Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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PREDICHE DEL PRIMO MAESTRO
II.

Alle Famiglie Paoline
(Novembre 1952 - Dicembre 1953)

NOTA

Il contenuto di questa sezione abbraccia un gruppo di meditazioni dettate da Don Alberione, nella Cripta del Santuario Regina Apostolorum, dal 30 novembre 1952 al 12 dicembre 1953.
Nella sua prima edizione, tale contenuto costituiva il secondo volume della serie Prediche del Rev. Primo Maestro, stampato ad uso manoscritto dalla Tip. Figlie di San Paolo, Roma, il 9-3-54. A questi dati essenziali seguiva, come nei precedenti volumetti, l'avvertenza delle curatrici: «Riportiamo - così come l'abbiamo potuta raccogliere - la preziosa parola che il Rev.mo Primo Maestro rivolse alle Famiglie Paoline».
Anche le meditazioni qui contenute furono registrate su nastro e trascritte testualmente da una redattrice (con probabilità, sempre M.a Ignazia Balla, FSP). Ciò spiega anche la presenza di concetti insistiti, talora ripetuti, propri della esposizione orale dell'oratore. In taluni casi abbiamo ritenuto opportuno intervenire sul dettato, correggendo anacoluti sintattici ed eccessive ripetizioni.
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[Pr 2 p. 5]
LA SACRA LITURGIA: TEMPO D'AVVENTO1

Oggi è la prima domenica di Avvento, il principio dell'anno liturgico ed ecclesiastico. Anno che possiamo dividere in due tempi: il primo ci fa considerare la vita di Gesù Cristo, la redenzione da lui operata, la redenzione dall'errore, la redenzione dal vizio, la redenzione dall'idolatria, specialmente dall'idolatria dell'egoismo. Il secondo tempo, poi, ci porta ad applicare a noi medesimi i frutti della redenzione, cioè: considerare le verità che Gesù Cristo ha insegnato, studiare ed imitare i suoi santi esempi e unirci a lui per mezzo della grazia, dei sacramenti, della Messa, della preghiera in generale.
Il primo tempo, quindi, ci presenta l'Avvento, cioè l'aspettazione della venuta di Gesù Cristo. Si compone di quattro settimane circa e comincia oggi. Poi avviene la nascita del Divino Salvatore e la sua vita privata. Quindi l'inizio della vita pubblica e la predicazione di Gesù Cristo. Poi la vita dolorosa, la morte di Gesù Cristo, la sua risurrezione, e il Tempo Pasquale. Quindi l'Ascensione di Gesù al Cielo e la Pentecoste: Gesù salito al cielo, manda lo Spirito Santo, come aveva promesso, alla sua Chiesa. In questo tempo noi dobbiamo ricordare la massima | [Pr 2 p. 6] dell'Imitazione di Cristo: «L'impegno maggiore nostro sia meditare la vita di Gesù Cristo».2
Ogni anno si può dire che la Chiesa ci fa ripensare alla vita di Gesù Cristo, ce la ricorda, ci dà il tempo di applicarci i frutti della redenzione. Ma non è una semplice ripetizione: è un progresso che noi dobbiamo fare, come ogni anno ritorna il tempo di scuola, e si devono frequentare le lezioni; ma non è sempre la medesima materia che si impara: ogni anno si va avanti, si progredisce nella conoscenza della verità, della dottrina, della scienza, finché noi saremo giunti all'età perfetta, cioè alla pienezza della nostra unione con Gesù Cristo, lassù in cielo. E la vita è la preparazione dell'uomo a quella beata eternità, a quella vita perfetta che ci attende dopo la vita presente.
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Ecco allora che la Chiesa ci ricorda la venuta temporale di Gesù Cristo, Figlio di Dio Incarnato, e nello stesso tempo ci ricorda l'ultima venuta di lui, quando cioè egli comparirà per giudicare tutti gli uomini e dare a ognuno il premio o il castigo secondo il merito. E chi potrà quel giorno avere il premio, sentirsi ripetere l'invito: «Venite, o benedetti del Padre mio»? [cf. Mt 25,34]. Chi sulla terra è entrato nel regno di Gesù Cristo, regno di amore, di verità, di giustizia. La Chiesa ci invita oggi a prepararci ad entrare in questo regno.
L'Avvento è preparazione al Natale. Gesù nel giorno di Natale aprirà la sua scuola agli uomini: scuola di verità, scuola di santità, scuola di amore. Ma noi dobbiamo sentire la | [Pr 2 p. 7] necessità di questa scuola. Dobbiamo in questo tempo riconoscerci per ignoranti, pieni di difetti, uomini inclinati al male, alle passioni, al peccato quali siamo, e quindi entrare in un certo spirito di penitenza.
La Chiesa in queste domeniche fa indossare al Sacerdote le paramenta violacee, che indicano penitenza. Quanti errori sono nella mente degli uomini, quante dottrine false si vanno predicando e quante massime errate sentiamo ripetere anche presso di noi! Massime mondane, le quali si riducono tutte a questo: considerare soltanto la vita presente, i beni presenti, mentre sappiamo che la vita presente è solo mezzo per conseguire la felicità eterna.
Lo spirito del mondo sta qui, nell'inclinarsi a scambiare il fine coi mezzi, cioè a farci cercare la felicità quaggiù, la soddisfazione quaggiù. Come se noi fossimo creati solo per qualche anno e poi con noi finisse tutto. Comincia il tutto al termine della vita presente; allora comincia quello che merita il nome di «tutto», l'eternità interminabile. Allora riconosciamo quello che siamo.
Non era solamente il mondo in generale che aveva bisogno della redenzione, che doveva invocare la venuta del Salvatore: «Rorate, cœli, desuper et nubes pluant Justum: aperiatur terra, et germinet Salvatorem»;3 è ciascheduno di noi che ha bisogno di redenzione: tutti noi abbiamo bisogno di questo Maestro, il quale si fa nostra via, si fa nostra verità, si fa nostra vita [Cf. Gv
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14,6]. In Lui la salvezza, in Lui la santità, in Lui la vita religiosa, in Lui il Sacerdozio; in Lui tutto. Allora bisogna che noi tiriamo tre conclusioni.
La prima è questa: Seguiamo la Liturgia | [Pr 2 p. 8] sacra. La Liturgia nel corso dell'anno ci mette sott'occhio la vita di Gesù Cristo, domenica per domenica, settimana per settimana: è come una grande pellicola che scorre davanti a noi. E allora noi guardiamo a questa vita di Gesù Cristo: consideriamola nei suoi particolari e sentiamo tutte le parole di vita eterna che escono dalle labbra di Lui. Ognuno adoperi volentieri il Messalino, quando è possibile, cioè quando non siamo occupati nelle altre pratiche di pietà, come per es. nei giorni ordinari in cui si devono dire le orazioni durante la Messa e ci si deve preparare alla Comunione. Ma quando si ha la grazia di sentire un'altra Messa, seguire il Messalino.
Poi avere grande amore alla Liturgia. La Liturgia è il complesso delle leggi che regolano il culto dovuto a Dio.4 La Liturgia, come suo oggetto ha precisamente questo: le parole che si devono dire a Dio, le cerimonie che si devono fare nelle varie funzioni, e più di tutto la Liturgia è un continuo insegnamento. Chi penetra la Liturgia, crescerà nello spirito di fede, conoscerà sempre meglio la via della santità e si unirà sempre più intimamente a Gesù Cristo.
Cura del canto sacro, cura delle cerimonie, desiderio delle funzioni più solenni che noi possiamo fare nella nostra pochezza, volendo che le nostre funzioni, le nostre celebrazioni corrispondano almeno un poco alle solenni celebrazioni che si compiono lassù in Cielo, dove Gesù Cristo è il Pontefice eterno, assistito dai patriarchi e dagli apostoli, dai martiri e dai santi e da tutta la corte celeste degli angeli.
Eleviamoci un poco, da quello che abbiamo su questa terra a quello che avremo lassù.
[Pr 2 p. 9] Chi partecipa bene alle funzioni e penetra bene lo spirito della sacra Liturgia, ha come in sé la garanzia che un giorno parteciperà a quella solenne eterna Liturgia del Cielo.
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Inoltre entriamo nello spirito dell'Avvento. S. Giovanni Battista è come l'anello di congiunzione tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. In un senso largo, si può dire che egli chiude la serie dei Profeti dell'Antico Testamento e nello stesso tempo indica il Salvatore venuto, già vivente in mezzo agli uomini: «Ecce Agnus Dei».5 Ma come invitava egli il mondo a ricevere Gesù Cristo? Con la penitenza. Ed egli per primo si era ritirato nel deserto, dedito ad una vita di mortificazione e di preghiera. Là accorrevano le moltitudini ed egli tutti invitava a rientrare in se stessi, a domandare perdono al Signore dei peccati commessi, a preparare i cuori a ricevere bene il Messia, finché, venuto il giorno, lo indicò come arrivato.
Lo spirito dell'Avvento richiede l'umiltà: dobbiamo riconoscere il gran bisogno che abbiamo del Maestro Divino. Umiltà e spirito di penitenza, riconoscendo i nostri sbagli e i nostri peccati. Umiltà e supplica, conoscendoci deboli, fragili, inclinati al male.
Questo tempo ci serva specialmente per chiedere al Signore che si ripeta la venuta, cioè l'Incarnazione del Figlio di Dio, ma nel mondo presente, il quale, in una parte notevole, ancora ignora oppure rifiuta di riconoscere il Salvatore.
Soprattutto chiedere che il Figlio di Dio venga a nascere nei nostri cuori, nelle nostre menti; ci trasformi, perché sta qui la redenzione di ognuno: diventare simili a Gesù Cristo: «Conformes fieri imagini Filii sui».6
[Pr 2 p. 10] In questa redenzione noi abbiamo la santificazione, abbiamo la salvezza. Il canto da ripetersi frequentemente in questo tempo è questo: «Rorate, cœli, desuper, et nubes pluant Justum».
Facciamo adesso i nostri propositi, sul modo in cui passare l'Avvento. Particolarmente chiedere l'umiltà, l'odio al peccato, il desiderio che Gesù nasca nei nostri cuori e ci trasformi in Lui; il desiderio di entrare nella sua scuola.
Proposito e il canto: «Rorate, cœli».
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degli uomini». Gli uomini, sebbene abbiano avuto davanti a sé il creato, non conobbero il creatore; dice Isaia: «Il bue ha conosciuto il suo padrone, l'asino il presepio, ma l'uomo non ha conosciuto il suo Padre celeste, il suo Dio» [cf. Is 1,3]. Figli che non riconobbero il Padre!
La seconda parte si riferisce a S. Giovanni [Battista]. Il Figlio di Dio incarnato, prima di incominciare la sua vita pubblica, ebbe in Giovanni come un preannunzio: | [Pr 2 p. 23] colui che può stare come anello di congiunzione tra il Nuovo e l'Antico Testamento. Giovanni non era la luce, ma venne per rendere testimonianza: per annunziare, cioè, la prossima missione, il prossimo ministero pubblico del Salvatore.
Nella terza parte si considera il Figlio di Dio incarnato, ma non accolto dagli uomini. «Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo... Ma i suoi non lo riconobbero». Ecco un'altra ingratitudine degli uomini: come non avevano voluto riconoscere il Padre, così non vogliono riconoscere il Figlio che viene ad ammaestrarli. I suoi non lo accolsero. Però vi fu una parte eletta degli uomini che lo accolsero. E questi divennero figli di Dio, poiché credendo a Lui, seguendone gli esempi e unendosi a Lui per mezzo della grazia, ebbero una vita nuova, la vita soprannaturale, la vita eterna. Ai credenti nel suo nome il Verbo diede il potere di diventare partecipi della sua divina natura. La nascita dal sangue e da voler di uomo dà soltanto la vita naturale, la vita umana.
Nella quarta parte il Vangelo riassume tutta la missione pubblica del Salvatore: «Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi». E prosegue: «La legge fu data agli uomini per mezzo di Mosé, la grazia e la verità per mezzo di Gesù Cristo».
Il commento del messalino dice: «Il Vangelo di S. Giovanni ci ricorda che Gesù Cristo è Dio, che si è incarnato, che fu annunziato dal Battista e che coloro i quali lo ricevono con fede e amore divengono figli di Dio e ciò avviene specialmente nella Comunione».
Tutta la terza Messa del Natale ricorda | [Pr 2 p. 24] press'a poco questo pensiero, particolarmente la lettera di S. Paolo agli Ebrei. «Iddio in molti modi parlò ai padri nostri per mezzo dei Profeti, ma in questi ultimi tempi ci parlò per mezzo del suo Figlio, che è l'irradiazione e l'immagine della sua gloria, l'impronta della
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sua sostanza. Egli, che tutte le cose sostenta con la sua potente parola, dopo averci purificati dai peccati è assiso alla destra della divina Maestà nel più alto dei cieli» [Eb 1,1-3].
La Comunione è parte centrale della grande festività del Natale, costituita dalla Messa compiuta, perfezionata per mezzo di una buona Comunione.
Domandiamo oggi questa grazia: migliorare la nostra Comunione.
Presepio e Tabernacolo.
Il Tabernacolo è un mistero di fede: Dio-uomo, nascosto sotto le apparenze di pane. Il Tabernacolo è mistero di amore: il Figlio di Dio incarnato che si dà all'uomo come cibo. Il Tabernacolo è mistero di grazia: la vita soprannaturale, che viene comunicata in quel momento alla nostra anima, è accresciuta ogni giorno di più.
Così il Presepio è mistero di fede: i pastori e i magi non vedevano che un bambino, ma coloro che avevano il dono della fede, vedevano il Redentore, il Messia atteso, il Salvatore, il Restauratore dell'umanità.
Il presepio è un mistero di amore: il Figlio di Dio si degnò di unire a sé in una sola persona la natura divina e la natura umana. È l'unione più intima, più stretta; dopo di questa abbiamo l'unione che si stabilisce fra Gesù e l'anima nella S. Comunione.
Il presepio è mistero di grazia: mentre il | [Pr 2 p. 25] Figlio di Dio assumeva la natura umana, elevava l'uomo ad una dignità immensa: «Mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti».3
Migliorare la Comunione. Quali effetti deve produrre in noi la Comunione? È chiarissimo il Catechismo, chiarissima la dottrina della Chiesa: i Sacramenti producono nell'anima ciò che è figurato all'esterno per mezzo del segno sensibile. Il Battesimo, il quale viene conferito con l'acqua che lava il corpo, produce la lavanda spirituale dell'anima.
L'Eucaristia, la quale ci viene data sotto le specie del pane, è nutrimento per l'anima. «Io sono il pane vivo disceso dal Cielo» [Gv 6,51]. Come il pane sostenta il corpo, così l'Eucaristia sostenta
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l'anima, ripara le debolezze nostre; fortifica, allieta lo spirito; è il vero cibo dell'anima. Perciò occorre che ci nutriamo di questo cibo.
Ma bisogna insistere ancora di più che la Comunione sia ben fatta. Cosa sarebbe una Comunione fredda e peggio: cosa sarebbe di un'anima che si comunicasse sacrilegamente? Buona preparazione perché l'Eucaristia è il più santo dei cibi. Se lo stomaco non è preparato a ricevere il cibo, quale utilità ne verrebbe? Occorre che il cuore sia ben preparato a ricevere Gesù. Anche il grano seminato nel campo potrebbe non produrre alcun frutto; difatti la parte del seme che, secondo la parabola, cadde tra le spine o in terreno ghiaioso, non produsse frutto; ma quella parte che cadde in terreno ben preparato produsse il trenta, il sessanta e il cento per uno [cf. Mt 13,18-23].
Ecco le belle Comunioni di S. Luigi: il cento per uno. Vi sono anime che dopo molte Comunioni arrivano ad una certa indifferenza e insensibilità spirituale.
Preparare bene il cuore alla Comunione. | [Pr 2 p. 26] La preparazione più essenziale è la confessione, perché occorre lo stato di grazia per accostarci alla Comunione. Particolarmente confessioni ben fatte, all'avvicinarci del Natale.
Inoltre è necessaria in noi la disposizione di una fede viva in Chi si va a ricevere; di un desiderio ardente di accostarci al nostro Dio; di un amore fervoroso per Gesù; speranza viva delle grazie; fiducia di poter un giorno contemplare in Paradiso Colui che riceviamo velato sotto la specie eucaristica sulla terra.
Preparazione remota: il giorno antecedente alla Comunione, specialmente la parte del giorno da mezzodì a sera, sia santa: delicatezza di coscienza, per non preparare a Gesù un letto di spine per l'indomani nella Comunione. E poi ringraziamento degno: ringraziamento prossimo, mentre si è in chiesa, e ringraziamento remoto, che deve durare tutta la mattina.
Gesù venuto in noi vuole produrre i suoi frutti nell'anima: frutti di santità, frutti di obbedienza, frutti di castità, di spirito buono, di povertà.
Bisogna accentuare questo: la Comunione fatta quotidianamente con fervore produce un grande frutto, che è il tesoro della giovinezza: la purità. È sorgente di purezza, perché per la Comunione vengono calmate le passioni e per la Comunione il
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cuore e la volontà nostra restano fortificati a combattere il male.
Interroghiamoci. Siamo già pronti e preparati a ricevere festosamente il Figlio di Dio che discende dal Cielo? Come facciamo le nostre Comunioni? La preparazione è veramente degna? purezza di coscienza, modestia della persona, mortificazione dei sensi?
Quando siamo in chiesa e il momento della | [Pr 2 p. 27] Comunione si avvicina, qual è il nostro raccoglimento? Quando tutta la famiglia si è nutrita del pane comune, il pane quotidiano eucaristico, e ognuno si è ritirato nel suo banco, al suo posto, tutta la famiglia sente l'unione col suo Dio? Con Gesù? E tutti e ciascheduno entrano nell'intimità delle comunicazioni con Gesù? La Comunione è ricordata anche dopo, durante i doveri della giornata?
Vi sono persone che nella giornata fanno diverse volte la Comunione spirituale; resta come un ringraziamento alla Comunione del mattino e come preparazione alla Comunione del giorno seguente.
Ora cantiamo il Vangelo della Messa [il Prologo di Giovanni], per ottenere il miglioramento delle nostre Comunioni.
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L'UMILTÀ1

Nel tempo che precede la Settuagesima2 sono particolarmente adatti i misteri dell'infanzia di Gesù, i misteri gaudiosi: lo smarrimento e il ritrovamento di Gesù, quando si fermò nel Tempio con i dottori per udire, interrogare e dare le risposte sue, piene di sapienza [cf. Lc 2,47-50]. Perciò in questo tempo, allorché la scelta è libera, preferiamo i misteri gaudiosi.
Nel quarto mistero gaudioso contempliamo la purificazione di Maria e la presentazione di Gesù Bambino al tempio. La presente domenica riporta il Vangelo che fa seguito alla purificazione e ci ricorda le parole che in quella occasione | [Pr 2 p. 28] dissero di Gesù Simeone e la profetessa Anna.
Noi dobbiamo chiedere, in questa meditazione, l'umiltà; imitare, cioè, l'umiltà del Bambino. Il cielo e la terra si muovevano per rendere l'omaggio a Dio che, fattosi Bambino, era disceso fra gli uomini, e intanto egli viveva nella massima umiltà: l'umiltà del Bambino.
Il Vangelo dice: «In quel tempo Giuseppe e Maria, madre di Gesù, restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui» [Lc 2,33]. Infatti egli era stato presentato al Tempio come un bambino comune e per lui era stato pagato il prezzo di riscatto come per tutti gli altri primogeniti. Il Figlio di Dio doveva insegnarci la virtù fondamentale nella vita, l'umiltà: perciò, nascendo, cominciò da questa. Senza umiltà non si costruisce niente; nell'umiltà invece si trova la nostra santificazione e la stessa fortuna umana. L'orgoglioso, anche nella vita presente, finirà col trovarsi male e col subire fallimenti che saranno mortificanti per lui. L'umiltà rende l'uomo caro a Dio e caro agli uomini. L'umiltà è verità.
Gesù insegnò anzitutto l'umiltà. Egli un giorno darà una grande lezione agli Apostoli. Essi avevano discusso chi di loro fosse il primo; Gesù li aveva lasciati discutere liberamente, ma,
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arrivati a destinazione, li chiamò attorno a sé e fece entrare tra loro un bambino. «Se non vi farete piccoli come questo bambino, disse, non vi sarà posto per voi nel regno dei cieli» [cf. Mt 18,1-3].
Voleva che gli Apostoli, chiamati ad illuminare il mondo e ad essere principi della Chiesa e principi nel regno celeste, cominciassero dallo stabilire ben profonda nel loro cuore la virtù dell'umiltà. Farsi come bambini, perché Egli stesso si fece bambino. Ed ecco che lo | [Pr 2 p. 29] troviamo nella grotta. Si fece bambino affinché nessuno degli uomini, per quanto grande sia, trovi in se stesso ragione di elevarsi, di inorgoglirsi.
Quando Maria e Giuseppe erano andati a Betlemme a dare il loro nome secondo la prescrizione dell'Imperatore, il Figlio di Dio veniva dal cielo tra gli uomini e non era accolto in una casa abitata da uomini. Egli andava a nascere in una grotta.
Mettersi all'ultimo posto: lo comprendiamo noi? L'umiltà! «Mettiti all'ultimo posto» [Lc 14,10]. Lo avrebbe predicato, ma prima ne volle dare l'esempio, perché comprendessimo.
Si mosse il cielo a glorificare il Bambino; una moltitudine di Angeli cantò su quella capanna: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e in terra pace agli uomini di buona volontà» [Lc 2,14], ed egli, Gesù, il Figlio di Dio, è messo in una mangiatoia sopra un po' di paglia. Mancava là quello che di ordinario hanno i bambini nella loro nascita: quel complesso di cose più necessarie che a tutti vien riserbato. Un Angelo avverte i pastori: «È nato per voi il Salvatore». Quale sarà il segno per riconoscerlo? Il segno sarà questo: «Troverete un bambino in una mangiatoia con sua madre» [cf. Lc 2,12]. E vennero, e trovarono quello che era stato loro indicato.
Il segno è la profonda umiliazione a cui si è sottomesso il Figlio di Dio, il Messia venuto tra gli uomini; il segno è l'umiltà.
Il segno della santità sarà sempre l'umiltà, per tutti gli uomini, perché la santità è cercare la gloria di Dio; l'orgoglioso, invece, cerca la propria. La santità consiste nel mirare allo stesso fine per cui Dio ha creato tutto e distribuisce i suoi doni, cioè la gloria sua. Allora un'anima sarà veramente santa, se cerca e mira in tutto | [Pr 2 p. 30] alla gloria di Dio... «A Dio l'onore, a me il disprezzo».3 Si onora Dio, perché egli è santissimo, perfettissimo, infinito,
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eterno. A noi il disprezzo, perché soggetti a tante miserie e macchiati di tanti peccati; perché quanto abbiamo, tutto ci fu donato, tutto. Non vi è un capello di cui possiamo vantarci dicendo: questo è mio! Tutto ci è stato dato in uso e ci verrà richiesto.
Vengono dall'Oriente i Magi, si è mosso il cielo a chiamare i gentili alla culla del Bambino. Sembrava che, dopo questo apparato e dopo un così lungo viaggio, i Magi avrebbero dovuto trovare una culla splendente, un palazzo, una reggia, una matrona, una regina per madre di questo nato Re; invece vedono una povera abitazione, e la madre è una povera donna comune, senza alcunché che serva a distinguerla. Ed ecco essi si prostrano e adorano quel bambino. Illuminati da Dio, cominciarono a capire che non sono le grandezze e il fasto umano che ci elevano, ma è l'umiltà. Capirono la lezione del Bambino; egli li voleva umili, semplici.
Quando Erode, irato, ordinò la strage dei bambini di Betlemme e dintorni, il Bambino non mancava di mezzi di difesa: egli era padrone della vita e padrone degli uomini. Perché fuggire davanti all'ira di Erode? Perché noi oggi celebriamo la festa o il Natale dei bambini morti in odio a Gesù? Il Figlio di Dio si volle mostrare debole come un bambino impotente e fuggì, si sottrasse alla strage andando in Egitto. L'umiltà!
Quando poi Gesù Bambino ritornò nella Palestina, perché erano morti quelli che insidiavano alla sua vita, andò ad abitare a Nazareth, povera borgata, e là convisse con i nazarethani; un bambino che mai si distinse dagli altri. Visse | [Pr 2 p. 31la vita più semplice, e con lui Maria e Giuseppe, il quale esercitava un mestiere umilissimo, che poi a suo tempo insegnerà al bambino. L'umiltà!
Gesù diede un segno della sua grandezza, allorché nel Tempio discusse con i Dottori della legge, ma fu soltanto un istante; tutta la vita di Nazareth, fino a 30 anni, è la vita dell'umiltà e del nascondimento.
Ecco come si preparano gli apostoli. Ecco come si raggiunge la vera santità. Il Maestro divino, fattosi bambino, ci dà una lezione ben forte. Lezione per chi guida, per chi ha l'autorità: perché l'autorità è il servizio, e chi «prior est in vobis, erit sicut ministrator».4 E chi è servito non si deve esaltare perché l'uno e
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l'altro tutto hanno da Dio, niente da loro. Davanti al presepio dobbiamo dire un bell'atto di dolore, ma di cuore.
Orgoglio di mente, orgoglio di parole, orgoglio nelle opere, negli atteggiamenti, orgoglio di cuore.
Quel Bambino dice ora coi fatti: «Imparate da me, che sono mansueto ed umile di cuore».5 Lo dirà poi anche con le parole, ma prima coi fatti. Atto di dolore.
Recitiamo il 3° mistero gaudioso per ottenere l'umiltà. In esso si considera l'umiltà del Bambino nella grotta di Betlemme.
Esame e proposito.
Umiltà di pensiero, umiltà di parole, umiltà nell'atteggiamento, umiltà verso i fratelli, umiltà di cuore.
Cantiamo «Astro del Ciel» per annunziare e invocare l'umiltà del Verbo di Dio incarnatosi e fattosi per noi bambino nella grotta.
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[Pr 2 p. 32]
Ritiro mensile di fine d'anno
I. LA PASSIONE PREDOMINANTE1

La funzione di questa sera è caratterizzata dal canto del Te Deum. «Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur».2 Confessiamo la tua misericordia, o Signore, e le tue misericordie sono senza numero.
Ma la funzione di questa sera è pure caratterizzata dal pensiero che un altro anno è trascorso, e questo significa: un anno di meno nella vita. Ora ci possiamo quasi fare un primo funerale. Se, per misericordia di Dio, è stato stabilito che noi dobbiamo trascorrere un dato numero di anni su questa terra, ecco, ora uno di essi è trascorso; la somma poi di essi costituisce la vita che se ne va.
Il terminare di un anno è un avviso: non soltanto perché noi ci auguriamo «Anno nuovo, vita nuova», ma ci avvisa che passa il tempo e passano gli uomini; Dio solo è eterno. Noi siamo mandati sulla terra per qualche tempo e il Signore ci aspetta nella sua casa paterna, dopo che avremo subìto la prova. Siamo chiamati al Cielo, indirizzati, avviati al Paradiso. Fortunato colui che indovina la strada, disgraziato colui che la sbaglia, o la smarrisce, o devia.
Quello che fa deviare dalla retta via, dalla via che conduce al Paradiso può essere il mondo, può essere il demonio, possono essere le nostre passioni. Il mondo con il suo spirito, con le sue massime, coi suoi cattivi esempi; il demonio, il quale sempre «circuit quærens quem devoret»3 e, perduto per sempre nell'inferno, vorrebbe trascinare là, nelle medesime | [Pr 2 p. 33] pene, gli uomini creati da Dio, destinati ad occupare i posti che furono abbandonati, da cui furono cacciati gli Angeli ribelli.
Tra i nemici della nostra anima dobbiamo considerare le passioni, e questa sera parliamo della passione predominante.
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Le passioni possono essere considerate in senso filosofico e in senso morale. Per sé le passioni, in senso filosofico, non sono né bene né male. Possono essere forze che ci spingono al male e forze che ci spingono al bene, ad aumentare i nostri meriti.
Quando si parla in senso morale, generalmente, si intende parlare delle passioni sregolate, cioè delle passioni che non vengono dominate e incanalate, indirizzate verso il bene; delle passioni di cui l'anima rimane come schiava, e da cui si lascia trascinare verso il male. Allora possono considerarsi passioni i sette vizi capitali, che voi conoscete.
Sette sono i vizi capitali, ma fra essi ogni persona ha una passione che è più forte delle altre e si chiama predominante. Questa passione dev'essere dominata e convertita in forza potente di bene. Così, S. Francesco di Sales, giovinetto, andava soggetto all'ira: aveva sangue bollente. Dominò la sua passione e acquistò la virtù contraria, la mansuetudine, la dolcezza. L'ira poteva portare dannosissimi effetti, ma egli, combattendo questa passione e sostituendola con la mitezza, la mansuetudine, la dolcezza, divenne il pastore buono, l'immagine della mitezza stessa del Salvatore divino. Questa sua mitezza fu sorgente per lui di tanti meriti e fu un grande mezzo per cui conquistò tante | [Pr 2 p. 34] anime a Gesù Cristo, convertì tanti peccatori, specialmente tanti eretici. Con la mitezza egli si guadagnò la fiducia, cosicché, poco per volta, quelli che prima erano suoi nemici, erano guadagnati a Gesù Cristo, vedevano aprirsi ai loro sguardi la via di Dio, la via del cielo.
Occorre quindi che noi arriviamo qui: cambiare la passione predominante in virtù principale, in virtù predominante. Così dalla superbia arrivare all'umiltà, dall'avarizia arrivare sino alla povertà religiosa ben praticata, dall'accidia al fervore, ecc.
Queste passioni predominanti possono essere molte, come i sette vizi capitali, ma generalmente si riducono a tre: la superbia, la quale genera anche l'invidia e spesso l'ira; l'avarizia, la quale lega il cuore, che invece di tendere a Dio tende ai beni di questa terra; essa impedisce di vedere quello che sta sopra: i beni eterni. La lussuria, la quale ha con sé le altre due sorelle: la gola e l'accidia, e generalmente questi tre vizi si accompagnano.
L'orgoglio, la superbia è comune tra gli uomini! specialmente quando si arriva ad una certa età, quando si è oltrepassato
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il periodo di formazione; la lussuria è la tentazione comune nell'età giovanile.
Allora noi dobbiamo cercare di conoscere, di scoprire quale sia in noi la passione predominante, per fare sopra di essa il proposito principale, e per acquistare la virtù contraria.
[Occorre] conoscere queste passioni, vederne le conseguenze, detestarle, combatterle coraggiosamente.
Qual è la passione predominante? Come si | [Pr 2 p. 35] può conoscere la passione predominante di una persona?
La passione predominante è quella che generalmente ci fa cadere nel numero maggiore di peccati. E se, esaminandoci alla sera o al termine della settimana per la confessione, o nel ritiro mensile o negli Esercizi, noi troviamo che il maggior numero delle mancanze è sopra un determinato punto, quella è la passione predominante. Però, qualche volta, non costituisce le mancanze più frequenti, ma quelle gravi, che possono essere meno numerose, ma distaccano maggiormente da Dio.
La passione predominante, dunque, è quella che generalmente ci trascina verso la colpa, ne è la causa, e costituisce essa medesima il maggiore numero dei peccati e dei difetti; oppure, qualche volta, costituisce i peccati più gravi.
La passione predominante è quella che noi più facilmente scopriamo negli altri. Chi è invidioso vede in tutti l'invidia; chi non osserva la povertà, vede in tutti mancanze di povertà o mancanze contro il settimo comandamento. Chi è tiepido, crede, pensa e giudica, anche travolgendo ragioni e motivi, gli altri uguali a sé. Tanto più poi chi è orgoglioso, chi è iracondo attribuisce a queste passioni tutto quello che vede negli altri, poiché noi siamo fatti così, che secondo gli occhiali che mettiamo sopra i nostri occhi, vediamo le persone e le cose.
Quindi la passione predominante è quella che facilmente critichiamo negli altri; è la passione che più amiamo e difendiamo. Avviene come nei mali fisici: chi avesse male ad una mano, toccato nelle altre parti del corpo non si infastidisce, non grida; ma quando è toccato in quella | [Pr 2 p. 36] mano, allora si irrita. Guai a coloro che vogliono correggerci, mettendo il dito sulla piaga! Allora ci irritiamo, ci disgustiamo con chi ci corregge, e vogliamo rifarci, criticando e scoprendo in chi ci ha fatto la correzione lo stesso vizio.
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È la passione predominante che difendiamo: con mille scuse, mille ragioni, la si copre, la si dissimula, e qualche volta si rimane così accecati, che neppure si riesce a scoprirla.
Passione predominante è ancora quella che guida l'uomo; è come un capitano, il quale guida un esercito, o un gruppo di soldati. Ecco: da quella passione sgorgano tanti difetti, tante imperfezioni, tanti peccati.
Qualche volta noi possiamo conoscere la passione predominante guardando gli altri; ma più di tutto possiamo conoscerla chiedendo al confessore: che proposito mi consiglia? E se il confessore consiglia l'umiltà, è segno che ha scoperto in noi l'orgoglio; se ci consiglia il fervore, è segno che ha scoperto in noi l'accidia spirituale, la quale poi è collegata con la lussuria e la gola.
Quando comincia a dominare la carne, essa copre lo spirito, impedisce le nobili aspirazioni; tutte le passioni basse trascinano l'uomo verso il male e qualche volta verso l'abisso e l'inferno. Vedete Giuda. Sembrava fervoroso, sembrava che prendesse le difese dei poveri e che bisognasse far carità4 e risparmiare quanto si poteva; ma il risparmio lo lasciava per sé. Avarizia, la sua, perché essendo stato costituito economo del collegio apostolico, abusava della fiducia del Maestro divino a proprio vantaggio.
Passioni che dobbiamo combattere! La vita dell'uomo è un combattimento: ma non contro i fratelli, bensì contro il male, contro le | [Pr 2 p. 37] nostre passioni. «Militia est vita hominis super terram».5
Combattere il peccato, combattere le cause del peccato, combattere, fuggire le occasioni del peccato. Frenare la passione che ci porta al peccato. E siccome essa costituisce una forza predominante, farla diventare la virtù predominante. Quando uno ha tanta facilità nel parlare, questa sua facilità può trascinarlo a infinite mancanze; ma se egli la domina, la guida, può arrivare a compiere un bene immenso, in tante occasioni: incoraggiando, predicando, esortando, richiamando, sostenendo i deboli, indicando le vie più perfette, ecc. È come una penna
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data in mano a S. Francesco di Sales, in mano a San Tommaso d'Aquino, a S. Gregorio Magno; essa è stata il grande mezzo per operare un bene immenso nelle mani dei Dottori; ma, data in mano a Voltaire, per esempio, a un nemico della Chiesa e di Gesù, questa penna sarà uno strumento che uccide le anime, che allarga la strada dell'inferno.
Perciò combattere la passione predominante: se la si lascia predominare, sconvolge la mente, guasta le idee, fa vedere le cose per traverso, fa giudicare bene ciò che è male e viceversa.
Questa passione è poi quella che ha influenza su tutta la giornata, su tutta la settimana, su tutto l'anno... E basta, alle volte, una passione predominante per far deviare una bella vocazione, per far smarrire la via del cielo anche ad altri, con gli scandali.
La passione predominante sconvolge la vita e particolarmente guasta il cuore. Quel cuore che è fatto per Dio, che deve sospirare a Dio, mirare a Dio, alle volte si abbassa, si avvilisce, cade nel fango più ignominioso. Qualche volta, parlando di questo, | [Pr 2 p. 38] bisognerebbe ricordare ciò che si narra di Leonardo da Vinci:6 quando ha voluto dipingere la faccia di Gesù, e quando ha voluto dipingere la faccia di Giuda.7
Combattere la passione predominante. Uomini siamo! Non siamo nati a vivere come i bruti.8 Quindi la lussuria, combatterla! l'avarizia, combatterla!
Quando una passione predomina, si va ai ragionamenti più strani: quello che è bello si vede brutto; quello che è brutto si vede bello. Un morente era alle ultimissime ore e, invece di staccare il cuore dai suoi beni e dai suoi denari, andava ancora esortando chi gli stava vicino come guadagnare altro, come arricchire
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di più. Invece di stringersi la borsa che aveva messo sotto al cuscino, poteva distribuire i soldi, perché gli comperassero un pezzo di terra ove essere seppellito. Ma non si vede altro. Non c'è altro di più potente a rendere un'anima accecata, che una passione, uno spirito di vendetta per esempio. Com'è terribile!
Combattere la passione predominante, come cristiani! «Abneget semetipsum».9 Rinnegare noi stessi; rinnegarci in varie cose, ma specialmente in quel punto determinato.
Quando noi combattiamo la passione predominante, combattiamo anche tutte le altre passioni insieme. Quando si combatte la passione predominante, si fa moralmente ciò che Giuditta ha operato: invece di combattere l'esercito, i soldati, ha troncato il capo a colui che guidava l'esercito, al capitano Oloferne; e, vinto Oloferne, l'esercito fu sconfitto [cf. Gdt 13].
Così, quando noi acquistiamo una virtù, ma proprio profonda, per esempio l'umiltà, acquistiamo anche il fervore e molte altre virtù che, direttamente o indirettamente, sono con essa collegate. Si comprende, allora, | [Pr 2 p. 39] come S. Francesco di Sales si sia messo decisamente a combattere l'ira. Per circa vent'anni combatté questa passione, ed ebbe la vittoria piena, mirabile.
Ora alcune domande: Conosciamo noi la passione predominante? Le abbiamo dichiarato guerra decisamente? La combattiamo con tutti i mezzi? Siamo fermi nei nostri propositi?
Ogni volta che facciamo l'esame di coscienza, o alla sera o al termine della settimana o nel ritiro mensile, ritorniamo ad esaminarci sopra di essa? E a che punto siamo riusciti a vincerla? Quante le vittorie? Quante le sconfitte?
I mezzi per riuscire vittoriosi sono tre: la vigilanza, la preghiera, lo sforzo. Lo considereremo domani, se piacerà al Signore. Intanto il nostro proposito, in questo nostro ritiro mensile, sia rivolto specialmente sul punto capitale. O vincere o saremo vinti!
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II. COME VINCERE LA PASSIONE PREDOMINANTE1

