Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II. RELIGIOSE SEMPRE NOVIZIE(1)
(Alla scuola di san Giuseppe)
Quando vi moltiplicate da entrare un po' dappertutto, nelle varie nazioni? Pregate bene per le vocazioni? Sì? E oltre la preghiera, c'è anche <la> l'azione, l'apostolato vocazionario, eh? Non ho capito (a). Sì, si fa... Sì, si fa con l'azione e cioè con l'apostolato vocazionario anche.
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Avete partecipato alla mostra della chiesa e anche lì avete presentato voi stesse, l'istituto. Questa <è un> è un'azione pastorale, cioè <una voca> una azione vocazione. Non contare solo, in questo senso, che c'è un'incaricata o due incaricate. Le vocazioni interessano tutto l'istituto, ma non interessano mica i muri della casa. Interessano le persone, e cioè l'aumento di persone e di opere. E quindi, quelle che hanno occasione - o se non l'han la occasione la creano - per le vocazioni ecco, operare. Operare in quanto è possibile sempre con la prudenza che è necessaria. Però che siano veramente vocazioni. Quindi, conoscerle <con> con la luce di Dio: Signore che ci vediamo, ecco, nelle cose.
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Quando poi la professione è avvenuta, è fatta, quando si è dato il cuore al Signore, bisogna che il cuore resti col Signore, e cioè che lo si ami davvero e che davvero si amino le anime, perché il cuore non può essere sterile, arido, solitario. Non può esser solitario il cuore. Deve il cuore vivere e pulsare col cuore di Gesù, col cuore del buon Pastore. E considerare le anime come l'impegno che è dato dal Signore a voi.
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Quando vi è veramente questo impegno di attendere all'apostolato e migliorarlo, la vita religiosa è più facilmente vissuta. Vi sono più grazie e i pensieri si concentrano sopra due punti, cioè Gesù buon Pastore e le anime.
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Occorre notare che i religiosi son sempre novizi. Le religiose son sempre novizie anche se hanno fatto la professione perpetua; hanno ancor però da fare la professione eterna, quella che è indissolubile. Quindi sempre considerarsi novizie del cielo. Novizie del cielo.
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E chi ammetterà alla professione allora ? Sarà il Signore stesso Gesù, il buon /Pastore/ (a) che ammetterà alla professione e la sua missione è eterna, è infallibile. Sì. Notando quindi che prima della professione specialmente perpetua, ma anche per la prima, si risolvano tutti i problemi, le difficoltà, i dubbi.
Non andare avanti: farò, spero, ecc.; ma che tutto sia chiarito e che la aspirante, colei cioè che vuole la professione perpetua, ha in se stessa una garanzia di sapere vivere poi la professione: ho provato, ho veduto e ho sperimentato che io ho le grazie per vivere questa vita nonostante che vi siano le difficoltà, le tentazioni, le ribellioni del cuore alle volte. Ma nella sostanza <si> la suora va con serenità, senza che dopo debba di nuovo riproporsi il problema vocazionario: ma io avevo la vocazione?
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La dottrina, l'insegnamento attuale è questo: che chi dà la vocazione è la Chiesa. E' la Chiesa! Le aspiranti devono presentare la idoneità (per quanto umanamente): esse nella loro sincerità di cuore e le madri nella loro avvedutezza e nei doni che han da Dio. Queste sono le disposizioni e questi sono i sintomi di una vocazione buona.
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Ma quando poi la Chiesa cioè le superiore <che o> che funzionano a nome della Chiesa, hanno l'incarico della Chiesa, e allora se ammettono <l'as> un'aspirante, una novizia, allora non può dire più tardi: forse non avevo vocazione. Hai fatto la professione e l'hai sottoscritta. Tu hai la vocazione sicuramente.
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I segni di vocazione indicavano la idoneità, ma la risoluzione e quello che costituisce la vocazione è la chiamata alla professione. E' l'ammissione in sostanza. Perciò nessuna può dire: "Forse non avevo vocazione... L'ho avuto pubblicamente, perché quando ho fatto i voti vi erano persone ad assistere, e il registro è firmato con la mia (a) calligrafia". Ecco.
Questo ora chiarissimo: non obiettino nulla in seguito su questo punto.
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D'altra parte già san Agostino prima ancora che questa dottrina <fosse per> fosse più chiarita, non una dottrina nuova, ma più chiarita specialmente da san Benedetto in avanti, ma più ancora nei tempi ultimi, ecco, ora vi era già quanto diceva san Agostino, quindi: "Se non hai vocazione, se non l'avevi, fa' in maniera di averla". Si non es vocatus: che cosa, se non sei chiamato? Fac ut voceris: che sii chiamato.
