Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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MEDITAZIONE I

Come conoscere la Passione Predominante

Togliete il nostro «io», e mettere la vita di Dio in noi è il più grande ed utile lavoro cui possa attendere l'uomo sulla terra.
L'«io» si domina, si corregge, si guida particolarmente con l'esame di coscienza quotidiano, settimanale, mensile, annuale.
Esso si rivolge su alcuni punti principali:

1 lo spirito di preghiera, 2 il vero concetto della vita, 3 i doveri del proprio stato, 4 l'assoggettamento della parte inferiore allo spirito, 5 lo stabilirsi di Gesù Verità, Via, Vita in noi, 6 e per concretare tutto, nell'esame particolare, sulla passione predominante
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a) Come conoscerla; b) come combatterla; c) Come trasformarla in forza di merito, ecco tre domande cui cercherò di rispondere in questo Ritiro Mensile.

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Siamo sulla terra come pellegrini, in viaggio verso il Cielo. Usciti dalle mani di Dio creatore, dobbiamo ritornare alla sua Casa paterna.
Tutta la nostra sapienza sta nell'indovinare e percorrere rettamente la strada che conduce al Cielo. Quanti inganni, però! Larga è la via che conduce alla perdizione e molti entrano per essa. Stretta è la via che conduce al Cielo e pochi la prendono! «Intrate per angustam portam: quia lata porta et spatiosa via est, quae ducit ad perditionem, et multi sunt qui intrant per eam. Quam angusta porta, et arcta via est, quae ducit ad vitam: et pauci sunt qui inveniunt eam!». Matth. VII, 13-14.
Dio, Gesù Cristo, la Chiesa ci gridano: «Avete innanzi la via della vita e la via della morte: eleggete dunque la vita».
Ma intanto quante volte si ripete quello che dante narra di se stesso:
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura,
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chè la diritta via era smarrita. (Inf. I, 1-3)
Tre sorta di nemici tentano continuamente di farci uscire di strada: il mondo, il demonio, le passioni. Il mondo inganna con le sue massime corrotte e col formare intorno a noi un ambiente di esempi cattivi; il demonio opera specialmente eccitando le passioni e la fantasia. Il nemico principale poi è in noi, sono le nostre passioni.
Le passioni per sè non sono nè buone, nè cattive, ma occasione e forza per il male o per il bene, secondo che sono governate dalla ragione e dalla fede, oppure lasciate libere da ogni freno.
Le passioni sono un esercito grande, e sarebbe ben difficile correggerle, dominarle, guidarle tutte insieme.
Esse hanno però un capitano, un terribile Oloferne; se si uccide questo, resta vinto anche il suo esercito; come abbattuto Golia, gli Ebrei ebbero la vittoria su tutti i Filistei.
Tra tutte queste passioni dunque si cerchi quella che fa da capitano, la passione predominante, la passione principale; e si miri ad essa con santo coraggio fino alla vittoria: perché o si vince o si sarà vinti. Il Cielo è la patria dei vittoriosi, dei trionfanti; l'inferno è il luogo
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riservato ai vinti. E così la passione predominante è necessario conoscerla, combatterla, vincerla.
Quali sono i mezzi per riuscire vittoriosi e trasformarla, anzi, in forza di merito, in strumento di gloria eterna? Ecco i punti che considereremo, svolgendoli brevemente:

1) Che cos'è la passione predominante? È la passione che domina le altre, è la passione che guida le altre. Per conoscerla con precisione e condurre la nostra lotta con maggior destrezza e vincere più sicuramente, è necessario passare in rassegna i sette vizi capitali. Tra essi si troverà certamente la nostra passione predominante. 2) Tra questi vizi capitali, tre sono le passioni che generalmente si incontrano nel cuore dell'uomo.
3) Ognuno faccia un esame dei connotati della passione predominante per individuarla con sicurezza.

1. - I vizi capitali.

