Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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D. Caffarri GINO M. ROSARIO

Nato a Castelnuovo di Sotto (Reggio Emilia) il 20/5/1913
Battezzato il 25 dello stesso mese.
Entrato in «San Paolo» ad Alba il 23 aprile 1928
Emessi i voti religiosi il 21/10/1934
Ordinato Sacerdote a Roma il 12/7/1942
Il suo ministero si è svolto a Cosenza, Catania, Vicenza, Lisbona.
Deceduto a Lisbona l'11 febbraio 1968

Si trovava nella Casa del Portogallo fin dal 1952, e si può dire che spese qui il meglio delle sue energie. Era una persona estremamente semplice, senza pretesa alcuna. Forse peccava per un eccessivo basso sentimento di se stesso, e per questo sembrava farsi indietro davanti alle maggiori responsabilità. Ma i compiti che assumeva li svolgeva con grande impegno, quasi con scrupolosa applicazione. Era fedele al dovere e questo in ogni campo. Cominciando dalla pietà profonda e sentita. Aveva particolare devozione alla Madonna, di cui si sentiva tenero figlio, ed era fedele allo stile della pietà paolina. Fino all'ultimo giorno è stato fedele alla sua visita eucaristica, si alimentava di una pietà senza complicazioni, semplice e profonda.
Non aveva grandi doti di intelligenza, ma questo non gli impediva di riuscire molto bene nell'insegnamento che impartiva con amore e diligenza. Anche nella predicazione vi metteva tutto il fervore della sua vita spirituale, in forma semplice e attraente.
Ciò che lo caratterizzava era la bontà del cuore. Si commuoveva come un bambino. Aveva un cuore tenero e affettuoso. Dietro una figura austera, nascondeva una profonda tenerezza. A volte si commuoveva a tal punto che non riusciva a cantare la Messa. Era stato educato da una mamma eroica, i cui esempi di abnegazione e sacrificio amava ricordare. Rimasta vedova con 7 figli, per la morte del marito nella guerra del 1915, era riuscita a forza di sacrifici a educare e a dare un futuro degno alla numerosa prole. Don Gino amava dire : «Noi, figli di rurali». Aveva per questo un senso acuto della giustizia sociale. Da questa scuola di austerità aveva molto imparato, e questo insegnamento doveva marcarne il carattere austero e legato al dovere.
Qui in Portogallo si occupò per molti anni di economia. Zelava con scrupolo gli interessi della casa. Forse dobbiamo riscontrare in questo impegno per gli interessi della casa che prendeva molto a cuore, una delle cause del suo male. Lavorò anche in Libreria dove si era fatto una buona clientela per la bontà naturale che attirava.
Nella vita di Don Gino, così semplice, notiamo due amori: un amore geloso per la Congregazione e una fedeltà al Primo Maestro. Per la Congregazione diede tutto se stesso, e sul letto di morte offerse la sua vita. Per il Primo Maestro aveva un affetto di figlio. Mai fu udito pronunciare la minima critica. Amava sinceramente la nostra vita paolina e vi si sentiva legato. E quando qualcuno si azzardava a fare qualche rilievo su disposizioni che venivano dall'alto, se ne rattristava come di cosa propria.
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Se la misura di un uomo è quella che lui prende verso la fine della vita, possiamo dire che Don Gino si è venuto maturando con gli anni e con la malattia, e che la sua misura è quella della piena statura del Cristo. Mai un lamento per il male che lo minava. Aveva paura di disturbare, di essere di peso con il suo male. E non si è risparmiato fino alla fine. E' morto veramente sulla breccia, non disturbando nessuno, come era vissuto. La morte gli era familiare, e già da vari anni. Vi pensava ed era diventata una immagine frequente nel suo mondo interiore.
Con semplicità, come era vissuto, è andato al suo incontro. Ultimamente la sentiva così vicina, ed aveva la preoccupazione di prepararvisi con la fedeltà fino all'estremo. La sua spiritualità si è venuta affinando. Nonostante il consiglio che gli era stato dato di rimanere a riposare al mattino, si alzava con gli altri per la meditazione, e non amava essere trattato a parte.
Era appena iniziato il giorno dedicato alla Vergine Immacolata di Lourdes, 11 febbraio 1968, quando il Signore lo chiamò a sé. Anche se era noto il suo male, nessuno pensava alla sua fine vicina. E' stata invece sufficiente un'ora per portarlo dalla terra all'eternità, dopo aver ricevuto i Sacramenti e rinnovati i suoi voti battesimali e religiosi. Spirò col nome di Gesù sulle labbra, e i presenti ebbero modo di riflettere sulle parole: «Ecce quomodo moritur iustus!».
Ora che ci ha lasciato, lo consideriamo un protettore per questa nostra piccola casa di Lisbona, e per la Congregazione. Il suo esempio di religioso buono e fedele resta vivo tra noi. Avendo seminato molto bene, avrà ricevuto il premio riservato al servo del Vangelo.
Nella liturgia della Domenica di Settuagesima, ci rimase impressa l'antifona dopo la Comunione: «Mostra, Signore, al tuo servo una faccia piena di splendore!».
E' quello che auguriamo per il riposo della sua bella anima, vissuta in semplicità di vita per il grande premio del Paradiso!

SAC. STEFANO SPAGNOLI


Il Vicario Generale D. Zanoni scriveva dal Congo in data 12 Febbraio:
«Abbiamo commemorato qui il caro D. Gino Caffarri, ricco di meriti e indubbiamente un fedele paolino, amante della Congregazione e dei suoi ideali».

Scrive D. Paolo Pazzaglini:
«La scomparsa di questo caro Fratello ha lasciato un'impressione profonda, e la sua morte benedetta fa sperare di aver acquistato un buon intercessore in cielo. Mando una lettera che mi ha scritto pochi giorni prima. Non è una rivelazione, naturalmente, ma si vede che si preparava al gran passo, e il Signore lo ha chiamato in un momento particolarmente felice».

Ecco la lettera di D. Gino in data 6 Febbraio:
«La mia salute è sempre la solita. Faccio tutti gli sforzi per apparire una persona normale; però, in fondo in fondo, mi accorgo sempre più che vado lentamente peggiorando. Pazienza! Stiamo nelle mani del Signore. Penso che non valga la pena scomodare il famoso specialista Barnard... Faccia pure miracoli. Il miracolo che io più desidero è che il buon Dio abbia misericordia di me!».

Scrive D. Attilio Cendron, che ricorda gli anni 1942-48 trascorsi a Cosenza:
«Era molto stimato e amato dal Clero e dal popolo per il ministero pastorale-domenicale. La sua predicazione era semplice, pratica, convincente. Lavorò molto per le vocazioni.
Durante la guerra fece grandi sacrifici, esponendosi qualche volta anche al pericolo, durante i bombardamenti, per soccorrere feriti e sfollati. Quegli anni furono i più belli della sua vita sacerdotale, che ricordava con nostalgia, anche perché vissuti nella povertà e nella letizia evangelica. Come tutta la sua vita, voleva trascorrere il suo 25° di Messa nel più rigoroso silenzio. Ora la sua memoria è in benedizione».
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