E in che cosa allora consisterebbe <questo> questa chiamata: Fac ut voceris? Sta in questo: che con la nostra collaborazione, col nostro impegno si osservino i voti e le costituzioni. Pregando, questo è possibile. E' possibile l'osservanza della povertà, castità e obbedienza. E' possibile la vita comune. E' possibile l'apostolato dell'istituto.
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Perciò non venga un'altra vita a proporsi il problema della vocazione: chissà, ecco, se l'avevo! E allora, vi è solo una cosa da rispondere: o che tu non corrispondi, perché non metti in pratica i mezzi e quindi ti senti debole; oppure volontariamente <non> vuoi resistere alla voce di Dio che è suonata chiara, solenne, e la Chiesa ha accettato la tua donazione a nome di Dio, la tua donazione al Signore, sì.
Chiarezza sopra questo punto. D'altra parte aspettarsi sempre che il demonio tenti.
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Quando si entra in una casa a far l'apostolato: sarà una parrocchia in Australia, o sarà in Brasile o sarà in Italia o sarà in altra nazione, che cosa dire? Bisogna dire che le grazie le hai. Tuttavia occorre sempre ricordare che la <sensa> sentimentalità o si dà a Dio <o si dà>, o si avvia verso un'altra direzione questa sentimentalità, sì.
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E siccome la donna ha innato lo spirito materno, se si sente di esser madre delle anime, il cuore riposa lì. E d'altra parte l'età è poi quella; e cioè generalmente dalla professione perpetua ha un certo numero di anni, ha una certa età che si fa sentire: si fa sentire più o meno profondamente. Se però il Signore viene amato e il cuore riposa nel cuore di Dio, e se il cuore è tutto aperto alle anime come il cuore del buon Pastore, allora, là è /rimediabile radice/ (a). Cioè il sentimento è quel che è, ma se viene esaurito nel Signore e nelle anime, ecco, si è arrivati a quella situazione, a quella posizione in cui la suora si sente contenta. Poi di lì avanti sarà sempre più contenta, rispondendo sempre meglio a quello che esige l'istituto, sì.
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Certo! Se non si vive di fervore e di amore a Gesù, il cuore comincerà un poco a esporsi; e allora? Quindi: il Signore! Il Signore, occorre amare con tutto il cuore! Il Signore bene infinito, eterna felicità! (Non arrivano? Allora se non arrivano, (a) andiamo avanti. Ah! Volevo dire: - Se ci sono be, se no -).
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Volevo dire questo: incomincia il mese a san Giuseppe ormai siamo vicini. Il mese a san Giuseppe perché la festa è poi al /19/ (a) di marzo! Oh, notare in san Giuseppe il segreto della sua grande elevazione, della sua altissima santità è l'umiltà. San Giuseppe rappresentava il Padre celeste, no? San Giuseppe rappresentava il Padre celeste nella famiglia di Nazaret. Allora il Padre celeste aveva fiducia in lui, e fiducia perché? Per la sua umiltà. Il Signore gli ha affidato i più grandi tesori del Padre celeste, cioè: il figlio incarnato Gesù, e Maria la madre di Gesù. San Giuseppe era il nutrizio e ha preparato alla Chiesa il buon Pastore e ha difeso e ha messo in salvo il bambino, quando Erode lo cercava a morte. E poi?
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Ora san Giuseppe è il patrono universale della Chiesa, che vuol dire: lui povero falegname, uomo oscuro a cui nessuno dava qualche importanza, è patrono, protettore della Chiesa universale, cioè dei papi, dei vescovi, del clero, di tutti gli istituti religiosi, di tutta la Chiesa. Quanto lo ha elevato il Signore! E nella Chiesa ora, durante il canone, dopo il nome di Maria è stato inserito il nome di san Giuseppe prima degli apostoli, dei martiri. Quindi primo santo dopo la Vergine. D'altra parte a san Giuseppe si dà un culto particolare sopra ai santi. Quindi un santo particolare di meriti eccezionali.
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E' protettore dei lavoratori, protettore dei morenti, protettore dei padri di famiglia, protettore <di> degli emigrati... E quanto è caro e amabile questo santo! Sì, quanto è amato! E così <l'epistola> comincia l'epistola (a) della messa: "Caro a Dio e agli uomini" [Sir. 45,1]. Ma perché? La sua umiltà: si credeva capace a niente. E quando non sapeva risolvere, il Signore gli mandava l'angelo; tre volte: fa' così, fa' questo. L'umiltà sua, la umiltà sua!
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Guardate che se volete raggiungere quest'anno quel che è in programma, l'anno di santificazione, partir dall'umiltà.