Abbiamo considerato ieri la necessità di combattere la passione predominante, cioè quella passione che in noi è la più forte, perché radicata nella mente e particolarmente nel cuore. Essa, poi, travolge i giudizi; è causa di molte rovine spirituali, alle volte è rovina della vocazione e causa del fallimento stesso della vita: così avvenne a Giuda, che si era lasciato prendere dal vizio dell'avarizia. Egli giunse all'estremo precipizio: vendere Gesù Cristo ai suoi nemici e poi, nella disperazione, appendersi a una pianta: «Melius erat si natus non fuisset».2
[Pr 2 p. 40] Se Lutero3 avesse vinto la sua passione principale, la lussuria, non avremmo avuto quello che la Chiesa piange ancora oggi, dopo vari secoli: la falsa riforma. Se Napoleone4 avesse domato l'ambizione, avrebbe potuto compiere la missione affidatagli da Dio, senza seminare tante rovine e morti in Europa.
E quello che può avvenire in grande, può avvenire anche nel piccolo. Sembrerebbe che l'invidia nasca e viva nascosta nel cuore soltanto: invece ha le sue manifestazioni e quanto mai penose. Non si sa a che punto si fermerà l'invidioso, quando nel cuore sente sorgere l'emulazione per colui che invidia.
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Caino uccise il fratello, invidioso della sua pietà [cf. Gn 4,8]. Sembrerebbe questa una cosa assurda: invidioso della sua pietà! Eppure spesso si parla male e si interpretano sinistramente coloro che si distinguono per bontà, pietà, studio, e contro di essi le critiche, le mormorazioni: invidia! Sarebbe meglio confessare il nostro difetto, invece di cercare i difetti negli altri.
Combattere la passione predominante, perché essa guida le altre passioni; combatterla senza posa. Ma, in primo luogo, dobbiamo conoscerci: ecco il primo passo. Ciascheduno, oggi, primo giorno dell'anno, fermi bene i suoi propositi, diriga e ordini bene la sua lotta, affinché al termine si possa dire: «Bonum certamen certavi», ho combattuto la buona battaglia [2Tm 4,7].
Conoscere la passione predominante, mediante la preghiera: che il Signore ci illumini; conoscerla mediante la riflessione, secondo i | [Pr 2 p. 41] connotati che abbiamo dato ieri della passione predominante. Conoscerla consigliandosi con il confessore e con il direttore spirituale.
Quali propositi devo fare? Se già entra nel cuore l'orgoglio: ecco il proposito sull'umiltà; il lavoro sia in parte negativo: reprimere l'orgoglio, e in parte positivo, cioè acquistare la virtù contraria, che è la santa umiltà. Quando ci accorgiamo che in noi nascono certi pensieri, sentimenti, desideri vaghi, ma che non vorremmo portare alla Comunione né che alcuno li scoprisse, vigiliamo! Lotta alla passione predominante, che sta acquistando vigore e radicandosi nel cuore.
La prima disposizione per la lotta è una volontà ferma di combattere la propria passione, almeno indirettamente: poiché la passione della lussuria, come quella della pigrizia e della gola, si vince particolarmente usando un modo indiretto. E cioè: mettersi di cuore allo studio e voler riuscire; bene all'apostolato e voler dare buon risultato; bene sotto la guida del direttore spirituale, e assecondare chi ci guida. Impegnarsi fermamente: voglio riuscire a farmi santo.
Molte volte la bontà, la pietà è male intesa, e vi sono anche dei modi di educare che non formano il vero cristiano. Oggi particolarmente è diffuso un metodo di educazione che non è capace di produrre dei cristiani e dei religiosi forti di carattere. Si crede che per farsi buoni basti la Comunione, basti la preghiera, e tutto si riduca a un po' di pietà. No, la Comunione, la
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Confessione, la preghiera sono mezzi, non il fine; mezzi per emendarci, mezzi per vincere. La preghiera è quella che ci ottiene la luce da Dio, la forza da Dio, ma | [Pr 2 p. 42] non è essa che da sola ci faccia santi: la pietà da sola non fa santo l'uomo. Occorre che sia adoperata come mezzo per vincere se stessi.
Quali mezzi dobbiamo adoperare per vincere la passione predominante?
Primo mezzo: dopo averla conosciuta, dichiararle guerra. Ricordare quei 900 giovani e il loro giuramento: «O vincere o morire!».5
Questa passione, se la domino, diverrà per me occasione di grandi meriti, poiché ogni passione può essere occasione di peccato o di molti meriti. Se la passione è più forte, il pericolo di cadere è più grande; ma se la passione più forte si vince, il merito nel vincerla è più grande. Se si amerà più la lotta che non il pacifico possesso della virtù, ci si arricchirà di meriti, si faranno grandi progressi. Dichiarare guerra, assolutamente!
Ma io non mi sento di ricevere quelle umiliazioni; non mi sento di resistere alla carne; non mi sento di dedicare con energia tutto me stesso ai miei doveri; sento ancora sempre il desiderio di riposare di più, di non muovermi, di lasciare che il mondo vada per la sua china.... E se una cosa ti fosse anche cara come l'occhio, ha detto Gesù: se l'occhio tuo fosse pericoloso, cavalo; meglio andare in Paradiso con un solo occhio che con due camminare per la via dell'inferno e precipitare in quel luogo di tormento [cf. Mt 5,29-30]. La nostra età ha generato e ci ha dato tante persone e tanta gioventù senza carattere; ma chi vuole acquistare la vera grandezza, anche sulla terra, e chi soprattutto si deve fare santo, deve essere un uomo energico: deve dichiarare guerra al suo difetto predominante, e risolutamente tendere alla virtù opposta.
[Pr 2 p. 43] Secondo mezzo: istruirsi sopra la virtù che vogliamo acquistare. Se per esempio noi vogliamo vincere l'orgoglio, la superbia,
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istruirsi bene, leggere un trattato, e ce ne sono vari, sull'umiltà, sui pericoli che provengono dall'orgoglio e sulla malizia di questo peccato; come esso sia direttamente contro Dio, perché va del tutto contro il fine che Dio stesso si è proposto nel crearci e nell'abbondare con noi in doni, in grazie. Quale ingratitudine e quale temerità usare, per esempio, del dono dell'intelligenza, per vantarsi, compiacersi, insuperbirsi; usare il dono di Dio contro Dio, facendo centro delle sue aspirazioni se stesso, mentre è Dio che deve regnare in noi. Il lavoro sta qui: all'io sostituire Iddio; che Dio sia padrone interamente del nostro cuore, padrone della nostra intelligenza e di tutto il nostro essere. Istruirsi, perché quando noi avremo un'idea chiara della malizia del difetto, lo considereremo come un nemico capitale, il quale è sempre lì ad insidiarci.
Terzo mezzo: la preghiera. Sì, la preghiera è quella che ci salva; ci salverà dall'inferno, perché ci salverà dalle rovine che può portare in noi la passione predominante. Preghiera assidua: negli Esercizi spirituali, buoni esami di coscienza su di essa; nel ritiro mensile ugualmente; in ogni Confessione, quello deve essere il primo peccato che si confessa, e al mattino prima della Comunione mettere l'intenzione: riceverò Gesù mia forza, mia consolazione, mia vita, perché voglio in me sostituire all'orgoglio la santa umiltà del Cuore Sacratissimo di Gesù. E quando le Comunioni frequenti sono fervorose, indirizzate costantemente su questo punto, | [Pr 2 p. 44] con questa intenzione: si dovrà lavorare e combattere, ma si vincerà. Dio è la nostra vittoria, perché se Dio è con noi, quale sarà la forza che potrà vincerci? «Si Deus pro nobis, quis contra nos?».6 E nei Rosari e nelle Visite, sempre ritornare qui sopra, perché si tratta di farci santi o di lasciarci trascinare per una strada pericolosa. Si tratta di vincere o di essere vinti.
Ultimo mezzo: lo sforzo. Progredirai tanto quanto ti farai forza, quanto ti userai di energia, poiché la passione predominante si presenta sotto aspetti che sono, alle volte, molto attraenti. Vedete in Giuda: si presentò sotto l'aspetto della carità. «Perché questa donna spreca un unguento prezioso per ungere i piedi del Salvatore? Si poteva vendere e dare il ricavato ai poveri»
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[cf. Gv 12,5-6]. Ma il Vangelo soggiunge: «Non gli importava dei poveri; gli importava di avere qualcosa per sé».
La passione predominante si presenta sempre sotto aspetto di bene maggiore, con qualche pretesto che, considerato superficialmente, sembrerebbe persuaderci. Eva, curiosa, quando sentì che mangiando il frutto vietato, avrebbe conosciuto il bene e il male, non si trattenne [cf. Gn 3]; voleva conoscere anche il male: ed è questa la causa per cui tante persone perdono l'innocenza. Vogliono conoscere anche il male, ma il male una volta conosciuto diviene un'attrattiva, che si fa sempre più forte. La passione prima chiede, anzi prega; poi esige e infine trascina fino al punto in cui non si sente più nessuna soddisfazione del peccato, ma si continua a peccare; perché quando la passione diventa abitudine, la mente è come accecata e il cuore indurito; e quando non si vede più dove si cammina... Quanti | [Pr 2 p. 45] morti in questi giorni passati a Londra, per la nebbia; non vedevano più dove mettere i passi e allora scontri moltiplicati; una quantità di morti!
Combattere con sforzo. Guardare che ogni sera possiamo almeno registrare una vittoria, più vittorie; contarle, queste vittorie, finché la virtù sia bene stabilita. Ma non pensare che basti qualche settimana o qualche mese o un anno. Vincere totalmente la passione predominante non significa distruggerla, significa dominarla e volgerla al bene: e questo è lavoro di molto tempo.
Non si abbia fretta di cambiare facilmente il proposito, no. Piuttosto si abbia fretta di vincere e di acquistare la virtù contraria. Avremo una grande consolazione in punto di morte, anzi nella vita stessa. Colui che saprà vivere da vero cristiano, da uomo di carattere, da vero religioso, costui sentirà nella vita di essere un'anima forte, di essere degno del nome che porta, e sentirà di signoreggiare le passioni e se stesso, e nella vita non sbaglierà: camminerà dritto verso il cielo.
Ora si faccia l'esame di coscienza e il proposito. Si ricavi il maggiore frutto da questo ritiro, perché queste considerazioni fatte sono di carattere fondamentale.
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[Pr 2 p. 50]
FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ1


Coloro che pronunziano divotamente il nome di Gesù, acquistano 300 giorni d'indulgenza. Invochiamo il nome di Gesù nella lotta che dobbiamo | [Pr 2 p. 51] sostenere per vincere noi stessi e per sostituire al nostro io la vita di Gesù Cristo.
Il nome di Gesù è un nome potentissimo e a questo nome devono inchinarsi gli Angeli del cielo, gli uomini della terra e i dannati dell'inferno: «Omne genu flectatur».2
Il nome di Gesù ci ricorda quattro cose:
1. Studiare Gesù: «Summum studium nostrum sit in vita Christi meditari».3
2. Vivere come Gesù: sommo nostro studio sia vivere in Gesù Cristo.
3. Imitare Gesù: sommo nostro studio sia imitare Gesù Cristo.
4. Conoscere Gesù: sommo nostro studio sia far conoscere Gesù Cristo per mezzo dell'apostolato; predicare Gesù.
Dice il Vangelo di oggi: «In quel tempo, passati gli otto giorni in capo ai quali il Bambino doveva essere circonciso, gli fu posto nome Gesù, come era stato indicato dall'Angelo prima di essere concepito» (Lc 2,21).
Gesù vuol dire Salvatore. Non è un nome imposto da un angelo o da un uomo; gli viene dalla sua natura: «Salvator hominum».4 Nell'epistola S. Pietro fa risaltare il potere del nome di Gesù. Dopo che Giovanni e Pietro avevano miracolosamente guarito lo storpio presso la porta del Tempio, il popolo si era raccolto attorno ad essi, stupefatto del gran prodigio, e voleva una spiegazione.
Leggiamo negli Atti degli Apostoli: «Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, ascoltate. Giacché
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oggi siamo interrogati sul bene fatto a un uomo ammalato, per sapere in qual modo questo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il | [Pr 2 p. 52] popolo d'Israele, che in virtù del nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e Iddio risuscitò dai morti, costui sta ora qui sano alla vostra presenza. Questa è la pietra rigettata da voi, costruttori, la quale è divenuta testata d'angolo. Né c'è salvezza in alcun altro. Poiché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, in virtù del quale possiamo salvarci» (At 4,8-12).
Noi dobbiamo studiare questo Gesù, imitare questo Gesù, vivere questo Gesù e predicare questo Gesù, particolarmente con l'apostolato. Però in tutti questi nostri quattro uffici dobbiamo, per riuscire, sgombrare da noi il nostro io, cioè togliere il nostro amor proprio, il nostro orgoglio, le nostre passioni.
Conoscere Gesù, imitare Gesù, predicare Gesù, vivere in Gesù. Il grande lavoro che abbiamo da compiere sulla terra è questo: togliere quello che in noi vi è di male, per sostituirvi il bene: il bene è Gesù che è tutto: «Via, Verità e Vita» [Gv 14,6].
Nel primo atto di religione che abbiamo compiuto presentandoci alla Chiesa da bambini, nel Battesimo, siamo stati lavati dal peccato, dal male e abbiamo ricevuto l'infusione della grazia, che è la vita di Gesù Cristo in noi. Ma quell'atto di religione è il primo e deve essere seguito da altri atti; tutta la vita è un lavoro indirizzato a togliere il male e a mettere la vita di Gesù Cristo in noi. Sostituire Dio, sostituire Gesù Cristo al nostro io.
Questo è lavoro spirituale, interiore: il quale, perché interiore, è meno veduto; ma si conosce sempre dai segni: «ex fructibus cognoscetis eos».5 Chi vince la superbia darà frutti da umile: ecco il suo parlare umile, il suo comportamento umile, | [Pr 2 p. 53] l'obbedienza sincera, la sottomissione, la carità verso i fratelli, la bontà verso tutti, piccoli e poveri; ecco l'umiltà. Dai frutti si conosce il lavoro interno, che è il primo e il principale. Ogni anno un piccolo programma; incominciando la scuola, vi è un programma da svolgere; quando si fanno gli Esercizi Spirituali, si inizia l'anno spirituale, si inizia il lavoro interiore.
Quest'anno, ad esempio, toglierò un po' del mio orgoglio e mi farò più umile nel parlare. Vi sono di quelli che scrivono il
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proprio io a caratteri maiuscoli, e pronunziano il nome di Dio macchinalmente, quando dicono qualche preghiera, ma Dio non occupa il loro cuore, non occupa la loro vita, non è quello che domina la loro vita.
A poco a poco scancellare l'io perché, abbiamo detto, vincere la passione predominante significa: 1. conoscerla; 2. combatterla; 3. sostituirla, cambiarla e dirigerla al bene. Ecco un torrente, il quale se non è trattenuto, regolato dalla sponda, si dilata per le campagne e, quando diviene impetuoso, porta rovine, allagamenti, distrugge i raccolti. Quando però l'acqua di un grande torrente viene incanalata, può essere condotta a formare una centrale elettrica, e allora si cambia in forza, in energia elettrica, in luce che viene nelle città ad illuminare le vie, le piazze, le case. Sapere guidare le nostre forze.
L'orgoglio, che è la prima passione, è un desiderio di stima, di grandezza. Ma chi è grande? La stima degli uomini è bugiarda; essi dicono bello quello che è brutto; si ingannano e ingannano. La stima può essere un vano miraggio, una stoltezza. Chi è grande si avvicina a Dio, che è grandissimo, altissimo. Avvicinarsi a Dio significa partecipare dei suoi beni e noi siamo | [Pr 2 p. 54] tanto grandi quanto partecipiamo di Dio, dei suoi beni.
Desideriamo la stima? Cerchiamo la stima di Dio! Superbi, ma nel modo giusto! Cerchiamo di acquistare i doni di Dio, la sua grazia, la santità, la vita eterna.
Il superbo Lucifero, che stava vicino a Dio, è andato nel luogo più lontano a causa del suo orgoglio. E i dannati? «Andate lontano da me» [Mt 25,41]. Infelice l'orgoglioso! San Michele, umile, è rimasto vicino a Dio, fu arricchito di beni ancora maggiori: guida gli eletti e lotta contro il demonio. Alla fine l'umile, poiché è stato vicino a Dio, sarà invitato: «Venite, o benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» [Mt 25,34].
Quanti errori nella nostra testa! Alle volte l'orgoglio porta a invanirsi di sciocchezze, a disprezzare gli altri. Ci porta ad usare i doni di Dio per la nostra stima, per acquistare presso gli uomini lode, apprezzamento. La superbia è un grande errore, un grande disordine, una grande ingiustizia; ci rende piccoli, ci priva dei beni. L'umiltà invece ci avvicina a Dio, ci porta la pace del cuore, ci fa partecipi dei doni di Dio e ci fa guadagnare il Paradiso.
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«Chi si esalta sarà umiliato... Chi si umilia sarà esaltato» [Lc 14,11]. Ecco: mirare a questa esaltazione!
Non abbiamo tempo a considerare gli altri vizi capitali. Questo è soltanto un esempio: l'orgoglio è il vizio che è veramente fonte e sorgente di tanti altri.
Allora, rivolti al Bambino, gli chiediamo | [Pr 2 p. 55] l'umiltà. Pensiamo che il mezzo per conoscere bene Gesù, per imitarlo, vivere di lui e farlo conoscere, sta qui: un lavoro interiore intenso, con la preghiera, con gli esami di coscienza, con la confessione, con la vigilanza, con lo sforzo.
Rinnoviamo il proposito del ritiro mensile. Lotta contro il difetto predominante, sforzo per acquistare la virtù contraria. E come conclusione domandiamo al Signore Gesù la grazia di un grande zelo per farlo conoscere, amare e seguire. Particolarmente domandiamo l'amore all'apostolato, l'amore alla redazione, che è la prima parte dell'apostolato.
Cantare le Litanie per la formazione degli Scrittori.
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SANTIFICAZIONE DELLA MENTE1

Epifania del Signore: manifestazione del Figlio di Dio incarnato al popolo gentile. La prima manifestazione di Dio si ebbe nella Creazione, la seconda nella Rivelazione e la terza si avrà nella Gloria, quando si vedrà Dio faccia a faccia. L'oremus della Messa domanda al Signore che, come abbiamo tutti ricevuto da Dio il lume della ragione, così possiamo tutti avere fede, accogliere la rivelazione del Figlio di Dio e, mediante questa fede, arrivare all'ultima rivelazione, quando potremo contemplare Dio «sicuti est», come Egli è in cielo: non più per mezzo delle creature; non più per mezzo della fede, ma per mezzo della visione eterna: «O Dio, che | [Pr 2 p. 56] rivelasti ai gentili il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà».
Chiedere aumento di fede e, d'altra parte, sottomettere al Figlio di Dio, Gesù Cristo, Sapienza eterna, tutta la nostra mente; sottomettere interamente la nostra volontà; sottomettere interamente il nostro cuore.
Infatti nel dono dell'oro che venne offerto a Gesù Bambino, molti vedono simboleggiata la fede; nel dono della mirra vedono simboleggiato il dono della volontà; e nel dono dell'incenso vedono simboleggiata la preghiera, l'offerta del cuore. Il cuore a Dio, in maniera che tutto il nostro essere sia di Dio. Che noi tendiamo a Dio con tutto il nostro essere: con l'intelletto, la volontà, il cuore, con tutto l'essere. | [Pr 2 p. 57] Servire a Gesù interamente.
Nel racconto del Vangelo (Mt 2,1-12),2 i Magi vennero a cercare con sincerità di cuore il nato Re, il Figlio di Dio che era disceso dal cielo, il Messia promesso, il Riparatore. Il loro omaggio fu pieno: credettero in lui; ebbero fede viva, fede sincera. E non solo credettero, ma nella vita successiva praticarono tale virtù da giungere a santità. I doni esterni manifestarono ciò che vi era nel loro animo.
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Abbiamo considerato, nei giorni scorsi, che l'impedimento a servire Dio e a santificarsi è la passione predominante, e abbiamo considerato insieme che questa passione predominante può diventare la forza predominante, la virtù predominante. I mezzi ricordati sono: avere un'idea giusta, cioè conoscere bene la passione predominante; mettere lo sforzo per vincerla; terzo, la preghiera. È necessario però che noi adoperiamo tutti i mezzi umani.
Particolarmente: idee giuste, pensieri santi, | [Pr 2 p. 58] fede viva. Vi sono tre principi naturali, psicologici, che bisogna adoperare, per una santa tattica a vincere noi stessi. Questi tre principi psicologici sono:
1) L'idea tende all'atto.
2) Un'idea forte ne caccia un'altra.
3) Fissarsi in qualche principio, in qualche idea direttrice della vita e costantemente dirigersi verso una meta.
Quando si vuole evitare il peccato, non è tattica buona volere solamente domare la lingua o solo le azioni o solo le parole; è necessario domare i pensieri. Il peccato anzitutto dipende dalla mente; il merito, l'opera buona, anzitutto dipende dalla mente. Quello che si pensa, presto o tardi diverrà azione.
Colui che semina buon grano raccoglierà grano; ma colui che semina ortica raccoglierà ortica. Ora i semi delle azioni sono precisamente i pensieri. Quando la mente, la fantasia si fermano per qualche tempo sopra pensieri cattivi, fantasmi3 cattivi, ecco che è eccitato il cuore, sono eccitati i sensi, e allora diciamo che abbiamo la tentazione; ma un po' ci tentiamo da noi, fermandoci su quei pensieri, su quelle fantasie, su quei racconti, su quei fatti, su quelle figure.
I pensieri, poi, sono così forti, così potenti che operano sul cuore e su tutte le passioni, in modo veramente forte; e alle volte sembra che non si possa più resistere, che non si possano più cacciare; che non si possano più combattere certe passioni, certe tentazioni. Ma se, invece, la mente si rivolge ad altro, se si applica ad un buon studio, a pensieri positivi, per esempio all'apostolato, allora la tentazione si calma.
Siamo noi per lo più che ci tentiamo. Quando ci accorgiamo o di cadute o di forti | [Pr 2 p. 59] tentazioni, facciamo l'esame su noi medesimi:
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Quali sono i miei pensieri? Che cosa c'è nella mia memoria, nella mia fantasia?
Guidare la mente è come dirigere il timone della nave, è come sedere alla direzione dell'aeroplano; ma se il timone è abbandonato, che cosa succederà? Da che parte andrà la nave? Guidarci con energia: via i pensieri cattivi; sostituirli con pensieri santi!
Creare in noi idee forti, potenti, le quali finiscano con l'influire su tutte le passioni, e specialmente sulla volontà.
Quando S. Giovanni Bosco pensava ai fanciulli, che tante volte perdono l'innocenza prima ancora di averla conosciuta, e disgraziatamente si avviano su cattive strade, si accendeva di zelo santo; tutta la sua mente si rivolgeva a cercare mezzi per salvare quelle anime innocenti, o per richiamare quelli che erano deviati. Quanti mezzi, quante industrie inventò; quante preghiere uscirono dalle sue labbra; quante persone mosse!
Quando c'è un'idea forte nella mente, questa caccia tutti gli altri pensieri. E se noi ci concentriamo in un programma, in un'idea direttrice, ecco che la vita è orientata.
L'uomo passionale è travolto nella sua mente, nel suo cuore, nella sua condotta. L'uomo retto, il cristiano buono, il santo che vuole amare Dio, rivolge tutto lì. Vedete S. Francesco d'Assisi: era come perduto di amore per Gesù Cristo. Gesù Cristo doveva vivere di lui; ed egli, per vivere secondo Gesù Cristo, cominciò a meditare il presepio, dove Gesù nacque così povero. E il primo presepio ci viene da lui. Poi si diede ad imitare, in tutta la sua vita, Gesù nella povertà, in un amore accesissimo a | [Pr 2 p. 60] Gesù. Diremmo che è andato a degli eccessi. In punto di morte, si dice che abbia dovuto chiedere perdono al suo corpo, per averlo trattato troppo duramente. E Gesù Cristo, possiamo pensarlo, in premio del suo amore accesissimo gli concesse di diventare simile a Lui anche nel corpo: dandogli le stimmate, là sul monte [della Verna], dopo il gran digiuno, dopo l'apparizione dell'Arcangelo S. Michele.
Anche noi dobbiamo fermarci sopra le idee direttrici: «Voglio il Paradiso! Voglio farmi santo! Deus meus et omnia; Ad Maiorem Dei gloriam».4 Quanti santi si sono scelti una massima,
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un programma che dirigesse la loro vita! Vi si sono dedicati e hanno concentrato lì tutti i loro pensieri, aspirazioni, energie, industrie, forze, parole, atti, sacrifici.
L'idea diviene forza. Chi si mette, pur essendo orgoglioso, a meditare l'umiltà di Gesù; chi considera, pur essendo irascibile, l'amabilità di Gesù; chi considera la Passione del Salvatore, le sue sofferenze interne ed esterne, come non si sentirà portato alla mortificazione di se stesso, al rinnegamento di se stesso, e magari anche a scegliere delle penitenze?
Abbiamo noi in mente un programma? Abbiamo una meta fissa, oppure andiamo un po' a casaccio, facendo un po' una cosa, un po' un'altra, senza sapere praticamente dove dirigiamo il cammino della nostra vita?
Vi sono tanti che hanno la ragione, ma sembra che non la usino. Si dice che hanno raggiunto l'uso di ragione, ma veramente ne fanno uso? Noi, teniamo nella nostra mente idee sante? Noi, ci fissiamo un ideale degno di un cristiano, di un religioso?
[Pr 2 p. 61] Quando Don Bosco, salutando i primi suoi missionari, disse loro: «Da mihi animas, cœtera tolle:5 questa sia la guida dei vostri passi, la continua vostra aspirazione», essi si sentirono rivolti verso un fine: le anime da salvare! E come lavorarono, e quali frutti portarono!
Dunque tre principi psicologici:
1) L'idea tende all'atto.
2) Un'idea forte caccia un'altra. Quando c'è un'idea cattiva e si è come ossessionati da essa, si perde anche la fede, non si vede più nulla e quello che prima sembrava male, appare come bene e quasi come dovere.
3) Stabilire in noi una massima, principi direttivi, idee direttrici della vita.
Esame di coscienza: Usiamo bene della ragione? Leggiamo solo cose sante? I pensieri nostri sono pensieri buoni? Sempre? Combattiamo le tentazioni appena si presentano alla mente? Tagliamo il male in radice e alimentiamo invece la radice del bene, con pensieri ispirati dalla fede? Abbiamo noi fissato in mente un programma di vita e vi tendiamo con tutte le forze,
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nonostante tutte le difficoltà che si presentano? E anche se a volte abbiamo avuto qualche sconfitta, ci rialziamo? se caduti, sappiamo riprendere il cammino più umilmente, più decisamente? «Uomini siate, - ci dice il poeta, - e non pecore matte».6 Santificare la mente!7
Atto di dolore.
«Gesù Maestro, accettate il patto...».8
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[Pr 2 p. 45]
LA CORONCINA A GESÙ MAESTRO1

In questi giorni passati abbiamo ascoltato l'invito della Chiesa: «Adeste fideles... venite in | [Pr 2 p. 46] Betlem».2 Siamo andati alla culla del Bambino e ci siamo messi alla scuola da lui aperta in quella grotta.
Ecco il Maestro Divino. Il mese di gennaio è dedicato particolarmente a meditare i suoi insegnamenti, ad accostarci sempre più a lui e a seguire gli esempi che egli ci ha dato. Il mese ha quindi come fine principale di onorare, di imparare, di unirci al Maestro Divino. Poi ha come fine di ottenere, per tutti gli uomini, la grazia di considerare la Chiesa come Maestra dell'umanità: maestra di fede, maestra di morale, maestra di preghiera; che tutti gli uomini divengano docili figli di questa Chiesa, la quale è Gesù Cristo che continua a vivere visibilmente in mezzo a noi: essa è il Corpo Mistico di Gesù Cristo.
Domandare la grazia che i maestri possano insegnare bene nelle scuole; che gli scolari siano docili e attenti: tutti abbiano in considerazione la scuola e l'insegnamento che viene dato per mezzo della predicazione, delle esortazioni, degli esempi. Considerino questo come una grazia di Dio, come un dono del Maestro Divino; tutti riteniamo: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me e disprezza Colui che mi ha mandato» [Lc 10,16].
Per ottenere queste grazie recitiamo nel mese di Gennaio più frequentemente la Coroncina al Maestro Divino.
La coroncina è divisa in cinque punti.
Il primo punto, per onorare Gesù, Sapienza eterna, e chiedere per noi il dono della fede, l'aumento di fede. Il secondo per amare Gesù santissimo, oggetto delle compiacenze del Padre, e domandare per noi la grazia di imitarlo. | [Pr 2 p. 47] Il terzo per onorare Gesù, vita nostra, e domandargli di conquistare questa vita eterna, di vivere nella grazia sempre più abbondantemente. Il quarto: ringraziare Gesù per la istituzione della Chiesa Cattolica, e per domandare la grazia di essere veri figli della Chiesa, e che
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tutti gli uomini si facciano figli e discepoli di questa Madre e Maestra. Il quinto per ringraziare il Signore di averci chiamati all'apostolato, cioè di averci chiamati a diffondere, come Lui, le verità che salvano. E quindi corrispondere alla vocazione e domandare al Signore molte vocazioni, che continuino il ministero, l'insegnamento, il magistero di Cristo: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» [Gv 21,20].
1. Prima parte, dunque: onorare Gesù, Sapienza eterna. Egli è lo splendore della gloria del Padre, è la stessa Verità. Egli illumina ogni uomo, e noi lo ringraziamo per averci dato il lume della ragione. Egli ha rivelato verità divine, insegnando agli uomini durante la vita pubblica, e noi chiediamo la grazia di aver fede e di meditare bene la sua parola. Egli illuminerà in Cielo i suoi eletti, coloro che, avendo creduto a lui, sono diventati figli di Dio; chiediamo, quindi, il lume della gloria. Chiediamo questa grazia e condanniamo tutti gli errori, che si pronunziano e sono insegnati contro l'insegnamento della Chiesa. Domandiamo al Signore la grazia di imparare il catechismo, di imparare la teologia, di imparare l'ascetica, la morale cristiana; in sostanza: che in noi vi sia realmente Gesù Cristo Verità. Nello studio, stare con raccoglimento, | [Pr 2 p. 48] apprendendo le verità e tenendo davanti a noi il pensiero del Maestro divino; davanti a noi l'immagine di Maria, nostra Maestra, attraverso la quale il Verbo divino si fece carne e insegnò agli uomini.
2. In secondo luogo consideriamo la santità di Gesù. Il Padre Celeste lo ha dichiarato: «Questi è il mio Figlio diletto, in cui mi sono compiaciuto» [Mt 3,17]. Gesù Cristo è la via per arrivare al Padre; è modello di altissima perfezione e santità. Le sue virtù nella vita domestica, le consideriamo particolarmente nella festa della Sacra Famiglia. Le virtù della vita pubblica, le consideriamo particolarmente nel tempo di Quaresima; le virtù esercitate nella vita dolorosa le consideriamo nella Settimana Santa: ecco quello che dobbiamo imparare e imitare in Gesù Cristo. Gesù con la sua amabilità ci attragga, affinché noi vogliamo solamente la sua volontà. In noi brilli sempre la speranza cristiana; operiamo risolutamente per il pensiero del Paradiso, santamente ogni giorno, tanto nelle cose più importanti quanto nelle cose minime: santi, santi! Le virtù di Gesù Bambino, le virtù di Gesù fanciullo, le virtù di Gesù giovanetto.
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3. Oltre la vita naturale, Gesù Maestro vuole infondere in ogni anima la vita soprannaturale; per questo è venuto al mondo. «Veni ut vitam habeant et abundantius habeant».3 Egli ci meritò questa vita, ce la infonde nel Battesimo e ce la alimenta nella Eucaristia. Sì, invitiamo Gesù a vivere in noi, mediante l'effusione dello Spirito Santo, eccitando in noi un grande amore a lui. Che lo amiamo con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore; che cresca in noi la carità: la | [Pr 2 p. 49] carità verso Dio, la carità verso gli uomini. Questa vita eterna, che è come nascosta nei nostri cuori, un giorno la godremo perfettamente in cielo. Che possiamo fare delle belle Comunioni; che ogni giorno cresca in noi l'amore a Gesù. Sempre chiedere che ogni Comunione ci porti aumento di carità e ci stabilisca sempre meglio nell'unione col Maestro Divino, affinché siamo con lui una cosa sola. «Qui manet in me, et ego in eo».4
4. Ringraziamo, poi, Gesù di avere istituito la Chiesa, che è il suo Corpo Mistico e la nostra unica arca di salvezza. Ringraziamo Gesù di aver costituito questa Chiesa infallibile, indefettibile: «Portæ inferi non prævalebunt»;5 di averle infuso uno spirito di espansività e di averle dato la missione di raccogliere sotto di sé tutto il genere umano. Che tutti gli uomini si rivolgano a questo faro di luce inestinguibile; che tutti ascoltino la Chiesa e tutti siano ad essa uniti, onde formare come un solo gregge, sotto un solo Pastore [cf. Gv 10,16]. Ritornino ad essa gli erranti, gli eretici, gli scismatici. Entrino gli uomini in questo santo ovile di pace e di carità; e la Chiesa, trovando gli uomini docili, possa guidarli tutti a salvezza, e un giorno possa ricostituirsi eterna in cielo, come vittoria di Gesù Cristo, che è morto per la Chiesa, cioè per noi. Sia, la Chiesa, veramente tutta santa, tutta lieta, e dia eternamente gloria alla SS. Trinità in Cristo Gesù, Maestro Divino.
5. Adoriamo infine Gesù, insieme agli angioli che si raccolsero sopra la grotta di Betlemme e cantarono gloria a Dio, e l'augurio di pace agli uomini [cf. Lc 2,14]. Gesù è venuto con
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questo programma lo ha | [Pr 2 p. 50] passato a noi: glorificare Dio e portare pace agli uomini, cioè portare ad essi la verità, la giustizia, la grazia: questo significa essere apostoli. Ma quando si è apostoli? Quando si vive di Gesù Cristo, quando si può dire: «Vivit vero in me Christus»,6 allora si irradia Gesù Cristo. Si irradia con le parole nella predicazione; si irradia nella vita con gli esempi; si irradia nelle preghiere con la supplica al Signore; si irradia con le opere mediante le edizioni, il lavoro per la salvezza delle anime. «Mandate buoni operai nella vostra messe» [cf. Mt 9,38], ci ha insegnato Gesù a pregare.
Nell'Ottava dell'Epifania si celebra un grande ottavario nella chiesa [romana] di S. Andrea della Valle, per considerare le varie parti che costituiscono la Chiesa. Domandare al Signore che questa Chiesa per mezzo dei buoni sacerdoti, dei buoni religiosi e religiose, conquisti man mano l'umanità. Molte vocazioni; soprattutto tante vocazioni ben formate. Vocazioni che onorino veramente la Chiesa e siano davvero di vantaggio all'umanità. Non siamo chiamati a vivere sui rami della Chiesa, ma a produrre, sui rami della Chiesa, frutti abbondanti. «Fructus vester maneat».7
Cantiamo il secondo inno del Divin Maestro.8
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[Pr 2 p. 62]
COMMEMORAZIONE DEL MAESTRO GIACCARDO1

