Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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CAPO III
RELAZIONI DEL SACERDOTE

Preambolo. - Il Sacerdote è mandato come pescatore d'anime nel mondo. Egli deve dunque vivere nel mondo: mondo che ha da illuminare colla luce del vangelo, mondo che ha da sanare col sale della grazia del suo sacro ministero. Egli sarà tanto miglior apostolo, quanto meglio saprà regolare le sue relazioni tra gli uomini. Le sue relazioni devono essere sante per santificare.
È inutile dire che le relazioni del prete con gli uomini sono difficili. È cosa nota: le parole di Gesù Cristo: Mitto vos sicut agnos in medio luporum...: estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae...1 non sono vuote di senso, né dette a caso. Sarà dunque bene studiarle alquanto, perché, fattici prudenti e semplici, riusciamo a guadagnar tutti a Gesù Cristo.
Principio e divisione. - Ciò che nel prete deve regolare la qualità e la quantità delle relazioni, il loro numero, la frequenza, il modo e la misura, non è già l'inclinazione naturale, il capriccio, l'interesse, l'onore, o, peggio, una vil passione. Tutte queste cose possono far delle nostre relazioni tanti lacci diabolici a noi ed alle anime. Unico nostro principio regolatore è questo: tutto e solo quanto richiede lo zelo prudente ed ardente per le anime.
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Discendendo ora al particolare, le relazioni possono dividersi in relazioni coi sacerdoti, e relazioni coi fedeli. Ma sarà bene avvertire una volta per sempre che qui non si dice tutto che può riguardare tali relazioni, ma solo quanto ha influenza diretta o indiretta sulla salvezza delle anime, a cui tutto bisogna sacrificare.