La vita dell'uomo è una continua battaglia sulla terra: «Militia est vita hominus super terram» (Job. VII, 1); «Labora sicut bonum miles Christi Jesu» (II. Tim. II,3): combatti come buon soldato
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di Gesù Cristo. Non sarà coronato se non chi avrà legittimamente combattuto: «Non coronatur nisi legitime certavit» (II Tim. II, 5). «Bonum certamen certavi... in reliquo reposita est mihi corona justitiae» (II Tim. IV, 7-8): ho combattuto la buona battaglia, ora spero la corona di giustizia. «Veni, sponsa mea, coronaberis» (Cant. IV, 8): vieni, sarai coronato. - Ecco i testi che ci debbono guidare nella presente meditazione. La vita è lotta, ed in questa lotta vi è che combatte come semplice soldato, vi sono i capitani rappresentati dai Sacerdoti, e vi sono le sentinelle avanzate rappresentate dai religiosi. Vi sono pure i disertori che abbandonano stanchi e sfiduciati il campo; vi sono gli imboscati che sotto mille pretesti si nascondono; vi sono finalmente quelli che se ne stanno oziosamente osservando, applaudendo o schernendo; vi sono anche i traditori che si mettono dalla parte dell'avversario.
Preghiamo che il Signore dia forza e coraggio perché tutti possano vincere e nel giorno del finale trionfo trovarsi con Gesù Cristo. Egli sarà il capo degli eletti, capo del suo esercito vittorioso, ed entrerà gloriosamente in Cielo. Dietro il carro del trionfatore verranno lontani, coperti di ignominia, i traditori,
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i disertori. la vita è lotta e il giorno del giudizio universale ne sarà l'epilogo.
La passione predominante si immedesima con uno dei sette vizi capitali. Occorre conoscerli tutti per trovarla fra essi.

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I vizi capitali sono sette: superbia, avarizia, gola, lussuria, invidia, ira, accidia. Essi si dicono capitali, ma non è perché siano i peccati più gravi. I peccati più gravi sono quelli contro le virtù teologali: e cioè i peccati più gravi sono l'odio formale contro Dio, i peccati contro la speranza, i peccati contro la fede e i peccati contro lo Spirito Santo.
Si dicono invece capitali perché hanno un certo influsso sopra tutti gli altri peccati come loro causa e loro radice. Sono cause impulsive ed occasionali degli altri peccati; ne sono un impulso per l'ignoranza che mettono nella mente, per la concupiscenza che accendono nel cuore, per la malizia che portano nella volontà.
I vizi capitali corrompono le idee, travolgono il sentimento, estinguono la volontà.

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Il primo vizio capitale è la superbia, cioè un desiderio sregolato di lode. Desiderio sregolato da non confondersi con
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l'aspirazione all'approvazione di Dio e alla gloria eterna, che è desiderio ordinato. Il disordine sta nel valore la falsa lode degli uomini e nella stima eccessiva di noi stessi. E questo avviene in tre modi: quando si disprezzano gli uguali e gli inferiori, quando si vuole troppo eccellere sopra gli uguali; quando si va fino a disprezzare i superiori.
Si distingue la superbia completa dall'incompleta. La Superbia completa si ha quando si vuole così elevarsi da disprezzare Dio, i superiori e le loro leggi. La superbia incompleta si ha quando alcuno, salva la debita sottomissione, si eleva troppo nella propria stima e nel proprio orgoglio nella propria stima e nel proprio orgoglio. Orbene, la superbia completa è peccato mortale ex toto genere suo, cioè non ammettere parvità di materia; essa infatti ripugna direttamente ed assolutamente alla carità verso Dio. Questa superbia viene anche colpita dallo Spirito Santo: «Qui talia agunt digni sunt morte» (Rom. I, 32).
La superbia incompleta è di sua natura veniale, perché si ha allorché, senza disprezzo di Dio e del prossimo, l'anima soltanto troppo si eleva nella propria stima. Non si verifica quindi disordine grave. Diverrebbe tuttavia grave, se ciò accadesse con notevole disprezzo degli
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altri, specialmente se la persona si compiacesse delle disgrazie altrui.
Le figlie della superbia sono tre: la presunzione, che è il desiderio d'intraprendere cose superiori alle forze; l'ambizione, che è il desiderio sregolato di dignità e di onore meritato; la vanagloria, cioè il desiderio di una gloria vuota, che si ricerca con parole, con intenzioni o con fatti. Queste manifestazioni sono per sè peccato veniale.

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Il secondo vizio capitale è l'avarizia. L'avarizia è il desiderio disordinato dei beni temporali o beni di fortuna. Essa sta, non nel reale possesso, ma nello smoderato affetto. Si verifica quando si desidera di possedere e di avere non con fine retto, ma soltanto con fine umano. Fine retto sarebbe di provvedere a sè, al prossimo, alla famiglia, all'onor di Dio.
L'avarizia è peccato ex genere suo veniale, perché è un affetto disordinato ad una cosa per sè lecita: il denaro; soltanto importa un eccesso, e quest'eccesso può portare peccati contrari alla giustizia e alla carità, per es., se si fanno frodi nei contratti, se si lavora di festa, se si danneggia il prossimo. Ed allora ecco
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l'Ecclesiastico che dice: «Avaro nihil est scelestius» (Eccli X, 9): non vi è cosa peggiore dell'avarizia.
Le figlie dell'avarizia sono: l'inquietudine della mente, perché l'avaro è sempre teso verso le ricchezze; l'indurimento del cuore verso del prossimo; la violenza per acquistare; la perfidia negli impegni.