Oggi ricorre l'anniversario della morte del Maestro Giaccardo, avvenuta nello stesso giorno del suo onomastico.2 Mentre noi facciamo una funzione di suffragio per l'anima sua, dobbiamo anche ricordare qualche cosa della sua vita, degli esempi che egli ci ha lasciati. Tutto può essere raccolto in questa parola: «Gratia eius in me vacua non fuit»: La grazia di Dio in me non è stata vana [1Cor 15,10]. Nel Maestro Giaccardo la grazia di Dio non fu vuota, vana: egli vi corrispose. Per quanto si può intuire, corrispose nella maniera degna, secondo le sue forze.
Nell'Istituto nostro, nella Famiglia Paolina, vi è una provvidenza larghissima di grazie, la quale si mostra nella elargizione delle vocazioni e nella corrispondenza di queste vocazioni, nella formazione.
Nella Famiglia Paolina i mezzi di santificazione sono abbondantissimi, non solo per le pratiche di pietà, ma per lo spirito particolare che deve guidarci in queste pratiche, particolarmente nella pietà verso il Maestro divino, la Regina degli Apostoli e l'Apostolo Paolo.
Vi è una provvidenza abbondantissima riguardo allo studio. Chi si applica e si mette nelle disposizioni giuste di fiducia in Dio, poco per volta, crescendo ogni giorno, arriverà a possedere quella sicurezza che è necessaria nell'esercizio della nostra missione. Nulla mancherà.
La provvidenza, nella Famiglia Paolina, è abbondantissima anche per quello che | [Pr 2 p. 63] riguarda l'apostolato. Ecco che il nostro apostolato ha dei mezzi efficaci, larghissimi, moderni, perché
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esso tende ad utilizzare i risultati della scienza e a metterli al servizio del Vangelo, del Maestro Divino.
Inoltre vi è una provvidenza anche nelle cose materiali, nei mezzi di vita e di apostolato. L'apostolato diviene ogni giorno più esigente, perché gli avversari del bene, gli avversari della Chiesa di Gesù Cristo, si moltiplicano e sono forniti di grandi mezzi per il male. Allora bisogna che si moltiplichino i mezzi del bene e, nello stesso tempo, che noi diventiamo sempre più saggi nell'adoperarli.
Il Maestro Giaccardo, nella Società S. Paolo, trovò questa larga provvidenza di mezzi di grazie, di doni, sia per lo spirito che per l'apostolato e per quanto è necessario alla vita e all'attività nostra. Corrispose largamente, potremo dire, pienamente. Quale lavoro interiore! Quale spirito di preghiera! Quale attenzione perché il Signore non fosse offeso e tutti seguissero la loro vocazione e tutti fossero delicati, ferventi, osservanti dei santi voti. Attorno a lui fiorivano veramente i gigli, le rose e le viole.3
Inoltre approfittò della provvidenza riguardo agli studi, alla scienza: i suoi testi adoperati nelle scuole sono tutti annotati, perché egli nella scuola prestava la massima attenzione e sapeva ricavare da ogni osservazione molto frutto, per aumentare le sue cognizioni. Egli non fu solo un gran cuore, fu anche una larga mente. Quando entrò nella Società S. Paolo e gli venne aggiunto come titolo ordinario quello di Maestro, egli si orientò verso il Divino Maestro e capì quale doveva essere la sua parte da compiere | [Pr 2 p. 64] nella Società S. Paolo; e la compì fedelmente. Anche la scultura-icona, che vi è nella chiesa di S. Paolo ad Alba,4 mostra quale era il suo intendimento, quali erano le sue aspirazioni.
Corrispose largamente alla provvidenza circa l'apostolato. Sarebbe molto edificante leggere gli articoli che egli compose per la Gazzetta d'Alba,5 di cui per qualche tempo fu direttore; le
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sue osservazioni acutissime, in quel tempo in cui le cose non erano ancora chiarite su alcuni punti. Egli seppe tenere la via giusta, senza depressione e senza eccessivi entusiasmi, equilibrato.
Corrispose alla provvidenza circa le cose materiali. Attenzione scrupolosa, quasi, per tenere da conto i ritagli di tempo e le minime cose che dovevano servire all'Istituto e all'apostolato. Fu per qualche tempo amministratore; godeva la massima fiducia per la sua precisione, puntualità ed esattezza, dentro e fuori dell'Istituto, tanto che in quel tempo trovandosi l'Istituto in speciali difficoltà, era ricorso al mezzo di costituire una Cassa Rurale, un Piccolo Credito. Egli sapeva così conciliare la fiducia verso di esso, che l'Istituto ebbe subito larghezza di mezzi per svilupparsi. Tutti sapevano che egli era precisissimo nel dare i conti; potevano fidarsi di lui e si fidavano. E il Piccolo Credito rimase in piedi finché fu necessario. Quando ebbe compiuta la sua missione, egli corrispose pienamente ai bisogni e agli interessi dei creditori; e si fece una funzione di ringraziamento alla Provvidenza, che si era servita di tanti buoni Cooperatori: ed essi intesero di ringraziare e di dare una dimostrazione di affetto e di riconoscenza al Maestro Giaccardo.
Ora [offriamo] i nostri suffragi per la sua benedetta | [Pr 2 p. 65] anima. Voi sapete quanto egli amava i suoi fratelli, quanto amava santamente le suore: e noi pensiamo che il suo desiderio, dall'eternità, sia quello della santificazione di ognuno. Che corrispondiamo alle grazie, alla provvidenza larghissima di mezzi che vi sono nella Famiglia Paolina, per la santificazione e per l'apostolato.
Nel suo affetto per tutti i fratelli e per tutte le sorelle, certamente egli prega, dall'eternità, per noi. Ma questa Messa e questa funzione di suffragio noi intendiamo che sia, oltreché per la sua anima, anche per tutti i fratelli e per tutte le sorelle che sono già passate all'eternità. Che tutti si riuniscano in Paradiso; che tutti di là preghino per noi; che tutti intercedano perché sia allontanato il peccato e tutti corrispondano alla propria vocazione.
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CONVERSIONE DAL DIFETTO PREDOMINANTE1

L'oremus ultimo della Messa di oggi2 dice così: «Santificati da questo salutare sacrificio, ti preghiamo, o Signore, che non ci venga meno la preghiera di colui, dal cui patrocinio ci concedesti di essere custoditi». Preghiamo particolarmente oggi S. Paolo affinché continui ad assisterci, a soccorrerci con la sua preghiera, egli che ci è stato dato come protettore.
La Conversione di S. Paolo è una vera conversione: non nel senso che egli sia passato dal | [Pr 2 p. 66] peccato alla virtù, ma nel senso che dalla teologia del Vecchio Testamento è passato alla teologia del Nuovo Testamento. Mentalità cristiana: nel senso che quanto prima odiava Gesù Cristo credendolo un impostore, dopo si è dato tutto a Lui e visse di Lui: volle che Cristo vivesse in lui: «Vivit in me Christus»,3 «Mihi vivere Christus est»;4 e nel senso che quanto prima perseguitava i Cristiani, e nei Cristiani Gesù Cristo stesso, dopo mise altrettanto fervore nel guadagnare i Gentili al Cristianesimo, e nel condurre i popoli all'amore, alla sequela, alla conoscenza di Gesù Cristo. Conversione vera quindi e totale!
Ma noi stamattina dobbiamo anche ricordare il Vangelo che viene letto nella Messa, e che ci narra la guarigione del lebbroso e del servo del Centurione (Mt 8,1-13).5
[Pr 2 p. 67] Gesù aveva conchiuso il Discorso della montagna, e ora opera due prodigi, perché la sua parola sia creduta, perché egli sia riconosciuto per Figlio di Dio. I due miracoli di Gesù provano la sua divinità e fanno vedere quello che egli ha fatto per i Giudei e per i Gentili insieme: per i Giudei, guarendo il lebbroso, per i Gentili, guarendo il servo del Centurione.
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Beati quelli che avranno creduto in Gesù: siano Giudei o siano Gentili, saranno da Lui guariti.
Gesù opera due guarigioni: da due malattie che potevano portare alla morte, ma erano malattie soltanto fisiche.
Occorre combattere le malattie spirituali. Queste malattie sono i peccati veniali; rappresentano le passioni, quando sono sregolate e dominano la mente, il cuore, l'uomo intero. Queste passioni, siano esse l'orgoglio o la | [Pr 2 p. 68] sensualità, l'invidia o l'avarizia o la pigrizia, quando riescono a dominare un uomo, lo rendono schiavo... fino al punto che, anche senza soddisfazione, le segue. Diceva un uomo non abituato a governare se stesso, a dominare le sue passioni: «So bene che questo è la mia rovina: la rovina del mio corpo e della mia anima (perché già la sua passione l'aveva portato ad una malattia inesorabile), eppure io non mi sento di trattenermi».
Vi sono dei vizi che, assecondati, si ingrandiscono in esigenze e in potere, e accompagnano l'uomo fino al sepolcro, e non cessano fino a che il corpo sarà diventato inerte, inanimato.
Occorre combattere per tempo i vizi, le passioni, tagliando la radice. La parola del Signore è chiara: «Mettere la scure alla radice» [cf. Lc 13,7; Mt 3,10]; tagliare la radice dell'orgoglio, tagliare la radice dell'invidia, tagliare la radice della pigrizia, tagliare la radice della sensualità. Non basta tagliare solo i rami della pianta, non basta soltanto scuotere le foglie e non basta neppure tagliare soltanto una parte del tronco: ci vuole la scure alla radice; bisogna scavare, andare a cercare anche le ultime radici della gramigna, metterle al sole, bruciare tutto.
Solo coprire la passione, è lusingarsi. È lusingarsi che essa non alzi più la testa, è cosa inutile: quando sarà passato un certo tempo e il giovane si sarà fatto robusto, la passione si sarà irrobustita anch'essa; e quando il giovane è arrivato alla maggior età e si crede formato, non è formato. Allorché disporrà di una certa libertà, e non avrà più il comando e l'assistenza per adoperare i mezzi a comprimere la passione, che è stata così coperta | [Pr 2 p. 69] e non sradicata, la passione alzerà la testa ed esigerà, alle volte, così prepotentemente, come se volesse rifarsi di essere stata per così lungo tempo compressa, tenuta come schiava, impotente. Si vedono allora delle cose che pareva impossibile prevedere.
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Occorre che noi abbiamo presenti gli esempi che si vedono: gli esempi dei Santi e anche di coloro che non hanno vinto la passione, non l'hanno sradicata. Nelle Costituzioni è scritto: «Durante il noviziato sradicare i vizi».6 Occorre farlo mentre questi son deboli. Ecco: la scure alla radice: «radicitus»;7 sradicare i vizi mentre sono deboli. Resistere in principio. La medicina si applicherebbe forse tardivamente in seguito, quando il malato sarà troppo grave, il male avanzato e diventato incurabile. Occorre che noi facciamo un grande studio per eliminare i difetti: «studium pulchritudinis habentes»,8 anche se i difetti sono piccoli, e non fanno impressione, o non si scoprono o si lasciano dominare.
Ma le anime zelanti, fervorose, coloro che hanno seria volontà di farsi santi, si comportano ben diversamente: negli esami di coscienza rilevano i pensieri e i sentimenti contrari alla virtù. Poi rilevano le parole e gli atti, ancorché qualche volta sembrino difetti quasi insignificanti.
Vedete il lebbroso: la lebbra è simbolo del peccato veniale. Quando poi produce la morte, allora abbiamo in essa la figura del peccato grave. E i difetti non combattuti finiranno con l'arrivare al peccato grave.
Ecco una piantina: quella piccola pianta cresce e il tronco si eleva e i rami si estendono e | [Pr 2 p. 70] col passare del tempo avete una grande pianta, che produrrà i suoi frutti. Frutti che forse non si volevano, ma bisognava a suo tempo sradicare la piantina, mentre era ancora piccola. Nessuna difficoltà a strappare una pianta piccola, quando è ancora un'erba. Ma se il difetto crescerà, non sarà cosa tanto facile.
Vedete come sono andati a Gesù Cristo il lebbroso e il centurione: con umiltà. Quando andiamo a confessarci: farlo con umiltà. Dire chiaramente quello che abbiamo commesso; dirlo con umiltà, accusarlo con sincerità, mai coprire. Coprire vuol dire difendere il difetto, alimentarlo. Esso diverrà robusto. E
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non solo sincerità, ci vuole, ma particolarmente molto pentimento, dolore, volontà sincera di combattere.
Vi sono talora confessioni che son fatte solo esternamente, come un atto qualunque di pietà, senza riflessioni, senza esame, quasi senza proposito, perché manca anche il dolore: queste confessioni non sono ben fatte. Confessare candidamente a Dio il nostro peccato, poi accusarlo sinceramente in confessionale. «Signore, dite una sola parola e l'anima mia sarà salva» [cf. Lc 7,6]. Alle volte in confessionale si guardano molte cose e non si va a quello che più importa. La scure alla radice.
Domandiamo a S. Paolo la grazia di fare buoni esami di coscienza e buone confessioni, particolarmente attorno a quello che è il nostro difetto predominante.
Preghiamo: «Cuore divino di Gesù, che avete detto: in verità...», ecc.9 E un momento di silenzio: ciascheduno di noi metta il nome del suo difetto predominante.
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[Pr 2 p. 78]
SAN GIUSEPPE1

Incominciamo il mese dedicato a San Giuseppe. La dignità di S. Giuseppe è la prima dopo la divina Maternità, come la santità di San Giuseppe è la più alta dopo quella di Maria SS.ma. Ed egli, S. Giuseppe, ha presso il Signore un potere grande, universale; un potere che viene subito dopo quello che ha la Vergine benedetta; un potere di intercessione. Quindi si spiega quanto sia largo il culto, l'amore, la fiducia dei fedeli in San Giuseppe.
Per celebrare santamente questo mese, meditiamo stamattina le grazie da chiedere al Santo. Ciascheduno ha da chiedere grazie particolari, e sebbene | [Pr 2 p. 79] adesso vengano indicate grazie generali, ognuno può mettere, in prima o seconda linea, le sue necessità speciali.
In primo luogo consideriamo San Giuseppe come il cooperatore nella redenzione degli uomini. Il Signore destinò Maria e San Giuseppe a cooperatori diretti, immediati, i più vicini a Gesù Redentore; e quindi Giuseppe e Maria, unendo la loro opera, ciascheduno secondo la sua posizione, prepararono all'umanità il Maestro Divino, l'Ostia Vittima dei peccati degli uomini, il Sacerdote eterno, Gesù Cristo. Tutta l'umanità dovrebbe prostrarsi e ringraziare Maria e Giuseppe, eletti a tanto ufficio, per i benefici grandissimi, ineffabili, che attraverso loro vennero agli uomini.
Oh! in cielo quanto sono riconoscenti e quanto mostrano la loro ammirazione e quanto danno di lode a Maria e a San Giuseppe tutti i Santi del Paradiso! Se essi sono in cielo, ecco gli strumenti docilissimi di cui si è servita la Provvidenza per dare Gesù agli uomini. È solo Gesù che ha aperto il cielo coi suoi meriti, ma Maria e Giuseppe prepararono all'umanità Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Anche noi dobbiamo mirare a questo: contribuire alla redenzione del mondo: anche noi siamo cooperatori di Gesù Cristo. Dobbiamo cioè dare Gesù Cristo al mondo, predicando le verità che egli ha predicato, pregando per la salute di tutti, offrendo ostia e lode per la salute degli uomini. E nello stesso tempo mostrare agli uomini quale sia la via del cielo, cosa devono fare per
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raggiungere il loro fine. Vi sono uomini che dimenticano così facilmente di essere creati per il Paradiso, anzi uomini che negano tutto ciò che sa di soprannaturale, e riducono la vita | [Pr 2 p. 80] umana ad una considerazione così misera. Ecco: uomini a cui bisogna mostrare il cielo e la via che ad esso conduce.
Quindi domandiamo la grazia di amare l'apostolato, ringraziando anzi il Signore che ci ha eletti per questo. Non è una grazia che facciamo a Dio, diciamo così, esercitando l'apostolato: è invece un privilegio che ci ha concesso il Signore. Altri son chiamati ad altri lavori, noi al lavoro apostolico. Ciascheduno chieda al Signore, per intercessione di S. Giuseppe, di essere un buon cooperatore nella cristianizzazione del mondo, nell'evangelizzazione del mondo. Ciascheduno poi deve promettere di compiere fedelmente, generosamente il suo apostolato.
S. Giuseppe - e qui è la seconda grazia da chiedere - si rese degno della sua missione mediante l'esercizio di ogni virtù. La parola del Vangelo «Joseph cum esset justus»,2 è ordinariamente ricordata per indicare che egli possedeva tutto il complesso delle virtù. L'uomo pienamente giusto è chi è pienamente virtuoso, santo. «Joseph cum esset justus»: nel silenzio, nell'umiltà, nella preghiera egli era andato crescendo di virtù in virtù. E quando cominciò ad entrare nell'esercizio della sua missione, della sua vocazione, era preparato: come Maria quando ricevette l'annuncio della divina maternità.
Prepararsi all'apostolato, alla vocazione, al ministero, alla missione; prepararsi lavorando interiormente all'acquisto delle virtù, all'aumento delle virtù teologali, delle virtù cardinali, delle virtù religiose; aumento nelle virtù specialmente dell'obbedienza, dell'umiltà, della docilità. E ciascheduno poi ha la propria virtù da | [Pr 2 p. 81] coltivare, la virtù di cui ha maggior bisogno. Nel mese di S. Giuseppe chiediamo la grazia di crescere in questa virtù, e ogni giorno poi rinnoviamo il proposito.
S. Giuseppe è da considerarsi come il modello degli operai, come ci indica Leone XIII; è l'amico dei poveri, come il padre di tutti i bisognosi; il Santo della Provvidenza. E allora noi chiediamo a lui la grazia di stimare il lavoro. Egli fu fabbro e maestro a Gesù nell'esercizio di questa professione umile.
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S. Giuseppe è colui che protegge gli emigranti. Egli sofferse le pene dell'emigrazione, dovendo, poco dopo la nascita di Gesù, lasciare la terra di Palestina per recarsi esule in Egitto.
S. Giuseppe guadagnò il pane col lavoro, e la casa di Nazareth era una casa di lavoro. Che le nostre case non si riempiano di chiacchiere, ma di apostolato, di lavoro. Questa è la grazia da chiedersi.
Il lavoro nelle mani di S. Giuseppe, come nelle mani di Gesù, era un lavoro che contribuiva alla salvezza del mondo. Elevare il lavoro: non solo esso è un mezzo di vita, ma è ancora un mezzo di santificazione e un mezzo di apostolato, nelle nostre mani.
Chiedere le grazie per i poveri. Quanti sono i sofferenti: o per bisogni materiali o per bisogni spirituali. Per tutti domandare la protezione di S. Giuseppe. «S. Giuseppe, provvedete; San Giuseppe, pensateci voi».3
Le anime che han fiducia in S. Giuseppe ricorrono a lui in ogni necessità. E si accorgono ben presto della sua protezione, della sua preghiera.
Domandiamo poi a S. Giuseppe un'altra grazia: | [Pr 2 p. 82] l'intimità con Gesù. La vita di S. Giuseppe fu una vita di raccoglimento abituale, anche quando S. Giuseppe era soltanto nella giovinezza; ma quando nacque Gesù, la sua vita diventò più intima col suo Dio, quel Dio che egli vedeva nella sua casetta, il Dio incarnato: come le intimità che passano fra un padre buono e un bambino caro, un fanciullo santo, un giovinetto docile. E non potremo certo scoprire tutta la soavità che godette S. Giuseppe convivendo con Gesù.
Dice l'inno che avete cantato: «Dopo la morte, i Santi sono ammessi a vedere Iddio, contemplarlo in cielo e trattenersi con Lui».4 San Giuseppe ebbe questa grazia anche su questa terra. Prevenne la dolcezza, la consolazione di trattenersi familiarmente con il suo Dio. Domandare la grazia di amare Gesù intimamente:
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in particolare la divozione all'Eucaristia. Con quanto rispetto e affetto e ammirazione Gesù si tratteneva con Giuseppe e Giuseppe faceva altrettanto nella sua posizione rispetto a Gesù. Intimità nelle Comunioni, nelle Messe, nelle Visite al Santissimo Sacramento.
Inoltre chiedere la grazia di amare la SS. Vergine. Dopo Gesù, colui che amò di più la SS. Vergine fu S. Giuseppe. Egli ne era il custode, come un angelo tutelare. Egli ne era il nutrizio, il difensore. Iddio, che aveva unito queste due persone, comunicava loro grazie particolari. E queste due sante persone vivevano come in una comunione di lavoro e di preghiera, in una gara di virtù e di meriti. Chiedere la grazia della divozione a Maria. Conoscere Maria, imitare Maria e poi sempre più pregare Maria.
San Giuseppe inoltre ha due uffici particolari: | [Pr 2 p. 83] è protettore dei morenti e patrono della Chiesa universale. In questo mese recitare in modo particolare la giaculatoria: «O S. Giuseppe, padre putativo di Gesù e vero sposo di Maria Vergine, pregate per noi e per gli agonizzanti di questo giorno». Custodite i morenti di questa giornata, o di questa notte. Egli, che fece la morte più santa dopo Gesù e Maria, ci ottenga la grazia di ricevere bene i Sacramenti in punto di morte. E ci ottenga la grazia di prepararci ad una buona morte con una santa vita.
S. Giuseppe poi è stato eletto protettore della Chiesa universale. Nel mese, fin d'adesso intendiamo di chiedere: che S. Giuseppe protegga il Papa, l'Episcopato, il Clero, i Religiosi; tutti i cristiani: a tutti dia fortezza per vivere santamente e imitare Gesù. Siamo nella Chiesa militante: occorre combattere contro il male, il peccato. E così un giorno meriteremo di essere incoronati nella Chiesa trionfante.
Ecco le grazie da chiedere specialmente in questo mese: 1. Essere degni cooperatori alla redenzione del mondo. 2. Tendere ogni giorno alla santità con impegno. 3. L'intimità con Gesù. 4. L'intimità con Maria. 5. L'amore ai poveri e l'amore al lavoro. 6. La grazia di una santa morte. 7. La protezione di S. Giuseppe su tutta la Chiesa.5
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«S. Giuseppe, provvedete; S. Giuseppe, pensateci voi»: due giaculatorie che stanno bene sulle nostre labbra, e certamente vi sono anime che le ripetono frequentemente.
[Pr 2 p. 84] Ora, rallegrandoci con S. Giuseppe della sua eminente santità, cantiamo: «A S. Giuseppe, all'inclito...», ecc.6
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LE TENTAZIONI DI GESÙ E LE NOSTRE1

Il fine di questa meditazione è di fortificarci contro le tentazioni: tentazioni generali e tentazioni particolari. «Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male» [Mt 6,13]. Signore, non permettere che siamo tentati e concedici che nelle tentazioni siamo sempre vittoriosi. Liberaci dal male passato col perdono, dal male presente col preservarci dalle cadute e da ogni male futuro, cioè specialmente dall'eterna dannazione, dall'eterna schiavitù.
La divozione della Quaresima è la divozione a Gesù Crocifisso; in modo speciale è da contemplarsi il Salvatore ferito nelle sue mani, nei suoi piedi, nel suo capo, nel suo costato. «Foderunt manus meas et pedes meos; dinumeraverunt omnia ossa mea».2 La meditazione più consueta sia sul Vangelo, in modo particolare sopra le narrazioni che riguardano la Passione e la preparazione a questa Passione. Che Gesù dalla croce ci infonda l'odio al peccato; ci faccia comprendere come esso sia il più gran male, l'unico male nel mondo. Male rispetto a Dio e male rispetto a noi. Quindi che possiamo detestare e fuggire il peccato; fuggire e metterci in guardia da ogni cosa che ci conduce al peccato, particolarmente dalle tentazioni.
[Pr 2 p. 85] Nel Vangelo di oggi si parla delle tentazioni di Gesù [cf. Mt 4,1-11].3
Il demonio tenta Gesù con la tentazione della carne, con la concupiscenza degli occhi e con la concupiscenza dell'orgoglio. Gesù volle essere tentato per ammaestrare noi.

Le tentazioni sono prove, e nella vita vi sono tentazioni generali e vi sono tentazioni particolari. La vita stessa è tutta una prova. Perché siamo stati creati? Perché siamo su questa terra? Per subire la prova, cioè per dimostrare se veramente crediamo in Dio, amiamo Dio, ascoltiamo Dio, | [Pr 2 p. 86] oppure se ci volgiamo alle favole del mondo. Se ascoltiamo le tentazioni, seguiamo la carne, seguiamo l'ambizione. Tutta la vita è una tentazione. Vi
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sono quelli che riescono vittoriosi, e sono santi, e vi sono quelli che sono vinti, e il loro posto è laggiù: un luogo di ignominia, perché non seppero combattere. Vi sono le tentazioni particolari, e tutte insieme formano la grande tentazione della vita.
Tentazioni interne: pensieri, sentimenti, le passioni dell'orgoglio, dell'avarizia, della carne. Tentazioni esterne: il demonio, nemico di Dio e delle anime, che sempre cerca di rovinarle, e il mondo con i suoi allettamenti, con i suoi divertimenti, con i suoi cattivi esempi, con le letture, gli spettacoli, le amicizie; le tentazioni, insomma, che vengono dalle persone o dalle cose del mondo. E queste agiscono tanto sull'anima e sopra la stessa mente, da guastare i pensieri, da far dimenticare i principi di fede.
Più spesso, però, gli uomini sono tentazioni a se stessi, perché si mettono nelle occasioni, o con amicizie o con libertà che non dovrebbero permettersi, o con discorsi o con letture o con spettacoli. Ecco, si cercano le tentazioni. E chi si mette nelle tentazioni, volontariamente, può sperare quella grazia, quella forza particolare che occorre per vincere? Ed ecco che tante volte uno fa cadere l'altro, e si vede un gioco simile al gioco dei mattoni: cadendo uno a terra, tutta la pila dei mattoni precipita.
Vi è poi chi si tenta da sé in altro modo: con l'ozio, con la pigrizia, con la fantasia, con la perdita di tempo, con il permettersi ogni pensiero, con l'abbondare nella soddisfazione della gola. E quando l'orgoglio prende un po' il sopravvento, e quando l'ira domina la persona, e | [Pr 2 p. 87] quando la carne si fa prepotente, si vincerà?
È necessario che noi ascoltiamo l'invito di Gesù: «Pregate e vigilate, per non cadere in tentazione» [Mt 26,41]. Pregare e vigilare.
1. Preghiera. Tutte le parti della Messa, oggi, sono indirizzate a farci considerare che l'aiuto di cui abbiamo bisogno ci deve venire da Dio. Nessuno si creda forte, invincibile. Grande errore confidare in se stessi; errore fatale, perché chi confida in sé si appoggia ad una canna incrinata. Ricordare sempre che son caduti Adamo ed Eva, i quali avevano tanti doni da Dio, tanta grazia. Il demonio è astuto; le passioni sono ogni giorno all'assalto e il mondo ci circonda così che, se non vigiliamo, finisce col penetrarci nello spirito e nel cuore.
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Quando scoppia la malattia dell'influenza, è tanto facile che questa si diffonda. Tanto più i cuori, anche dei religiosi, possono venire coperti dalla polvere del mondo.
Vedete i testi della liturgia. L'introito dice: «Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni. Chi abita sotto l'egida dell'Altissimo, dimorerà sotto la protezione del cielo». E il graduale: «Dio ha affidato agli Angeli la cura di te, e di custodirti in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra». E il tratto: «Chi abita sotto l'egida dell'Altissimo, si ricovera sotto la protezione di Dio. | [Pr 2 p. 88] Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia...».4
Ricorrere tutti al Signore: pregare! Però in noi vi è tanto orgoglio, superbia, che, accecati, non sentiamo il bisogno di Dio; non si prega abbastanza umilmente al mattino. E allora, se incominciamo la giornata così deboli, senza armarci dell'aiuto di Dio, senza la persuasione che dobbiamo vigilare, può essere che prima della sera abbiamo già inciampato. Una giornata incominciata così male, fa temere. S'incomincia il viaggio senza che ci sia stato il viatico, il nutrimento per il viaggio.
La vita è un viaggio difficile; ognuno è insidiato. Nei più, manca il timor di Dio, cioè manca quella persuasione che noi possiamo salvarci o dannarci; che fra non molti anni la nostra sorte eterna sarà o in cielo o | [Pr 2 p. 89] nell'inferno. E allora si va avanti tranquilli, ciecamente, e qualche volta, quasi all'improvviso, ecco che quell'anima si trova nel precipizio. La giornata è vuota di meriti, se pur non è macchiata di peccato.
Al mattino, umilmente, con il capo chino invocare aiuto, invocare luce, pietà. Vedete la Chiesa, come fa incominciare la Messa? Col prostrarci davanti a Dio, col confessare le nostre colpe passate: «Confesso...», perciò invoco l'aiuto di Dio, invoco l'aiuto della Vergine, dei Santi, per non cadere di nuovo.
Umiltà, al mattino, e preghiera.

2. Vigilanza. Il nemico principale è in noi; è la carne, che sempre ci accompagna notte e giorno. Attenti, dunque, ai pensieri di orgoglio, ai pensieri che possono essere contrari alle altre
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carità, purezza. Inoltre vigilanza sul cuore. Il cuore è un nido di passioni, che possono servirci per la santificazione, ma possono essere occasione di rovina, se non resistiamo; alle volte basta una curiosità. Vigilare sopra le parole che si dicono, gli sguardi che si danno, le cose che si sentono e il modo di governare il nostro corpo, la nostra lingua.
Vigilare con chi si va, poiché vale il detto: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei»; oppure «Dimmi che cosa leggi e ti dirò chi sei»; e si può ancora aggiungere: «Dimmi che cosa guardi, di quali spettacoli, di quali amicizie ti diletti, e ti dirò chi sei».
Abbiamo ancora bisogno di esperienze per convincerci che siamo deboli? E non facciamo altre dolorose esperienze! Sappiamo che in seguito dovremo molto piangere. Guardare il Crocifisso, quindi, e invocare aiuto: «Qui habitat | [Pr 2 p. 90] in adiutorio Altissimi, in protectione Dei cœli commorabitur».5
Vigiliamo sulle tentazioni? Su noi stessi? Sull'interno? Sopra i pericoli esterni? E preghiamo umilmente? Sentiamo la nostra fragilità?
Il demonio, quante tentazioni può insinuare nell'animo, specialmente con principi, con idee storte! Perciò invocare l'aiuto di Dio.
Cantare il De profundis.6
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[Pr 2 p. 71]
Ritiro mensile
LA MORTIFICAZIONE1