§ 1. - TRA PARROCO E VICE-CURATO

Il parroco, rispetto al vice-curato,
riveste tre qualità: è superiore, è compagno di fatiche, è padre.
Come superiore ha diritto e dovere a regolare l'andamento del ministero esterno. Esterno, perché deve lasciare al vice-curato ampia libertà per ciò che si riferisce al confessionale, guardandosi da ogni spirito d'invidia. Deve regolare l'andamento del ministero, ma deve pure lasciargli nelle cose che gli affida quella libertà che fa sentire la responsabilità e ancora permette al vice-curato di svolgere la sua attività. Una libertà troppo ampia, se il vice-curato non è veramente di buon spirito, è dannosa: ma una soverchia vigilanza sospettosa su di lui, i comandi troppo minuti, una diffidenza continua abbattono e smorzano ogni zelo.
La superiorità giova usarla senza farla sentire. Lungi perciò ogni comando imperioso, non ordini dati a mezzo della serva, generalmente parlando, non comandi continui. In generale giovano la carità e la prudenza. Non può essere buono il principio: io al vice-curato non comando mai: deve sapere abbastanza che ha da fare. Molto lodevole invece comandare sempre sotto forma di preghiera dicendo ad esempio: faccia il piacere...
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Il parroco ha pure un'alta vigilanza sopra il vice-curato: ed a tempo dovrà correggerlo, a tu per tu, mai in pubblico: anzi in pubblico deve sostenerlo. Che se i difetti sono gravi, lo avvisi con più fermezza, carità e confidenza: che, se fosse incorreggibile, ne dia avviso, con segretezza, al Vescovo onde questi possa provvedere.
La sua superiorità non s'estende certo alle cose che spettano al vice-curato come individuo; ben inteso, quando non vi siano abusi da correggere.
Ma qui notiamo una cosa d'importanza. Una delle disgrazie maggiori per un giovane sacerdote è trovarsi senza lavoro.
Di qui dipende spesso l'avvenire d'un sacerdote: ed il parroco ne ha una grave responsabilità. Spesso non basta dire: può studiare, faccia! Il giovane ha bisogno d'aiuto, d'un po' di sostegno anche in questo: poiché sovente non sa comandarsi e guidarsi da sé in quei primi anni di ministero.
Perciò il parroco farà molto bene a provvedergliene, in tutti i modi possibili: sarà con scuole di canto, sarà con dargli predicazioni speciali, sarà con studiare con lui, per es.: la teologia morale, ecc. È ottima cosa scoprirne le buone qualità ed abilità, ed a tempo, se lo vede conveniente, affidargli quel lavoro e quelle opere che prevede saranno da lui ben compite. Non dovrà però fargli eseguire lavori che spettano ai servi: far spaccar legna, lavorare in cantina, portare acqua, far cucina, ecc.: potrà pregarlo di qualche piccolo servizio, ma sempre come si usa tra amici e come conviene alla dignità del carattere, mai come si impone alle persone di servizio.
Come compagno di fatiche, gioverà molto ispirargli
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e dargli confidenza in quelle cose specialmente che sono da compiersi in comune. Ed in questo è una verità d'esperienza che il primo posto ove un sacerdote esercita l'ufficio di vice-curato lascia per lo più un'influenza decisiva nell'indirizzo e nello zelo di tutto il suo futuro ministero. Il giovane vice-curato, appena uscito dal seminario, è come cera capace di plasmarsi secondo qualsiasi forma: e la forma presenta il parroco, nel suo modo di predicare, di vivere in canonica, di esercitare lo zelo, ecc. Pochi non ne prendono quasi del tutto la forma, nessuno è capace di sottrarvisi del tutto. Quale compito delicato non sentirà dunque un parroco pensando che da lui in gran parte dipende il ministero del giovane compagno datogli dal Signore! Quanta cura nel presentargli esempi di zelo, nel mostrarglisi modello nella predicazione, nella assiduità al confessionale, ed in tutta la cura pastorale! nell'avvisarlo a tempo, nell'incoraggiarlo, nel confortarlo, ecc.!
Anzi sarebbe utilissimo il parlare sovente con lui di cose spettanti al ministero, per es. a tavola, a passeggio, ecc., istruirlo sul modo di compire i sacri ministeri, fargli conoscere i pericoli principali della parrocchia o l'indole del popolo in generale ed in particolare... ed anche il sentire i suoi suggerimenti, le osservazioni, ecc. Qualunque persona, anche un bimbo, può dire qualcosa d'utile: quanto più chi desidera far del bene ed è illuminato da Dio!!
Sarebbero segni di poco affetto lasciarlo cadere in sbagli: criticarlo colla persona di servizio o lasciarlo da questa trattare come inferiore: sparlarne col popolo o con altri confratelli: non difenderlo dalle critiche: non lodarne mai l'operato anche in pubblico,
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non mostrarsi mai soddisfatto del suo agire, per quanto buono.
Come padre. - Egli l'amerà il suo vice-curato e il suo amore lo dimostrerà: a) in un trattamento decoroso riguardo all'alloggio, al vitto, alle necessità speciali di salute. Mai userà un trattamento inferiore al proprio e, secondo le convenienze, l'userà anche superiore: ciò riguardo al vitto per es. se il parroco per ragioni d'economia o di salute preferisce il vinello, non pretenda che il vice-curato vi si adatti, con detrimento forse della salute o con grave sacrificio; riguardo alla persona di servizio, imponendole di obbedirgli nelle cose ordinarie; riguardo al popolo ed al sacrestano, che devono considerarlo come un altro lui stesso;
b) non gli imporrà anche troppo lavoro, per non sfruttarlo e quando vedrà che il bene del curato esige che muti luogo o si presenti ai concorsi parrocchiali, saprà concedergli il tempo sufficiente ed anche privarsi di lui.
Il vice-curato rispetto al parroco. - Se il parroco è superiore, il vice-curato gli deve ubbidienza. Egli deve studiare il metodo di cura del parroco ed uniformarvisi quanto lo permette la coscienza. Pretendere d'imporre le sue idee e tendenze, voler dare subito un indirizzo proprio è vana velleità; anzi d'ordinario causerebbe discordie e, per far di più o far meglio, si farebbe nulla e forse del male. Il parroco ha la responsabilità ed il vice-curato gliela lasci; il parroco è stabile, il vice-curato è di passaggio: dunque non porti così facilmente delle novità.
Pure può avvenire il caso in cui il parroco sia alquanto trascurato o per vecchiaia o per altre cause: il vice-curato invece ripieno di zelo e di sante intenzioni.
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Allora? Si consigli coi Superiori od almeno con un santo confessore: poi faccia come gli vien detto. Che se si dovesse però dire qualcosa, in generale si potrebbe notare: che spesso ciò che sembra zelo è imprudenza: che le opere anche migliori, se non avranno la stabilità, poco gioveranno; che nel migliore dei casi è prudenza seguire il metodo già usato da vice-curati d'ottimo spirito; in principio è sempre meglio guadagnare l'animo del parroco coll'obbedienza umile e coll'affezione più schietta, poi man mano il vice-curato potrà esprimere, come a caso, alcune sue vedute o intenzioni, o semplicemente riferire ciò che altrove si è fatto, proporre qualcosa di facile, ecc... Otterrà forse più che non sperava.
La concordia dell'azione è così utile e necessaria che per essa il vice-curato dovrà fare ogni sacrificio: 1) di tempo, trattenendosi col parroco, accompagnandolo nelle visite e nelle passeggiate, quando egli lo desidera e la prudenza lo permette, purché non sciupi così un tempo molto notevole; 2) di amor proprio, cercando di far giungere al parroco le lodi che può essersi lui stesso meritate col proprio lavoro; chiedendo consiglio in tutte le cose permesse dalla prudenza; chiedendo informazione sulle persone del paese; pregandolo prima della predica a dirgli se vi è su quell'argomento qualcosa di particolare da notare e dopo di essa ad avvisarlo degli sbagli occorsi; 3) di comodità, adattandosi agli usi del parroco, al vitto, all'alloggio, all'orario, ecc.; cercando anzi di prevenire il parroco in tutti i desideri; mostrandosi contento di tutto, se proprio non ne ha incomodi gravi; ricordando sempre che d'ordinario la disunione sarebbe male peggiore per la vita parrocchiale e per il bene
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pastorale; 4) di parole, imponendosi la regola assoluta di non lagnarsene mai né colla persona di servizio, né colla popolazione, né coi confratelli; anzi cercando di sostenerlo e scusarlo sempre, eccetto il caso di errore evidentissimo; lodandolo anzi dal pulpito ed in privato, ogni volta che è possibile farlo. Gli sfoghi che si possono fare sono innanzi [all'altare] di Gesù Sacramentato e ai piedi di Maria SS.
Il parroco è compagno di fatiche: ma il vice-curato deve cercare di compiere la parte più gravosa: per esempio alzarsi di notte per gli infermi, portarsi per il primo in chiesa al mattino, celebrare la messa più incomoda, accettare dal parroco quegli uffizi che vorrà dargli, studiandosi di disimpegnarli bene, chiedendo anzi il parere del parroco in ciò che ha da fare. Se ha lagnanze o rimproveri a fare alla serva, al sacrestano o al popolo, lasci agire il parroco: se questi nol sostiene è meglio tacere, d'ordinario.
Il parroco è padre: dunque il curato lo ami come figlio, lo consoli nelle sue angustie, lo aiuti nei suoi bisogni, specialmente quando cadesse infermo, lo compatisca nei suoi difetti.
Potrà avvenire che vi siano difetti veramente gravi e difficilmente correggibili, dannosi alle anime o a lui stesso? Il vice-curato li esamini innanzi a Dio, preghi a lungo, ne parli al confessore e, dietro il consiglio di questi, potrà segretamente conferire coi Superiori; rimettendosi poi al parere di essi: ma lo faccia fortiter et suaviter.
E qui sarà bene, per evitare ogni desiderio intempestivo di mutar vice-cura, ricordare che ovunque vi sono croci e miserie; che come, ovunque andiamo, noi portiamo la nostra somma di difetti, così ovunque ne
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troviamo; che meglio è sapersi adattare al primo posto cui si è stati destinati, perché riescirà più facile affezionarvisi.