l superbo chiude la porta alle grazie e invece l'umile ha tutte le porte aperte per le grazie del Signore. Tutte le porte aperte. Il nemico di noi stessi è l'orgoglio. La nostra superbia quante cose impedisce! Quanti doni impedisce! L'umiltà di cuore, la umiltà di parole, l'umiltà di atteggiamenti, l'umiltà coi superiori, l'umiltà con gli inferiori, l'umiltà con gli eguali, l'umiltà negli atti, particolarmente nella obbedienza e nella carità e bontà con tutti.
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Vi sono alle volte delle persone che non sanno fare un catechismo. Perché? Son superbe. Non sanno capire il cuore del bambino, la sua età, le sue qualità; non sanno trovare le parole che discendono a quel cuoricino. Non sanno <in> nelle varie occasioni tirar fuori le parole <che> che hanno il loro frutto, che portano vantaggio, che persuadon le anime, magari come assistere un morente..., quali parole dare e dire a una persona che soffre.
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L'umiltà apre la porta a tutte le grazie di Dio. Se vogliamo molte grazie, molta umiltà. Se <noi> invece non c'interessano molto le grazie, allora l'io ci si mette in mezzo e chiude la porta alle grazie di Dio. Quindi, partire da questo punto sempre: umiltà.
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Alla quale umiltà si associa poi sempre la fede. Allora umiltà: son buona a niente; la fede: con Dio posso tutto. E si compie tutta la volontà di Dio. E chi sarà più esaltato? Dopo Maria chi è più esaltato in cielo? Sì, san Giuseppe. Perché all'umile vengon le grazie; al superbo il Signore resiste anche quando prega. E allora si trova difficoltà, perché? E perché non ci sono le grazie; perché <le> non vengono dal Signore le grazie che si desiderano. Sì.
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Ho finito di parlare (a). Però voi altre volete anche qualche parola?! Vedete siamo sempre tutti nella stessa condizione di essere umili perché la umiltà è il segreto delle grazie. E quante non vanno avanti perché c'è la superbietta. E quante vanno avanti anche con doni e con qualità mediocri, vanno molto avanti perché l'umiltà è la porta delle grazie.
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Ma avevo ancora da dire però una cosetta, eh? Cominciando il mese di san Giuseppe: silenziosità anche. Far star silenziose le persone è un po' difficile, neh? Ma qui <ma> voglio dire mica di far silenzio tutto il giorno: parlare a tempo e parlare bene.
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San Giuseppe ha avuto innumerevoli grazie: ha dovuto parlare con gli angeli almeno tre volte, forse quattro! Non si legge che abbia detto una parola, mai, non si legge. Come faceva? Riceveva gli ordini e senza dire: sì lo farò, non rispondeva, lo faceva. Qual era la risposta? La risposta era coi fatti, non con le chiacchiere. Non con le discussioni, non domandando spiegazioni: Sì, sì; no, no! [Mt 5,37].
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Al lavoro di scuola che vien dato, all'orario che vien dato, alle varie cose che sono disposte: dalla levata, a tavola, riposo, ricreazione e tutte le occupazioni della giornata: sì, sì, senza discussioni, senza fare eccezioni, senza ragionare contro quello che è detto. Silenziosità! E però parlare sempre, quando si parla, quando è tempo, parlare. E parlare in quel caso lì <vuol dire> vuol dire: silenziosità di cose che non piacciono al Signore, e invece parlare di quelle cose che sono gradite al Signore. Vi è nella scrittura quella frase: "Vi è il tempo di parlare, e vi è il tempo di tacere" [Eccl 3,7].
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Allora [in] questo mese che si dedica a san Giuseppe l'umiltà, la silenziosità per quello che è il programma dell'anno, cioè: la santificazione; particolare santificazione. Quando si dice particolare santificazione vuol dire santificazione interna, interiore: di mente, di cuore, di volontà.
Il Signore sia con voi. Vi do la benedizione (a).

Albano Laziale (Roma)
17 febbraio 1963

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35 (a) Il Fondatore dialoga con le uditrici, ma le risposte non sono comprensibili.
(1) Albano Laziale (Roma), 17 febbraio 1963

40 (a) Così T. Omette R.

43 (a) R: propria.

47 (a) Frase oscura.

48 (a) Allude a un gruppo della comunità non presente alla riflessione.

49 (a) R: 18.

51 (a) Solennità di san Giuseppe. La lettura proposta era Sir. 45,1-6. Cf. Messale, pag. 1108.

56 (a) In tono allegro con risata da parte delle uditrici. E' entrato il gruppo, assente all'inizio.

60 (a) Seguono le nostre invocazioni con la benedizione.