In questi giorni recitiamo sovente l'antifona: «Advenerunt nobis dies pœnitentiæ»: Sono giunti per noi i giorni di penitenza. La Quaresima ricorda il digiuno di Gesù Cristo.
La Quaresima deve portarci all'imitazione di Gesù Cristo. Al Crocifisso, in questo ritiro mensile, chiederemo specialmente la grazia di capire che cosa sia la mortificazione, quanto sia necessaria e come la si pratica da noi, regolarmente.
Bisogna subito domandare la grazia di capire bene i due primi punti e cioè:
1) che cosa sia la mortificazione; 2) quanto sia necessaria.
Tempo di Quaresima. Anche quelli che non sono tenuti al digiuno, sono obbligati a fare altre penitenze. «Se non farete penitenza, voi vi perderete tutti» [Lc 13,3]. Ecco la prima predicazione, che fu fatta, quasi con le stesse parole, da Giovanni Battista e dal Messia, quando iniziò il suo ministero pubblico.
Quando si parla di penitenza, molti pensano ai cilici, ai digiuni, alle flagellazioni: vi sono penitenze di consiglio, ma prima vi sono quelle di assoluto obbligo. «Omnes similiter peribitis», se non faremo quelle penitenze che sono sicuramente di obbligo.
Che cosa è dunque la mortificazione? La mortificazione è il domare le nostre passioni; domare le nostre inclinazioni cattive. Ai nostri giorni si vorrebbe, alle volte, seguire un certo spirito mondano. Accontentare, | [Pr 2 p. 72] massima libertà, libertà di fare quello che la natura chiede. Questo è un errore grave, quando significa libertà di sentimento, libertà di occhi, libertà di studiare o non studiare, libertà di accontentare questa passione o quell'altra. «Omnes similiter peribitis», se non mortifichiamo le passioni.
Domare le passioni: «mortuum facere», rendere così soggetto il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra volontà da poterli guidare; come se si trattasse di un cavallo giovane, irrequieto. Dice S. Giacomo: se noi gli mettiamo in bocca il freno con le
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guidiamo il cavallo per la via giusta [cf. Gc 3,3]. Il cavallo potrebbe portarci alla rovina, potrebbe portarci nei precipizi: bisogna che noi lo freniamo. Così bisogna che freniamo noi medesimi: mortificazione!
Soggetta la volontà; soggetto il cuore; soggetto il corpo; soggetti gli occhi, la lingua. Non permettere al corpo, allo spirito, ai sensi quello che porta alla rovina: mettere il freno e spingere invece il nostro cuore verso Dio; spingere la nostra persona, il nostro essere verso il dovere, verso lo studio, la preghiera, l'apostolato.
Non si frena il cavallo soltanto per tenerlo fermo, ma perché non faccia pazzie, e intanto lo si sospinge innanzi, affinché compia il cammino e faccia il servizio che deve fare. Gli occhi vorrebbero guardare quello che non dovrebbero guardare, e non vorrebbero guardare ciò che si deve guardare; e cioè non devono guardare ciò che è pericoloso, e devono invece leggere la grammatica, la storia, i libri che ci hanno dato da studiare. Guidare la lingua, guidare tutti i sensi e particolarmente le nostre potenze interiori. Ecco la mortificazione.
[Pr 2 p. 73] Vi sono cose di consiglio: dare un soldo in elemosina può essere di consiglio; ma ascoltare la Messa la domenica non è di consiglio, è di precetto grave. E così tante mortificazioni sono di consiglio, ma tante sono imposte sotto pena di peccato, anche grave. Si potrebbero tenere certi discorsi che portano all'eccitamento delle passioni? Vi è una proibizione grave, e quindi l'anima potrebbe macchiarsi di peccato grave e per questo vi è l'inferno. Altro che consiglio!
Occorre dire subito una cosa generica, per capire la necessità della mortificazione. Nessun bene si può ottenere nel mondo senza sacrificio, senza mortificazione. Se si vuole diventare sapienti, bisogna frenare la irrequietezza e studiare. Se si vuole far bene l'apostolato, bisogna che dominiamo i nostri sensi e che ci applichiamo con le energie, la forza e l'intelligenza che abbiamo.
Anche se si vuol vivere da uomini onorati bisogna mortificarsi! Chi poltrisce non avrà mai buona stima; chi non frena la lingua e pronunzia tante bugie, non avrà stima dagli uomini. Anche coloro che su questa terra vogliono conseguire soltanto denaro, come si affaticano! quanto pensano, quante preoccupazioni!
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Nessun bene si può ottenere sulla terra, neppure dei beni naturali, senza la mortificazione.
Quanto meno si può ottenere la santità; quanto meno si può seguire la vocazione; quanto meno si può arrivare al sacerdozio, allo stato religioso o anche soltanto a vivere da buon cristiano, senza mortificazione. Chi vuol vivere la vita del buon cristiano, deve evitare i vizi capitali e tutti gli altri peccati che sono contro questo o quell'altro comandamento. Ora la natura | [Pr 2 p. 74] spinge al male; prepotente è l'inclinazione all'orgoglio, alla carne, alla pigrizia, ai beni di questo mondo. E chi ha una inclinazione, chi ne ha un'altra; ora, se non si mortificano, certamente non si vive la vita del cristiano.
Alcuni credono che la mortificazione debba stare tra la cinta dell'Istituto; al di là, tutte le libertà, tutte le soddisfazioni. Povera gente senza testa, che nulla capisce! Comincia di là la mortificazione, il sacrificio, il lavoro, la preoccupazione. Non siamo stolti! Quante volte, se si vedesse l'interno affanno, coloro che fanno invidia ci muoverebbero a pietà.2
La vita cristiana è delineata da Gesù Cristo: «Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso» [Lc 9,23]. Rinneghi la pigrizia, la gola, l'invidia.
Ma almeno, per essere uomo degno di questo nome, si potrebbe fare a meno della mortificazione? Si dice che Alessandro Magno,3 una volta, rispondendo ad un amico che gli faceva delle proposte vergognose, uscisse in queste parole: «Ma credi tu che io abbia uno spirito di animale? Io non intendo avvilirmi e cadere così in basso». Allora, resistenza alle passioni!
Vi sono uomini che non vivono come tali e, dice la Scrittura, si paragonano agli animali. Può avvenire che in un certo momento di resipiscenza, di meditazione, di riflessione sopra di sé, quell'uomo confessi: «Io non vivo da uomo! Non sono ragionevole: chi mi domina è il senso, ciò che mi guida è la materia».
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Diceva uno scrittore molto distinto: «Vi sono quelli che faticano tutta la vita per gli onori e sono martiri del fumo, perché si affaticano per una cosa vana che si perde. Altri sono martiri della terra, perché si affaticano tutta la vita | [Pr 2 p. 75] per arricchirsi. Altri sono martiri di cose più basse ancora, sono servi di cose inferiori, sono accomunati con gli esseri inferiori». Occorre che viviamo da uomini; che viviamo da cristiani.
Gesù Cristo, dal Presepio alla Croce, come visse? Come fu nel presepio? Come fu nell'esilio dell'Egitto, come nella casetta di Nazareth, nella vita pubblica e nella vita dolorosa?
Massimamente la mortificazione si richiede se si vuole corrispondere alla vocazione. Occorre fare una distinzione fra ciò che è male e ciò che è bene; fra quello che vuole la natura e quello che vuole la grazia, la fede. La vocazione richiede un distacco, richiede l'applicazione allo studio, richiede l'applicazione delle nostre forze a certi doveri, richiede l'obbedienza, la povertà e la purezza. E tutto questo si ottiene senza mortificazione? Impossibile! Vi sono persone che non osano confessarlo a se stesse, sentono di non avere il coraggio di resistere alle passioni. Perché? Perché non pregano. Solo l'uomo coraggioso, l'uomo che vince se stesso, sa elevarsi ad uno stato così grande e così bello come quello della vita religiosa e sacerdotale. Ci fanno impressione i capitani che hanno vinto le grandi lotte e le grandi guerre; ma l'uomo che vince se stesso è più grande di quello che vince le grandi guerre. D'altra parte non si riuscirebbe mai ad essere uomini grandi senza assoggettarsi alla fatica, al dovere.
Stasera volgiamoci al Crocifisso. Quali sono gli esempi di Gesù? Gli esempi di Gesù dal presepio al calvario? Nasce povero, vive poveramente; nella sua casetta di Nazareth è al lavoro, non mondanità! Nella vita pubblica fatica; nella vita dolorosa soffre ogni sorta di pene | [Pr 2 p. 76] interne ed esterne. Quanti sono pronti a ricevere le consolazioni di Gesù, anche a fare la Comunione, ma non sono pronti a portare la croce dietro a Gesù!
Seguire Gesù al Calvario. Quante volte non si è neppure così coraggiosi, così forti da seguirlo nei primi passi. E Gesù è lasciato solo a salire il Calvario. Si vorrebbe una vita la quale fosse di sicurezza per il cielo e per l'eternità e nello stesso tempo che non disturbasse e non impedisse le soddisfazioni sulla terra. Ma non si mettono insieme luce e tenebre, virtù e vizio, amore a
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Gesù e abbandono di Gesù, vita santa e vita tiepida, di soddisfazione, di libertà. Dice l'Imitazione di Cristo che Gesù trova molti compagni a mensa, ma pochi che portano la croce sua.
Ora, per venire a qualche cosa di pratico: come mortificarci?
Un'anima domandava con insistenza a Gesù che le insegnasse come mortificarsi: «Che cosa devo lasciare, che cosa devo fare, in che cosa devo rinnegarmi?» Gesù le fece sentire un'ispirazione: «Semper et in omnibus».4 Dovrai sempre rinnegarti e in tutto. Sempre: al mattino, per alzarsi; allo studio, per applicarsi; alla scuola, per prestare attenzione; nel trattare coi compagni, per usare carità; nel corso della giornata, per l'obbedienza, per osservare gli orari; in chiesa, per allontanare le distrazioni; in apostolato, per compiere il dovere. In casa, fuori di casa, in famiglia, con la tal persona, con la tal altra.
Nella giornata noi abbiamo sempre da lasciare ciò che è male per fare ciò che è bene. E lasciare ciò che è male importa mortificazione, e fare quel che è bene importa mortificazione. | [Pr 2 p. 77] Nominiamone solo qualcheduna: la mente non può pensare a qualunque cosa, ma deve pensare a ciò che è buono; il cuore dobbiamo dominarlo e non lasciarlo cadere né a destra né a sinistra; dominare le intenzioni, le aspirazioni. Quante volte abbiamo bisogno di rimettere il cuore a posto! Mortificare la volontà specialmente con l'obbedienza. Sottomettersi: nelle piccole cose e nelle grandi: «in omnibus».
Mortificazione esterna: frenare gli occhi. Non si può andare a vedere tutto, guardare tutto, fissare tutto, leggere tutto, ecc.; ma bisogna guardare quello che è da guardarsi. Se tu levi lo sguardo e miri l'Ostia santa, se tu usi gli occhi per studiare, se tu adoperi gli occhi per gli usi comuni della vita umana, civile e sociale: questo significa adoperare santamente gli occhi. Mortificazione dell'udito: non si può sentire ogni cosa, ma si devono sentire molte cose: la meditazione, la scuola, gli avvisi, sia che vengano dati privatamente, nel confessionale, o in pubblico a tutta la famiglia. Mortificazione della lingua. Ah! questa lingua: è adoperata male o fuori di tempo? E quante volte non compie tutto l'ufficio per cui ci è stata data. E noi mortifichiamo la nostra lingua? Sappiamo mortificare il tatto, che è il senso più diffuso
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nel corpo? Se prendiamo un Crocifisso fra le mani e guardiamo quel capo trapassato dalle spine, quelle mani e quei piedi trapassati dai chiodi, il costato aperto, il corpo santo ferito dai flagelli, non sentiamo un rimprovero? Una persona che seguiva assai il mondo, fu consigliata dal suo confessore a guardare spesso il Crocifisso e a dire a se stessa: «Gesù è sulla Croce, e io voglio ogni comodità; Gesù umiliato, deriso, e io mi | [Pr 2 p. 78] offendo di qualsiasi parola contraria; Gesù povero, e io invece non voglio privarmi di nulla. Io sono cristiano? Sento che Gesù dalla Croce mi risponde di no». Quelle brevi meditazioni, quei colloqui intimi tra l'anima e Gesù fruttarono una buona conversione, una conversione decisiva.
Voglio essere un buon cristiano, voglio mostrare di amare Gesù. Perciò questa sera e poi in tutto il ritiro chiediamo a Gesù la grazia di saperci mortificare bene. Cercare di capire che cosa sia la mortificazione, e fermarsi specialmente su quelle mortificazioni che sono connesse con la nostra vita, con la professione di cristiano, coi doveri quotidiani. E poi fare buoni propositi.
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[Pr 2 p. 90]
«AB OMNI PECCATO...»1

Sempre l'invocazione «Ab omni peccato, libera nos, Domine».2 Il peccato, anche se veniale, non sia accettato, non sia commesso da alcuno, non possa nascondersi, infiltrarsi nelle case, nei reparti. Tra il peccato mortale e il peccato veniale c'è una distanza infinita; tuttavia il veniale è come una malattia.
Se un giovane fosse ammalato non gravemente, ma un po' dappertutto: negli occhi, nell'udito, nella lingua, nei piedi, nelle mani, nel cuore, si potrebbe dire che ha buona salute? No. Egli è vivo, sì, ma la sua salute non è certamente buona. Ora, se uno manca un po' con i pensieri, con gli sguardi, con la lingua, con lo stare ad ascoltare quello che non bisogna ascoltare (per esempio mormorazioni); andando con chi non dovrebbe andare, compiendo opere che non sono così perfette come dovrebbero essere, ecc., non sarà ancora nel peccato grave, ma si può dire che è infermo in tutti i suoi sensi.
Immaginate Giobbe, quando fu sorpreso da tutti quei mali e il suo corpo imputridiva in tutte le membra, tanto che fu portato fuori, sopra un po' di paglia... | [Pr 2 p. 91] che stato miserabile! [cf. Gb 2,8]. Eppure vi sono anime che sono inferme un po' in tutte le parti; vi sono anime le quali, pur essendo ancora unite a Dio, hanno con lui tanta responsabilità: non corrispondono alle grazie, non corrispondono alle comunicazioni di Dio. Anime che perdono i loro meriti un po' dappertutto: dal mattino alla sera, la loro giornata è segnata da imperfezioni, da piccole mancanze, a cui forse danno poca importanza.
Il peccato veniale: vi è chi lo detesta, chi lo fugge ed è più diligente a toglierlo dalla sua anima di quanto non lo sia a pulire gli abiti; e vi è invece chi porta nella sua anima molte macchie. L'abito, forse, è ancora intatto, ma in realtà costoro non sono più presentabili.
Il peccato veniale porta con sé molti danni. Primo fra tutti, la bruttezza dell'anima davanti a Dio. Occorre che nella vita siamo accompagnati dal santo timore di Dio.
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Il timore di Dio è quello che ci fa vigilare: timore di offendere, di disgustare il Padre celeste; timore di non portare abbastanza pura l'anima alla Comunione; timore di perdere le grazie; timore di perdere i meriti; timore di sprecare la vita, almeno in parte; timore che le venialità alla fine portino al peccato grave; timore che le malattie spirituali vadano aggravandosi e portino la morte all'anima. «Signore, infondetemi il santo timore, il timore del peccato, dell'offesa a Dio».
Il timore di Dio fa vigilare sui pensieri, sui sentimenti, sopra le parole che si dicono. Chi non è timorato di Dio, interiormente pensa a qualsiasi cosa; nelle sue conversazioni dice | [Pr 2 p. 92] qualsiasi cosa; ovunque cade in una quantità di difetti, che formano come una catena e rendono la giornata triste, vuota: si priva di un grande numero di grazie presso Dio.
Il peccato veniale facilmente oscura l'intelligenza: non si capisce più, non si ha più un'idea chiara riguardo ai nostri doveri. E si potrà conchiudere, alla fine dell'anno, che gli studi sono andati bene, che la pietà è cresciuta, che le virtù sono andate aumentando?
Quando non si ha questo timor di Dio, si arriva anche al punto di non dare più alcuna importanza al peccato, e la vita si trascina fra innumerevoli imperfezioni. Sotto il pretesto che sono venialità, ecco che quell'anima va avvicinandosi a cose più gravi. Quando poi si è presa, da giovani, l'abitudine alla venialità, in tutta la vita, in tutti gli uffici, in tutto quello che si farà, in tutte le relazioni, dappertutto ci si mostrerà quali si è; e, più avanti negli anni, si diviene incorreggibili; qualche volta si vede uno spettacolo miserevole: col crescere degli anni, crescono anche i difetti.
Che cosa sarà la morte? Morenti, i quali stanno ancora commettendo e cadendo in quei difetti che li hanno accompagnati in tutta la vita: impazienze, premure per le cose materiali, premure soltanto per la salute, incontentabili!
Inoltre, il peccato veniale è causa di tante pene o su questa terra o nell'altra vita. Quando un'anima commette molte venialità deliberate, viene privata da Dio di molte grazie e perciò non si sente più quella forza, quell'ardore, quel | [Pr 2 p. 93] fervore che provano i Santi nel lavorare per la loro santificazione. L'anima finisce col sentirsi un poco incapace e insufficiente in tutto.
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Occorre correggersi a tempo. Il timore santo di Dio fa scomparire a poco a poco il peccato veniale. Vi sono persone, le quali, man mano che passano i giorni, si vedono crescere nelle virtù: da un anno all'altro esse sono più forti, più amanti della povertà, dell'obbedienza, dello studio, dei loro doveri. E vi sono persone, invece, che tengono la via opposta, perché vanno demeritando, perdendo ogni giorno più la luce alla mente, la forza di volontà e la generosità col Signore.
Il peccato veniale merita non l'inferno, ma il purgatorio. Il purgatorio non è sempre temuto come è da temersi: il purgatorio è riservato a quelle anime le quali si sono abbandonate alle venialità e non si sono emendate, non hanno fatto sforzo per correggersi. Il purgatorio, si dice, non è eterno, è temporaneo. È vero, ma sappiamo noi cosa vuol dire un'ora di purgatorio, anche un'ora sola? Ci pare poca sofferenza, una sofferenza trascurabile lo stare per un'ora tra le fiamme? E la pena del senso non è la principale; la principale è la privazione della vista di Dio, della visione di Dio, della contemplazione di Dio, lo stare lontano da Dio.
Anime trascurate nella Comunione; anime trascurate nella preghiera in generale; anime trascurate nelle visite; anime senza amore vero a Dio. Allora saranno private della vista di Dio, per un tempo più o meno lungo. Anime che non furono generose col Signore. Anime che non si impegnarono per rendersi belle, gradite a Dio. E volete che dopo la morte siano subito accolte in cielo?
Persone che portano fino alla morte orgoglio, disobbedienza, mancanze di povertà, indelicatezze, facile abbandono alla letizia | [Pr 2 p. 94] sfrenata, alla tristezza e allo scoraggiamento; persone che hanno ecceduto un po' troppo nella pigrizia, nella golosità, nei sentimenti del loro cuore, negli eccessi degli affetti; oppure che hanno mancato nella carità, portando avanti antipatie o simpatie. È possibile che dopo la morte entrino subito in cielo?
Le indulgenze richiedono delle disposizioni: e in punto di morte, se non vi saranno delle disposizioni, si può sperare che le indulgenze vengano applicate all'anima? Occorre odio ai difetti, lotta contro i difetti. Ascoltiamo, perciò, oggi quello che ci dice S. Paolo nell'Epistola: «Sic currite ut comprehendatis».3 Occorre lavorare, combattere le nostre cattive inclinazioni.
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Solo chi vigila e prega può emendarsi e mostra davvero di detestare le sue cattive inclinazioni; di detestare il peccato veniale. Ma di anime che abbandonano la lotta, che non resistono alle loro passioni, che non vigilano sopra i propri sensi, che cosa sarà?
Una serie infinita di venialità. Ah! se certe anime potessero vedersi, potessero conoscere bene se stesse! Quella santa aveva pregato il Signore che le facesse vedere la propria anima fino in fondo, come si trovava davanti a Dio; e non ostante che molto fosse già stato il suo lavoro, quando si vide in quella luce che le concesse Dio, ebbe come un orrore di se medesima, tanto si vide macchiata di venialità, di imperfezioni, che la rendevano deforme.4
Alle volte si temono difetti esterni, si teme di far brutta figura davanti agli uomini; si ha paura di una macchia sul viso, e per l'anima? Quanti hanno più cura della loro stima davanti agli uomini, più cura della loro salute, che non di essere belli e grati a Dio!
[Pr 2 p. 95] Potrebbe l'anima, così macchiata, entrare lassù, in cielo, dove tutto è bianco e candido? Niente di macchiato può entrare lassù.
E allora in questo giorno esaminiamoci. Cerchiamo di penetrare, di conoscere noi stessi: diciamo al Signore che ci mandi la sua luce, la sua grazia, perché possiamo scoprire i difetti quotidiani, le imperfezioni, e possiamo concepire un vero dolore delle venialità, delle piccole offese a Dio. Certamente, chi si tiene lontano dal peccato veniale, si terrà lontano anche dal peccato grave. E per non cadere nel peccato grave, non c'è sicurezza maggiore di questa: odiare il peccato veniale.
Chiedere a Maria Immacolata, a Maria Madre intemerata, Madre purissima, la grazia di odiare ogni macchia e di ripulire continuamente l'anima nostra, negli esami di coscienza e nella Confessione.
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Chi va per la strada, facilmente si copre di polvere: è necessario che alla fine del viaggio si ripulisca; è necessario che alla sera, prima di andare a letto, abbiamo ripulito l'anima nostra col pentimento. Ogni settimana e particolarmente nel ritiro mensile, discendiamo ad una pulizia generale della nostra anima. Entriamo in noi stessi. Vediamo quello che già abbiamo ottenuto e quello che ancora ci manca. Conosciamo i difetti interni e i difetti esterni, particolarmente adesso, nella Messa.
L'Angelo Custode, che ci ha veduti cadere in queste venialità, ci illumini, ci ottenga la grazia di conoscerci. E poi ci ottenga da Dio la grazia di un proposito fermo: proposito di lavorare per tutta la vita alla nostra emendazione.
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[Pr 2 p. 96]
IL PECCATO VENIALE1

Il peccato veniale è un male rispetto a Dio; è un male rispetto a noi medesimi; è un male anche riguardo al prossimo.
Rispetto a Dio è un'offesa che si fa al nostro buon Padre celeste; è un disgusto che si reca al suo cuore. Il peccato veniale non è una ingiuria grave, ma è un disconoscere, in cose leggere se si vuole, la volontà di Dio sopra di noi; è un considerare poco la legge di Dio. Quindi il peccato veniale considerato rispetto a Dio è male così serio, che non è lecito commetterlo per evitare qualsiasi pena, qualsiasi disgusto. Fra i mali che possono colpire l'umanità, esso è il più grave.
Ci sono delle espressioni forti nei libri spirituali. Qualche volta si trovano anime che, non avendo tanta sensibilità spirituale o tanta conoscenza delle cose spirituali, credono esagerati certi libri o certe predicazioni; ma sono tali anime che esagerano, non conoscendo abbastanza cosa voglia dire offendere Dio, disgustare Dio.
Si dice: «Ma è colpa veniale, non impedisce la Comunione; tutt'al più avrò da subire delle pene in purgatorio; è veniale, dunque non mi fa perdere la grazia». È vero: il peccato veniale non è mortale; il leggero non è grave; ma il peccato veniale, considerato in se stesso, è un male molto grave, perché offende Dio. Noi dobbiamo considerare il peccato mortale come una pazzia; ma il peccato veniale è in se stesso un | [Pr 2 p. 97] gran male, e solo chi non sa meditare può lasciarsi andare a commetterlo con leggerezza; fino al punto da potersi verificare quello che è detto in qualche libro: «Bevono le venialità come un bicchiere d'acqua, e non le esaminano, e quindi è quasi impossibile correggersi».
Il peccato veniale, poi, è un gran male rispetto a noi. In primo luogo impedisce la carità, il fervore della carità, l'unione intima con Dio. Non rompe la carità; non distrugge l'unione con Dio, ma raffredda la carità. Credete voi che un'anima, la quale nella giornata commette molte venialità, un po' a studio, un po' in chiesa, un po' con i Superiori, un po' con gli inferiori, un po' per disubbidienza, all'indomani mattina farà una Comunione
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molto fervorosa? Credete voi che abbia verso la santissima Vergine quella divozione intima, sensibile, filiale? Credete voi che possa comunicare con tanta facilità o almeno con tanta spontaneità con il suo Angelo Custode?
Questa diminuzione di carità è, per i chiamati alla vita religiosa, un male che è da notarsi in un modo tutto particolare. La vita religiosa è frutto di fervore, di vero amor di Dio; e invece, chi si abitua così facilmente alle venialità, a poco a poco va raffreddandosi e per conseguenza non sentirà più quella chiamata intima, che viene da Dio: «Ti voglio santo, sii mio, interamente!». Quando un padre è mal corrisposto da un figlio, può usargli tutte quelle confidenze che un padre buono usa con un figlio buono? È vero che Dio è il più buono dei padri, ed è disposto, in qualunque momento ci rivolgiamo a lui, ad aprire il suo cuore verso di noi per abbondare nelle sue grazie, nelle sue misericordie. Ma se noi non facciamo nessun | [Pr 2 p. 98] conto del peccato veniale, di dargli cioè disgusto continuamente, che cosa succederà? Vogliamo pretendere, poi, che il Signore allarghi le sue mani e sia con noi abbondante di misericordia e di confidenza? Anime che non sentono più la voce di Dio! Potete ragionare, potete portare loro gli argomenti più forti; il loro animo è già un po' chiuso; non c'è più la sensibilità spirituale.
Inoltre occorre pensare che, anche sulla terra, può essere che noi non abbiamo più tutte quelle benedizioni di Dio. Ah, se avessimo avuto maggior fervore nella preghiera! Se non ci fossimo avvicinati al peccato mortale attraverso molte venialità, forse saremmo ben diversi. Quanti meriti di più troveremmo ora nella nostra anima!
Il Signore priva di molte consolazioni le anime che sono semisorde ai suoi inviti e che poco contano le offese verso di lui, trattandosi di offese leggere. Alle volte l'aridità spirituale è una prova di Dio, ma alle volte è un castigo: perché queste anime volontariamente sono state distratte; perché hanno fatto poco conto delle meditazioni, della parola di Dio; l'hanno sentita distrattamente; non hanno concluso con buoni propositi; il loro lavoro è stato scarso, se pure non è stato nullo.
Quando un giovane è fervoroso nella sua anima, nel suo spirito, può essere sicurissimo che avrà particolare protezione da Maria nella sua vita; avrà particolare assistenza dall'Angelo Custode;
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avrà particolari comunicazioni da parte di Gesù. La sua mente sarà più illuminata, la sua volontà sarà più forte, il suo cuore inclinerà di più verso Dio; amerà di più i poveri, gli infelici. Sarà più comprensivo | [Pr 2 p. 99] il suo cuore.
Vi sono cuori che divengono duri e si riempiono d'orgoglio, di invidie e di mondanità, perché la venialità troppo si è fatta strada in essi. E quale differenza tra un'anima fervorosa, e una che tiene in nessun conto o quasi le venialità.
Si dirà che il peccato mortale è una rinnovata crocifissione di Gesù, mentre il peccato veniale non lo è. Ma intanto è una spina che si pianta nel suo cuore; intanto è un disgusto che gli si dà. E il cuore di Gesù, manifestandosi a Santa Margherita Maria Alacoque,2 non si lamentava proprio delle persone divote? Anime che erano a lui consacrate, anime chiamate ad una vita di pietà particolare, e che si mostravano indifferenti, insensibili al suo amore, alla sua bontà, alle sue particolari grazie.
Il peccato veniale, poi, dispone al peccato grave, sia perché priva di grazie, sia perché l'anima a poco a poco si indurisce, e passa da una colpa veniale più leggera ad una più grave. Se Giuda in principio avesse resistito alla sua avarizia, non sarebbe arrivato all'orribile delitto di vendere il Salvatore. Se Caino avesse resistito in principio alla passione dell'invidia, non sarebbe arrivato a uccidere suo fratello Abele.
Quando con facilità si stanno ad ascoltare cose mondane; quando si vuole curiosare, e si toglie la siepe attorno all'anima, non vi è poi da stupire che, tolta la siepe, le bestie invadano la vigna: cioè che il demonio e il mondo, con tutto il loro séguito, entrino in quell'anima. Prima vi erano solo venialità: curiosità un po' spinte, ma poi il passaggio è facile: discendendo un gradino per volta, si arriverà al fondo, là dove non si credeva di poter arrivare.
[Pr 2 p. 100] Particolarmente, fermarsi su tre punti: obbedienza, povertà, castità. Su questi tre punti, chi comincia a discendere non sa se
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potrà fermarsi; forse non si arresterà. Certo il peccato veniale dispone al mortale, «qui spernit modica paulatim decidet»3 dice lo Spirito Santo.
Vi è poi da dire una cosa che riguarda noi in particolare. Siamo in comunità, ed ecco quel che avviene. Se vi è uno che incomincia a perdere tempo a studio, e si volta a destra e a sinistra, cercando di attaccar discorso; se vi è uno in chiesa che si mostra distratto o non prega, e anche dall'esterno dimostra che non si sforza per raccogliersi, allora si verifica l'effetto di una macchia d'olio: si allarga. E alle volte basta una persona in un gruppo, per portare il disordine in tutto il gruppo: basta qualcuno che sulla povertà, obbedienza, castità, cerchi sempre più di allargare la macchia, perché fa lo spavaldo, perché crede di essere più moderno, perché pensa che ormai ha l'uso di ragione e bisogna adoperarla... Appunto perché si ha l'uso di ragione, bisogna adoperarla e ragionare così: «Non voglio fare del male a me stesso e non voglio essere di scandalo agli altri».
Essere ragionevoli. Essere delicati. Se si introduce l'uso di parlare dovunque, si parlerà fino a che non si sarà addormentati alla sera. E si chiude così la giornata? La giornata non si conchiude bene e non fa prevedere per l'indomani una comunione santa.
L'abitudine di rompere il silenzio; l'abitudine del disordine; l'abitudine di giudicar male, di criticare: macchie d'olio che si allargano. E colui che introduce delle cattive abitudini, ha le responsabilità sue davanti a Dio: perché dovrà | [Pr 2 p. 101] rendere conto anche del male che in conseguenza avran commesso gli altri.
I Superiori e i maestri faticano per introdurre un po' di bene, e trovano ciò difficile. Ad introdurre il male, gli abusi, il disordine, si fa presto; la natura vi è già inclinata; ma opporsi così al lavoro dei superiori, dei predicatori, dei confessori, dei maestri e di tutti quelli che hanno cura della comunità, pare forse che sia cosa da nulla? Pare di poter dire davanti a Dio, adesso che lo esponiamo solennemente, «innocens ego sum»?4
E chissà quanti mali abbiamo introdotto noi stessi, per mancanza di delicatezza. Allora davanti a Nostro Signore, il quale ci
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tutti pieghiamo la nostra testa e facciamo l'esame di coscienza.
I peccati veniali possono essere contro qualsiasi virtù, ma noi ricordiamo particolarmente i peccati veniali di orgoglio, di disobbedienza; peccati veniali contro la povertà, la delicatezza; peccati veniali per le perdite di tempo; peccati veniali per la freddezza e indifferenza che si porta, forse, fino alla Comunione; bisticci, peccati di ira e particolarmente ancora quelli che nascono dal difetto predominante.
Gesù ci legge fino in fondo all'anima. Cerchiamo di leggere anche noi fino in fondo all'anima nostra.
«Signore, dateci la vostra luce, la vostra grazia; Signore, che io non porti queste venialità al vostro giudizio; che io cominci a detestare, combattere ed eliminare ogni peccato, difetto volontario».
Cantiamo: «Parce, Domine».5
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[Pr 2 p. 102]
IL DONO DELL'INTELLETTO1

Sempre è da ripetersi l'invocazione «Sacrum septenarium!»2 affinché lo Spirito Santo ci infonda i suoi sette doni. Nei giorni dell'ottava la Liturgia ci assegna una Messa in cui sempre viene ricordata l'opera dello Spirito Santo in noi e nella Chiesa.
Quest'oggi specialmente, la Chiesa ci fa domandare il dono dell'intelletto, che ci illumina spargendo una luce viva, penetrante, straordinaria sul significato delle verità rivelate e dandoci la certezza del vero senso della parola di Dio. Questo significa che spesso noi abbiamo bisogno di una maggior conoscenza della parola di Dio; non una conoscenza superficiale, il saper soltanto recitare a memoria una formula come sarebbe il Credo, ma intendere, per quanto è dato alla nostra povera natura sulla terra, il significato dei dogmi.
Poi successivamente, negli altri doni, domanderemo la grazia di amare la verità, di zelare la verità e di essere i cooperatori della verità: «Ut cooperatores simus veritatis».3 Che diventiamo i cooperatori con Cristo. Egli infatti ci ha detto: «Ego sum lux mundi».4 È qui, Gesù, nel Tabernacolo: «Ego sum lux mundi»; sentiamolo con venerazione e umiltà dalle sue labbra. E sentiamo quello che Gesù soggiunge: «Vos estis lux mundi».5 A vostra volta voi siete la luce del mondo, come siete il sale della terra e la città posta sul monte. «Vos estis lux mundi».
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Ecco: Gesù è la luce; noi dobbiamo essere i riflettori | [Pr 2 p. 103] che l'accolgono e la riflettono sull'umanità. Quindi chiediamo il dono dell'intelligenza della verità. Va bene leggere quello che è scritto nella Epistola della Messa odierna: «In quel tempo Pietro disse: fratelli, il Signore ordinò a noi di predicare al popolo e attestare come egli da Dio è stato costituito giudice dei vivi e dei morti. E tutti i profeti attestano che chiunque crede in lui riceve per il nome suo la remissione dei peccati» [At 10,42-43].
Più avanti si legge che lo Spirito Santo si mostrò apertamente sui gentili che si erano avvicinati e avevano udito Pietro. I fedeli circoncisi, che erano con Pietro, rimasero stupefatti, poiché udivano anche i gentili parlare le lingue e magnificare Dio. Allora Pietro disse: «Vi è forse qualcuno che possa impedire di battezzare con l'acqua costoro che hanno ricevuto lo Spirito Santo come l'abbiamo ricevuto noi?» [At 10,47].
Lo Spirito Santo illuminava i gentili!
Il Vangelo, poi, riporta il tratto di Nicodemo, che va di notte a visitare Gesù. Egli aveva una certa fede, ma era pieno di rispetto umano, quindi, non osando mostrarsi discepolo di Gesù in pubblico, andava a lui di notte. Ed ecco la risposta: «Disse Gesù a Nicodemo: Dio ha talmente amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito, affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il suo Figlio al mondo, per condannare il mondo, ma affinché, per mezzo suo, il mondo sia salvo. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è stato già condannato, perché non crede nel nome dell'Unigenito Figlio di Dio. E la condanna sta in ciò: che venne al mondo la luce, e gli uomini | [Pr 2 p. 104] amarono piuttosto le tenebre che la luce, perché le opere loro erano malvage. Poiché chi fa male odia la luce e non si accosta alla luce, affinché non vengano riprese le opere sue; chi invece opera secondo la verità, si accosta alla luce, affinché si rendano manifeste le opere sue, perché son fatte secondo Dio» [Gv 3,16-21].
Se non fosse venuta la luce, noi non avremmo ragione di condanna: se coloro che stanno in paesi cattolici, che ricevono una santa educazione, non avessero avuto queste grazie, non avrebbero ragione di condanna; ma poiché è venuta la luce, se non si accoglie la verità, se non si pratica ciò che il Vangelo ci
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ha insegnato, allora vi è ragione di condanna. Chi non crede è già condannato, dice Gesù; chiedere il dono dell'intelligenza.
Se domandassimo adesso ad ognuno, anche ai più piccoli: «Chi ti ha creato? Per qual fine Dio ti ha creato? Che cosa sarà dei buoni? Che cosa sarà dei cattivi?» tutti risponderebbero in modo da meritare un bel dieci.
Quando noi chiediamo il dono dell'intelligenza, dono dello Spirito Santo, intendiamo domandare di penetrare queste verità, di avere una luce soprannaturale. Ad esempio: siamo creati per Dio? E allora ordiniamo la vita a Dio; creati per il cielo? E allora ordiniamo la vita al cielo! Dove finiscono i cattivi? Avere, allora, il santo timor di Dio: non voglio finire là. E per non finire là, nel tremendo supplizio, voglio prendere la strada che è stretta, ma che conduce a Dio. Io detesto ogni male, io voglio assolutamente togliermi dalla strada che conduce all'inferno, nonostante veda che molti la prendono.
Occorre che il Vangelo, il Catechismo penetrino | [Pr 2 p. 105] l'anima, così da sentire praticamente queste verità soprannaturali. Vedete quello che disse Gesù a Nicodemo, sentite di nuovo quello che diceva S. Pietro ai fedeli che venivano dalla circoncisione, parlando di quelli che si rivolgevano alla fede dalla gentilità.
Occorre cambiamento di vita; occorre che noi, con letizia ma con generosità, seguiamo veramente quello che abbiamo conosciuto. Vi è anche da sentirsi un po' spaventati. Io con tutta l'abbondanza di luce: prediche, consigli, meditazioni, letture sante, mi carico forse di responsabilità per quando mi presenterò al tribunale di Dio. Ma che scusa porteremo noi, con tanta abbondanza di luce e di grazia?
Avviene talvolta, che ripetendosi le medesime cose, i medesimi avvisi; abituandosi a leggere e magari a recitare le parole del Catechismo e del Vangelo, si arrivi all'indifferenza. Stato d'animo assai penoso e pericoloso: diventare indifferenti! Dall'indifferenza può seguire ogni male, anche un male estremo, perché, aperta la porta e la strada, non si sa dove l'anima si fermi.
Allora chiedere l'intelligenza soprannaturale, la grazia di comprendere, di sentire e di informare6 la nostra vita.
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Come ascoltiamo la parola di Dio? Come si studia il catechismo? Imitiamo forse Nicodemo, il quale diceva a Gesù: «Sappiamo che sei venuto da Dio, perché nessuno farebbe le opere che tu fai se non venisse da Dio», e poi aveva rispetto umano e paura, e si rivolgeva a Gesù soltanto di notte? Egli almeno, alla fine, quando ormai Gesù era spirato sulla croce, si fece un po' di coraggio. E quali risoluzioni prendiamo dalle meditazioni e dalle esortazioni? I | [Pr 2 p. 106] consigli del confessore li riteniamo a mente? Amiamo il Vangelo come il primo libro e l'istruzione cristiana come la prima e principale scienza?
In questa giornata chiedere il dono dell'intelligenza. «Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo» (3 volte). Ripetere nella giornata l'invocazione: «Da tuis fidelibus, in te confidentibus, sacrum Septenarium»: da' ai tuoi fedeli che in te confidano, i tuoi sette doni.
Propositi. E offriamo i nostri propositi a Maria, Regina Apostolorum, perché li presenti a Gesù. Intanto chiediamo l'aumento di grazia, perché nella settimana possiamo comprendere e ottenere questi sette doni.
«Gesù Maestro, accettate il patto...».7
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IL DONO DEL CONSIGLIO1