§ 2. - RELAZIONE TRA PARROCO E PARROCI VICINI

Un gran bene può derivare alle anime dalla schietta armonia dei parroci confinanti tra loro: come all'incontro2 verrebbero tanti danni dalla disunione.
A) Per la concordia giova:
1. Conferire spesso tra di essi intorno ad argomenti di teologia pastorale, sia che riguardino l'opera esterna del Sacerdote, per es. quella che si designa col nome di azione cattolica, le relazioni coll'autorità comunali, ecc.; sia che riguardino l'opera interna, come sarebbe il modo di trattare i penitenti recidivi, le figlie che frequentano il ballo, ecc. Per questo niente gioverebbe più che il fare quanto sopra si è notato: tenere cioè delle vere conferenze pastorali: scegliendo due o tre sacerdoti a svolgere temi di pratica; facendo un'ora di adorazione in comune, anche col popolo; pagando ciascuno una piccola quota per le spese. Il frutto fu ottimo sotto ogni rispetto, dove se ne fece l'esperimento.
2. Ricorrere ai consigli dei colleghi, specie dei più attempati, nei casi più difficili: giacché non sempre è possibile portarsi dal Vescovo e dai Superiori.
3. Prestarsi vicendevole aiuto nelle circostanze di maggior lavoro, specialmente quando vi è deficienza di clero. Ciò può riuscire necessario in occasione di Esercizi spirituali, di confessioni generali per adulti o per fanciulli, di funzioni solenni, ecc.
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S. Alfonso raccomandava di più che i preti vicini si scambiassero per alcuni giorni onde dare libertà ai fedeli nel confessarsi. So di alcune parrocchie ove i Sacerdoti si scambiano per dettare gli Esercizi spirituali o predicare le Quarantore, ecc., stante la deficienza di mezzi. In altri il Vicario foraneo dà a studiare a ciascuno dei Sacerdoti della sua giurisdizione un argomento speciale, onde possa trattarlo con competenza, per es. l'agricoltura, l'alcoolismo, la organizzazione del catechismo, ecc. Compiutasi da tutti la propria parte, ciascuno si porta successivamente in tutte le parrocchie a tenere prediche, lezioni, conferenze, ecc., secondo il caso. Così mentre diminuisce la fatica e la spesa, come sopra si è detto, si otterrà molto vantaggio per l'armonia tra il clero e per il bene delle anime.
4. Visitarsi qualche volta. Non visite troppo frequenti, accompagnate da pranzi clamorosi, con perdite gravi di tempo, con critiche del popolo, con denaro sperperato, ecc.; ma visite fatte per motivi di carità e di consiglio: visite frequenti più o meno secondo il bisogno: visite che si fanno anche per necessità, allorché un confratello è infermo, e specialmente quando non è circondato che da serve prezzolate e da parenti ingordi. Allora siano esse molto frequenti: si porgano al malato i soccorsi spirituali, disponendolo al gran passo, se ne è il caso, ed i soccorsi corporali, provvedendo che venga ben accudito e suggerendogli di far testamento, quando si crede opportuno. È disgustoso, eppure vero: qualche volta avviene che un Sacerdote, dopo aver assistiti tanti moribondi, è ridotto a far passaggio all'eternità quasi abbandonato a se stesso.
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5. Esercitare la ospitalità: Hospitales invicem sine murmuratione.3 Cioè: trattandosi con famigliarità e semplicità: invitandosi qualche volta, accogliendosi sempre bene: non chiedendo prima il beneplacito della serva! S. Pietro disse: Sine murmuratione: ma quante volte non avviene che si trasgredisce questo avviso riguardo ai superiori, riguardo ai colleghi, riguardo ai confratelli! Che miseria essere tanto comune tra sacerdoti questo brutto vezzo!
B) Ad evitare le discordie giova:
1. Fuggire ogni ombra di gelosia, coltivare anzi una santa emulazione. Se un parroco vicino ha fatto bene colle opere d'azione cattolica, colla beneficenza, collo zelo pel catechismo, gli altri non dovranno mai discendere a basse invidie, a critiche, a mormorazioni specialmente innanzi al popolo, avesse pure sbagliato qualche volta! Chi fa, falla: chi non fa falla sempre! Sarebbe invece santa cosa dire: Si iste et ille cur non ego?4 Mi proverò a far anch'io: mi industrierò secondo le mie forze e i bisogni della mia parrocchia.
2. Evitare dissidi per la difesa dei diritti di giurisdizione: quando si tratta dell'accudire certe borgate che sono lontane dalla parrocchia propria e vicine all'altrui: quando un parroco vicino col suo zelo attira alla sua chiesa una parte della popolazione altrui: quando vengono in questione certi diritti non ben definiti di stola, di precedenza. Sopra ogni diritto vi è l'obbligo di conservare la carità e l'unione: giacché queste salvano le anime. I diritti stessi non hanno diritto ad esistere, se non per le anime.
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§ 3. - RELAZIONI TRA PARROCO E SACERDOTI DIMORANTI NELLA PARROCCHIA