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Terzo vizio capitale è la gola. La gola, in quanto vizio, è un desiderio sregolato di cibo e di bevanda, non è il desiderare tali cose per il sostentamento del corpo, ma il desiderare il bere o il cibo soltanto per il piacere: ecco il peccato.
La gola ex genere suo è peccato veniale. Esso non è precisamente contro la carità verso Dio o verso il prossimo, ma è un eccesso in cosa lecita. Si commette il peccato di gola in cinque modi: 1.o Se si mangia prima del tempo; 2.o se si mangia cose troppo ricercate; 3.o se più del necessario; 4.o se in modo vorace; 5.o se cibi troppo studiosamente preparati.
Il peccato di gola diviene grave quando si viola il digiuno della Chiesa; quando si diventa incapaci a funzioni che si devono fare sub gravi; quando si danneggia
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gravemente la salute; quando continuamente si pensa al mangiare e al bere e quando si eccede nel bere fino alla completa ebrietà.
S. Gregorio Magno enumera cinque figlie della gola, cioè stupidità della mente; gioia stolta nell'abbondanza del vitto; stultiloquio (d'ordinario dopo il cibo è assai più facile il peccato); trivialità nel parlare; incontinenza, secondo il detto dell'Apostolo: «Et nolite inebriari vino, in quo est luxuria» (Efes. V, 18).

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Quarto vizio capitale è la lussuria. La lussuria è il disordinato appetito delle cose veneree. L'uso ordinato delle cose veneree, secondo la fede e secondo la ragione, è lecito; diversamente è gravemente illecito, offende Dio e gli uomini. la lussuria diretta è peccato mortale ex toto genere suo, cioè non ammette parvità di materia. Gli effetti della lussuria sono: 1.o cecità di mente; 2.o precipitazione nelle decisioni; 3.o inconsiderazione nel parlare; 4.o incostanza nell'agire, per cui molte cose si incominciano e nessuna si termina. Inoltre: amore sregolato di se stesso, diffidenza di Dio, affetto disordinato della vita presente, gran timore della morte, dei Novissimi e dell'eternità.
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Quinto vizio capitale è l'invidia. L'invidia è una tristezza che si prova per il bene altrui, come se il bene altrui fosse danno nostro. È inoltre invidia il godere del male altrui in quanto reputiamo quasi che debba portare a noi vantaggio.
L'invidia è nel genere suo peccato mortale. Infatti essa si oppone direttamente alla carità. Che cosa vi è di più disgraziato di questo: godere di quello che gli altri soffrono e soffrire di quello che gli altri godono? Soventissimo però l'invidia è peccato veniale o per imperfezione di atto o per parvità materia. Le figlie dell'invidia sono: l'odio contro il prossimo, la detrazione, la gioia dei mali succeduti agli altri, la mormorazione. la denigrazione.

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Sesto vizio capitale è l'ira. Essa è un disordinato desiderio di vendetta. L'abito dell'ira dicesi iracondia. Dicesi disordinato desiderio di vendetta, perché desiderare la vendetta del male non è peccato, ma atto di virtù e retta ragione. Così Gesù caccia i venditori dal tempio con ira: «Et cum fecisset quasi flagellum de funiculis, omnes eiecit de templo» (Giov.
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II, 15); il padre castiga il figlio, il giudice condanna il reo.
Mancano facilmente di debolezza i superiori, non esigendo quanto il dovere importa di ottenere. Così è dei maestri, genitori ecc.
L'ira è vizio o virtù secondo il motivo formale. Se ispirata da amor di Dio o del prossimo, è atto di virtù: «Irascimini et nolite peccare» (Salmo IV, 5); se ispirata da amor proprio, è atto di passione. L'ira è peccato ex genere suo mortale quando si desidera una vendetta ingiusta o sproporzionata alla colpa. In questo senso S. Paolo dice che l'ira esclude dal regno di Dio. L'ira invece è peccato ex genere suo veniale quando è solamente eccesso nel modo. Le figlie dell'ira sono: da parte del cuore: indignazione; da parte della mente: sconvolgimento delle idee; da parte della lingua: la contumelia, la maledizione, la bestemmia, le risse, le sedizioni e simili.