Nella presente meditazione chiediamo, per mezzo di Maria, il dono del Consiglio. Maria è anche Madre del Buon Consiglio, «Mater boni consilii».
Il dono del consiglio è un lume dello Spirito Santo con il quale l'intelligenza pratica vede e guida nei casi particolari ciò che bisogna fare e i mezzi che bisogna usare. Quindi il dono del consiglio è parte della virtù della prudenza ed è intimamente legato a questa virtù. Come massima da ricordare, abbiamo le parole della Scrittura: «Fili, sine consilio nihil agas», Figliolo, non far niente senza il consiglio [cf. Pro 3,21].
Un grande errore si diffonde specialmente | [Pr 2 p. 107] oggi: uno spirito di indipendenza, che si estende anche alle cose più necessarie, più intime, alle cose spirituali. Dice Leone XIII: «Bisogna che non ci lasciamo ingannare: Dio è il nostro sovrano padrone, ed è Lui che dispone di ognuno, è Lui che conferisce la vocazione: a Lui dobbiamo rendere conto: e secondo che avremo compiuto la sua volontà o no, avremo il premio o la riprovazione».
Ora Iddio Padre è rappresentato sulla terra dai padri spirituali, dai confessori, dai maestri, ecc., i quali rappresentano la paternità divina, come, per un paragone, S. Giuseppe rappresentava la paternità divina rispetto a Gesù. Dobbiamo lasciarci guidare. Il confessore e il maestro rappresentando questa paternità divina, sono interpreti della divina volontà sopra di noi.
È entrato nelle anime, particolarmente oggi, uno spirito di indipendenza, in senso molto largo: si pensa di poter disporre di noi come vogliamo. C'è la libertà! si dice. Ma c'è la libertà nell'ordine, però. C'è la libertà nel compiere la volontà divina: non c'è mai la licenza; c'è la libertà che ci fa figli di Dio: quella è veramente la libertà degna del cristiano e dell'uomo.
Alle volte ci si forma un complesso di persuasioni, di idee che sono poi il risultato di cose udite, di consigli avuti, di impressioni ricevute da compagni, ecc., che fan dire: «A me piace questo»; «A me non piace questo». Come se il piacere per noi potesse convertirsi in dovere! E questo succede tanto riguardo
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alla vocazione, quanto riguardo al modo di corrispondere e di compiere quello che è compreso nella vocazione.
Ci si lascia dominare troppo dall'impressione! | [Pr 2 p. 108] Un giorno tutto entusiasmo e fuoco; l'altro giorno tutti abbattuti per terra.
Diciamo in questi giorni, nel Prefazio della Messa: «Quapropter profusis gaudiis, totus in orbe terrarum mundus exsultat». Per la qual cosa, aperto il varco alla gioia, il mondo tutto esulta. Bisogna sentire questa gioia nel compiere il dovere, ma non la soddisfazione cercando prima il piacere, volendo poi, magari con false persuasioni, con falsi principi, far assurgere il piacere a dovere, cercando di dargli la veste, il colore del dovere. La passione non ci inganni: chiediamo sempre il dono del consiglio.
Questo dono del consiglio nelle cose pratiche, giorno per giorno, ci deve illuminare a scegliere ciò che piace a Dio e a lasciare quello che dispiace a Dio. Esso deve formare, o meglio aiutare la coscienza a formare il giudizio pratico. Posso leggere questo? Posso andare con quella persona? Posso farlo, questo discorso? Cosa devo fare in quest'ora di studio?
Ci assista sempre la Madre del Buon Consiglio, Maria Regina degli Apostoli! E con la sua intercessione ci ottenga che ad ogni momento siamo guidati, non dalla voce della passione, dal piacere, dalla libertà, ma dalla voce di Dio, dal dovere. Altrimenti può anche succedere che uno in tutta la vita faccia il suo piacere, e poi?
Quando si sarà al tribunale di Dio, un raggio di luce sulla nostra coscienza ci svelerà il corso della nostra vita, e vedremo allora se abbiamo seguito il volere di Dio, oppure se abbiamo fatto il nostro volere. E chi avrà seguito il volere di Dio avrà il premio, la ricompensa, ma chi non compie il volere di Dio, bensì il suo, come vorrà essere pagato? In che cosa, per che cosa | [Pr 2 p. 109] vorrà essere pagato da Dio? Dio paga quello che è fatto secondo il suo ordine, secondo la sua volontà.
Notiamo che questo è molto profondo e si deve ricordare specialmente nella giovinezza.
Leggere in questi giorni gli Atti degli Apostoli: in essi si rileva questo fatto: San Paolo ci dà un grande esempio di docilità, nel lasciarsi condurre, nel compimento della missione e nel suo apostolato, dal consiglio altrui. Quando fu atterrato sulla via di
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Damasco e domandò: «Che cosa devo fare?» si rivolse a Gesù Cristo; ma Gesù Cristo lo ha mandato a chiedere ai suoi ministri: «Entra in città; lì ti verrà detto ciò che dovrai fare». Infatti il Signore avvertì Anania, lo mandò a Saulo, il quale in Damasco, da tre giorni, digiunava e pregava; e Anania lo invitò a ricevere il Battesimo e glielo conferì. Saulo divenne cristiano, divenne il vaso di elezione.
Allora capì, almeno in confuso, la sua missione. Operò secondo il consiglio di Anania; si ritirò nel deserto di Arabia, passò là anni in lavoro, preghiera, mortificazione, letture, meditazione. Poi si ritirò di nuovo a Tarso, sua patria, e stette là vivendo da buon cristiano. Arrivò Barnaba, ispirato da Dio, lo invitò ad Antiochia a partecipare alla predicazione che in quel tempo raccoglieva tanti seguaci a Gesù Cristo. E Saulo si lasciò condurre dal consiglio. Barnaba era molto stimato per la sua prudenza e per la sua pietà [cf. At 9,20-30].
Paolo trascorse qualche tempo con i sacerdoti | [Pr 2 p. 110] che dirigevano quella Chiesa: egli non si faceva avanti, non chiedeva cosa fare, ma venne il consiglio dall'alto: «Mettetemi a parte Saulo e Barnaba... per il ministero al quale li ho eletti» [At 13,2]. Lo Spirito Santo si faceva sentire: Paolo docile, dopo digiuni e preghiere, viene ordinato. E allora parte per la sua missione.
S. Paolo è un esempio di docilità alla grazia; è l'esempio di chi si lascia condurre da coloro che gli rappresentano Dio. Chissà, in quel cuore così ardente, quanti desideri c'erano, quanti progetti, quanta voglia di predicare Gesù Cristo! E già l'aveva dimostrato a Damasco stesso, dopo la conversione. Ma è docile e agisce secondo il consiglio che gli viene dato.
«Figlio, non far nulla senza il consiglio» [cf. Pro 3,21]; allora, dopo il consiglio, non avrai da pentirti.
C'è la direzione spirituale? In primo luogo nel confessionale? In secondo luogo quella per mezzo del Maestro e di chi guida il reparto? Si mette l'anima, si mette la volontà nelle mani di colui che guida? Questo è il nostro compito. Pregare per colui che il Signore ci ha messo avanti come guida; o nel confessionale, o all'esterno; pregare, invocare i lumi e stare attendendo il suo consiglio, per seguirlo fedelmente.
Manifestarsi sinceramente, dire tutto; dire tutto e rimettersi nelle mani di chi guida. Pregare per lui. Venerarlo come il rappresentante
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di Dio, sapendo che quando noi avremo fatto la nostra parte e ci saremo disposti a ricevere bene il consiglio che ci verrà dato, non sbaglieremo. E se si sbagliasse, dopo aver fatto tutta la nostra parte, il Signore provvederà; | [Pr 2 p. 111] ma non sbaglieremo, infine, e avremo il premio.
Non crediamoci indipendenti da Dio: siamo figli di Dio!
A che cosa varrebbe essere battezzati, se poi facessimo il nostro volere? Che cosa varrebbe recitare il «Padre nostro che sei nei cieli»? Sei tu figlio di Dio? Vuoi fare il volere suo o vuoi fare il tuo volere?
Qualche volta, quando ci comunicheranno il volere di Dio, sentiremo ripugnanza o ribellione interna; si arriverà anche alle lacrime... E tuttavia, se noi ci rimetteremo al Signore: «Non mea sed tua voluntas fiat!»,2 avremo la sua benedizione. Quando il Signore ci guida per una strada, semina le grazie in essa.
Il volere di Dio è sempre accompagnato dal suo aiuto, dalle sue benedizioni. Dove andremo di nostro capriccio, di nostra volontà, troveremo tante spine, senza le consolazioni; ma quando andremo avanti nel volere di Dio, troveremo anche delle spine (come Gesù che ne fu incoronato), ma avremo consolazioni intime, e le opere riusciranno.
«E tu sarai come una pianta la quale sta sopra una sponda del fiume in prossimità dell'acqua. Questa pianta a suo tempo si svilupperà e produrrà rami, foglie, fiori e abbonderà di frutti» [cf. Ez 47,12].
Siamo saggi! Lo Spirito Santo ci illumini!
Tanti anni fa non vi era l'abitudine della Comunione frequente, tanto meno quotidiana. Nell'ottava della Pentecoste il nostro Superiore ci predicò i sette doni dello Spirito Santo. E arrivato alla fine di questa meditazione sul dono del consiglio, ci disse: «Sentite: per crescere bisogna mangiare. Ora vorrei che il frutto dell'ottava di Pentecoste fosse questo: | [Pr 2 p. 112] Cambiare idea sopra il comunicarsi e rompere la tradizione di comunicarsi raramente; avete troppo bisogno di nutrimento spirituale». In quell'ottava si è cambiato totalmente idea circa la Comunione frequente e per la fine di giugno, tutti noi abbiamo fatto una colletta
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e abbiamo comperato una grande pisside, che abbiamo offerto in riconoscenza al Superiore.
Ora questo bisogno non c'è, ma volevo dire di fare un proposito fermo e cambiare in certe cose: pensieri e modo di agire e comportamento e indirizzo; vorrei quasi dire: cambiare vita. Anzi bisogna dirlo: cambiare vita per molte cose.
Siamo docili figli di Dio. Dio è rappresentato sulla terra dai padri spirituali: rimettiamoci a loro. A che chiamare i Sacerdoti «Padri», se poi noi non siamo figli di Dio docili, né figli di coloro che ci rappresentano Dio? «Erat subditus illis»,3 si dice di Gesù. Era soggetto a Giuseppe, che gli rappresentava il Padre Celeste.
Esame: Quali sono le nostre idee a questo riguardo? Non vi è niente da correggere in noi? da rimediare? Diciamo per scusarci: «Io ho la mia coscienza». Ma la coscienza può essere errata. Sono un docile figlio nelle mani di Dio e di colui che mi rappresenta Dio? Oppure ho i miei capricci che mi guidano? In fondo cerco il piacere o il dovere? Cerco di piacere a me stesso, o cerco di piacere a Dio? E nel dovere sono persuaso che troverò anche il piacere, cioè la consolazione che viene da Dio Padre ai suoi figli?
Proposito.
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[Pr 2 p. 113]
IL DONO DELLA FORTEZZA1

I doni dello Spirito Santo sono sette: i primi quattro riguardano specialmente la mente, l'intelligenza; i tre ultimi riguardano specialmente la volontà, il cuore.
Sempre la stessa domanda in questa ottava: «Sacrum septenarium, da tuis fidelibus».2 Occorre che mettiamo però questa confidenza: ottenere i doni dello Spirito Santo per intercessione di Maria, Regina Apostolorum.
Il dono della fortezza è una virtù permanente che lo Spirito Santo comunica alla nostra volontà, per vincere gli ostacoli che ci allontanerebbero dalla pratica delle virtù. Quindi è un dono che si risolve nella virtù cardinale della fortezza. Esso specialmente investe la nostra volontà e la rende robusta per operare il bene. Sarebbero particolarmente due le manifestazioni: «Magna pati», soffrire grandi cose, e «fortia facere» fare cose forti.
Il giovane che, dedicatosi agli studi, vi attende con impegno, fino a un buon risultato, che coroni bene le fatiche sue, si mostra forte. Il giovane che si propone di raggiungere la santità e, nonostante tutte le tentazioni, le difficoltà esterne e forse anche debolezze e cadute, sempre si riprende e ogni giorno dice: «Oggi incomincio», è forte! Coloro che si dedicano all'apostolato e non guardano a destra o a sinistra gli ostacoli che si frappongono, ma camminano, sono forti.
Nelle Isole Filippine, mi hanno presentato | [Pr 2 p. 114] il resoconto della visita alle famiglie di 470 parrocchie, sparse nelle varie isole che formano quella Nazione. Le Suore si erano spinte fino nei posti più difficili per comunicazioni e più remoti. Ecco fortia facere.
Ora questa fortezza la dobbiamo chiedere allo Spirito Santo. Vi sono caratteri più volitivi per natura, più fermi, e questa è già una disposizione naturale che è buon fondamento al dono della fortezza. «Voglio il bene!». Ma poi, quando si tratta di farlo, «al peggio mi appiglio».3
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Siamo così deboli, così inclinati al male! Accostiamoci al Maestro Divino. Egli nel Getsemani confessava la sua debolezza: «Spiritus promptus... caro infirma».4 Non lo sentiamo tutti? Propositi ne facciamo molti! Confessando la nostra debolezza, diventiamo forti per la grazia di Dio.
Vedete chi ci conduce! Guardiamo i nostri capitani: Gesù Cristo, il quale sofferse grandi pene; Paolo, il quale consuma ogni giorno della vita per Gesù Cristo e narra egli stesso le pene sofferte. Pietro, il quale muore crocifisso.
Guardiamo il Papa: vi è forse una dinastia che sia stata illustrata così come il Pontificato Romano? Una novantina di questi Papi sono o santi o beati. E di altri la causa di canonizzazione procede. Questi sono i nostri capitani. Guardiamo i Santi: «Per multas passiones et tentationes transierunt et profecerunt».5
Gente che vorrebbe farsi santa, ma senza tentazioni, con il cielo sempre sereno, lodata da tutti, approvata a destra e a sinistra, facendo quello che desidera la natura: dormire finché piace e soddisfarsi in tutto! «Christus non sibi placuit».6 Ma che seguaci siamo? Quante volte | [Pr 2 p. 115] Gesù Cristo, volgendosi indietro mentre porta la croce, può vedere quello che già vide sulla strada del Calvario! Chi lo seguiva? La donna forte, Maria; ma gli altri? Occorre chiedere questo dono.
La nostra fortezza sta nel confessare la debolezza e, confessando la debolezza, diveniamo potenti nella preghiera. Il bambino, la donna che pregano, alle volte sono più forti del soldato armato, perché confessano la debolezza e supplicano, e la preghiera supplisce alla fortezza, che in essi non è.
È utile che ricordiamo quale effetto produsse lo Spirito Santo negli Apostoli, dopo che discese su di essi nel Cenacolo. Disceso lo Spirito Santo, gli Apostoli parlavano varie lingue: e chi li ammirava e chi li accusava di essere ubriachi. Ma Pietro, che durante la Passione si era mostrato debole di fronte a una donnetta, riempito di Spirito Santo, ardente di zelo, fece un discorso in cui manifestò tutto il suo amore a Gesù Cristo, nulla
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temendo, sfidando i pericoli... | [Pr 2 p. 116] Dopo aver difeso se stesso e i suoi compagni, Pietro passa ad accusare. E continua esortando gli ebrei a riconoscere in Gesù Cristo il vero Messia [cf. At 2,1-24].7
È molto utile considerare anche la fortezza in S. Paolo. La sua fortezza si manifesta in tutta la vita, ma ricordiamo solamente questo episodio: Paolo era in viaggio per Gerusalemme; arrivato a Mileto, mandò ad Efeso a chiamare gli Anziani della Chiesa. E venuti essi da lui, e stando insieme, disse loro: «Voi sapete in qual maniera, dal primo giorno in cui entrai nell'Asia, mi sia diportato sempre con voi, servendo al Signore con tutta umiltà, fra le lacrime e le prove che mi son piombate addosso per le insidie dei giudei; come non mi sia risparmiato per annunziarvi ed insegnarvi delle cose utili sia in pubblico che per le case, inculcando ai giudei ed ai gentili la penitenza verso Dio e la fede nel Signore nostro Gesù Cristo. Ed ora ecco che io, costretto dallo Spirito Santo, vado a Gerusalemme, non sapendo quali cose là mi abbiano ad | [Pr 2 p. 117] accadere: se non che lo Spirito Santo in tutte le città mi assicura e mi dice che catene e tribolazioni mi attendono a Gerusalemme.
Ma nessuna di queste cose io temo, né tengo la mia vita più di me, purché io compia la mia missione e il ministero ricevuto dal Signore Gesù, per rendere testimonianza al Vangelo della grazia di Dio. Io so che voi tutti, fra i quali son passato predicando il regno di Dio, non vedrete più la mia faccia. Perciò vi prendo in questo giorno a testimoni come io sono mondo del sangue di tutti. Infatti non mi sono mai ricusato di annunziare tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi per pascere la Chiesa di Dio, acquistata da lui col suo sangue. Io so che, dopo la mia partenza, entreranno tra voi dei lupi rapaci che non risparmieranno il gregge. Ed anche in mezzo a voi stessi si leveranno su degli uomini ad insegnare cose perverse, per trarsi dietro dei discepoli. Perciò vegliate rammentandovi che per tre anni non ho mai cessato dì e notte di ammonire con lacrime ciascuno di voi. E ora vi raccomando a Dio, alla Parola e alla grazia di lui che può edificare e darvi l'eredità tra tutti i santi suoi. Non ho bramato
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né argento, né oro, né vesti di alcuno. Voi lo sapete che al bisogno mio ed a quelli che son con me hanno provveduto queste mie mani. E in tutto vi ho dimostrato che sì lavorando bisogna soccorrere gli infermi, ricordandosi delle parole del Signore Gesù, il quale disse: è meglio dare che ricevere. Detto questo postosi in ginocchio pregò con tutti loro. E fu grande il pianto di tutti, e, gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano afflitti soprattutto per quella parola che egli | [Pr 2 p. 118] aveva detta loro, che non vedrebbero più la sua faccia; e lo accompagnarono alla nave» [At 20,18-38].
Paolo sapeva di andare a Gerusalemme e conosceva dallo Spirito Santo che là lo attendevano grandi pene. Si fermò forse? Evitò di entrare a Gerusalemme? Tutt'altro; sull'esempio di Gesù Cristo, che quando si avvicinava la passione camminava più frettolosamente verso Gerusalemme, luogo del suo martirio, del suo sacrificio.
Ma di chi siamo figli? I primi cristiani, guardando a quelli che erano già passati al riposo, dicevano: «Siam figli di martiri!». Quanta gente oggi senza carattere! Mancano i caratteri, caratteri cristiani. Gente che un giorno vuole e all'indomani è per terra: ogni momento occorre arrivare con l'asciugamano per tergere le lacrime e rialzare...
Ma di chi siamo figli? E per che cosa lavoriamo? Per la vita o per l'eternità? «Voglio studiare!» e poi non studiano. «Voglio farmi santo!» e poi birichinate. Lettere in cui promettono di andare a prendere la luna e metterla nel sacco. E poi se si va a vedere!... Poveri esami, alle volte! E quando si arriva alla sera, si è poco soddisfatti della giornata.
Ad Allahabad, in India, ho domandato al Superiore che aveva finito la chiesa alla Regina degli Apostoli - una bella chiesa in stile orientale, non tanto grande, ma capace e sufficiente per i bisogni - con quali intenzioni l'avesse costruita. «Ottenere che in questi giovani, in queste vocazioni vi sia più costanza, più fermezza e decisione. Che non si abbattano per qualunque tentazione».
E la stessa domanda noi facciamo oggi per intercessione di Maria. «Sacrum septenarium». La fortezza! Vi è qualche cosa da soffrire? | [Pr 2 p. 119] Per il Paradiso. E non è un bene abbastanza grande per farci coraggio? «Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni
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pena mi è diletto» diceva S. Francesco d'Assisi. Savio Domenico, giovanetto ma dotato di fortezza, diceva: «La morte, ma non il peccato».
Quando S. Francesco di Sales andò a studiare a Parigi, e si trovò fra giovani molto guasti, si prese come proposito queste parole: «Non excidet!»8 Portava a Parigi la stola battesimale: «Non la lascerò cadere nel fango: non excidet». E portò l'innocenza alla morte.
Esame: Siamo noi persone deboli o forti: nella pietà, nei propositi, nello studio, nella disciplina, nella vita religiosa?
Propositi.
«Refugium peccatorum...»; «Regina Apostolorum...»; «Regina in cœlum Assumpta...»;9 «Gesù Maestro, accettate...».10
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IL DONO DELLA SCIENZA1

I doni dello Spirito Santo operano in noi in modo simile alle virtù: le virtù in modo umano, i doni dello Spirito Santo in modo soprannaturale. Sono moti dello Spirito Santo che ci spingono a praticare il bene, a compiere i nostri doveri; ci spingono verso la santificazione. I doni dello Spirito Santo, quindi, rendono più facile ciò che di per sé sarebbe difficile; più facile la pratica delle virtù teologali, delle virtù cardinali, | [Pr 2 p. 120] delle virtù morali, delle virtù religiose: più facile la pietà; più facile l'adempimento dei nostri doveri, dei nostri uffici. Invochiamo sempre lo Spirito Santo e i suoi doni. Quando viene lo Spirito Santo è creata una vita nuova in un'anima: «Emitte Spiritum tuum et creabuntur».2 E se lo Spirito Santo effonde maggiormente i suoi doni, allora si cammina con animo ilare, generoso nella via della santità; quasi non si sente il peso, sebbene in realtà il peso, le difficoltà ci accompagnino sempre.
Il Profeta annunziò che sopra Gesù Cristo sarebbe disceso lo Spirito Santo. «Requiescet super illum spiritus sapientiæ et intellectus, spiritus scientiæ et consilii, fortitudinis, pietatis, timoris Dei».3
Come su Gesù Cristo, così deve avvenire sopra di noi, affinché viviamo come Gesù Cristo, e Gesù Cristo viva in noi, sebbene i doni riguardo a noi operino in ordine diverso.
Dobbiamo chiedere, stamattina, al Signore il dono della scienza. Non pensiamo subito alla matematica o alla storia, o in generale alle scienze naturali.
Che cosa s'intende qui col nome di scienza?
Il dono della scienza è una luce soprannaturale dello Spirito Santo, la quale ci mostra come la verità di fede è degna di essere creduta, di essere accettata anche per motivi ricavati dall'ordine naturale, e ci porta a sollevarci dalle cose della terra verso Iddio, il cielo.
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Quando il Salmista dice: «Domine, Dominus noster, quam admirabile nomen tuum in universa terra»,4 egli si eleva dalla terra al Creatore. «Come è ammirabile il tuo nome» e cioè: «come sono grandi le tue opere!» I cieli magnificano il tuo | [Pr 2 p. 121] potere; l'ordine del creato, anzi le cose stesse del creato, ci mostrano che tu tutto hai fatto, che tutto viene da te e tu tutto hai disposto in numero e peso e misura, e tutto hai ordinato a un fine solo: che le creature ti conoscano, ti lodino e, lodandoti, abbiano la loro felicità.
Le creature, anche mute, parlano a chi ha il dono della scienza. Il fiorellino che si apre al mattino, l'uccello che canta, il mare immenso, le montagne imponenti e tutto quello che si svolge e si è svolto nella storia: tutto ci parla di Dio, di quel Dio sapientissimo il quale si è proposto, creando, di manifestare quello che Egli è, perché la creazione è una rivelazione, e beato chi sa leggere nel libro della creazione.
Ma vi sono quelli che guardano solo la terra e non sanno elevarsi, non sanno glorificare Iddio, non sanno chiedersi conto delle cause, come se non avessero la ragione.
Mangiano quotidianamente il pane della provvidenza, la quale è sempre materna riguardo ai figli buoni e anche a quelli che sono discoli, e non sanno dire: Signore, vi ringraziamo del cibo che ci avete dato. Siedono a mensa e non pensano che quel pane è stato preparato dal Padre Celeste, e si alzano quasi mormorando per non essere stati maggiormente soddisfatti.
S. Francesco d'Assisi, che capiva il gran libro della natura, dalle cose del creato, elevava i suoi inni e i suoi atti di amore verso Dio. Come può, colui che riflette e ha il dono della scienza, vedere le cose e non adorare Iddio? La Scrittura dice: «Il bue conosce la stalla e le bestie conoscono il padrone: l'uomo alle volte non conosce il suo padre, il Padre Celeste» [cf. Is 1,3].
Adorare Dio dinanzi agli spettacoli meravigliosi | [Pr 2 p. 122] della natura. E questo è molto più facile quando noi consideriamo una notte del mese di maggio, ad esempio, in cui il cielo stellato sembra dirci che quelle luci sono come un simbolo e ricordano che dietro di esse gli angeli del cielo stanno cantando le lodi al
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loro creatore. E quelle stelle, fatte da Dio, sono come lampade accese da Dio stesso, perché tutto deve concorrere e tutto deve essere rivolto alla lode di Dio. «Universa propter semetipsum operatus est Dominus».5 Come si può ricevere tanti benefici nella giornata: l'esistenza, l'essere cristiani per dono di Dio, l'essere stati conservati nell'esistenza e condotti ai pascoli salutari della Congregazione, senza elevarci all'amore di Dio?
Vi sono persone che si lamentano di non aver abbastanza predicazione: mi pare che non abbiamo abbastanza riflessione. Tutte queste voci che si elevano attorno a noi, e poi le voci che procedono dallo Spirito Santo che parla al nostro cuore, non ci dicono niente?
Gente sorda e muta, siamo! Sordi che non comprendiamo le voci di Dio, e muti che non sappiamo riferire a Dio ciò che da Dio abbiamo ricevuto. Perciò di cuore diciamo: «Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, conservato in questa notte, condotto in questa Congregazione...».6
Quando sapremo usare rettamente del dono immenso che Dio ci ha fatto dandoci la ragione? Quanti sragionamenti! La ragione c'è, ma l'uso della ragione non c'è sempre. Eppure Iddio disse: «Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram».7 Facciamo l'uomo non più come le altre creature, ma a somiglianza nostra. Iddio aveva creato il cielo, la terra, le piante, i pesci, i fiori, la luce, le stelle; ma quando si | [Pr 2 p. 123] tratta di creare l'uomo sembra che la SS.ma Trinità si sia raccolta a consiglio. E da quel consiglio derivò il decreto: «Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram». Ora questi uomini, che si abbassano e non sanno elevarsi dalle cose che li circondano alle cause, ai principi, sono fatti ad immagine di Dio, hanno l'uso della ragione; ma quante volte l'usano contro Dio o vanamente!
La Provvidenza di Dio deve portarci alla riconoscenza verso il Signore. La Provvidenza di Dio ci segue in ogni momento, nell'ordine della natura e nell'ordine della grazia.
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Chiediamo perdono al Signore di non essere stati abbastanza riconoscenti per i benefici ricevuti. Sapendo poi che ogni bene procede da Dio, continuiamo ad invocare la misericordia di Dio.
E adesso, per fermarci su qualche punto in particolare e concretare qualche frutto della meditazione, riflettiamo a questo: da tutto ciò che ci accade di lieto e di triste, sappiamo elevarci al Signore?
Noi abbiamo tanti doni: la scuola, lo studio, l'apostolato, il pane eucaristico, il pane della divina parola, l'assistenza, l'aiuto quotidiano di chi insegna, di chi guida, i Sacramenti. Riconoscenza a Dio, amore a Dio. Corrispondenza a tutte queste grazie.
Si corrisponde alla grazia dell'Eucaristia sentendo bene la Messa, facendo bene la Comunione e la Visita. Così si corrisponde all'istruzione e alle scuole che si ha la grazia di frequentare, con lo studio, con l'attenzione, con l'applicazione, con il ricordare. Corrispondenza alla grazia!
E se nella nostra vita il Signore è stato buono con noi, eleviamoci ad amarlo di più. Vi sono persone che quando | [Pr 2 p. 124] sono in buona salute, camminano altere; quando succede loro qualche cosa di prospero, hanno una soddisfazione soltanto umana. Tutto viene da Dio, riconoscenza! E tutto ci spinga ad amarlo.
Invitiamo pure le creature: il sole, l'acqua, le stelle, poiché Iddio è creatore di tutto, a lodare il Signore, a benedirlo. Quanti dovrebbero ricordare molto di più il gran bene di essere nati nella Chiesa Cattolica, in una buona famiglia, di aver ricevuto in famiglia e in parrocchia una educazione saggia, cristiana, pia.
Noi ci sentiamo mossi a ringraziare, ad amare chiunque ci fa un piccolo beneficio; ma noi siamo circondati dai benefici di Dio, più che il pesce dall'acqua. E se arrivano a capire questo anche persone non ancora illuminate dalla rivelazione del Vangelo, quanto più dovremmo capirlo noi!
Dai nostri peccati stessi ricaviamo del bene: se la storia è maestra dei popoli, la nostra vita, la nostra esperienza personale, è maestra a ciascheduno.
Ricaviamo sempre insegnamenti. Si può dire che un anno fa scuola all'altro, se siamo attenti. E quando ricordiamo di avere offeso Iddio, allora camminiamo con maggiore umiltà, preghiamo di più, vigiliamo sopra noi stessi, sopra le persone che ci possono indurre al male e sopra i pericoli che si incontrano. Vigilanza!
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D'altra parte, pensando che il Signore ci ha sopportato fino adesso, amiamolo di più e impegniamoci a servirlo più fedelmente. E se ogni mattina, guardando il calendario, ci accorgiamo che un'altra giornata è passata per noi, pensiamo: La vita se ne va, «solum mihi superest | [Pr 2 p. 125] sepulcrum».8 Mi rimane soltanto il sepolcro? Mi rimane anche il Paradiso. Ora voglio lavorare per il Paradiso: la giornata di oggi sia santa. Nessuna offesa al Signore. Nessuna mancanza volontaria, ma impegno. Il quotidiano compimento dei nostri doveri è un continuo inno di amore che noi eleviamo alla SS.ma Trinità.
Interroghiamoci. Sappiamo leggere il libro del creato? Qui sopra bisognerebbe fare lunghissime meditazioni! Usiamo bene della ragione? Invochiamo bene lo Spirito Santo perché ci infonda il dono della sapienza?9 Siamo riconoscenti alla Provvidenza? I sentimenti di adorazione, ringraziamento, umiltà, supplica, sono spontanei in noi?
Ricaviamo dalla vita quegli ammaestramenti, quelle esperienze che nell'ordine di Dio noi dovevamo ricavare? E il bene ci spinge ad un maggiore amore di Dio? E il male commesso ad una maggiore umiltà, vigilanza, preghiera?
Atto di dolore.
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IL DONO DELLA PIETÀ1

In questa meditazione abbiamo da chiedere, per intercessione di Maria, il dono della pietà.
Il dono della pietà mette nell'anima nostra l'inclinazione, la facilità ad onorare ed amare Dio come nostro Padre e a rimettere in Lui ogni nostra confidenza filiale.
Quindi il dono della pietà è qualche cosa di più che la semplice virtù della religione: è come | [Pr 2 p. 126] l'anima della stessa religione e delle stesse pratiche divote che noi dobbiamo fare.
Nella pietà noi amiamo il Signore come nostro Padre e amiamo i figli di Dio come nostri fratelli. «Dedit eis potestatem filios Dei fieri».2
Sentire la bontà del Padre; sentirci figli docili, affezionati a questo Padre.
Non ha lo stesso valore un cantico a Dio fatto con pietà filiale e un cantico eseguito solo materialmente. Nella pietà vi è l'amore, e le parole prendono un grande senso. Quando manca lo spirito di pietà, si può eseguire bene un canto, ma senza sentimento; quando invece c'è la pietà, allora si sente quello che si dice, quello che si canta a Dio. Alcune volte specialmente, sentendo i canti qui nella Cripta, si sente che escono dall'anima.
S. Gregorio [Magno], il quale compose il canto che prende da lui il nome, era un'anima che sentiva.
Domenica scorsa, ad es. mentre ascoltavo l'«Exultate»3 dopo Vespro, pensavo che soltanto lo Spirito Santo doveva avere ispirato i sentimenti di gioia e di amore che venivano espressi da quel canto commovente. E credo che ognuno, comprendendolo, si sia sentito commosso e portato a Dio.
Alle volte si può eseguire soltanto la parte tecnica e a qualcuno, una volta eseguita la parte, può sembrare quasi lo stesso cantare il Te Deum o cantare il Miserere.
Occorre sentire e questo sentire viene dallo Spirito Santo. Chi ha il dono della pietà, nel canto ci vede l'arte, ma ci
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vede nello stesso tempo l'amore a Dio, lo spirito. Sentite queste due espressioni. S. Pietro si presenta a Gesù | [Pr 2 p. 127] che ha annunziato l'istituzione della Santissima Eucaristia, e dice con grande sentimento: «A chi dovremo rivolgerci; da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» [cf. Gv 6,68]. Parole che corrispondono a quell'altro atto di fede sincera: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente» [Mt 16,16].
Si presentano a Gesù, in altra occasione, i Farisei che gli dicono: «Maestro, sappiamo che sei verace, e che insegni le vie di Dio in verità» [Mt 22,16]. Le due espressioni, quella di Pietro e quella dei Farisei, materialmente ci sembrerebbero uguali; ma quale differenza di spirito! Pietro esprimeva una fede sentita, dava sfogo al suo cuore pieno di amore a Gesù; questi farisei, invece, erano ipocriti e fingevano esteriormente un affetto, una sincera fede in Gesù, ma il loro cuore era pieno di inganno e di falsità. Si meritarono, quindi, la risposta di Gesù: «Ipocriti, mostratemi la moneta», onde distinguere se il censo era dovuto o no a Cesare [cf. Mt 22,18-19].
Quando si ha il dono della pietà, la Comunione, la Messa, la Visita prendono un senso speciale. Quando si ha il vero spirito di pietà, si ama la Vergine SS.ma come madre, si ha intimità con Gesù. Le vite di Santi che leggiamo, alle volte hanno espressioni che ci sembrano quasi esagerate, ma quelle espressioni uscivano dall'anima, dal cuore dei santi. Era il dono della pietà che li faceva parlare.
Quando si ha vera pietà, quale divozione e amicizia con l'Angelo Custode! Quale sentimento di compassione e di affetto per le anime del purgatorio, e perciò quanto sentita questa divozione!
Una volta ho partecipato al funerale di una | [Pr 2 p. 128] persona che nella città aveva occupato un posto distinto e quindi vi era un accompagnamento assai numeroso. Dietro di me, persone che camminavano col capo coperto e discutevano di politica e di affari. Vi era la pietà? Dinanzi invece vi erano persone di vero spirito: persone che sentivano la perdita di quella persona cara, benefica; sentivano il bisogno di suffragarla e meditavano le lezioni di bontà lasciate dal defunto. Quando il Parroco fece il discorso funebre in chiesa, quante lacrime versò quella popolazione! La gente, invece, che accompagnava il defunto solo per
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riguardo umano, era stata fuori della chiesa, aspettando solo che la sepoltura fosse finita per accompagnare ancora la salma al camposanto.
Quando c'è la pietà, il lavoro di tipografia è apostolato, espressione di amore alle anime, lavoro per la loro salvezza. Quando non vi è la pietà, è un semplice lavoro manuale, un lavoro comune, e perciò oggi la stampa del Vangelo, domani disposti a stampare qualsiasi cosa, tanto è sempre lavoro, purché sia pagato. Colui che ha il dono della pietà, sente la vocazione; per colui che non ha il dono della pietà, la vocazione è un essere capitati lì, e quella via intrapresa è come la risultante di un complesso di fatti contingenti, i quali sono stati guidati dal capriccio e dalle circostanze; per loro non è la mano di Dio, che ha operato in essi, che ha guidato, ha condotto e sostiene.
Si possono fare le cose più sacre senza sentimento. Può essere che uno sia costretto un giorno a lasciare le pratiche di pietà, perché non può andare in chiesa essendo in viaggio, o infermo, e intanto dal suo letto o dal treno rivolge a Dio | [Pr 2 p. 129] sentimenti di fede, di amore e, non potendo fare la Visita, recita tante preghiere, occupa l'ora in una maniera che, alle volte, riesce assai fruttuosa. Quando c'è la pietà, anche se circostanze esterne, per es. visita ai parenti, viaggi, ecc. portano a variare l'orario, la pietà si compie, anche con più sacrificio, con più merito. Ma quando non c'è la pietà, non essendo guidati o dall'orario o dalla regola o dall'occhio del superiore, una cosa si tralascia, l'altra si fa male.
C'è la convinzione, c'è il vero amor di Dio, c'è la vera divozione a Maria? C'è l'affetto alle anime del Purgatorio? C'è la confidenza in San Giuseppe? La convinzione che S. Paolo deve guidare, illuminare il nostro apostolato?
Oh! l'affetto del Cuore di Gesù per noi! «Venite ad me omnes qui onerati estis».4 Venite tutti a me, voi che siete affaticati e gemete sotto il peso dei peccati: vi ristorerò! «Vos amici mei estis», voi siete miei amici perché a voi ho confidato tutto. Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini! Ecco che, quando si ha questo dono della pietà, la vita e le pratiche di pietà sono più consolatrici, sono bene intese e tutto si fa con frutto e con gioia.
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Ora noi dobbiamo interrogarci: Amiamo Dio veramente come Padre? Abbiamo vera confidenza in Lui? Amare Dio come Padre; amare Gesù, il suo Cuore Sacratissimo.
Com'è la nostra divozione a Maria Santissima? Come sono le altre pratiche di pietà che facciamo? Quando si ha la vera pietà, si teme l'offesa di Dio, perché lo si ama come Padre e non si ammette il peccato veniale, perché disgusta Dio, perché è una spina che si infigge nel Cuore Sacratissimo di Gesù; si è delicati, si sente | [Pr 2 p. 130] il dovere della riparazione della nostra vita passata e delle offese che si commettono contro Gesù Cristo, la sua Chiesa, i suoi Ministri.
Come siamo noi? Quando c'è il dono della pietà, si sente pena se Gesù viene bestemmiato e se alla domenica i cristiani non compiono il loro dovere della Messa e del riposo festivo. Se vi sono scandali per i piccoli, se vi sono traviamenti per le anime, il cuore si commuove. «Misereor super turbam»5 diceva Gesù: Ho pietà di questo popolo!
E allora ecco lo zelo, che è una cosa spontanea. Si sente compassione delle anime e si vogliono soccorrere in tutte le maniere possibili. Quando non si può più lavorare, vi è ancora l'apostolato della preghiera, e lo si ama. Il «Cuore divino di Gesù»6 prende un senso nuovo sulle labbra. Quando vi è il vero amore ai fratelli, ecco che si comprende l'apostolato della sofferenza, l'apostolato dell'esempio. Tre apostolati che sono sempre possibili in tutte le circostanze in cui veniamo a trovarci, in tutte le condizioni di vita.
«Misereor super turbam!». Quante anime che sono sulla via della perdizione, muovono a compassione! Allora vien fuori l'espressione: «Da mihi animas; cætera tolle»,7 espressione dei Santi, che equivale a tante espressioni uscite dalle labbra benedette di Gesù.
Ho sentito, qualche tempo fa, due espressioni. Uno, ricevuto un piccolo dispiacere per un'offesa, esclamò: «Me la pagherai!». Mancanza di amore fraterno, di pietà fraterna. Invece un
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altro, nelle stesse condizioni, disse: «Pregherò di più per lui e cercherò di guadagnarlo con l'affetto | [Pr 2 p. 131] e con i servizi che gli potrò fare». Pietà fraterna, questa.
Esame. Atto di dolore.8
Ora recitiamo il «Patto» per chiedere al Signore la grazia di compiere il nostro apostolato con amore fraterno e di fare le nostre pratiche divote in spirito di amore filiale a Dio.
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IL DONO DEL TIMOR DI DIO1