Con più forte ragione, queste relazioni devono essere informate alla carità: poiché, trattandosi di Sacerdoti della medesima parrocchia, l'azione concorde è più efficace, la disunione più ruinosa.
Come regola generale il parroco deve sapere utilizzare tutte le varie attitudini dei suoi preti prestando loro occasione di lavoro e allettandoveli con mille industrie; ed i sacerdoti da parte loro devono riconoscere in lui il centro d'ogni lavoro pastorale e a lui prestarsi docili come membra al capo.
In pratica conviene distinguere in varie categorie i Sacerdoti che sono in una parrocchia: cappellani di chiese campestri, beneficiati con o senza chiesa propria, maestri, sacerdoti senza ufficio proprio, cioè abati di casa.
Su tutti il parroco ha un titolo di precedenza, che deve conciliargli il rispetto e in certi casi anche l'obbedienza. Titolo però che importa a lui altresì il dovere di sorvegliare, correggere ed anche denunziare al Vescovo i casi davvero gravi. In tutto e con tutti però egli userà carità e prudenza.
Se si tratta di Sacerdoti cappellani: per natura di ufficio e in molti luoghi anche per legge sinodale devono essergli obbedienti, considerandosi come suoi coadiutori. È però molto utile curare che si occupino il più possibile del ministero: lasciare ad essi una libertà piuttosto ampia nel fare alcune funzioni, specialmente per ciò che riguarda l'istruzione al popolo e l'amministrazione dei Sacramenti. Sarà cosa
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giovevole al popolo ed al cappellano. Per salvaguardare i diritti non devono andare in rovina le anime!
Se si tratta di beneficiati con mansioni proprie: di comune accordo e con qualche sacrifizio da ambe le parti è necessario cercare che tutto, anche l'orario delle funzioni, sia pel massimo interesse del popolo: per quanto è permesso dalle tavole di fondazione.
Se si tratta di sacerdoti maestri: hanno pure da essere obbedienti al parroco e da adoperarsi nel ministero: quanto spesso sono la vera croce del parroco!
Se si tratta di sacerdoti senza impiego, detti abati di casa: serve ciò che è detto sopra dei maestri. Perciò gli uni e gli altri curino di non ostacolare il parroco specialmente in quei paesi ove l'autorità civile si trova in opposizione col parroco: le discordie isteriliscono ogni azione pastorale e rovinano le anime. E pensare che spesso nascono da futili motivi e da puntigli ridicoli!
Per ciò il buon parroco si studierà di smussare tutte le angolosità, da cui dipendono gli attriti: smetterà ogni fare autoritario: allontanerà ogni sentimento di invidia e gelosia: purché il bene venga fatto, non importa da chi!
Dimostrerà anzi loro stima ed affetto: li attirerà sensim sine sensu5 nella sua orbita: li chiamerà a parte dei progetti: li pregherà d'aiuto: li inviterà a far prediche: affiderà loro opere iniziate o da iniziarsi, per es., la direzione di compagnie: li inviterà alcune volte a casa sua e mostrerà ad essi molta confidenza: presenterà loro occasioni di compiere bene le opere più in vista, li loderà per ogni buona riuscita, ecc. Che se invece pretendesse far tutto, criticarli, imporsi, ecc., finirebbe per allontanarseli forse per sempre. È
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meglio lasciare di compiere anche qualche buona opera piuttosto che per essa venisse a rompersi la carità: o che alcuno avesse occasione a muovere guerra al parroco.
Le mancanze si correggano: inter te et ipsum solum.6 Guadagnata l'anima dei suoi preti, il parroco ha assicurato l'avvenire della parrocchia: avrà ottimi catechismi, risveglio nella pietà, frequenza ai SS. Sacramenti, opere cattoliche, solennità nelle funzioni.