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Settimo vizio capitale è l'accidia, cioè la pigrizia. Pigrizia significa: torpore dell'anima nell'esercizio della virtù, perché faticosa. In particolare: è tedio della divina amicizia e del fervore; quindi è noncuranza dei beni divini. La pigrizia è
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peccato mortale in quanto essa importa noncuranza dei beni divini, della divina amicizia; perché si oppone direttamente alla carità verso Dio: «Saeculi autem tristitia mortem operatur» (II Cor. VII, 10).
La pigrizia è invece peccato veniale, ma dispone prossimamente al mortale, quando è semplicemente al mortale, quando è semplicemente torpore o freddezza di animo nell'esercizio delle virtù. Le figlie della pigrizia sono: malizia, cioè odio dei beni spirituali; rancore contro quelli che eccitano alle cose spirituali; pusillanimità verso i beni spirituali in quanto essi richiedono fatica; disperazione oppure dubbio sulla propria salvezza; languore negli esercizi di pietà; divagazione della mente nelle opere di pietà.
Quest'ultima è peccato mortale quando si tratta, per es., della consacrazione nella Messa, e il pensiero va volontariamente a cose estranee.
Questi sette peccati capitali possono essere tutti quanti passione predominante di un uomo.

2. - Le passioni predominanti.

Fra questi sette vizi capitali generalmente però le passioni predominanti sono tre: superbia, sensualità, attaccamento
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alle cose del mondo: «Omne quod est in mundo concupiscientia carnis est, et concupiscientia oculorum, et superbia vitae» (I Jo. II, 16). Ecco le tre passioni che menano grande strage nel mondo. Quindi, osserviamo diligentemente queste tre passioni fra esse forse troveremo la nostra.

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Anzitutto la superbia. Essa è la causa generale dell'ira e dell'invidia: e perciò la superbia, in senso largo, comprende anche queste due passioni.
Particolarmente nella virilità la superbia è assai comune fra gli uomini. Alcune volte essa è più presunzione; altre volte è vanagloria. Consiste in una eccessiva stima di se stesso e fiducia nelle proprie forze. Caddero per superbia gli Angeli del Signore; caddero per superbia tanti uomini anche eminenti: «Initium omnis peccati est superbia» (Eccli. X, 15).

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Moltissimi sono poi gli uomini che sono dominati dell'amore delle cose terrene: le possessioni, il denaro, l'avarizia. Alcuni di essi hanno lo scopo e la febbre di sempre accumulare e non pensano neppure a godere quanto accumulano; tutto lasciano poi agli eredi.
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Altri invece cercano di godere subito i frutti delle loro industrie, procurandosi maggiori comodità, maggior copia di piaceri: alcuni leciti, altri illeciti. Quanti sono gli uomini che mancano contro il settimo comandamento! Quanti che, anche senza commettere peccato positivamente, abbandonano però le cure delle cose spirituali e gli interessi dell'anima per il denaro!...

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Terza passione, spesso predominante, è la sensualità. Essa nasce sovente dalla pigrizia e dalla gola. Queste tre passioni si accompagnano assai spesso come tre sorelle e nella pratica una può diventare causa dell'altra.
La sensualità nasce dalla golosità e dalla pigrizia. La pigrizia è conseguenza, a sua volta, di sensualità. L'uomo goloso è sempre sensuale e pigro. La simpatia e l'antipatia, la libertà di occhi e di fantasia, e in generale dei sensi tanto interni che esterni, la tendenza del cuore, liberamente abbandonata a se stessa; ecco i segni della sensualità. Si trova frequentissima nei giovani, ma abbastanza sovente anche negli adulti e purtroppo qualche volta, anche nei vecchi.
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3. - Connotati che distinguono la nostra passione predominante.

a) La passione predominante è la causa ordinaria dei nostri difetti ed è il peccato che più generalmente ci tocca accusare in confessione. Essa è la radice, che a sua volta si ramifica in tante piccole radici, produce una pianta cattiva «arbor mala», che darà a suo tempo rami, foglie, fiori e frutti cattivi.
Quanti difetti apporta nell'anima la superbia! la pigrizia non sta mai col fervore. La sensualità fa perdere facilmente l'orientamento della vita.