Chiediamo stamattina allo Spirito Santo il dono del timor di Dio. Questo dono è l'ultimo nell'elenco, ma forma la base per ottenere gli altri doni.
Il timore di Dio serve di fondamento agli altri doni. Esso allontana il peccato e ci induce a rispettare la giustizia di Dio, la sua maestà e la sua bontà; a comprendere e a eseguire la sua volontà con spirito soprannaturale. Così ieri abbiamo meditato che il dono della pietà ci porta ad amare la sacra Liturgia. Chi ha il dono della pietà, nelle cerimonie non vede solo dei movimenti; nel canto non ascolta solo delle parole cantate sopra delle note; in tutta la Liturgia non vede solamente un culto esterno, ma in tutto vede ed opera con spirito di fede. Sono atti esterni che procedono dalla fede interiore, dall'interiore amore di Dio, e che la sacra Liturgia riempie di spirito soprannaturale. Occorre che sia eseguita con spirito soprannaturale, proceda da spirito soprannaturale, ma aumenta anche questo spirito soprannaturale. La Liturgia, quando è bene intesa, riempie di gioia le anime.
[Pr 2 p. 132] Ora chiediamo invece il dono del timore di Dio. Esso ci allontana dal peccato e ci apre l'accesso alla Divina Maestà, alla divina bontà: ci apre la porta per avvicinarci a Gesù, a Maria nostra Madre.
La Chiesa, sabato scorso vigilia della Pentecoste, ci ha fatto vedere come i nuovi battezzati sono diventati figlioli di Dio; e ora, sabato delle Quattro Tempora,2 mostra come la Chiesa prepara le anime dei padri, i Sacerdoti. Questi devono allontanare il peccato, combattere il peccato. Il Vangelo infatti ci ricorda il miracolo di Gesù quando guarì a Cafarnao la suocera di Pietro. Ora il Breviario commenta: Se Gesù guarì dalla febbre quella donna, «Febris nostra avaritia est, febris nostra luxuria est, febris nostra superbia est»3 e cioè: andiamo da Gesù, perché ci
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guarisca dal male della lussuria, della superbia, dell'avarizia. Questa è la febbre da cui dobbiamo chiedere di essere risanati.
Siccome oggi finisce l'ottava della Pentecoste, ecco che noi dobbiamo insistere presso Maria e domandarle: «Con la tua onnipotenza supplichevole ottieni sui chiamati all'apostolato una nuova Pentecoste: accendili, illuminali, santificali questi chiamati all'apostolato, affinché essi possano combattere il male ed estendere nel mondo il bene».4
In tutto l'Oriente il canto più ripetuto è questo: «Laudate Dominum omnes gentes, laudate eum omnes populi».5 È il grido di cuori che sono infiammati dello stesso amore di cui era acceso il Cuore Sacratissimo di Gesù. Che il peccato sia allontanato! L'oratore6 diceva con forza: «Vedete quanti templi sono eretti al diavolo. | [Pr 2 p. 133] È satana che domina; egli ha detto agli uomini: vi darò tutto, se inginocchiati mi adorerete».
Gesù Cristo l'ha rigettato, ma gli uomini non l'hanno rigettato. Gesù Cristo gli ha risposto: «Vade retro, Satana», Va' indietro, o Satana [Mt 4,10].
È tempo ormai che apostoli infiammati dell'amor di Dio resistano al diavolo: vade retro! Purtroppo già molti si sono inginocchiati e lo hanno adorato, ma sta scritto: «Adorerai un solo Dio».
Allontanare il peccato dalla terra! Gesù Cristo, il Figliolo di Dio, si è incarnato per cancellare l'iniquità.
Per cancellare dalla terra il peccato, occorre che questi apostoli siano infiammati dal fuoco dell'amor divino: dal medesimo fuoco di cui furono ripieni gli apostoli e Maria, oranti nel Cenacolo. Preghiamo tutti umilmente Maria, affinché rinnovi questa divina Pentecoste. Gesù Cristo ha promesso lo Spirito Santo: «Quando io salirò al cielo, ve lo manderò dal Padre. Egli prenderà da me e darà a voi» [cf. Gv 16,14-15].
«O Immacolata Maria...».7
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Il timor di Dio può considerarsi riguardo ai peccati della vita passata e riguardo al futuro.
Lo Spirito Santo, riguardo alla vita passata, ci deve infondere il pentimento, il dolore dei peccati. Dolore non solo naturale, ma soprannaturale; dolore che può essere perfetto o imperfetto; lo esprimiamo nell'atto di pentimento: «perché peccando ho meritato i vostri castighi» (dolore imperfetto); questo unito alla confessione ci ottiene la misericordia, il perdono. «Ma molto più perché peccando ho offeso la vostra divina Maestà» (dolore perfetto). Questo dolore è capace di ottenerci il perdono di Dio anche | [Pr 2 p. 134] prima della stessa confessione, sebbene rimanga sempre l'obbligo di accusarci al confessore.
Il dolore è un dono di Dio. Vi sono persone che si affannano a cercare colpe e soprattutto badano all'accusa. Sta bene questo, è un dovere, una condizione per confessarci bene; in primo luogo ci vuole l'esame di coscienza. Ma soprattutto cercare il pentimento. Da una parte chiederlo al Signore come dono dello Spirito Santo; dall'altra eccitarlo considerando il gran male che è il peccato. Pensare che alle volte siamo talmente stolti da ridere, scherzare, dopo che si è offeso il Signore, mentre ci sarebbe ben ragione di piangere.
Curare il pentimento nella confessione, domandarlo allo Spirito Santo, e arrivare al dolore perfetto; le anime divote non devono trovare difficoltà. Come ameremo Gesù, nostro amico, nostro cibo, se non arriveremo al dolore perfetto? Sarebbe un dolore iniziale, ma qualunque anima che ami davvero, profondamente, il Signore va più avanti. Vedete S. Agostino nelle sue Confessioni! Quali atti di accusa e, soprattutto, quali atti di pentimento e di proponimento! E come la sua vita si è cambiata, quale bene egli ha operato nella Chiesa, nelle anime, dopo la sua conversione!
In secondo luogo il timor di Dio deve allontanarci dal peccato in avvenire. Allontanarci dal peccato avendo in noi una volontà ferma di non più peccare, proponendo fermamente di prendere i mezzi. Vale poco dire: «propongo di non più commetterli in avvenire». Bisogna dire: «di fuggire le occasioni del peccato».
Non scherziamo, non inganniamo noi stessi: se non si adoperano i mezzi, i buoni desideri | [Pr 2 p. 135] saranno inefficaci. Se non c'è un buon proposito, che è sempre legato al pentimento, saremo sicuri
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di avere un dolore sufficiente per la confessione? Ma quando si ha una volontà ferma, risoluta di fuggire il peccato, di riparare il peccato con una vita fervorosa, allora si è anche certi che ci fu il pentimento.
Quindi fuggire il peccato, le occasioni di peccato, secondo l'avvertimento di Gesù Cristo: «Vigilate et orate».8
«Vigilanza e preghiera». Vigilanza sugli occhi, sulla lingua, vigilanza sul cuore, su tutti i sensi interni ed esterni. Vigilanza per fuggire le occasioni, e preghiera, perché già troppo conosciamo la nostra debolezza e non occorre che abbiamo altre prove di essa. Chiunque ha esperienza di se stesso, deve pure aver capito che siam troppo deboli! A Bombay ho benedetto la prima pietra della nostra casa: la prima pietra che fu messa sotto il luogo dove sarà posto il Tabernacolo. Chi fece il discorso di circostanza disse: «Sta bene qui Gesù; di qui ci illuminerà. Per meritarci questa casa, dobbiamo promettere che la santificheremo e soprattutto che non macchieremo mai i muri, i locali di peccato. E i muri al giorno del giudizio parleranno delle virtù che in essa avremo praticato, della vita religiosa che avremo in essa vissuto, dell'apostolato che avremo in essa compiuto».
Santificare le case, allontanare il peccato!
«Ab omni peccato...» (tre volte).9
Chiediamo qualche volta il santo timore di Dio? Abbiamo sempre il dolore dei peccati passati? «Cor pœnitens tenete!»10 Abbiamo nelle confessioni un pentimento tale che ci assicuri la | [Pr 2 p. 136] remissione dei nostri peccati? Temiamo il peccato per il futuro? Fuggiamo le occasioni, preghiamo? O ci andiamo a mettere nelle mondanità, che aprono la via all'offesa di Dio?
Proposito.
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IL GIUDIZIO PARTICOLARE1
Ritiro spirituale

Consideriamo il giudizio di Dio e cerchiamo di ottenere da lui il dono del santo timore.
«Timore tuo confige carnes meas»:2 che il nostro cuore tema il giudizio di Dio, ma che soprattutto temiamo il peccato. «Deum time, sed magis peccatum time».3 Temi il Signore, temi i suoi giudizi, ma temi di più il peccato, il quale solo può portarci ad una sentenza penosa, ad una condanna.
«Deum time, sed magis peccatum time».
Il giudizio di Dio si compie in un attimo.
L'anima si troverà sola davanti a Dio, sola con le sue opere. Nel giudizio di Dio si può dire che sono aperti due libri: il primo è il libro della nostra coscienza; il secondo è il libro delle grazie di Dio. Dobbiamo rispondere delle grazie ricevute nella nostra vita, specialmente della vocazione, che comprende il servizio perfetto di Dio, per tutta la vita. Poi di tutti i comandamenti della legge di Dio e della legge della Chiesa, dei doni di natura, delle buone ispirazioni, di tutte le occasioni di bene e di tutti i giorni che il Signore ci ha concesso di vivere su questa terra.
[Pr 2 p. 137] «Liber scriptus proferetur in quo totum continetur».4 Un libro in cui è scritto, possiamo dire, sulla pagina di sinistra le grazie che il Signore ci ha concesso e sulla pagina di destra la nostra corrispondenza.
Altro è il giudizio che il Signore farà di un pagano che non conobbe Gesù Cristo; altro è il giudizio che farà di un cristiano che conobbe Gesù Cristo, i suoi sacramenti, la Chiesa, che ebbe buona educazione. Altro il giudizio di un cristiano
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che conobbe Gesù Cristo, i suoi sacramenti, la Chiesa, che ebbe buona educazione. Altro il giudizio di un cristiano che ebbe per circostanze speciali pochi mezzi per conoscere Gesù Cristo e la via della santità; altro il giudizio di un religioso, il quale non potrà portare scuse. Chi ebbe più mezzi di luce, chi più istruzione, chi più mezzi di santificazione? L'osservanza della clausura, l'uso dei sacramenti, l'assistenza alla Messa, l'esame di coscienza, la meditazione sono altrettante grazie per il religioso; egli ha ricevuto cento volte di più rispetto ad un cristiano.
Sarebbe utile che ognuno di noi leggesse l'articolo comparso su L'Osservatore Romano: «Ritorno a Pietro».5 Allora comprenderemmo meglio la responsabilità per tante grazie, di cui il Signore misericordioso ci ha colmati, senza misura. Veramente, quando diciamo l'Oremus «Deus cuius misericordiæ non est numerus...»,6 ci viene sempre da abbassare la testa.
«Signore, che verso di me non hai misurato le grazie, come non hai misurato i patimenti | [Pr 2 p. 138] sopportati per la mia redenzione, e hai sparso il tuo sangue fino all'ultimo, tu non hai misurato sopra di me i segni della tua misericordia. Hai aggiunto grazia a grazia; misericordia a misericordia».
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Ogni grazia ricevuta ci deve eccitare due sentimenti: riconoscenza amorosa e timore santo! Che scusa potremmo portare, se non avessimo fatto bene? Ma se avremo fatto bene, il Signore aggiungerà l'estrema grazia: «Veni, sponsa Christi!».7 E sarà la grazia che coronerà le altre grazie e metterà il sigillo eterno alla misericordia di Dio sopra di noi.
Nel giudizio di Dio saranno ricordati in primo luogo i peccati gravi: peccati di pensieri, desideri cattivi, parole disoneste, letture non permesse, gli atti, le azioni... E allora da certe anime si vedranno venir fuori cose che erano state dimenticate, o taciute in confessione, o che con sforzo insano si era cercato di scusare, dicendo o che non vi era abbastanza consenso o che la tentazione era troppo forte.
Certi pretesti non ci scusano al tribunale di Dio. Iddio compirà un esame diligentissimo: «Omnia nuda et aperta sunt».8 Cerchiamo di esaminarci con scrupolo; ciascuno deve credere all'articolo di fede: «Credo la remissione dei peccati»; ma quando la coscienza si fa larga, quando con vane scuse si copre ciò che è immondo, innanzi a Dio non resta coperta!
Iddio scruta il cuore, penetra col suo sguardo fino in fondo. E verranno ricordati i peccati veniali di lingua, le ipocrisie più o meno gravi, i peccati interni, le mancanze riguardo alla carità; verranno ricordati i peccati veniali di azione, le opere che non erano sante davanti a Dio, il tempo perduto.
E sarà esaminato anche | [Pr 2 p. 139] il bene fatto: le Comunioni erano abbastanza ben fatte? Le confessioni ben preparate? E le orazioni ben dette? «Justitias judicabo»: giudicherò anche il bene [cf. Sal 75/74,3]. Ma l'anima che si presenta a Dio dopo una vita santa, non solo starà davanti al Signore con fiducia, ma il Signore stesso le ricorderà il bene compiuto in ogni momento: i sacrifici, gli atti di obbedienza, l'osservanza della povertà ogni giorno della vita, la carità vicendevole, il fervore delle preghiere, i desideri santi di bene, di perfezione, cose che noi dimentichiamo alle volte. Vi sono anime che giorno per giorno accumulano il bene e aggiungono meriti a meriti. In quel giorno tutto si svelerà, e quale premio!
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Pensiamo alle scuse che tenterebbe di portare l'anima che si presenta a Dio in stato di peccato. Ma prima bisogna ricordare le accuse.
Il Signore non ha bisogno di accuse. Egli non accusa di più di quello che l'anima porterà con sé di male; non accusa quello che non si è commesso: potrebbe accusare l'Angelo Custode, il quale tante volte ha dato le sue ispirazioni, i suoi suggerimenti e non è stato ascoltato. Potrebbero accusare i confessori, i genitori, i predicatori: «Ci siamo affaticati attorno a quest'anima, ma inutilmente: è stata ribelle».
L'anima presenterà le sue scuse: «Le passioni erano troppo forti». Ma c'era la preghiera, e con la preghiera potevi ottenere forza! «Ebbi dei cattivi esempi». E hai avuto anche tanti buoni esempi! I tuoi maestri non dovevano essere le persone tiepide e magari cattive, ma Gesù Cristo, i Santi! «Ho avuto tante occasioni di male». Certamente il mondo è pieno di occasioni di male. E più conoscerete il mondo e | [Pr 2 p. 140] più vedrete che tutto il mondo è dominato dal maligno! Ma le occasioni si potevano evitare; e se non si potevano evitare perché occasioni necessarie, potevi farle diventare remote con la preghiera e la vigilanza. E non avevi buoni confessori con cui consigliarti? E non hai udito parole sante, di buon indirizzo, di direzione spirituale? L'iniquo si sentirà turare la bocca, poiché Gesù non chiede conto di quello che non ha dato, ma chiede solo conto di ciò di cui l'anima è responsabile.
Quando si tratterà del giudizio di un'anima santa, il Signore ricorderà ad essa le grazie, i benefizi, i segni di preferenza, di benevolenza, e l'anima proverà un sentimento di riconoscenza a Dio, perché ebbe la forza di corrispondere alle sue misericordie. Chi potrebbe mai immaginare il gaudio, la consolazione di un'anima che si presenta a Dio o innocente o purificata dalla penitenza? Pensate come si è presentato a Dio quel santo giovane Luigi Gonzaga; pensate come si è presentato al Signore S. Agostino, dopo una vita di penitenza.
Pensiamo come si è presentato a Gesù Cristo Paolo, dopo aver speso per Lui tutte le sue forze fino all'ultimo, dopo aver avuto tutti quei lumi, quelle ispirazioni, quelle comunicazioni di Spirito Santo. Ecco, si presentò come un soldato che aveva ben faticato e che era riuscito vittorioso. Vittoria doppia: su se stesso,
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perché aveva sentito tante volte anche lui gli stimoli della carne; vittoria sul demonio e sul mondo, perché aveva radunato attorno a Gesù Cristo e aveva ottenuto che entrassero nella Chiesa tante anime.
I luoghi dove egli aveva compiuto il suo | [Pr 2 p. 141] apostolato, e aveva fondato chiese, erano altrettanti punti da cui si innalzavano voci a Dio e a Gesù Cristo: «Egli ha faticato per noi; egli è stato la nostra luce, il nostro esempio, Signore; a lui il premio dell'Apostolo fedele!».
E verrà la sentenza! Quella sentenza che è infallibile, quella sentenza che è misurata dalla giustizia e temperata dalla misericordia.
Quale sentenza al servo buono? Quale sentenza all'ostinato, che non si è voluto arrendere alle grazie del Signore? Noi non osiamo, quasi, ripeterla. È la stessa che Gesù Cristo ha predicato e ha preannunziato: «Avete cercato Iddio: venite dunque nel regno del Padre mio»; oppure: «Non avete voluto che Gesù Cristo regnasse nel vostro cuore: andate dunque lontano» [cf. Mt 25,34.41].
Quando non si è voluta la benedizione, si avrà la maledizione eterna, che entrerà in quell'anima e l'accompagnerà per tutta l'eternità: «Vermis eorum non moritur».9 Ma chi cerca il Signore di cuore, chi cerca la sua grazia, chi cerca di compiere la sua volontà, e ogni giorno di perfezionarsi, ricordi la sentenza che l'attende: «Perché sei stato fedele in una breve vita (nel poco), supra multa te constituam».10 Sarai eternamente felice. Un'eternità di gaudio! Sì, il lavoro che dobbiamo compiere su questa terra è poco e breve; e non vi è paragone tra la fatica che sosteniamo e il premio che ci attende [cf. Rm 8,18].
Coraggio, dunque!
Viene il giorno dell'esame finale, quello di Gesù Cristo. E beati i servi fedeli! A quel tribunale tutti possiamo essere promossi, e promossi dall'esilio alla patria eterna.
Ricaviamo, perciò, buon frutto da questo | [Pr 2 p. 142] ritiro mensile, e non sia un frutto momentaneo, ma duraturo. Moltiplichiamo le preghiere, se ci manca la forza. Il Signore non mancherà con la
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sua grazia. E certamente grande consolazione deve discendere nel cuore di coloro che sono fedeli ai loro voti, alle loro promesse. Quando il Signore ci ha ricevuti bambini, alle porte della chiesa, ci ha domandato: «Cosa chiedi alla Chiesa?». Abbiamo detto per mezzo dei padrini: «Chiediamo la fede». «E la fede a che cosa ti servirà, che cosa ti frutterà, che cosa ti porterà?». «Vitam æternam».11
Portare dunque quella stola battesimale incontaminata, oppure lavarla nel Sangue dell'Agnello, affinché divenga di nuovo pura.
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MORTE E VITA SOPRANNATURALE1

La Liturgia di questa domenica, nella Messa, ci mette davanti la dottrina del Maestro Divino sopra la grazia. Ci fa considerare la morte e la vita: la morte, causata dal peccato; la vita, portata dall'infusione dello Spirito Santo per mezzo del Battesimo e della Confessione; e i frutti della vita. Infatti nel Vangelo leggiamo la risurrezione del figlio della vedova di Naim e nell'Epistola consideriamo i frutti della vita, cioè i frutti dello Spirito quando abita in noi; e invece i danni che porta in noi la morte spirituale, cioè la privazione della grazia.
[Pr 2 p. 143] La Liturgia ci suggerisce di rivolgerci al Signore per chiedere che in noi lo spirito domini sempre la mente, il cuore, il corpo, affinché viviamo dello Spirito e non secondo i sensi.
Il Vangelo, l'avete udito più volte, è di San Luca: «In quel tempo Gesù andava verso una città chiamata Naim... mentre si portava a seppellire il figlio unico di una vedova... Mosso a compassione di lei, le disse: Non piangere. Si avvicinò alla bara e disse: Giovinetto, a te dico, levati su. Il morto si alzò a sedere, e cominciò a parlare, e Gesù lo rese a sua madre...» (Lc 7,11-16).
S. Agostino dice che se quella donna piangeva il suo unico figliolo morto, la Chiesa piange molti figli che sono morti nell'anima. Si piangeva visibilmente la morte visibile del primo, ma nessuno si occupava, né si avvedeva della morte invisibile di molti. Colui che conosceva questi morti si occupò di loro e
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solo li conosceva Colui che poteva ridar loro la vita. Forse che Gesù non ha detto al giovane: Io te lo comando, sorgi? Forse che questo non è stato reso a sua madre? Così colui che ha commesso il peccato, se è toccato e scosso dalla parola di vita e di verità, risuscita alla parola di Cristo ed è restituito alla vita. Colui che si riconosce in questo morto, cioè colui che si riconosce morto per la privazione della vita soprannaturale, | [Pr 2 p. 144] che è costituita dalla grazia, faccia in modo di risuscitare prontamente.
S. Paolo nella Lettera ai Galati dice ai compagni di fede: «Fratelli, se viviamo mediante lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vana gloria... Se avviene che un uomo è caduto in peccato, voi, che siete spirituali, riprendetelo con dolcezza, pensando a voi stessi, affinché non siate tentati anche voi...»2 (Gal 5,25-26; 6,1-10).
E allora sempre dobbiamo domandare al Signore di vivere di questa vita soprannaturale, affinché produciamo con le nostre opere frutti di vita eterna. Infelice il peccatore! Sembra che egli sia ricco; sembra che sia pieno di vita: «Nomen habes quod vivas et mortuus es»: ti dicono vivo, ti dicono pieno di vigore, in realtà sei morto [cf. Ap 3,1].
Quante persone, deboli, infermucce, sono piene | [Pr 2 p. 145] di vita soprannaturale, e producono frutti di vita che non cadranno mai, perché son frutti di vita eterna! E quante persone che trafficano, che lavorano, che portano pesi, hanno invece la loro anima morta! Le loro opere prive di grazia non porteranno loro alcun vantaggio. «Chi semina nella carne dalla carne raccoglierà la corruzione» [Gal 6,8]. Sempre domandare la grazia e l'aumento di grazia.
Consideriamo l'introito della Messa: «Volgi verso di me, o Signore, il tuo orecchio ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno vo gridando verso di te» [Sal 86/85,1-3].
O Signore, la vostra grazia chiediamo; l'aumento quotidiano di grazia, e i frutti dello Spirito, i frutti della grazia; quello che dice San Paolo: «Non stanchiamoci di fare il bene: a suo tempo, mieteremo se non ci saremo stancati. Dunque, o fratelli, facciamo del bene a tutti, specie ai compagni di fede» [Gal 6,9-10].
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Insistere sulle parole: «Signore, io grido a te tutto il giorno: Salvami dal peccato», o Signore, e fa' che viva sempre in me lo Spirito.
Se viviamo secondo lo spirito, camminiamo anche secondo lo spirito. Colui che è in grazia, fa le opere della grazia, cioè produce i frutti di colui che è la Vita. Se Gesù Cristo vive in noi, le nostre opere saranno frutti di vita eterna. Noi e Gesù Cristo insieme possiamo produrre frutti mirabili, frutti dolcissimi già sulla terra, e frutti di gloria eterna in cielo. Frutti che non cadranno mai, perché non marciranno mai, mentre chi semina nella carne, dalla carne mieterà la corruzione.
[Pr 2 p. 146] Come risorgeranno, alla fine del mondo, coloro che sembravano vivi, ma, perché privi di grazia, erano morti nell'anima? Risorgeranno col corpo segnato dai loro peccati e porteranno la loro ignominia alla vista di tutti, specialmente di Dio, degli Angeli, dei Santi, di quelli che erano loro compagni in vita e che con loro operavano.
Viviamo secondo la fede; non guardiamo solo la salute esterna; non guardiamo solamente la presenza materiale, non guardiamo solamente l'attività, viviamo secondo la fede e stimiamo i beni soprannaturali.
I beni soprannaturali sono, in primo luogo, l'unione abituale con Dio mediante la fede, mediante la grazia. Poi la fede viva, la speranza ferma, la carità ardente, operosa, le virtù cardinali, le virtù religiose: questa è la vita dello spirito.
Viviamo secondo la fede e non giudichiamo secondo le apparenze. Non inganniamoci. Infelice colui che chiude gli occhi sopra se stesso, che si accontenta delle apparenze e, mentre cerca di crescere in salute, non bada a crescere anche in grazia. Crescere in età, sì, ma in sapienza e grazia insieme.
La nostra meditazione ci porti all'esame di coscienza. Mettendomi davanti a Dio, riconosco di stimare soprattutto la grazia del Signore o i beni esterni, la salute? La vita soprannaturale o la forza, la robustezza e bellezza del corpo?
Non sono io fra coloro che meritano il rimprovero: «Sembri vivere, ma in realtà sei morto»? Stimo tutta la dottrina della grazia, che in teologia forma un bel trattato preziosissimo? Cerco questa grazia e la considero come il più bel tesoro che possa possedere un uomo? La grazia che abbiamo ricevuto
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al fonte | [Pr 2 p. 147] battesimale, l'abbiamo accresciuta in noi vivendo secondo lo spirito?
Ci sono gli scoraggiamenti, e tutti vi vanno soggetti; vi sono le tentazioni, e tutti vi van soggetti; ma S. Paolo ci avverte: «Non tralasciate di fare il bene..., non stancatevi!» E non siamo a noi stessi tentazione. Pensate che anche voi potete essere tentati come gli altri; perciò avere compassione e larghezza di cuore con tutti quelli che cadono, ma non seguirli nella caduta.
Operare secondo lo spirito, per il bene! Oggi la giornata sia piena di meriti. Offriamo al Signore tutto secondo le intenzioni con le quali Gesù si immola ogni giorno sugli altari. Tutte le nostre parole, tutti i nostri pensieri e tutte le nostre azioni siano secondo Dio, cioè secondo lo spirito. Ogni giorno mietere frutti di vita eterna.
Chi è stolto, passa la sua vita inutilmente, senza ordinarla alla vita eterna; ma colui che è prudente e saggio, raccoglie in ogni ora, in ogni momento meriti, operando secondo lo spirito, producendo i frutti che Gesù Cristo vuole produrre in noi; Gesù Cristo che vive in noi per mezzo della Comunione, e di quell'unione che ogni anima deve sempre più stringere con Gesù, vivendo nell'intimità con Lui.
Che cosa proponiamo per la giornata presente? I propositi dell'esame di coscienza, i propositi della confessione o del ritiro mensile, rinnoviamoli in questo momento. Rinnoviamoli nel nostro cuore, e ciascheduno di noi li pronunci di nuovo, con quella lingua che poco fa ha toccato le carni immacolate di Gesù Cristo.
E invochiamo Maria, nostra Madre, e Madre della divina grazia.
[Pr 2 p. 148] Se la coscienza ci rimorde, ricordiamo le parole di Gesù a quel giovanetto che era morto: «Giovanetto, te lo dico io, alzati!».
Alzarci da quella tiepidezza, alzarci da quella morte spirituale, vivere in Cristo!
E rinnoviamo il nostro patto col Signore, affinché diventiamo sempre più saggi, stimiamo il gran tesoro della grazia, in modo che questo grande talento possa in noi produrre abbondantissimi frutti per la vita eterna.
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UMILTÀ ED ESALTAZIONE1

Si usa dire, prima della predica, un'Ave Maria. E perché scegliere di preferenza questa preghiera prima di meditare e di sentire la parola di Dio?
Maria non solamente ci diede il suo Figlio in modo materiale; Maria lo dà ad ogni anima. La comunicazione di Gesù ad ogni anima avviene, particolarmente, per mezzo della conoscenza e della fede nel Figliolo di Dio Incarnato, fede nel suo Vangelo. Maria è colei che deve farci conoscere il Figlio e comunicarlo all'anima per mezzo della fede e dell'amore. Essere veramente di Dio, amare il Signore, significa specialmente unirci a Gesù per mezzo della mente, per mezzo del cuore, per essere poi uniti nella vita. Maria fa che conosciamo il suo Figlio. Come diceva S. Epifanio:2 Ella ci porge a leggere il | [Pr 2 p. 149] libro eterno, che è il Verbo di Dio, il Figlio di Dio incarnato.3
Invochiamo Maria specialmente ora che si tratta di comprendere una verità un po' più difficile: quella con cui si chiude il tratto di Vangelo proposto oggi dalla Chiesa. «Chi si umilia sarà esaltato, e chi si esalta sarà umiliato» (Lc 14,1-11).
Se amiamo noi stessi, dobbiamo umiliarci; se odiamo noi stessi, ci abbandoneremo all'orgoglio, al capriccio, ai nostri voleri.
L'umiliazione sta particolarmente qui: essere privati del sommo Bene che è Dio. Quando il Signore lascia che un'anima cada nell'ignoranza di Dio, nell'ostinazione, nella cecità della mente e nella durezza del cuore, quest'anima è profondamente umiliata, perché è privata di Dio, della vita soprannaturale e, di conseguenza, quest'anima ha grandemente da temere l'eterna perdizione.
Vedete come sono castigati questi orgogliosi Farisei e questi Dottori della legge, che pretendevano di dettare a tutti ciò che dovevano fare e di essere solo loro gli interpreti della Parola di Dio. Essi si opponevano a Gesù, che consideravano un nuovo
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dottore, un dottore giovane che aveva la pretesa di portare una legge nuova; e non sapevano considerare né quello che accadeva né quello che sentivano, cioè né i prodigi di Gesù né la sapienza della sua parola, la quale confermava la Legge antica e veniva a compiere quello che nella Legge antica era promesso.4
[Pr 2 p. 150] Sempre gli tenevano gli occhi addosso, per vedere se in qualche maniera potevano accusarlo. Sempre aprivano bene le orecchie alle sue parole per trovare qualche sillaba non perfettamente conforme alla Scrittura.
Gli tenevano gli occhi addosso perché era sabato: volevano vedere se osasse trasgredire in qualche cosa il sabato... Quei Farisei, quei Dottori della Legge affermavano che il sabato era giorno di riposo, e condannavano, per il sabato, anche le azioni di carità. Essi poi, in pratica, operavano molto diversamente da quanto insegnavano... Anche di sabato | [Pr 2 p. 151] mettevano in opera tutti i mezzi per togliere l'asino o il bue dal pozzo o dalla cisterna. Né a tali cose potevano replicargli, per non condannare se stessi.
Allora Gesù passò a colpire direttamente il loro orgoglio e, osservando come i convitati scegliessero i primi posti, prese a dir loro: «Quando sei invitato a nozze, non metterti al primo posto... ma va' a metterti all'ultimo posto» [cf. Lc 14,8.10].
Sceglievano i primi posti, li volevano; ed avveniva proprio in quel giorno di sabato. Ma Gesù: «Mettiti all'ultimo posto, perché chi si innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
[Pr 2 p. 152] L'esaltazione è specialmente qui: accrescere la nostra fede, accrescere il nostro amore a Dio; allora si possiede il sommo Bene, e col sommo Bene la pace di spirito, i meriti per la vita eterna, una vita serena sulla terra, una morte accompagnata da molta fiducia e l'esaltazione definitiva, eterna in Paradiso.
Gesù si umiliò fino alla morte di croce; per questo Dio lo esaltò: in cielo siede alla destra del Padre [cf. Fil 2,8-9].
E questa è la storia di ogni anima che ama veramente Iddio e che sta umile. Quando noi ci esaltiamo, il Signore si incarica di umiliarci, e anche se egli non manderà delle positive umiliazioni, saremo noi stessi a diventare poveri, miseri, perché: chi manca di Dio, non è il più povero? E chi ha Dio, non è il più ricco?
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Questi Farisei si esaltavano e rimasero senza la luce; non riconobbero Gesù Cristo, e il Signore li abbandonò alla loro cecità: dopo tanti inviti e dopo tanti prodigi che aveva operato davanti ai loro occhi. «Se non credete a me, credete alle mie opere» [Gv 10,38]. E chi più infelice di essi? Invece quei pescatori, quei contadini, quella gente umile che correva dietro a Gesù, e ne ascoltava la parola e ne ammirava i prodigi, ebbe la redenzione: «Dedit eis potestatem filios Dei fieri».5 Divengono figli di Dio, cioè eredi dell'eternità, coeredi di Gesù Cristo.
La cecità della mente e la durezza del cuore sono la più grande umiliazione. E quando uno arriva alla cecità della mente e alla durezza del cuore, si crede più sapiente degli altri e li disprezza. Disprezza specialmente i buoni, i semplici che amano Iddio, compiono volentieri l'obbedienza e sono pieni di carità. Quando si è duri | [Pr 2 p. 153] di cuore allora non c'è più motivo, non c'è più mezzo per richiamare; non c'è più un punto su cui far leva per rimettere un'anima sulla buona strada e rialzarla dal suo stato. Infelici! Bisogna pregare per loro.
Chi invece cerca l'ultimo posto, allora viene esaltato da Dio. Però la nostra considerazione non dev'essere troppo astratta. Bisognerebbe dire che chi è umile è caritatevole con tutti. Chi è umile è anche obbediente, ma qui accenniamo solo a un punto: l'umiltà nella preghiera.
L'umiltà e la fiducia sono i due elementi che essenzialmente costituiscono la preghiera, i due piedi su cui la preghiera si appoggia. L'orgoglioso non prega bene; l'orgoglioso non pensa ai suoi bisogni, e non ne è persuaso. L'umile è come la Vergine, onnipotente. È una onnipotenza supplichevole, orante. Quelli che sono veramente umili son potenti, perché la loro riconosciuta debolezza li rende potenti presso il cuore di Dio. E questo Dio si piegherà e li esalterà col dar frutto alla loro vita, al loro apostolato. E quando avranno passato una vita che è benedetta da Dio, ripiena di meriti, si sentiranno dire: «Veni, sponsa Christi»; «Euge, serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui».6
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Perché sei stato fedele per poco tempo e in cose piccole: grande premio e premio eterno.
Vedremo nell'eternità confinati negli abissi profondi dell'inferno gli angeli ribelli, orgogliosi: Lucifero, che pretendeva essere uguale a Dio, e con lui tutti gli orgogliosi, che non si piegarono a Cristo, alla verità, e non seppero pregare, perché pieni di se stessi. E chi si esalta e si crede qualche cosa: «cum nihil sit, ipse se seducit», essendo niente, si inganna.
[Pr 2 p. 154] L'umiltà porta a pregare con divozione, a capo chino, invocando luce, forza, i doni dello Spirito Santo: la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la pietà, il timor di Dio.
L'umile ottiene sempre un aumento delle virtù teologali, un aumento delle virtù cardinali e un accrescimento dei doni dello Spirito Santo. Egli tesoreggia nella vita. Può essere un poveretto scalzo, può essere che non sappia leggere, che divenga infermo e magari abbandonato da tutti; ma egli possiede Dio ed è il più ricco di tutti. Dio penserà ad esaltarlo.
Vediamo se abbiamo il vero spirito di orazione, se siamo convinti delle nostre necessità. Se uno ha qualche dono, deve essere convinto che è più debitore verso Dio, perché dobbiamo servire Dio tanto meglio, quanto più numerosi sono i talenti, di cui dovremo rendere conto al Signore.
Uno dei chierici migliori che ho conosciuto nella mia vita, il primo giorno, rientrando dopo le vacanze nell'Istituto disse: «Mi sono rallegrato stasera e ho preso fiducia, perché abbiamo incominciato l'anno col primo mistero gaudioso; il mistero dell'umiltà di Maria; umiltà che le meritò l'esaltazione di diventare Madre di Dio. Mistero dell'umiltà del Verbo, che si è fatto carne, quando Maria disse: Ecce ancilla Domini. Il Figlio di Dio, facendosi carne, subì le più grandi umiliazioni, seguite poi da altre umiliazioni più visibili, più chiare, esterne, per cui ebbe l'esaltazione che ora ha in Cielo». Quel chierico aveva ragione! Sono passati almeno cinquant'anni, ma lo ricordo come se fosse adesso, e le sue parole mi servirono di meditazione per parecchi giorni.7
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[Pr 2 p. 155] Preghiamo con umiltà? Ci riconosciamo nulla, peccatori, deboli e quindi, continuamente bisognosi della forza di Dio, della sua luce, delle sue consolazioni, dei doni dello Spirito Santo?
Proposito. Considerare come pregava Maria, con quale umiltà. Considerare Gesù nell'Orto del Getsemani, col capo chinato fino a terra, innanzi alla Maestà di Dio.
Domandare la grazia di pregare con umiltà. Che grande grazia!
«Gesù Maestro, accettate il patto...».8
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Ritiro mensile
L'IMMACOLATA
I Meditazione
LA STOLTEZZA DEL PECCATO1