§ 4. - RELAZIONI TRA SACERDOTI E LAICI, TRA PARROCO E PARENTI

Il Sacerdote ricevendo l'ordinazione sacra non ha distrutto i vincoli di natura: ma si è assunto un ufficio da cui dipende il bene pubblico: ad esso egli sacrificherà il bene privato. Per ciò anche nelle relazioni coi parenti egli si regolerà secondo il principio generale: nel modo più utile alle anime. E secondo questo principio è di una realtà pratica il detto: i parenti sono un vero pericolo ed inciampo al parroco. Distinguendo, prima diremo dei parenti in canonica, poi di quelli fuori di essa.
A parte le leggi sinodali (almeno in molte diocesi) che disgraziatamente in pratica si ritengono come solo direttive, uomini di esperienza dicono che i parenti in canonica sono in generale di grave soggezione al parroco stesso. I fedeli ben presto si persuadono di essere essi costretti a provvedere alla famiglia parrocchiale: tanto più quando il parroco assottiglia le sue elemosine, o i parenti si ingeriscono nell'amministrazione materiale, o fanno un lusso smodato, stonante
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e ridicolo spesso per l'origine umile dei medesimi. Se ne videro di tali parenti spogliare la parrocchia per sordida avarizia: se ne videro, di giovani specialmente, essere di cattivo esempio con una condotta leggera e persino scandalosa: se ne videro, sotto pretesto di matrimonio, scambiare la canonica in un ritrovo per amoreggiamenti. Come potrà ancora il parroco avere sul pulpito quella libertà di parola che è necessaria ad un prete per riprendere i vizi? Né si creda di poterli dominare: novantanove casi su cento non vi riuscirete: chi li chiama con sé d'ordinario prende la catena della schiavitù. Ciò si dica dei fratelli e delle sorelle e specialmente dei nipoti e delle cognate. Può fare eccezione il padre o la madre ove siano soli, bisognosi, di provata virtù, disposti a rimanersi assolutamente fuori d'ogni ingerenza nelle cose spettanti al governo della parrocchia. Ma anche in questi casi, se può soccorrerli lasciandoli in casa, in generale è miglior partito: sempre sarà da evitarsi di prendere con sé uno dei genitori e lasciare in casa l'altro.
Che se si accolgono nella canonica, si dovranno tenere con i riguardi che meritano come suoi genitori: farli sedere seco a tavola, a meno di circostanze speciali: non permettere che s'occupino in lavori troppo umilianti, ecc.
Può anche occorrere la convenienza di ritenere come persona di servizio una parente; che se questa ha da trattarsi con più riguardo che non sia la serva, non dovrà però mai comandare, tanto meno ingerirsi in cose di chiesa, ovvero pretendere d'essere superiore ai sacerdoti conviventi col parroco, accompagnare il parroco nei suoi viaggi, usare con lui ogni sorta di libertà, ecc.
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Quali relazioni coi parenti fuori canonica? Gesù Cristo discese dal cielo non per trarre dall'oblio la sua famiglia e porla sul trono di Giuda: ma per salvare le anime e fondare la Chiesa: sua madre, suoi fratelli, sue sorelle erano coloro che facevano la volontà di Dio. Così è del secondo Gesù Cristo: il Sacerdote. Non si nega che nella distribuzione delle elemosine egli possa riguardare i congiunti come i primi poveri, a parità di bisogni. Ma ciò ch'è degno di censura è lo studio nell'arricchirli e nell'innalzarli, immischiarsi nelle loro imprese, nei negozi, nei matrimoni dei fratelli e dei nipoti: ciò ch'è degno di censura sono certi testamenti o certe negligenze nel fare i testamenti, per cui i beni di Chiesa vanno a finire nelle mani dei parenti: ciò che è degno di censura è una continua sollecitudine per essi, una troppo intima relazione. Tali cose sono contro il Concilio tridentino (capo 1, De reform. sess., 24),7 importano troppi disturbi nel ministero, sino a farlo passare in seconda e forse ultima linea, attirano le critiche ed anche le maledizioni del popolo, sono seguite spesso dall'ingratitudine più nera degli stessi congiunti. Pare anzi che Dio colpisca coi suoi castighi tale sollecitudine, poiché spesso i matrimoni combinati dai preti finiscono nella rovina, e le eredità vengono dissipate in litigi, discordie, vizi, che consumano persino il patrimonio di famiglia.
Per ciò è buona regola: lasciare che i morti seppelliscano i loro morti.8
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§ 5. - RELAZIONE TRA PARROCO E PERSONE DI SERVIZIO

Ben difficile è trovare persona di servizio conveniente ad una canonica; giacché deve essere fornita di molte qualità. Si richiede in essa una virtù a tutta prova, che sia intelligente, cautissima nel parlare, prudente, abile per una casa dove può convenire tanta diversità di persone ed occorrere un numero notevole di svariate occupazioni. Tuttavia è importante trovarla, giacché così il Sacerdote, potendo fidarsi di essa, sarà più libero nei suoi lavori, sarà certo che non manifesterà alla popolazione ciò che non desidera che si sappia, ecc. Avutala però ed esperimentatala, egli, pure esercitando un'alta sorveglianza, dovrà lasciarle una certa libertà per ciò che riguarda il suo uffizio, non pretendendo di pedinarla in ogni minima cosa riguardante le spese, la cucina, il pollaio, l'orto, ecc. Se questa persona avrà in venerazione i sacerdoti della canonica, ne parlerà sempre con ogni rispetto: se sarà assidua ai sacramenti, darà buon esempio: se non la si lascierà dominare su tutti e su tutto, ma starà a suo posto, più facilmente il parroco si concilierà la necessaria confidenza, e l'affezione del popolo e del clero della canonica, della parrocchia, dei paesi vicini.9
(Altre cose a questo riguardo si sono dette altrove).

