed incessante che Dio prodiga a se stesso nel mistero incomparabile della sua vita intima, costituisce la gloria intrinseca di Dio, gloria infinita e perfetta, alla quale le creature intelligenti e l'intero universo non sono in grado di aggiungere nulla.

Dio è infinitamente beato in se stesso e non ha alcun bisogno delle creature, è vero; ma Dio è amore (2), e l'amore, per sua natura, è comunicativo . Dio è il bene infinito, ed il bene tende a diffondersi: bonum est diffusivum sui, dicono i filosofi. Ecco il motivo della creazione.
Dio volle comunicare le sue infinite perfezioni alle creature, per la sua gloria estrinseca . La glorificazione di Dio da parte delle creature è, in definitiva, la ragione ultima della creazione.

La spiegazione è evidente, anche alla luce della sola ragione naturale, non illuminata dalla fede. E' un fatto filosoficamente indiscutibile che ogni essere che agisce, agisce per un fine, soprattutto quando questo essere è dotato di intelligenza. Dio, dunque, primo agente intelligentissimo, deve operare sempre per un fine. Ora, siccome gli attributi di Dio e le sue azioni divine non si distinguono, ma s'identificano pienamente con la sua essenza, se Dio avesse inteso nella creazione un fine distinto da se stesso, avrebbe subordinato questa azione a tale fine - poiché ogni agente pone
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l'azione a servizio del fine che si è proposto agendo - e con l'azione avrebbe subordinato se stesso, dal momento che la sua azione è egli stesso. Tale fine sarebbe superiore a Dio; Dio non sarebbe più Dio. E', quindi, assolutamente impossibile che Dio, quando opera, ricerchi un fine distinto da se stesso. Dio ha creato tutte le cose per la sua gloria; le creature non possono esistere se non in lui e per lui.
Questo non soltanto non suppone un «egoismo trascendentale» in Dio - come ha osato affermare, con blasfema ignoranza, un filosofo - ma è il colmo della generosità e del disinteresse. Non cercò la propria utilità - le creature non potevano aggiungere assolutamente nulla alla sua felicità e alle sue infinite perfezioni - ma volle unicamente comunicare loro la sua bontà. Dio ha disposto in tal modo le cose, che le creature trovano la loro felicità nel glorificare lui. Perciò san Tommaso afferma che solo Dio è infinitamente libero e generoso: non opera per indigenza , quasi per avere qualcosa che ancora non possiede, ma unicamente per bontà, per comunicare alle creature la propria felicità.

La scrittura è piena di espressioni nelle quali Dio reclama per sé la sua gloria. «Io sono il Signore, questo è il mio nome e la mia gloria non la darò ad altri, né il mio vanto ai simulacri» (Is. 42, 8); «Per rispetto a me, per rispetto a me stesso lo farò, e perché lascerei oltraggiare il mio nome? e l'onore a me dovuto non cederò ad altri» (Is. 48, 11); «Da' retta a me, o Giacobbe, o Israele da me chiamato. Sono io, sono io il primo, e sono pur l'ultimo» (ivi 12); «Io sono l'alfa e l'omega, dice il Signore Dio; Colui che è, che era, Colui che viene, l'Onnipotente» (Ap. 1,8), ecc.
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La gloria di Dio? Ecco l'alfa e l'omega, il principio e la fine di tutta la creazione. La stessa incarnazione del Verbo e la redenzione non si propongono altro che la gloria di Dio: «Quando poi siano state sottoposte a lui tutte le cose, allora anche lo stesso Figlio sarà sottoposto a Quello che sottopose a lui tutte le cose, affinché sia Iddio tutte le cose in tutti » (1 Cor. 15, 28). L'apostolo ci esorta a non fare un solo passo che non sia ordinato alla gloria di Dio: «Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcunché, tutto fate a gloria di Dio» (1 Cor. 10,31); Infatti, non siamo stati predestinati in Cristo se non per convertirci in una perpetua lode di gloria della SS.ma Trinità.