Mettiamo questo ritiro mensile sotto la protezione di Maria Immacolata. Che Maria ci illumini, ci conforti, ci assista e ci prepari a celebrare bene il S. Natale.
Nell'anno 1854, l'8 dicembre, Pio IX2 alla presenza di molti Cardinali e Vescovi definiva solennemente: «È dottrina rivelata da Dio, che Maria Santissima, per i meriti previsti di Gesù Cristo, era stata preservata dal peccato originale». Questa definizione riempì di gaudio il mondo, e Maria mostrò di compiacersi dell'atto del Vicario di Gesù Cristo, poiché, quattro anni dopo, appariva a Lourdes e, a S. Bernardetta3 che voleva conoscere il nome dell'apparizione, Maria rispose allargando le mani e congiungendole verso il cielo: «Io sono l'Immacolata Concezione».
[Pr 2 p. 156] Il Papa4 ci invita a celebrare il grande avvenimento della definizione con speciali preghiere e speciali pratiche per tutto un anno: quindi l'anno che intercorre dall'8 dicembre 1953 all'8 dicembre 1954 è chiamato «Anno Mariano».
Che cosa sia un anno mariano lo si capisce facilmente se si considera quello che è il mese di maggio, che noi ogni anno dedichiamo a Maria. L'Anno Mariano è come un anno in cui si ripete dodici volte il mese di Maggio; cioè sono dodici mesi in cui noi compiamo sempre quegli atti, quegli ossequi, quelle pratiche che, negli anni ordinari, compivamo verso Maria Santissima in Maggio.
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Maria tutta bella e tutta Immacolata! «Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in te!».5
Questa lode dice due cose: che Maria è senza colpa, cioè senza peccato, neppure il peccato originale, in cui noi tutti siamo nati, e a scancellare il quale fu necessario il S. Battesimo, che noi abbiamo ricevuto in principio della vita, quando non sapevamo ancora il beneficio che Dio allora ci accordava, quando diventavamo figli di Dio, eredi del Paradiso, ornati di grazia, forniti di doni soprannaturali.
Maria non ebbe bisogno di questo sacramento, perché Ella, fin dal primo momento della sua esistenza, fu immune dalla colpa: unica creatura esente, fra tutti i figli di Adamo ed Eva. Se l'umanità tutta ha fatto naufragio nella colpa, Maria fu la nave che stette sopra le onde del mare, senza che le onde la potessero sommergere. Quanto si ha ragione di cantare quelle belle lodi a Maria! e come capiamo le parole che le disse l'Angelo: «Benedetta fra le donne» [Lc 1,42]!
Benedetta fra tutte le creature, | [Pr 2 p. 157] concepita senza peccato originale. E per quale motivo? Perché Maria doveva essere come la sacra pisside nella quale doveva abitare il Figlio di Dio incarnandosi: «Ut dignum Filii tui habitaculum effici mereretur».6 Il Figlio di Dio non voleva nascere da una madre sulla quale, sia pure per pochi istanti, il demonio avesse avuto qualche dominio, come su tutti coloro che nascono con la colpa originale.
Il primo ossequio a Maria sarà questo: odio al peccato. Il primo ossequio per celebrare bene l'Anno Mariano sarà questo: onorare l'Immacolata, conservandoci immacolati, mondi dalla colpa.
Perché Maria potesse ricevere Gesù nel suo seno, venne preservata dalla colpa; e noi, per essere accolti da questa Madre e benedetti in quest'Anno Mariano, dobbiamo allontanare la colpa. E per essere condotti a Gesù e benedetti da Gesù, dobbiamo ancora allontanare il peccato.
Il peccato! Che cos'è il peccato? Il peccato è una ribellione a Dio. Il peccato è un'ingratitudine a un sì grande benefattore; ma
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noi capiamo più facilmente questo: il peccato è una pazzia, una rovina per noi.
È un male, è il vero male che ci può incorrere nella vita. Il peccato è una pazzia, perché: che cosa perde chi fa il peccato? Che cosa merita chi fa il peccato? Quali sono le conseguenze del peccato? Il peccatore col suo atto di insipienza anzitutto perde Iddio, si distacca da Dio, volta le spalle a Dio, volta le spalle al Paradiso. Dio è il supremo bene, è l'eterna felicità, ma il peccatore, per una soddisfazione da nulla, rinunzia al Cielo, al bel Paradiso che ci aspetta. Che bel posto ci attende! | [Pr 2 p. 158] Là gli Angeli vestiti candidamente, i martiri, i confessori, gli apostoli e i vergini lodano Maria, cantano Gesù. Ma il peccatore con il suo atto insano si chiude il cielo, vi rinunzia. Ecco la patria a cui rinunzi; ecco la felicità che ti aspetta e alla quale tu hai rinunziato. E se lasci Dio che è sommo bene, che cosa avrai? Sarai misero, miserabile e infelice.
Il peccato, ancora, fa perdere i meriti della vita passata. Dice la Scrittura che, se il giusto si allontana dalla via della giustizia, della santità, e pecca, tutto il bene che aveva fatto prima non sarà ricordato: «Non recordabuntur omnes justitiæ quas fecerat».7 E infatti, se quell'anima comparendo al tribunale di Dio sarà condannata all'inferno, laggiù potrà in qualche maniera godere del frutto delle opere passate? Nella gioventù vostra, negli anni passati, molti meriti avete già accumulato: preghiere dette, sacramenti frequentati, doveri compiuti, doveri di ogni sorta; ma se avessimo anche i meriti di S. Luigi e dopo peccassimo, tutti i meriti fatti non sarebbero ricordati.
Che stoltezza il peccato! Sovente si ripete la parola di quel fratello infelice, che per una scodella di lenticchie si privò dei grandi diritti di primogenitura [cf. Gn 25,29-34]. Rinunziando ad essere figlio di Dio, diventi figlio di Satana e dovrai seguire la sua sorte, se non pensi a risorgere, come è risorto il figliol prodigo e come Gesù ce ne offre l'occasione per mezzo della santa Confessione.
Il peccatore diventa anche incapace di meritare; fossero anche molte le opere buone e fossero anche grandi i sacrifici per pregare, per compiere i doveri della giornata, non meriterebbero
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nulla; anche ascoltando la Messa, finché c'è il peccato sull'anima, non si merita. È necessario toglierlo, rimettersi nell'amicizia di Dio. | [Pr 2 p. 159] Perché il ramo secco, distaccato dall'albero vitale, non può più far frutti.
Il peccato poi fa perdere la pace dell'anima. Con Dio si sta bene; ma senza Dio, quanti rimorsi!
Caino è un esempio. Poco tempo fa leggevamo sul giornale che un uomo, in un atto di collera, aveva ucciso un fanciullo, il quale gli aveva fatto un dispetto da nulla: l'ira lo accecò e sparò contro il fanciullo. Non fu scoperto, ma egli sentiva in sé tale rimorso e tale pena che, passati alcuni mesi, per far tacere i rimorsi andò a costituirsi ai carabinieri, dicendo che se un gran delitto aveva commesso, intendeva farne la penitenza e rimettere in pace l'anima sua.
Quando si va a letto con il peccato, c'è pace? E una voce grida: «E se morissi così? se stanotte passassi dal letto all'eternità, quale eternità troveresti di là per te? Il paradiso o l'inferno?». Quando quel signore della parabola evangelica, avendo fatto abbondanti raccolti, diceva fra sé: «Ecco, ho i granai pieni, le cantine piene, molti denari, posso starmene in pace e godermi questi beni», nel silenzio della notte si fece udire una voce potente: «Stolto, stanotte morrai. E i beni che hai accumulato, di chi saranno?» [cf. Lc 12,16-21].
Il peccatore è uno stolto, un uomo senza coscienza: si condanna all'inferno. La condanna egli l'ha sottoscritta, l'ha voluta, l'ha scelta con coscienza, sapendo ciò che faceva.
E se non si eseguisce subito la condanna, è perché il Padre Celeste usa misericordia a suo figlio, aspetta che rientri in se stesso e riprenda la via che lo conduce alla casa paterna. Ma intanto, questo peccatore cammina sull'orlo dell'inferno. Basta una disgrazia, un malanno, forse una morte improvvisa, e che cosa sarà di lui?
[Pr 2 p. 160] In punto di morte, poi, il peccato è come un serpe che morde il cuore. Pensare a quel momento in cui passeremo da questa all'altra vita. Che ricordi avremo? Chi ha fatto bene, ricorderà il bene compiuto; ma come si troverà il peccatore? Egli spera: «Mi confesserò». Ma: e se non avrai tempo? Quest'oggi leggevamo sul giornale che trenta persone sono perite nella caduta di un aereo.
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Se la morte viene improvvisa, e anche se non viene improvvisa, il peccatore merita proprio che il Signore gli usi misericordia, quando egli ha rigettato tante volte la misericordia? Certo: la misericordia di Dio ci accompagna fino all'ultimo respiro; ma la vita di costui ha meritato per sé la misericordia di Dio? «Mi confesserò», ma ci vuole il dolore. E chi ha amato il peccato, si pentirà allora così facilmente?
Il peccatore scherza sull'orlo del precipizio tra la salvezza e la perdizione eterna. Se noi chiedessimo a quelli che si sono perduti e sono là che piangono disperati: come si sono perduti; se hanno, almeno su questa terra, goduto pace e gioia; che beni sono venuti loro dal peccato; se, piuttosto, non hanno sofferto di più peccando che facendo il bene, che risponderebbero? S. Bernardo lo dice ripetendo, quasi alla lettera, le parole di S. Agostino: «Discendi frequentemente col pensiero nell'inferno mentre sei vivo, per non discendervi dopo la tua morte».
Accostiamoci all'Immacolata Madre di Dio, e facciamo due atti in questo Ritiro mensile:
1) detestazione del peccato, se già l'abbiamo commesso;
2) proposito di passare un anno senza peccato.
E cominciamo l'anno vestiti candidamente. È così che possiamo avvicinarci all'Immacolata Madre di Dio e Madre nostra, Maria.
[Pr 2 p. 161] Buon esame di coscienza, vivo dolore, fermo proposito; poi, cominciamo l'Anno Mariano con buoni Rosari, con suppliche a Maria nostra Madre, perché almeno quest'anno, che dobbiamo passare in modo speciale vicino a lei, sia bianco, sia l'anno dell'innocenza, che meriti speciali benedizioni sulle vocazioni e sulla vita nostra.
Ora invochiamo la benedizione di Dio e domandiamo al Signore di diventare saggi.
Il peccato è il grande male, il vero male; dunque, detestarlo e fuggirlo per sempre. Fuggirne le occasioni, pregare. E nello stesso tempo chiediamo a Maria che nessuno dei Figli e delle Figlie di S. Paolo, durante l'anno, abbia a cadere nella colpa.
Immacolati per tutto l'anno!
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II Meditazione
UN ANNO CON L'IMMACOLATA1

Uno degli atti più simpatici che abbia compiuto il regnante Pio XII è questo: avere indetto per mezzo dell'enciclica «Fulgens corona» questo Anno Mariano. È stato un ridestarsi di opere e di iniziative in tutto il mondo. Da un capo all'altro della terra è un cantar lodi a Maria. Sembra che quest'anno, più ancora che negli anni ordinari, Maria possa dire: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata!» [Lc 1,48]. Sì, tutte le generazioni, fino alla fine dei secoli. Nella lode diciamo: «Tota pulchra es, Maria».2 Maria non fu macchiata dalla colpa attuale e neppure dalla colpa originale. Noi abbiamo avuto la disgrazia di nascere con la colpa originale: almeno non andiamo, in seguito, commettendo peccati personali volontari. | [Pr 2 p. 162] Piuttosto la morte che il peccato, e chi vuole accedere a Maria si purifichi.
«Tota pulchra es, Maria»: Maria è tutta bella, perché nel suo immacolato concepimento non solo fu esente dalla colpa, ma fu anzi ornata di ogni virtù. Queste, restando per allora nascoste, si svilupparono gradatamente nel suo cuore, e la sua vita fu come un giorno che andò sempre crescendo di luce e di calore, come nota il Papa, finché Ella ebbe un tramonto meraviglioso, lucente, di una luce eterna. Maria, assunta in corpo ed anima in cielo, ebbe il privilegio di quella triplice corona dalla SS. Trinità.
L'Immacolata Concezione è come l'alba radiosa, e l'Assunzione corporea di Maria al Cielo è come il tramonto trionfale eterno. Là in cielo il Figlio siede alla destra del Padre e Maria alla destra del Figlio: trionfo eterno. La sua anima nel primo istante dell'esistenza fu penetrata dalla grazia di Dio: una grazia piena, in vista dell'ufficio a cui era destinata, cioè Madre di Dio e Madre degli uomini.
Durante l'esistenza di Maria non vi fu mai un istante in cui il demonio abbia prevalso su di lei. Il demonio tentò accostarsi, ma ella gli schiacciò la testa: «Ipsa conteret caput tuum».3 E in
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questo Maria acquistò un diritto o, se vogliamo dire, una missione per preservare sempre dal peccato, per schiacciare sempre la testa a Satana quando esso si accosta ai suoi divoti. «Maria, siate la salvezza dell'anima mia», è il grido che deve erompere dal nostro cuore in ogni tentazione. «Fateci santi!».
L'anima di Maria fu ripiena di fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; tutte le virtù morali ornavano il cuore di Maria. Se Maria a Lourdes dichiarò: «Io sono | [Pr 2 p. 163] l'Immacolata Concezione», a Fatima precisò, quasi, la sua definizione, invitando a pregare il suo Cuore immacolato. Cuore immacolato, senza macchia; cuore umilissimo, cuore ferventissimo, cuore mitissimo, cuore ardentissimo.
Nell'ultimo giro che ho dovuto fare poco tempo fa,4 deviando di poco sono andato a celebrare la Messa a Lourdes, davanti a Maria Santissima Immacolata; ugualmente da Oporto, andando con piccola deviazione a Lisbona, si arriva a Fatima. Ho pregato; la Messa l'ho detta per tutti voi, per tutta la Famiglia Paolina. Immacolati quest'anno, immacolati sempre, ma specialmente quest'anno.
Maria possiede ogni virtù. Ma le madri sono orgogliose e si compiacciono assai quando vedono le loro fattezze riprodotte sul volto dei loro figli. Così Maria si compiace quando vede nella nostra anima i lineamenti della sua anima: cioè quando vede riprodotti nella nostra mente i suoi pensieri altissimi, santissimi. «Santa di mente, di volontà, di cuore». Perciò il Papa dice: Imitare Maria!
Rassomigliamo a Lei: ella guarderà sempre con compiacenza particolare i bambini, i giovani, gli adulti, i quali riproducono in sé le sue fattezze spirituali.
Venendo al particolare, dobbiamo notare due punti:
Il primo ci è messo innanzi dal Papa nella enciclica «Fulgens corona».
A Cana di Galilea, a mezzo del convito, venne a mancare il vino. E Maria, premurosa sempre di tutto e per ragioni speciali particolarmente in quel momento, si rivolse a Gesù e gli fece una preghiera [cf. Gv 2,1-5]. Il cuore di Gesù e il cuore di Maria
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si comprendevano molto | [Pr 2 p. 164] facilmente: «Vinum non habent».5 La risposta fu altissima. Maria comprese bene come Gesù la esaudiva, quando si rivolse ai servi e disse loro: «Fate tutto quello che Gesù vi dirà». Ora, dice il Papa, sembra che lo stesso ci ripeta Maria. «Fate quello che vi diranno»: quello che vuole Gesù e che vogliono i vostri Superiori. E che cosa vuole Gesù, e che cosa vogliono i Superiori vostri, se non la vostra santificazione? Che sulla terra ognuno abbia da seguire gli esempi di Maria, e gli esempi di Gesù, e poi arrivare a quella beata patria a cui tutti siamo chiamati? In primo luogo, quello che Gesù desidera da noi è quello che in nome di Dio ci insegnano i Superiori, i Maestri, sia che riguardi lo spirito o lo studio o l'apostolato o la buona educazione, l'ordine; tutto quello che vi insegnano.
Vediamo quindi di esaminarci sopra le conseguenze che dipendono da questo principio, o sopra le applicazioni di questo principio.
Assecondiamo i Superiori, i Maestri? Si accettano le cose che insegnano? Si accettano bene? Si accettano bene le cose che riguardano lo spirito, le virtù, la vita religiosa? E si accettano bene le cose che riguardano lo studio? Avanzare nel sapere e nella scuola.
Si asseconda volentieri e si dipende volentieri da quello che il Maestro dice? E si accetta volentieri, e si segue volentieri ciò che riguarda l'apostolato? E ugualmente quello che riguarda la buona educazione, la formazione naturale e soprannaturale? Qui è compreso tutto: «Fate tutto quello che egli vi dirà». È il consiglio di Maria.
Seconda applicazione: è bene che quest'anno noi orniamo dappertutto la statua, i quadri di Maria con fiori. Ma noi sappiamo che Maria | [Pr 2 p. 165] aspetta particolarmente i fiori spirituali. Quest'anno intrecciare quei fiori che sempre noi chiediamo: che Maria faccia fiorire nelle nostre Congregazioni la rosa, il giglio, la viola. Che i nostri cuori attorno all'altare di Gesù, attorno all'altare di Maria, siano come fiori, oppure ogni fiore venga offerto tutte le mattine. E nel nostro cuore vi sia insieme il giglio, la rosa e la viola.
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Oh! il bel giglio che è Maria, il giglio che allieta la SS.ma Trinità, il giglio che profuma il Paradiso, il giglio fra le spine; tutti coloro che si accostano a lei, ne sentono il profumo e ne hanno edificazione. Il giglio della purezza, quel giglio che rende l'uomo nobile e lo fa assomigliare agli Angeli. Quel giglio che assicura una vita lieta; un cuore sempre vergine e sempre energico. Un giglio che è l'onore della gioventù ed è la consolazione, la fortezza nella virilità, perché è tra le spine.
Vigilare sugli occhi, vigilare sui compagni, vigilare sulle letture, vigilare sulla fantasia, ma prima sui pensieri e sul cuore. Pensieri e cuore in primo luogo, perché le opere seguiranno i pensieri e i sentimenti e finiranno col manifestarsi nei fatti.
Poi offrire a Maria e pregare Maria che faccia fiorire le rose di carità. Amore a Dio, comunioni ferventi, belle visite al SS.mo Sacramento. Amore al prossimo, delicatezza, spirito di socievolezza, cuore largo che comprenda tutti gli uomini, cuore modellato sui Cuori SS.mi di Gesù e di Maria. Chi non ama, chi è egoista, come potrebbe piacere al cuore di Gesù, al cuore di Maria? Domandare che cresca sempre in noi la carità.
Offriamo a Maria la viola che simboleggia l'umiltà. L'umiltà che si manifesta con la dipendenza, con l'obbedienza. Umiltà interiore però: | [Pr 2 p. 166] «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore» [Mt 11,29].
Quest'anno, dunque, intrecciamo questi tre bei fiori che sono graditi a Maria; offriamoli sempre a lei. Che tutte le mattine, entrando in chiesa, noi possiamo con sincerità presentare i nostri cuori a Maria: «Eccoveli, sono segnati col giglio, sono segnati con la rosa, sono segnati con la viola». Supplichiamo la Vergine SS.ma perché ogni giorno possiamo ripetere questo con sincerità. Lontano Satana, lontano il peccato. Fiorisca la virtù!
Allora noi ci raccogliamo, adesso, davanti a Maria e facciamo l'atto di consacrazione a Lei. Sì, l'atto di consacrazione della mente, del cuore, della volontà, della vita intera, e per mezzo di Maria ci consacriamo a Gesù.
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III Meditazione
SANTIFICARE L'ANNO MARIANO1

Oggi grande vigilia in preparazione al giorno solenne in cui ricordiamo le grandezze dell'Immacolata Concezione. Sul nostro altare è scolpita l'immagine di Maria come fu ideata dalla Sapienza di Dio; come fu fatta Regina del creato, la Creatura «bella».2
Nell'Introito della Messa di oggi si dice: «Venite a sentire, o voi tutti che temete Dio: racconterò quante cose abbia fatte Dio per l'anima mia». E l'umanità risponde: «Innalza a Dio voci di giubilo, o terra tutta quanta! Cantate salmi al suo nome, celebrate con magnificenza le sue lodi» [cf. Sal 66/65,1-2]. Domani leggeremo nella Messa: | [Pr 2 p. 167] «Exaltabo te, Domine, quoniam suscepisti me, nec delectasti inimicos meos super me»: Ti esalto, o Signore, perché m'hai protetta, e non hai permesso ai miei nemici di rallegrarsi a mio riguardo [Sal 30/29,2].
I nemici, cioè il demonio e il peccato, non poterono avere vittoria sopra Maria e non poterono rallegrarsi. La Messa poi ci dà l'Epistola tolta dal Libro della Sapienza: «Come vite diedi frutti di soave odore, e i miei fiori dan frutti di gloria e di ricchezza...» [Sir 24,17-21].3 Gli elogi che si dicono qui della Sapienza si riferiscono a Maria.
Questa mattina dobbiamo considerare due punti: 1) Le grazie da chiedersi a Maria in quest'anno; 2) gli ossequi da farsi a Maria nell'anno mariano.
Il S. Padre Pio XII fa un lungo elenco di grazie da chiedersi alla Madonna. Egli vuole che si preghi, in primo luogo, per la Chiesa: «semper pro libertate et exaltatione sanctæ Matris Ecclesiæ»,4 come diciamo nell'oremus dopo la Messa. Pregare per la Chiesa, la quale soffre in tante parti, e pregare per tutti coloro che soffrono per il nome santo di Dio e per la loro unione con la Chiesa
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cattolica: i Cardinali, i Vescovi, | [Pr 2 p. 168] tutti i sacerdoti perseguitati, perché essi rendono testimonianza a Gesù Cristo e al suo Vicario.
Pregare per la pace del mondo: questa pace che è ostacolata in tante maniere. Vi sono troppi interessi contrastanti! Gli uomini non sanno assaporare, gustare i frutti della pace, quei frutti e quella pace che Gesù Cristo ha portato al mondo, egli, il Rex pacificus.5 «Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio» [Mt 5,9]. E gli altri? Per gli altri preghiamo, affinché rinsaviscano e siano tutti concordi nel lavoro per la pace: una pace che non ci porti a rivolgerci solo al godimento dei beni terreni, ma una pace in cui noi, con tranquilla coscienza, serviamo meglio Dio. Sovente, nei lunghi periodi di pace, gli uomini si sono abbandonati ai disordini. È una storia lunga, questa, e la storia del popolo ebreo ce lo ricorda.
Pregare per la conversione dei peccatori; pregare per la gioventù, perché conservi l'innocenza; pregare per gli adulti, perché siano forti nel servizio di Dio. Pregare per i vecchi, perché si rallegrino e possano con ragione rallegrarsi di una vita ben spesa.
Pregare per l'unione delle Chiese. Quanti sono gli scismatici e quanti sono gli eretici che si sono allontanati dalla casa paterna, anzi dalla casa materna, la Chiesa!
Pregare, poi, per i nostri bisogni particolari, onde ovunque Maria ha dei figli sia un giardino di gigli, di rose e di viole, di cui il Maestro Divino sempre possa compiacersi e di cui la Madonna SS. sia coltivatrice, come celeste giardiniera.
Pregare per ciascheduno. Pregare per lo studio, perché fiorisca sempre meglio. Pregare per il lavoro interiore di tutti: lavoro di santificazione, di correzione e di conquista delle virtù. Pregare per l'apostolato, perché sia sempre meglio a | [Pr 2 p. 169] servizio della Chiesa, a servizio delle anime, poiché siamo debitori a tutto il mondo. Pregare perché tutti assecondino la formazione buona che viene data: dai più piccoli ai più grandi. Pregare perché tutti comprendiamo come la vita paolina sia vivere il cristianesimo più integralmente; viverlo come è stato predicato dal Maestro Divino Gesù Cristo; viverlo secondo l'esempio della SS. Vergine, penetrarlo con lo spirito di S. Paolo.
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Che cosa faremo per santificare l'Anno Mariano?
Occorrono particolarmente quattro cose:
1. Conoscere sempre meglio Maria. In parecchi luoghi già si studia il Catechismo Mariano,6 tra i piccoli, affinché in quest'anno si conosca meglio la Madonna. Poi, dopo il Catechismo Mariano, Alla Scuola di Maria,7 e tutti gli altri libri sulla Vergine SS. che noi eravamo abituati a leggere, specialmente nel mese di Maggio. Era cosa consueta, una volta: quando si andava in istudio, ognuno tirava fuori dal cassetto Le Glorie di Maria8 e ne leggeva una pagina, una pagina e mezza. In un anno si riusciva a leggere interamente i due volumi. E quale bene ho visto procedere da questo! Istruirsi sempre di più su Maria, e particolarmente nei giorni in cui viene celebrata qualche sua festa. Non si potrebbe chiamare Anno Mariano se nella giornata non ci fosse qualche minuto, in cui in modo speciale ricorriamo a Maria.
2. Imitare Maria. Ognuno pratichi i suoi propositi sull'esempio di Maria. Sull'esempio di Maria l'umiltà; sull'esempio di Maria l'obbedienza; sull'esempio di Maria la pietà; il proposito principale praticarlo sull'esempio di Maria.
Certo l'imitazione più profonda viene fatta | [Pr 2 p. 170] da coloro che vivono la vita di unione con Maria. Questa è la forma più elevata e più santificante della nostra divozione a Maria: vita di unione; uniti a Maria per vivere interamente Gesù. Il bel libro che fu pubblicato alcuni anni fa e che ora è stato tradotto in diverse lingue, può essere molto istruttivo.9
3. Pregare Maria. Noi abbiamo la bella Coroncina del Sabato a Maria,10 abbiamo la preghiera «O Immacolata Maria»; abbiamo «L'atto di consacrazione a Maria»;11 nel libro delle preghiere
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sono state raccolte le lodi più belle a Maria. Scegliere uno di questi canti. Va sempre bene, nell'Anno Mariano, quando tutta la famiglia è qui raccolta e si incomincia insieme la giornata con la preghiera più sociale di tutte: la S. Messa, rivolgere il nostro primo saluto a Maria con un bel canto, particolarmente con quelle lodi che la salutano Immacolata, Regina degli Apostoli.
Pregare Maria: più bene l'Angelus; migliorare i Rosari; sentire la gioia della divozione a Maria il sabato, particolarmente il primo sabato del mese. Penetrare lo spirito della Chiesa, quando si celebrano le feste di Maria: circa una ventina nel corso dell'anno estese a tutta la Chiesa e una ventina pro aliquibus locis.12 Nelle nostre giaculatorie durante l'apostolato, nel tempo di studio, quando ci raccogliamo un istante e poi nel corso di tutta la giornata, invocare Maria. Vi son giovani che hanno delle sante industrie per ricordarsi di Maria nel corso della giornata.
Pensiamo a quelle anime che ci sono come maestre, esemplari in questa divozione.
4. Zelare Maria. È molto buono il proposito | [Pr 2 p. 171] che hanno fatto negli Esercizi le propagandiste: portare ogni giorno almeno un libro della Madonna, distribuirlo, offrirlo: ossequio bellissimo.
Ma se nel corso dell'anno avete da comporre qualche libro che riguardi Maria, allora pensare che ogni carattere tipografico che si mette insieme, ogni giro che si dà alla macchina, ogni lavoro di brossura e di propaganda, è un ossequio da offrire a Maria: è compiere l'apostolato mariano. E «qui elucidant me vitam æternam possidebunt».13
Gli studi sotto la protezione di Maria: e sollevare di tanto in tanto lo sguardo a Maria; l'apostolato sotto la protezione di Maria: e ripetere di tanto in tanto giaculatorie al suo nome. Il lavoro di pietà e il lavoro interiore offerto a Maria: tutta la giornata «sub tuum præsidium confugimus».14 Sotto il manto di Maria!
Maria si avvicina in quest'anno di più a noi, al nostro modo di intendere le cose. Ci ripete: «Io sono tua Madre», e ci domanda:
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«Tu sei mio figlio? Sii un figlio riconoscente, amante, divoto; sii un figlio che pensa sovente a me; sii un figlio che zela il mio onore. Ed io ti accoglierò come un figlio allorché sarai partito da questa per l'altra vita».
Quest'anno segni un rinvigorimento di vita mariana; quest'anno ci porti un aumento di fiducia e di grazie; quest'anno stabilisca bene la nostra anima in Maria, affinché tutti i giorni della vita siano illuminati dalla sua luce, protetti dalla sua grazia, e in punto di morte abbiano la sua assistenza. Che possiamo «chiamar Maria e poi morir».15 «Prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte». Stare con Maria in vita, perché possiamo essere con Maria in morte, per godere in eterno lassù in Paradiso con Maria.
Concludete con una delle vostre belle lodi a Maria.
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[Pr 2 p. 172]
MARIA, REGINA DI TUTTI I SANTI1

Nelle litanie noi invochiamo la Madonna Regina di tutti i Santi. Prima la invochiamo Regina dei Profeti, perché ella dominò il pensiero dei profeti; Regina dei Patriarchi, perché la sua speranza fu più viva della speranza dei patriarchi. Poi la invochiamo Regina degli Apostoli, perché ella esercitò il massimo apostolato; Regina dei Martiri, perché ella sofferse più che tutti i martiri; Regina dei Confessori, perché esercitò maggiori virtù che i confessori; Regina dei Vergini, perché la sua purezza e il suo giglio è più bianco di tutti i gigli. E finalmente, con una invocazione collettiva, la invochiamo Regina Sanctorum omnium, Regina di tutti i Santi, prega per noi.
Ecco la domanda che tutte le sere si fa alla Vergine e con cui si incomincia la giornata al mattino: «Fateci santi!». Qui è tutta una meditazione: lo scopo della vita non è questo? Farci santi, conquistare il Paradiso? Andiamo così alla radice di ogni considerazione. Perché vivo? Che cosa me ne sto io a fare su questa terra? Perché ho io abbracciato questa vocazione? «Hæc est voluntas Dei: sanctificatio vestra».2
Questo è il fine della creazione e di tutte le grazie che ci sono state date, dal Battesimo fino a questo momento: che ci santifichiamo!
Abbiamo da considerare che Maria è Regina dei Santi, perché ebbe una maggiore effusione di grazia. E noi domandiamo maggiore effusione di grazia, se non ci bastano le grazie ordinarie | [Pr 2 p. 173] che il Signore ci comunica ogni giorno. Maria è Regina dei Santi, perché praticò meglio le virtù, e noi chiediamo al Signore di praticare le virtù proprie del nostro stato: spirito di povertà, delicatezza di coscienza e obbedienza. Maria è la più santa dei santi, perché guadagnò più meriti; le sue opere furono sempre perfette: perfetta nella preghiera, perfetta nel suo lavoro, perfetta nel suo raccoglimento, perfetta nella sua fede.
Ella è la Regina dei Santi perché in cielo ha un trono più sublime. Fu esaltata sopra i cori di tutti gli angeli e sopra tutti i santi. Lassù, oltre ad una gloria più grande, ha anche una potenza
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che supera quella dei Santi. Potenza di intercessione più grande, perché ella presso Gesù Cristo ha dei diritti speciali, che le sono stati dati da Dio, perché ebbe una missione particolare; perché Dio l'ha fatta mediatrice di grazia.
Quindi la Vergine è più santa: 1) per le maggiori effusioni di grazia; 2) per le maggiori virtù; 3) per i maggiori meriti, avendo corrisposto alla grazia; e 4) perché in cielo è esaltata sopra tutti i Santi, e sopra tutti i Santi ha potere di intercessione per tutte le grazie presso Iddio.
Ammirabile creatura! veramente più grande di ogni creatura, perché ella è entrata intimamente nella parentela della SS.ma Trinità, per la sua vocazione e per la sua missione. Parentela col Padre, di cui fu figlia prediletta; parentela col Figlio Gesù, perché ne fu madre; parentela con lo Spirito Santo, perché ella ne è la sposa.
«Et Spiritus Sanctus descendet in te, et virtus Altissimi...»,3 la virtù, la potenza del Padre | [Pr 2 p. 174] intervenne, e abbiamo come frutto «Verbum caro factum est».4 Il Verbo si fece carne nel suo seno. Oh! si ha ragione di elevare da un capo all'altro del mondo una lode universale a Maria. È bello il cantico che ho sentito in qualche luogo: «Laudate Dominam omnes gentes, laudate eam omnes populi. Quoniam confirmata est super nos misericordia eius et bonitas eius manet in æternum».5
Viene spontanea una riflessione. Dice S. Bernardo: «La Vergine si trovò nella pienezza dei Santi e sopra i Santi, perché a lei non mancò né la purità degli Angeli, né la fede dei Patriarchi, né la speranza dei Profeti, né lo zelo degli Apostoli, né la costanza dei Martiri, né la sobrietà e la virtù dei Confessori, né il candore delle Vergini, né la fecondità dei coniugati». E aggiunge S. Alberto Magno:6 «Il merito di Maria eccede ogni altro merito».
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L'applicazione pratica è questa: Maria è perfetta in ogni sua azione; per la santità è necessario che santifichiamo le azioni.
Santificare la levata: è sempre gran cosa cominciare bene la giornata, con un cielo sereno nell'anima nostra, rivolgendoci a quel Paradiso verso cui siamo incamminati; perché, quando si fa un viaggio, ancorché duri diversi giorni, al mattino subito ci ricordiamo dove dobbiamo arrivare.
Santificare la Messa: la Messa è santa, santa, santissima, ma bisogna che sia santa da parte nostra, cioè che sia bene ascoltata. Entrare nello spirito della Chiesa; accompagnarsi con Maria ai piedi della croce, quando offriva il suo divin Figliolo al Padre, a gloria del Padre e pace degli uomini. Sono ben ascoltate le Messe?
[Pr 2 p. 175] Santificare la Comunione: le migliori disposizioni; entrare nell'intimità dell'unione con Gesù; parlare a Lui di noi; ascoltare le dolci parole che Egli insinua nel nostro animo, nel nostro cuore. E fare un ringraziamento che si conchiuda con santi propositi.
Santificare la meditazione: che non sia un'istruzione, ma che sia un rinforzare la volontà: sentire più dedizione, più generosità. Santificare il cuore: buoni propositi.
Santificare lo studio: l'attenzione a scuola è un gran merito. Quest'anno sia più attenta la nostra applicazione allo studio. Non perdere niente del prezioso dono che il Signore ci fa del tempo, e della scienza. Non è questo avvicinarci a Dio? E il più grande ornamento dell'uomo, dopo la virtù, non è il sapere?
Santificare le ricreazioni: lieti e buoni; non travolti dall'animosità del gioco. Dobbiamo sempre dominare noi stessi in tutto, perché sempre la ragione ha da stare sopra il senso, e lo spirito sopra la carne.
Santificare i discorsi, santificare anche gli scherzi, affinché sia una ricreazione riposante, sana e tale che ci lasci meglio preparati allo studio, alla preghiera.
Santificare il cibo; ecco il fine per cui lo prendiamo, ricordarlo: «per mantenerci nel vostro santo servizio». Ci riposiamo alla notte, ci nutriamo a tavola «per mantenerci nel santo servizio di Dio». Non per il gusto o solamente per soddisfare una necessità - anche questo bisogna fare e questo è nelle intenzioni di Dio - ma tutto «per mantenerci nel santo servizio di Dio»; e
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dopo essere saziati, lavorare, perché noi sappiamo che abbiamo da guadagnarci | [Pr 2 p. 176] il pane - è legge naturale - col sudore della fronte. E non sempre si suda materialmente, ma chi compie lo studio fa veramente una fatica.
Santificare, poi, tutte le altre opere di pietà: il Rosario, la Visita, l'esame di coscienza; farli bene.
Maria è la creatura che compì tutte le sue cose perfettamente. Vi sono parecchi santi che fecero il voto di compiere sempre più perfettamente le loro cose, le loro azioni, e di scegliere il più perfetto. Non c'è ora da consigliare che facciate questo voto, così in pubblico, ma tendere sempre al meglio. Quando si considera che Savio Domenico, entrato a 12 anni presso D. Bosco, a 15 anni era già santo, noi ci domandiamo: Come mai in tre anni? Egli santificò tutte le sue cose, tutte le azioni della giornata.
Allora interroghiamoci. Le azioni della nostra giornata, le azioni che si succedono dal mattino alla sera, sono santificate? È santificato l'apostolato? È fatto nello spirito stesso di San Paolo, nello spirito con cui egli tracciava le sue lettere e le dettava? Queste lettere gli uscivano dal cuore, da quel cuore tanto amante di Gesù Cristo e tanto amante delle anime! Come è il nostro apostolato?
E allora ci rivolgiamo a Maria, e vediamo se ci escono dal cuore queste domande: «Fatemi santo - Fatemi presto santo - Fatemi un gran santo!» Ci escono dal cuore, dall'animo? E ci portano alla pratica?
Oggi santifichiamo, per quanto ci è possibile, ogni azione e parola.
«Vergine Maria Madre di Gesù, fateci santi» (3 volte).
E chiediamo maggiore effusione di grazia, maggiori virtù, più grandi meriti.
«Gesù Maestro, accettate il patto, ecc.».
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[Pr 2 p. 177]
MARIA MEDIATRICE DI TUTTE LE GRAZIE1