§ 6. - TRA PARROCO E AUTORITÀ COMUNALI

Senza dubbio il parroco è la prima autorità nel paese: sopra di lui pesa la responsabilità della cura pastorale: ed in questo avrebbe bisogno d'avere docili ai suoi voleri, per ciò che riguarda il suo altissimo
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ufficio, tutte le persone rivestite d'autorità nel paese. E sarebbe certamente un gran vantaggio questo per le anime. Per ottenere tale scopo si suggeriscono diverse precauzioni per il parroco.
Anzitutto non ingerirsi d'ordinario nelle cose puramente materiali del comune: si potranno dare dei consigli, inculcare il principio della responsabilità che gli amministratori hanno innanzi a Dio, lasciare che si intromettano di più i Sacerdoti non dimoranti in canonica, ecc. Ma la vera missione d'un parroco non è sostenere un partito come tale, procurare strade, ponti, [o che] si trasporti il palazzo comunale, ecc.: queste cose egli deve giudicare dal punto di vista dell'interesse spirituale. Se favorire un progetto suona attirarsi l'affezione di tutta la popolazione, portando un vero vantaggio anche solo indirettamente morale, lo farà: se invece suona suscitare discordie, partiti, malumori contro di sé, non lo farà. È vero che entra ancor egli nel numero dei contribuenti, cui toccherà subire le conseguenze d'una amministrazione cattiva; ma quando si tratta del solo interesse materiale, con certo o probabile danno spirituale, sarà bene sacrificarlo per l'interesse spirituale.
Inoltre cerchi egli di tenersi, per quanto è possibile, in buone relazioni cogli amministratori, specialmente se molto influenti ed onesti. Potrà farlo mostrando ad essi il dovuto rispetto, lodandoli nelle occasioni convenienti, accettando i loro inviti a feste e a pranzi, sempre che siano decorosi pel sacerdote, invitandoli pure da sua parte qualche volta, sia a distribuzioni di premi pel catechismo, sia a tavola nelle occasioni principali, per es. di visita pastorale, di feste di onomastico, ecc.
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Se nascono differenze di vedute in cose che influiscono nello spirituale, prima delle filippiche o satire dal pulpito e sui giornali, cerchi una amichevole composizione, con visita, col parlare a tu per tu, diffidando delle relazioni e degli intermediari. Quante discordie si possono risparmiare in tal modo! Quanti fraintesi! Quanto danno alle anime! Che se si potesse andare più avanti e fare addirittura del bene agli amministratori, come individui, servendoli in cose private, le loro mani sarebbero legate dall'obbligo della riconoscenza verso il parroco.
Ed in caso che tutte queste vie fossero inutili e che ne andasse di mezzo il vero bene spirituale delle anime? Vi è da ponderare se sia minor male quello che al parroco toccherebbe subire o quello di una lotta aperta. In questo un sacerdote-parroco non potrà giudicare da solo: gli è necessario il consiglio dei pratici e specialmente dei Superiori.
Ed anche con questo consiglio il Sacerdote deve mostrare chiaramente che la sua non è lotta di personalità o di interesse materiale, ma una lotta serena, di principii, per coscienza, e pel bene spirituale. Sia fermo, ma anche generoso: non si lasci trasportare ad invettive, non si valga del trionfo per umiliare gli avversari e vendicarsene. Sconfitto, dia esempio di fermezza e spirito di sacrificio. Troppo spesso uomini anche virtuosi, per altri riguardi, non sono educati alle virtù sociali, che richieggono più umiltà e spirito di mortificazione che non le stesse virtù domestiche. Così operando si vincerà il male col bene e si guadagneranno i cuori e le anime.
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§ 7. - TRA PARROCO E MAESTRI