«Come pure ci elesse in lui prima della fondazione del mondo, affinché fossimo santi ed immacolati al cospetto suo in amore; egli ci predestinò ad adozione filiale in lui mediante Gesù Cristo, conforme al beneplacito della sua volontà, in lode di gloria della sua grazia » (Ef. 1,4-5; cfr. v.12 e 14). Tutto deve essere subordinato a questo supremo ideale. L'anima stessa non deve procurare la sua salvezza o santificazione se non in quanto con essa glorificherà maggiormente Dio. La propria salvezza o santificazione non può mai convertirsi in fine ultimo. Occorre desiderarla e lavorare incessantemente per raggiungerla; però solo perché Dio lo vuole, perché ha inteso glorificarsi rendendoci felici, perché la nostra felicità risiede nell'eterna lode della gloria della SS. Trinità (3).

Tale è il fine ultimo e assoluto di tutta la vita cristiana. Ad esso l'anima che aspira a santificarsi deve mirare, verso di esso deve indirizzare i suoi sforzi e i suoi desideri. Nulla deve prevalere. Il desiderio stesso della propria salvezza o santificazione deve passare in secondo ordine: come il mezzo più opportuno per conseguirlo pienamente. Il cristiano deve rassomigliare a sant'Alfonso de' Liguori, il quale «non aveva nella mente che la gloria di
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Dio» (4), e deve fare proprio il motto che sant'Ignazio lasciò alla sua Compagnia: «Per la maggior gloria di Dio». In definitiva, è questo l'atteggiamento adottato da tutti i santi a partire da san Paolo, che, scrivendo ai Corinti, ci lasciò la consegna più importante della vita cristiana: Omnia in gloriam Dei facite: fate tutto a gloria di Dio (5).

La santificazione della nostra anima non è, quindi, il fine ultimo della vita cristiana. Sopra di essa sta la gloria della SS. Trinità, termine assoluto di tutto quanto esiste. Questa verità, tanto evidente per coloro che ammettono la trascendenza divina, in pratica non appare dominante nella vita dei santi se non molto tardi, quando la loro anima si e consumata d'amore, nell'unità di Dio. Soltanto al vertice dell'unione trasformante, identificati pienamente con Dio, i loro pensieri e i loro desideri procedono all'unisono con il pensiero e il volere di Dio. Unica eccezione Cristo e Maria, i quali dal primo istante della loro esistenza, hanno realizzato con perfezione quel programma di glorificazione divina, che è il termine nel quale si rivolge ogni processo di santificazione su questa terra (6).

Nulla, quindi, deve preoccupare tanto un'anima che aspira alla santità quanto il costante oblìo di sé e la sincera ricerca della gloria di Dio. «Nel cielo della mia anima, diceva Suor Elisabetta della Trinità, la gloria dell'Eterno nient'altro che la gloria dell'Eterno» (7).

II - La santificazione dell'anima
fine prossimo e relativo
della vita cristiana

Dopo la glorificazione di Dio, e ad essa del tutto subordinata, la vita cristiana si propone la santificazione
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della nostra anima. Il battesimo, porta d'ingresso alla vita eterna, pone nelle nostre anime una «semente di Dio»; la grazia santificante. Questo germe divino è destinato a svilupparsi pienamente, a produrre la santità. Tutti siamo chiamati a raggiungerla, benché in gradi diversi, secondo la misura della nostra predestinazione in Cristo (8).

In che cosa consiste propriamente la santità? Che cosa significa essere santi? Qual è il suo costitutivo intimo ed essenziale?
Le risposte più comuni sono tre: la santità consiste nella configurazione a Cristo, nell'unione con Dio mediante l'amore e nella perfetta conformità alla volontà di Dio.
Qui tratteremo della prima, la più profonda e teologica, che getta le sue radici nelle fonti stesse della rivelazione. Tutto il messaggio di S. Paolo si può ridurre alla necessità, per noi, di configurarci pienamente a Cristo onde giungere alla perfezione.
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(1) I-II, 1.

(2) 1 Giov. 4, 16.

(3) Cf. sull'argomento: Pollien , La vita interiore semplificata, p. 1, 1. 1; e Philipon, O.P., La dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità, c. 4.

(4) Schrijvers , I principi della vita spirituale l. I, p. 3, c. 4.
(5) l Cor. 10, 31.
(6) Cf. Philipon , o.c., c. 4.
(7) Ritiro di Laudem gloriae giorno 7.

(8) Cf. Ef. 4, 7-13; Rom. 12, 3; 1 Cor. 12, 11.