Ieri mattina, come frutto della meditazione, abbiamo domandato a Maria: «Vergine Maria, Madre di Gesù, fateci santi!». E poi abbiamo detto l'altra giaculatoria: «Regina di tutti i Santi, dateci dei Santi!». Santi al mondo, Santi per la Congregazione.
Maria è Regina di tutti i Santi anche per un'altra ragione: perché ella fa i santi, cioè distribuisce le grazie ai santi; ella è Mediatrice universale di grazia. Questa festa è celebrata il 31 maggio. L'oremus della Messa dice: «Tu sei il nostro Mediatore presso il Padre e ti sei degnato di costituire la beatissima Vergine, tua Madre e Madre nostra, quale mediatrice presso di te; concedi propizio che chiunque a te si sarà avvicinato per domandare benefizi, per mezzo di lei si rallegri di averli ottenuti, o Signore Gesù Cristo, che vivi col medesimo Dio Padre...».
Certamente, mediatore necessario di grazia presso Dio è Gesù Cristo, ma insieme a Gesù Cristo è mediatrice Maria; mediatrice in dipendenza di Gesù e con Gesù, cosicché tutte le grazie che arrivano agli uomini, vengono attraverso Maria. Vuol forse dire questo che noi non possiamo domandare grazie a Gesù, al Padre Celeste direttamente? No, vuol dire soltanto che tutte le grazie che partono da Dio vengono a noi attraverso Maria. Quando riceviamo divine misericordie, una grazia, per esempio il dono della sapienza, tre volontà sono collegate per concederci | [Pr 2 p. 178] questa grazia: il Padre Celeste, Gesù Cristo, Maria. Maria presta la sua mano; Maria unisce la sua intercessione; Maria accoglie la grazia e la fa passare a noi. La festa di Maria Mediatrice di grazia è relativamente recente.
Il Card. Mercier,2 il santo Card. Mercier, il difensore del Belgio, uomo dottissimo, aveva chiesto al Papa, a nome di tanti Vescovi, che fosse istituita la festa di Maria Mediatrice universale di grazia, e Benedetto XV l'esaudì volentieri, anche auspicando che le vicende della prima guerra mondiale si conchiudessero al più presto, a beneficio di tutta l'umanità.
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Venne allora formulato l'ufficio. Nel mattutino è detto: «Christum Dominum, qui totum nos habere voluit per Mariam, venite adoremus».3 Questo già l'aveva detto Leone XIII in una delle encicliche sul Rosario. Leone XIII ripeté quasi le stesse parole di S. Bernardo: «Sic Deo volente, perché così è piaciuto a Dio, noi riceviamo tutto da Maria». E Pio X4 nella sua prima enciclica sulla Vergine,5 quando invitava a celebrare il cinquantenario della definizione dell'Immacolata Concezione, dice che siccome Maria accompagnò il Figlio nella redenzione del mondo, così ricevette dal Figlio l'ufficio di distribuire i frutti della redenzione, cioè le grazie. E questo è chiaramente esposto, o almeno si può dedurre da questo: quando Gesù stava per rimettere il suo spirito nelle mani del Padre, disse a Maria: «Ecco il tuo figlio». E indicò il discepolo prediletto Giovanni: cioè Gesù fece Maria madre degli uomini.
E che cosa significa: madre degli uomini? Che cosa fa la madre? La madre dà la vita al figlio; la madre nutre il figlio; la madre | [Pr 2 p. 179] difende il figlio, lo veste e gli procura tutto quello che il figlio non è ancora in grado di procurarsi. Ecco l'ufficio della Madonna, l'ufficio della nostra Madre santissima: ci procura tutto quello che non possiamo procurarci, cioè tutte le grazie divine.
La teologia porta tre ragioni:
1) Gesù Cristo è la fonte delle grazie, ma è Maria che ci ha dato la fonte. E chi dà la fonte, dà anche l'acqua a tutti quei rigagnoli per mezzo dei quali l'acqua arriverà a irrigare i campi, per esempio. Come se in una città l'acqua derivasse tutta da una fonte, chi dà la fonte, chi scava la fonte, dà l'acqua a tutti i rubinetti e cioè a tutti i singoli che andranno a dissetarsi di quell'acqua.
2) Maria nella sua vita compì già questo ufficio, e dove appariva lei, appariva la serenità e la grazia. Così avvenne quando ella si recò a visitare S. Elisabetta, che fu ripiena di Spirito Santo; e Giovanni Battista, in quella casa, ricevette la santificazione; e Zaccaria, ripieno di Spirito Santo, riacquistata la parola, compose il cantico «Benedictus» [cf. Lc 1,39-45]. Così fece alle
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nozze di Cana, dando principio alla predicazione e alla missione pubblica di Gesù Cristo.
3) Maria in cielo intercede presso Dio per noi. Il suo ufficio è di sentire le nostre suppliche e di presentarle a Dio, prendere da Dio la grazia e distribuirla ai suoi figli. Oh! quanto ci aiuta questa Madre! Quanto pensa a noi questa madre! Vi sono delle cose bellissime nella ufficiatura di Maria Mediatrice di grazia. A noi basta che facciamo questa preghiera, che l'accompagniamo col cuore: «O mia Signora Santissima e Madre di Dio, piena di grazia, mare inesauribile dei misteriosi doni di Dio, largitrice di ogni bene. Tu sei, dopo | [Pr 2 p. 180] la SS.ma Trinità, Regina dell'universo; dopo il Paraclito, prima nostra consolatrice; dopo il Mediatore, la mediatrice del mondo. Guarda, dunque, alla mia fede e alle mie domande divinamente ispirate. O Madre di Dio, sei tu che hai ricolmato ogni creatura di ogni specie di benedizione, che hai apportato la letizia ai beati e la salvezza ai viventi sulla terra!».
Dunque, quando vogliamo grazie, rivolgiamoci a Maria. Voi avete studiato la terzina di Dante:

«Donna, sei tanto grande e tanto vali
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar sanz'ali».6

Ora riassumiamo.
Ringraziare Gesù Crocifisso e immaginarcelo là sul Calvario, vicino a chinare il capo e spirare. Là egli ci diede, mediatrice di grazia, la madre sua [cf. Gv 19,25-27].
Amare Maria, perché ella è la grande benefattrice nostra. Volgiamoci indietro: ciò che abbiamo ci è venuto per le sue mani. E poi volgiamoci innanzi: tutto quello che speriamo, per mezzo di Maria lo riceveremo, dalle sue mani. Amiamola, questa Madre, e preghiamola. Nel libro delle Preghiere sono state messe le più belle domande che ciascheduno di noi deve fare a Maria. Recitare divotamente, adagio, quelle preghiere e ripeterle. Tutto quello che ci è necessario, là è raccolto.
«Mater divinæ gratiæ, ora pro nobis»7 (3 volte).
E cantiamo: «Magnificat anima mea Mariam».
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1 Meditazione dettata domenica 30 novembre 1952. - Dal “Diario” : «Tutta la meditazione è stata raccolta dalle Figlie di S. Paolo».

2 Cf. Imitazione di Cristo, l. I, cap. I, 1.

3 Is 45,8: «Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia».

4 Questa espressione “complesso delle leggi...” traduce la visione canonica e rubricistica della liturgia, propria del tempo pre-conciliare. Tale visione fu corretta e integrata dalla costituzione “Sacrosanctum Concilium” del Vaticano II.

5 Gv 1,29: «Ecco l'agnello di Dio».

6 Rm 8,28: «Essere conformi all'immagine del Figlio suo».

3 Dalla preghiera d'offertorio: «O Dio, che mirabilmente creasti e più mirabilmente riformasti la nobile natura umana...».

1 Meditazione dettata domenica 28 dicembre 1952, festa dei Santi Innocenti.

2 È il tempo ora detto “ordinario”, la cui prima parte è compresa tra l'Epifania e la Quaresima. La Settuagesima precedeva di due settimane la prima domenica di Quaresima.

3 Imitazione di Cristo, l. III, cap. XLI, 3.

4 Lc 22,26: «Chi governa tra voi diventi come colui che serve».

5 Mt 11,29.

1 Meditazione dettata nel tardo pomeriggio di mercoledì 31 dicembre 1952. In mattinata e nel primo pomeriggio Don Alberione aveva predicato altre meditazioni per il ritiro dei sacerdoti.

2 «Te Dio noi lodiamo, te confessiamo Signore».

3 1Pt 5,8: «Va in giro cercando chi divorare».

4 S'intende: sembrava che insistesse sul dovere di fare la carità...

5 Gb 7,1: «La vita dell'uomo sulla terra è un combattimento».

6 Leonardo (1423-1519) da Vinci, in Toscana, morto in Francia; artista e scienziato, genio multiforme: celebre pittore, scenografo e ricercatore nel campo della fisica e della meccanica.

7 Secondo la leggenda, l'artista si sarebbe ispirato alla medesima persona, ma in due momenti diversi: prima e dopo l'effetto devastante della passione. Tema sviluppato da Oscar Wilde (1854-1900, scrittore e drammaturgo scozzese) nel romanzo Il ritratto di Dorian Gray (1891).

8 Cf. DANTE ALIGHIERI: «Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e conoscenza», parole poste sulla bocca di Ulisse nel suo viaggio verso l'ignoto ( La Divina Commedia, “Inferno”, XXVI, 119-120).

9 Lc 9,23: «Rinneghi se stesso».

1 Meditazione dettata giovedì 1° gennaio 1953. - Dal “Diario” : «Celebra in Cripta molto presto, e dopo aspetta che arrivi la comunità per dettare la meditazione finale del Ritiro... Il tempo è cattivo: durante la meditazione ha fatto una forte grandinata».

2 Mt 26,24: «Sarebbe meglio che non fosse mai nato».

3 Martin Lutero (1483-1546), monaco agostiniano e teologo tedesco, dotato di genio artistico e di forti passioni; è noto soprattutto per la sua contestazione della dottrina cattolica sulle indulgenze e sulla natura della Chiesa, che lo portò alla rottura con Roma e all'avvio della Riforma protestante. Espressione immediata del suo atteggiamento sul piano morale fu il rifiuto del celibato e il matrimonio con l'ex monaca Katharina von Bora, dalla quale ebbe sei figli.

4 Napoleone Bonaparte (1769-1821), imperatore di Francia, spregiudicato condottiero militare, il cui sogno di conquistare tutti i paesi mediterranei, e l'intera Europa fino agli Urali, si scontrò con la potenza inglese e la rovinosa campagna di Russia. Imprigionò due Papi (Pio VI e Pio VII), ma a sua volta fu imprigionato dagli Inglesi e condotto nell'isola di Sant'Elena, oceano Atlantico, dove morì.

5 Allude probabilmente ai 300 patrioti, che alla guida di Carlo Pisacane sbarcarono a Sapri (Salerno) nel 1857, per rovesciare il Regno delle Due Sicilie. Sterminati dall'esercito napoletano, furono immortalati dalla romanza di L. Mercantini (1821-1872), La Spigolatrice di Sapri, col celebre ritornello: «Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti».

6 Rm 8,31: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?».

1 Meditazione dettata domenica 4 gennaio 1953.

2 Fil 2,10: «...nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra».

3 «Sommo nostro impegno sia meditare sulla vita di Cristo» (Imitazione di Cristo, l. I, cap. I, 1). Si ricordi che fin dagli inizi don Alberione aveva visto in questa massima il punto di partenza per la conformazione di tutta la persona a Gesù-Via, modello di ogni virtù (Donec formetur Christus in vobis, n. 41; ed. 2001, p. 210).

4 «Il salvatore degli uomini».

5 Mt 7,16: «Dai loro frutti li riconoscerete».

1 Meditazione dettata martedì 6 gennaio 1953.

2 Nell'originale il testo evangelico è riportato per disteso.

3 Fantasmi sta per “immagini” della fantasia.

4 «Mio Dio e mio tutto; A maggior gloria di Dio».

5 Cf. Gn 14,21: «Dammi le anime e prendi il resto».

6 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, “Purgatorio”, XXIX, 129.

7 Questa tematica fu sviluppata più diffusamente nell'opuscolo «Amerai il Signore con tutta la tua mente» (San Paolo, Settembre 1954 - Maggio 1955), riproposto con altri opuscoli nel volume Anima e corpo per il Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005.

8 Preghiera del “Patto” o “Segreto di riuscita”.

1 Meditazione dettata mercoledì 7 gennaio 1953. Nell'opuscolo originale era stata erroneamente collocata al 1° gennaio.

2 «Fedeli accorrete, venite in Betlemme».

3 Gv 10,10: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza».

4 Gv 15,5: «Chi rimane in me, e io in lui».

5 Mt 16,18: «E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».

6 Gal 2,20: «Cristo vive in me».

7 Gv 15,16: «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga».

8 Inno «Unus est Magister vester»: O Cristo, tu eterno splendore.
Interessante nota di cronaca, dal “Diario” del 7 gennaio: «Alle 17,30 andiamo dal dentista Dott. Carlo Giorgio Seidel, un tedesco che non usa tante delicatezze... Lo tiene sotto i ferri per circa 40 minuti e alla fine non può trattenersi dal dirci: “Il vostro Superiore generale è tanto paziente; altri quando faccio loro simili lavori strillano, lui invece è rimasto buono fino alla fine”. Ritornato a casa, fa avvisare D. Lamera di prepararsi per tenere, il 24 c.m., una meditazione alla comunità, in occasione del 5° anniversario della morte di D. Timoteo Giaccardo».

1 Meditazione dettata sabato 24 gennaio 1953. - Dal “Diario” apprendiamo che, nelle due settimane precedenti, Don Alberione ha compiuto un viaggio in Nord-Italia e, in Roma, ha predicato spesso la meditazione ai soli sacerdoti, nella cappella di Casa Generalizia. Il 18 gennaio 1953, domenica, dettò la meditazione alla comunità commentando il Vangelo del giorno; ma tale meditazione non è stata riportata. In data 24 leggiamo invece: «Oggi il Primo Maestro fa cantare la Messa da Requiem... e tiene per l'occasione la predica (che avrebbe dovuto tenere D. Lamera). Inaugura inoltre il nuovo pulpito della Cripta, in noce lucido».

2 A quel tempo il 24 gennaio si celebrava la memoria di San Timoteo.

3 Gigli, rose, viole... tradizionalmente simboli di virtù (purezza, carità, umiltà) come esposto nell'opuscolo giovanile di G. Alberione Mazzo di fiori a Maria Santissima, pubblicato a cura di G. Barbero (1981

2 ). Simboli già familiari a S. Agostino.

4 Cioè nel complesso marmoreo della “gloria”, sopra l'altare maggiore del tempio.

5 Questo periodico settimanale della diocesi di Alba, fondato dal vescovo Lorenzo Pampurio nel 1882, fu affidato da Mons. Re alla direzione di Don Alberione nell'ottobre 1913, e quindi a lui ceduto in proprietà nel 1914. Don Giaccardo ne fu direttore dal 1921 al 1926, anno del suo trasferimento a Roma per fondarvi la prima Casa filiale.

1 Meditazione dettata domenica 25 gennaio 1953. Nell'opuscolo originale è intitolata “Domenica III dopo l'Epifania: Guarigione del lebbroso e del servo del centurione”.

2 “Oremus ultimo” è il secondo postcommunio, dedicato a San Paolo: preghiera che secondo le rubriche di allora veniva aggiunta a quella propria della liturgia domenicale (III dopo l'Epifania).

3 Gal 2,20: «Cristo vive in me».

4 Fil 1,21: «Per me il vivere è Cristo».

5 Nell'originale il testo è riportato per intero.

6 Cf. Costituzioni della Pia Società San Paolo, art. 55.

7 Nel testo latino: «radicitus extirpanda»: estirpare (i vizi) dalle radici (cf. ivi).

8 Cf. AGOSTINO, De Trinitate, lib. X: «Quanti hanno la passione della bellezza».

9 Preghiera «Per vincere la passione predominante», cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, p. 25.

1 Meditazione dettata giovedì 19 febbraio 1953.

2 Mt 1,19: «Giuseppe che era giusto».

3 Popolare invocazione, ispirata al concetto di «Giuseppe economo della S. Famiglia» e adottata anche nelle comunità paoline, soprattutto nei momenti di difficoltà economiche.

4 Traduzione libera della quarta strofa dell'inno “Te, Joseph, celebrent”.

5 In questi sette punti riassuntivi troviamo il compendio della Coroncina a San Giuseppe, composta dallo stesso Don Alberione, in sostituzione della precedente, attinta dalle Massime eterne.

6 Altro inno a San Giuseppe (cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, pp. 259-260).

1 Meditazione dettata domenica 22 febbraio 1953, Iª di Quaresima.

2 Sal 22/21,17-18: «Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa».

3 Nell'originale il testo è riportato per disteso.

4 Sono versetti del salmo 91/90, citato quasi per intero.

5 Sal 91/90,1: «Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente».

6 Sal 130/129: «Dal profondo (a te grido, o Signore)».

1 Meditazione dettata nel pomeriggio di sabato 28 febbraio 1953. Nell'opuscolo originale era stata erroneamente collocata al 28 gennaio.

2 Evidente riferimento alla strofetta di Pietro Metastasio (1698-1782): «Se a ciascun l'interno affanno / si leggesse in fronte scritto, / quanti mai, che invidia fanno, / ci farebbero pietà!».

3 Alessandro di Macedonia (356-322 a.C.), figlio di Filippo, educato dal filosofo Aristotele (384-322 a.C.), fu uno dei più grandi conquistatori dell'antichità. Da lui prende nome la civiltà mediterranea improntata alla cultura greca, nel periodo fra il IV e il II secolo avanti Cristo.

4 «Sempre e in ogni cosa».

1 Meditazione dettata sabato 28 febbraio 1953. Seconda predica del ritiro.

2 «Da ogni peccato liberaci, o Signore».

3 1Cor 9,24: «Correte anche voi in modo da conquistarlo [il premio]».

4 In altra occasione don Alberione aveva citato l'esempio di s. Margherita Alacoque, secondo quanto il giovane Timoteo Giaccardo annotò nei suoi appunti personali, il 26 gennaio del 1919, riferendo le parole del Fondatore: «La beata Margherita Alacoque, che era già una serafina e aveva già ricevuto tante apparizioni del Sacro Cuore, una volta che Iddio le ha fatto vedere la sua anima, è svenuta...».

1 Meditazione dettata domenica 1° marzo 1953. Conclusione del ritiro.

2 Margherita Maria Alacoque (santa): (1647-1690) francese; entrò tra le Visitandine di Paray-le-Monial, cittadina a sud di Digione. Le furono concesse straordinarie grazie mistiche. Apostola della devozione del Sacro Cuore di Gesù, ne promosse la festa in riparazione dei peccati e la pratica dei nove primi venerdì per la perseveranza finale. Canonizzata nel 1920.

3 Sir 19,1: «Chi disprezza il poco cadrà presto».

4 At 18,6: «Io sono innocente».

5 «Perdona, Signore...»: canto penitenziale ispirato a Gl 2,17.

1 Meditazione dettata lunedì 25 maggio 1953. - Dal “Diario” apprendiamo che, dai primi di marzo fino al 12 aprile, Don Alberione predicò alle comunità dieci meditazioni (alcune brevi, altre più sviluppate), che non furono registrate. Quasi quotidianamente, tuttavia, egli intratteneva i sacerdoti su temi loro appropriati. Dal 12 aprile al 22 maggio, insieme con Maestra Tecla FSP e Madre Lucia PD, egli compì un difficile viaggio in Oriente: Giappone, Filippine, India, dal quale tornò «in condizioni pietose», con mani e piedi fasciati, per una infezione contratta. Rimase in camera, curato da una sorella PD, ma nel pomeriggio del 24 (domenica di Pentecoste) dettò in Cripta una meditazione sul “dono della Sapienza”. Testo non registrato.

2 «I santi sette doni»: verso della sequenza di Pentecoste (Veni, Sancte Spiritus).

3 3Gv 8: «Per cooperare alla diffusione della verità».

4 Gv 8,12: «Io sono la luce del mondo».

5 Mt 5,14: «Voi siete la luce del mondo».

6 Nel senso di “dare forma”, conformare.

7 Preghiera del “Patto” o “Segreto di riuscita”.

1 Meditazione dettata martedì 26 maggio 1953.

2 Lc 22,42: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà».

3 Lc 2,51: «Stava loro sottomesso».

1 Meditazione dettata mercoledì 27 maggio 1953.

2 «Dona ai tuoi fedeli i tuoi santi sette doni».

3 Cf. F. Petrarca (poeta, 1304-1374): «Veggio 'l meglio et al peggior m'appiglio»; ripreso da U. Foscolo (poeta, 1778-1827): «Tal di me schiavo, ed altri, e della sorte, / conosco il meglio ed al peggior mi appiglio» (dai Sonetti).

4 Mt 26,41: «Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».

5 «Passarono per molte sofferenze e tentazioni, e progredirono» (Imitazione di Cristo, l. I, cap. XIII, 2).

6 Rm 15,3: «Cristo non cercò di piacere a se stesso».

7 Nell'originale il discorso è riportato integralmente.

8 Cf. Sir 14,2: «Non cadrà».

9 “Rifugio dei peccatori...”, “Regina degli Apostoli...”, “Regina assunta in cielo...”: litanie lauretane.

10 Preghiera del “Patto” o “Segreto di riuscita”.

1 Meditazione dettata giovedì 28 maggio 1953.

2 Cf. Sal 104/103,30: «Manda il tuo spirito e saranno create».

3 Is 11,2: «Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore».

4 Sal 8,2: «O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra».

5 Cf. Pro 16,4: «Il Signore ha fatto tutto per un fine». Il “per se stesso” è un adattamento scolastico.

6 Preghiera di offerta della giornata (cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, pp. 18-19).

7 Gn 1,26: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza».

8 Gb 17,1: «A me rimane solo il sepolcro».

9 Così nell'originale. Ma il contesto suggerisce “dono della scienza”.

1 Meditazione dettata venerdì 29 maggio 1953.

2 Gv 1,12: «Ha dato loro il potere di diventare figli di Dio».

3 «Esultate, giusti, nel Signore»: inizio del salmo 33/32, musicato da Ludovico Viadana (1560 ca.-1627).

4 Mt 11,28: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati...».

5 Mc 8,2: «Sento compassione di questa folla».

6 Altra preghiera di offerta (cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, pp. 17-18).

7 Gn 14,21: «Dammi le anime, prendi tutto il resto».

8 Dal “Diario”: «Dopo la meditazione alla comunità, si ferma in Cripta un'oretta ascoltando le Messe che si celebrano e approfitta del Confessore esterno per confessarsi anche lui».

1 Meditazione dettata sabato 30 maggio 1953.

2 Fino al Concilio Vaticano II si celebravano, nelle diverse stagioni dell'anno liturgico, speciali giorni penitenziali, i “quattro tempi”, durante i quali si procedeva anche al conferimento degli ordini sacri.

3 «La nostra febbre è l'avarizia, la lussuria e la superbia» (S. Agostino, Tract. in Ep. Jo. ).

4 Espressioni liberamente tratte dalla preghiera “O Immacolata Maria” (vedi sotto).

5 Sal 117/116,1: «Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni, dategli gloria».

6 A quale oratore alluda, non è facile sapere.

7 Preghiera a Maria SS. Regina degli Apostoli (cf. Preghiere della Pia Società San Paolo, pp. 32-33).

8 Mt 26,41: «Vigilate e pregate».

9 Invocazione litanica: «Da ogni peccato liberaci, o Signore».

10 «Abbiate il dolore dei peccati»: parole del Divino Maestro a Don Alberione (cf. Abundantes divitiæ, nn. 152, 158).

1 Meditazione dettata sabato pomeriggio 4 luglio 1953. - Si noterà ancora una volta l'intervallo di oltre un mese dall'ultima meditazione. Tale periodo fu contrassegnato da numerosi viaggi: Alba, Bari-Calabria-Salerno, Modena-Vicenza; da un corso di Esercizi spirituali e, cosa più fastidiosa, da un riacutizzarsi dell'infezione alle mani e ai piedi, che sottrasse a Don Alberione molte ore per le medicazioni e le fasciature, e condizionò diverse sue attività.

2 «Col tuo timore trafiggi la mia carne».

3 «Temi Dio, ma temi di più il peccato».

4 «Sarà portato il libro in cui tutto è registrato»: dalla sequenza Dies iræ nella Messa dei defunti.

5 Cf. L'Osservatore Romano, 5 luglio 1953, p. 1-2. Si tratta di un'ampia nota di commento alla vicenda di un “apostata dell'Altare”, che fece scalpore nella prima metà del Novecento. E. Boyd Barret sj, nato a Dublino nel 1883, laureato in psicologia a Lovanio, aveva lasciato la Compagnia e la Chiesa nel 1925. Nel 1948 era “ritornato a Pietro”, pubblicando un libro di successo: Pastori nella foschia, uscito in traduzione italiana presso Borla nel 1953. L'articolo, che si apre con la constatazione: «Com'è triste la situazione di un pastore che ha lasciato l'ovile!», sviluppa il discorso sulla condizione umana e spirituale dei preti che hanno lasciato il sacerdozio, evidenziando la funzione salvifica dei fedeli, che dall'interno dell'ovile hanno salvato i loro pastori.

6 «Deus, cuius misericordiæ non est numerus, et bonitatis infinitus est thesaurus, piissimæ majestati tuæ pro collatis donis gratias agimus, tuam semper clementiam exorantes; ut qui petentibus postulata concedis, eosdem non deserens, ad præmia futura disponas. Per Christum Dominum nostrum: O Dio, la cui misericordia è senza limiti e il tesoro di bontà infinito, rendiamo grazie alla piissima tua maestà per i doni accordati, supplicando sempre la tua clemenza affinché, mentre concedi agli oranti quanto ti chiedono, non li voglia abbandonare e li disponga anzi ai beni futuri. Per Cristo...».

7 «Vieni, sposa di Cristo»: antifona per la liturgia delle vergini.

8 Eb 4,13: «Tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi».

9 Is 66,24: «Il loro verme non morirà».

10 Cf. Mt 25,21: «Ti darò autorità su molto».

11 «La vita eterna»: dal rito del Battesimo.

1 Titolo originale: Domenica XV dopo Pentecoste: Il figlio della vedova di Naim. - Meditazione dettata domenica 6 settembre 1953. - Nei due mesi d'intervallo dalla precedente meditazione, il Primo Maestro ha compiuto una serie di viaggi: in Italia settentrionale, quindi nelle due Americhe (dal 19 luglio al 2 settembre, in compagnia di Maestra Tecla FSP e Madre Lucia PD): Stati Uniti, Canada, ancora Stati Uniti, poi Messico, Cuba, Colombia, Ecuador, Cile, Argentina e Brasile. Notevole dal “Diario” una nota di cronaca: «Troviamo il Primo Maestro di un aspetto migliore di quando partì. Deo gratis! Dopo i primi saluti, ci raccontano che l'aereo [un quadrimotore dell'Air France] sul quale dovevano viaggiare ieri al ritorno, è precipitato. Essi non l'avevano preso per un ritardo a causa di alcuni scioperi. A dir la verità, dalle varie comunità si pregava per il “buon ritorno”, e in particolare si pregava nella Cripta del Santuario Regina Apostolorum».

2 Nell'originale il brano è riportato per intero.

1 Meditazione dettata domenica 13 settembre 1953. Titolo originale: Domenica XVI dopo Pentecoste: L'idropico guarito di sabato.

2 Epifanio (315 ca.-403), metropolita di Cipro e vescovo di Salamina, combatté l'eresia ariana. È venerato come Padre della Chiesa greca.

3 Questo pensiero, nella sua formulazione latina («Ave, Maria, liber incomprehensus, quæ Verbum et Filium Patris mundo legendum exhibuisti»), fu posto da Don Alberione come insegna del bollettino interno San Paolo.

4 A questo punto nell'originale è riportato integralmente il testo evangelico.

5 Gv 1,12: «Ha dato loro il potere di diventare figli di Dio».

6 «Vieni, sposa di Cristo» (Antifona vespertina del comune delle Vergini); «Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21).

7 Si riferisce probabilmente al chierico Agostino Borello, suo compagno di studi nel seminario di Alba, defunto nel 1902 (cf. Abundantes divitiæ, n. 22). Il giovane Alberione ne tenne l'elogio funebre nel cimitero di Canove di Covone: si può leggere il testo in Sono creato per amare, pp. 77ss.

8 Preghiera del “Patto” o “Segreto di riuscita”. - Dopo questa meditazione seguono due mesi di intervallo, durante i quali Don Alberione riprende i viaggi: Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo (all'estero, con Maestra Tecla e Madre Lucia). Visita anche i santuari mariani di Lourdes e Fatima. Intanto predica numerosi corsi di Esercizi e Ritiri, e, quando si trova in sede, quasi quotidianamente detta la meditazione ai sacerdoti nella cappella della Casa generalizia.

1 Meditazione dettata domenica pomeriggio 6 dicembre 1953.

2 Pio IX (1792-1878), Giovanni Mastai Ferretti, beatificato nel 2000 da Giovanni Paolo II.

3 Bernardetta Soubirous (1844-1879). A Lourdes, nel 1958, le apparve ripetutamente la Madonna e le rivelò di essere l'“Immacolata Concezione”.

4 Pio XII aveva pubblicato da poco l'enciclica “Fulgens corona” (cf. L'Osservatore Romano, 27 settembre 1953).

5 «Tutta bella sei, o Maria, e in te non vi è macchia originale»: antifona della liturgia dell'Immacolata Concezione (cf. Ct 4,7).

6 «Affinché il tuo figlio avesse una degna dimora» (cf. Oremus dopo l'antifona Salve Regina, al termine delle Ore).

7 Ez 18,24: «Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate».

1 Meditazione dettata la sera di domenica 6 dicembre 1953.

2 «Tutta bella sei, Maria».

3 Gn 3,15: «Questa ti schiaccerà la testa».

4 Viaggio in automobile, dal 31 ottobre al 18 novembre, con Maestra Tecla FSP e Madre Lucia PD.

5 «Non hanno più vino».

1 Meditazione dettata lunedì 7 dicembre 1953.

2 Si allude al paliotto dell'altare marmoreo della Cripta, con i suoi simbolici bassorilievi.

3 Nell'originale il brano biblico è riportato al completo.

4 «Sempre per la libertà e l'esaltazione della santa Madre Chiesa».

5 “Re della pace”.

6 Volumetto di P. GABRIELE M. ROSCHINI, Chi è Maria? Catechismo mariano, Società Apostolato Stampa, Roma 1944.

7 Scritto da ANDREA DAMINO, ed. Pia Società San Paolo, Alba 1941.

8 Celebre commento alla Salve Regina, di S. ALFONSO DE' LIGUORI, più volte ristampato dalle Edizioni Paoline.

9 Cf. E. NEUBERT, Vita di unione con Maria, pubblicato nella collana “Stella Maris” di Catania.

10 È la coroncina alla Regina degli Apostoli, composta nel 1922.

11 Oltre alla breve formula montfortana «Io sono tutto tuo...», nelle Preghiere della Pia Società San Paolo sono presenti due preghiere di consacrazione: “Consacrazione dell'Apostolato a Maria” e “Consacrazione [di sé] a Maria SS. Regina degli Apostoli” («Ricevimi, o Madre...»).

12 “Per alcuni luoghi”, dov'è più vissuta la devozione a particolari titoli mariani.

13 Cf. Sir 24,31: «Coloro che mi illustreranno, avranno la vita eterna»; detto della Sapienza ma riferito in senso accomodato a Maria.

14 «Sotto la tua protezione ci rifugiamo».

15 Ultimo verso di una popolare lode mariana.

1 Meditazione dettata sabato 12 dicembre 1953.

2 1Ts 4,3: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione».

3 Lc 1,35: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo».

4 Gv 1,14: «E il Verbo si fece carne».

5 Forse allude a qualche esecuzione polifonica del salmo 117/116: «Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte nazioni dategli gloria; poiché forte è il suo amore per noi e la sua fedeltà dura in eterno».

6 Alberto Magno (1200-1280), domenicano bavarese, vescovo e dottore della Chiesa. Insegnò filosofia a Parigi e a Colonia, dove ebbe fra i suoi alunni Tommaso d'Aquino. Canonizzato nel 1931; è patrono dei cultori delle Scienze naturali.

1 Meditazione dettata domenica 13 dicembre 1953.

2 Désiré Mercier (1851-1926), cardinale, teologo e filosofo belga, promotore del neo-tomismo con il suo celebre Corso di Filosofia di San Tommaso d'Aquino (1892-99).

3 È l'invitatorio: «Venite, adoriamo Cristo Signore, che volle tutto avessimo per Maria».

4 Pio X (Giuseppe Sarto, 1835-1914), successore di Leone XIII, fu eletto papa il 4 agosto 1903 e guidò la Chiesa fino alla sua morte, 20 agosto 1914.

5 Enc. Ad diem illum, 2 febbraio 1904.

6 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, “Paradiso”, XXXIII, 13-15.

7 «Madre della divina grazia, prega per noi».