Tutti sanno quanta influenza esercitino gli insegnanti sopra la gioventù. Essi hanno innanzi i fanciulli in molte e nelle più belle ore del giorno: essi possono ad ogni passo colla scienza comunicare fede e morale, o irreligione e disonestà. Quanto importa dunque che vi siano buoni maestri! Quanto importa che il parroco sia con essi in buona armonia! specialmente ai nostri giorni, in cui le leggi e lo spirito che ci regge è ateo e contrario al catechismo nelle scuole. Queste hanno da essere le cure più sollecite del parroco e d'ogni sacerdote: vi dovesse pure spendere un tempo notevole, conviene che vi s'industrî con ogni sforzo.
Anzitutto: se vi sono cose in cui il parroco può cercare d'avere influenza sul Comune, perché spettanti il bene spirituale, questa è una delle principali. Cercare che nella scelta dei maestri siano seguite le regole della coscienza, si eleggano maestri che siano prima di tutto insegnanti cristiani. Il Sacerdote, che è in buona relazione col sindaco e consiglieri, che anzi lega questi a sé in mille modi e con prudenza loro si raccomanda: il Sacerdote che s'industrierà a far sì che ai concorsi si presenti pure qualche insegnante di buoni principii, potrà facilmente riuscire in questa santa impresa: la quale gioverà assai più che diverse prediche e forse più che anni interi di opere di zelo.
Qualsiasi insegnante venga scelto, il Sacerdote cercherà di stringere con lui i rapporti più intimi e cordiali. Gioveranno qui pure le visite, i pranzi, le lodi, gli inviti, i beneficî: gioverà spesso piegarsi un poco, per non rompere: gioverà forse ancora alcune volte
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permettere anche qualche male: gioverà abbondare assai in segni di benevolenza e stima, specialmente in pubblico. Con tali industrie gli verrà fatto di servirsi dell'opera dei migliori tra essi ed impedire che i cattivi facciano, per riguardi sociali, il male che vorrebbero per principio.
Esaurite tutte le arti della carità, vi può essere qualche maestro che continui ad essere un lupo rapace nel piccolo ovile. Prima di esporsi in lotta con lui giova consigliarsi coi Superiori, poi studiare, anche a lungo, un piano, direi di battaglia, postarsi bene, con tattica: quindi cercare di renderlo impotente a nuocere o allontanarlo.
Qualche volta lo si può rendere impotente a nuocere es. col fargli tenere un bel discorso religioso in una circostanza onorifica per lui: o impegnandolo in qualche opera buona: per es. nel far ginnastica al circolo: oppure facendolo minacciare di togliergli qualche altra occupazione secondaria, che lo interessa. Per allontanarlo d'ordinario giova agire per mezzo d'altri, sotto silenzio, senza che se ne avveda in tempo: mai filippiche dal pulpito, eccetto che vi venga costretto da circostanze tali in cui il tacere divenga scandalo.
Oggi, essendo ben difficili tali cambiamenti, si moltiplichi nella carità e nello zelo per la conversione.
Riguardo alle maestre, diceva un santo parroco, procuri il Sacerdote di tenersi pure in buona armonia, ma con una musica piuttosto tedesca, onde evitare tre pericoli: dicerie del popolo, danni morali al Sacerdote, libertà di fare da alter ego et amplius nelle insegnanti. Sono assai inclinate ad abusare d'ogni confidenza tali persone.
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§ 8. - TRA PARROCO E SACRESTANO

L'ufficio di sacrestano è umile agli occhi del mondo, ma importante in se stesso, poiché nessun servizio è piccolo in corte grande. Il parroco può aver in lui un aiuto considerevole nella cura pastorale: poiché, se il sacrestano è di buona vita, darà buon esempio; se si porta divotamente in chiesa, edificherà; se tiene in ordine e puliti la chiesa e gli arredi, importerà un risparmio di spese e la gente starà più volentieri nel tempio di Dio. Il parroco lo ammaestrerà al suo ufficio; con prudenza vigilerà perché in chiesa si mantenga col dovuto rispetto, anche nell'addobbare; non permetterà che tratti male le persone, specialmente i ragazzi. Qualche volta farà bene ad avvertirlo o farlo avvertire che frequenti i SS. Sacramenti; ma egli non lo confesserà d'ordinario; vigilerà sopra il modo di raccogliere e la fedeltà nel consegnargli le elemosine, perché non sia importuno colla popolazione e non vi siano altri inconvenienti; non avrà troppe pretese, o facendolo lavorare più che comporti lo stipendio, che per lo più è troppo basso, o esigendo cose perfette, da chi non ne è capace, o volendo addobbi sontuosi, mentre la chiesa non ha che tappezzerie scadenti, o avvisandolo ad ogni momento. È però necessario che esiga ben fatto ciò che è possibile ed utile al popolo: come il suonare a tempo preciso le campane, aprire presto la chiesa, ecc.