b) La passione predominante è quella più amata. Viene nascosta a tutti con attenzione, viene coperta, viene difesa. Toccati su qualunque altro punto noi siamo docili e facilmente accettiamo le correzioni; toccati invece sulla passione predominante scattiamo come il malato a cui il medico mette il dito sulla piaga. Alleviamo il serpe in seno e lo vogliamo nascondere a noi stessi. Anche negli esercizi di pietà, nelle stesse confessioni settimanali, è facile non andare a toccare il difetto predominante. Ci vogliono ordinariamente otto giorni di Esercizi Spirituali per riuscire a scavare fino alla
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profondità in cui si abbarbica questa radice dannosa.

c) La passione nostra predominante è anche, d'ordinario, il peccato, la passione che più facilmente scorgiamo negli altri. Noi ricerchiamo negli altri quello che facciamo noi stessi. L'occhio cogli occhiali rossi vede tutto rosso. I gelosi vedono gelosia dappertutto; i pigri, pigrizia; i superbi, superbia; i bugiardi, bugia; come l'umile vede dappertutto umiltà; il caritatevole, bontà; il fervoroso, pietà.

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Veniamo alla conclusione.
Le passioni sono tante, ma la predominante assai facilmente deve ricercarsi fra i sette vizi capitali, o fra le tre passioni o concupiscenze umane. Ricordano i connotati che la distinguono, facilmente la riconosceremo.
Tre sono i mezzi per conoscere la nostra passione predominante: preghiera per aver lumi da Dio, l'esame di coscienza diligente e generoso, il consiglio del confessore. Se noi ci manifestiamo candidamente, il confessore facilmente ci
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conoscerà. Se noi esaminiamo profondamente la nostra coscienza, facilmente troveremo il difetto che ci domina. Se noi avremo i lumi di Dio potremo con coscienza scoprire quale è il maggior pericolo di perderci eternamente. Mettiamo quindi la scure alla radice! Finché noi togliamo solamente le foglie, finché noi buttiamo a terra solamente i frutti, finché noi tagliamo soltanto i rami od anche il fusto, il maledetto albero delle nostre passioni continuerà a rinascere, crescere, fruttificare. È necessario metter la scure alla radice: togliere la causa, togliere il vizio capitale. Chi toglie foglie e frutti perde il tempo, chi va alla radice con lavoro cosciente e costante riuscirà presto e facilmente ad estinguere in sè ogni peccato e s'innesterà in una radice nuova, la radice di ogni virtù. «Tu ex naturali excisus es oleastro, et contra naturam insertus es in bonam olivam» (Rom. XI, 24). L'olivastro fu innestato su d'una oliva sana che è Gesù Cristo.

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Una delle cause più comuni per cui si vedono tante anime far poco progresso nelle virtù è la mancanza di equilibrio nel lavoro spirituale.
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Alcune coltivano solo una santità di pensiero, quasi soltanto leggono, studiano, ammirano; altre soltanto si esaminano, fanno sforzi e coltivano la volontà; altre tutto riducono alle preghiere.
È necessario santificare assieme la mente, la volontà il cuore. Occorre amare il Signore colla mente, le forze, il cuore, come Gesù ci ha insegnato. Gran fede quindi, volontà energica, orazione, istruzione, ed esami di coscienza, preghiera: sempre tutto il buon equilibrio e con costanza.
Ecco quindi la necessità:

1) di istruire la mente col leggere il S. Vangelo, la Bibbia, i libri ascetici, le vite dei Santi, la teologia; la necessità di chiedere sempre più la fede e la luce della verità a Gesù; di sempre esaminare i nostri pensieri se sono buoni, se sono le verità di Gesù, oppure i vani pensieri umani; «Diliges Dominum Deum tuum... ex tota mente tua» (Marc. XII, 30).

2) di indirizzare la volontà nella via di Gesù Cristo, richiamandola se si allontana; di esaminare assai la coscienza e far la meditazione, affinché le verità dall'intelligenza passino nella volontà. Ogni dottrina divina è buona; così la verità della
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mente è bontà della volontà. Rinforzare la volontà con risoluzioni generose e ripetute, dolcemente ma fortemente, cioè con tutte le forze: «Diliges Dominum Deum tuum ex tota virtute tua» (Marc. XII, 30).

3) di santificare il cuore, riempiendolo di Dio. Ciò significa attirare Gesù vita in noi; e si opera la trasformazione della nostra vita in Gesù Cristo con l'uso santo dei Sacramenti, con l'assistenza alla S. Messa, con l'uso dei Sacramentali e con la preghiera in generale: «Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo» (Marc. XII, 30).

Sia lodato Gesù Cristo.
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