§ 9. - TRA PARROCO ED INFERMI

Il Sacerdote dotto è stimato, il Sacerdote potente è temuto, il Sacerdote che parla bene è ascoltato:
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ma solo il Sacerdote fornito di molta carità è amato. Ora questa carità egli può esercitarla in mille modi, ma specialmente verso gli infermi. Questi non possono essere considerati come un peso, né la loro cura come un perditempo; anzi: se la vita del Sacerdote è vita di lavoro per le anime, deve diventare vita di lavoro ferventissimo quando le anime sono presso al porto dell'eternità, quando rimane più poco tempo a guadagnarle, quando il demonio muove gli ultimi assalti.
La cura degli infermi si distingue in due parti: cura del corpo, cura dell'anima; la seconda ha ragione di fine, la prima di mezzo.
1. Cura del corpo. - Quidquid fecistis uni ex his, mihi fecistis.10 Riguardo alla cura del corpo possono darsi eccessi: trasformarsi in medici, prescrivere rimedi e metodi di cura, sentenziare decisamente sullo svolgimento della malattia, visitare come fanno i sanitari gli infermi, ecc. Queste cose sono pericolose sotto molti rispetti: e, non tenendo conto dei casi veramente eccezionali, conviene astenersene: giacché basterebbe sbagliare una volta su cento per attirarsi critiche infinite e sempre si avrebbe l'odio dei medici...
Tuttavia è molto lodevole che il Sacerdote si procuri qualche nozione delle malattie più comuni e dei soccorsi più ordinari nei casi urgenti: ciò gli gioverà assai: ad amministrare a tempo debito i SS. Sacramenti; a tranquillizzare gli infermi ed i parenti, che spesso si turbano e spaventano per un nonnulla; a scuoterli e deciderli a ricorrere al medico e ad obbedirgli; a indurli a ricevere i SS. Sacramenti quando il male è grave ed essi non ne sono persuasi. Sovente avviene che, trattandosi di pericoli gravi, i parenti tacciano, il medico, per non turbarli, li illude.
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Di più: il Sacerdote può sempre raccomandare le regole d'igiene, specialmente nelle case dei poveri e dei contadini, che non le curano, e spesso non vogliono accondiscendere alle parole del medico. La pulizia, l'aria rinnovata, ecc., sono avvisi che con bel garbo sempre può dare e con frutto, per lo più.
Ma qualche volta si tratta di povertà vera e reale: allora non bastano più le esortazioni ed i consigli: il Sacerdote si trova almeno in una convenienza strettissima di dividere coi poveri il pane, la carne, il vino, le coperte da letto, ecc.
E davvero che si verifica allora alla lettera l'appellativo onde si designano spesso i beni ecclesiastici: patrimonio dei poveri.
Ma come si fa quando le entrate dei Sacerdoti sono già così assottigliate?... Si ricorda Gesù Cristo che visse e morì poverissimo, e, se si può, si fanno anche i sacrifici più penosi; se non si può, si ricorda l'esempio d'un B. Sebastiano Valfrè e di altri che chiedevano l'elemosina per fare l'elemosina. E nelle parrocchie non mancano mai persone buone e di buon cuore!
Che se si crederà bene si potrà istituire l'opera del pane di S. Antonio pei poveri...:11 qualcosa frutterà, quando venga ben coltivata.
Ancora: vi sono infermi che son privi d'assistenza. Sono i più degni della tenera sollecitudine del Sacerdote. Il Sacerdote cercherà tra i vicini chi possa compiere almeno i servizi più necessari, il Sacerdote potrà rivolgersi all'Autorità Comunale perché vi provveda: potrà rivolgersi alla congregazione di carità: potrà di più, nelle città, servirsi delle società di S. Vincenzo de' Paoli,12 ecc. Uno però dei mezzi più efficaci mi sembra l'opera dell'assistenza diurna e notturna agli
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infermi abbandonati. È una organizzazione che comprende pie persone, uomini e donne (non giovanette), dedite alla vita divota, zitelle e vedove: persone che non hanno tanti obblighi di famiglia o dipendenza: ha lo scopo di soccorrere e assistere gli infermi più infelici. Quando tali persone siano convinte che la vera religione sta nel prestarsi alle opere di carità, che i poveri sono la parte più cara di Gesù Cristo; quando abbiano un buon regolamento; quando di tanto in tanto siano radunate e possano intendersi, ecc. faranno certamente un gran bene.
Che se nella parrocchia un Sacerdote avesse dei così detti poveri vergognosi, la cui miseria non è conosciuta, egli diverrà più caritatevole, aggiungendo ai soccorsi la delicatezza santa di coprirli agli occhi altrui con mille industrie.
Ho detto che questa cura del corpo è mezzo: sì, perché servirà assai a giungere a quel che più ci interessa: cioè all'anima. L'introdursi a chiedere notizie e il fermarsi a discorrere coll'infermo della sua malattia e dei suoi rimedi sarebbe già il modo più ordinario d'accostarsi agl'infermi più schifiltosi: quando poi per i poveri vi è ancora un vero soccorso materiale, la via è d'ordinario appianata.
2. Cura dell'anima. - Una gravissima responsabilità pesa a questo riguardo sul Sacerdote e specialmente sopra il parroco: tanto più che spesso i malati e i parenti stessi s'ingannano sopra la gravità del male.
Un'avvertenza generale: è una pessima posizione e causa di infinite e tristissime conseguenze quella del Sacerdote in molte città ed in alcuni paesi di campagna: il prete non vien chiamato se non quando la malattia è creduta veramente disperata. - E le
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cause di questo pessimo sistema? Per lo più è la naturale indolenza del popolo e una pretesa carità di non spaventare l'infermo; - ma qualche volta è pure una causa la negligenza nei Sacerdoti, negligenza che traspare da quel lamentarsi di venir disturbato nelle ore più incomode, di notte, per pioggia; oppure da quel rimproverare che si fa quando si è chiamati allorché non ne era ancora il caso; oppure dal farsi ripetere più volte l'invito; oppure dal visitare il meno possibile e in tutta fretta l'infermo, ecc. E i danni? Dio sa che sacramenti si amministrano quando il malato è più di là che di qua! Dio sa quanti ne muoiono affatto privi! E di più: con tal sistema, quando il Sacerdote entra da un infermo non è considerato ed accolto come un padre buono, che porta coraggio e conforto ai figli, ma come l'annunzio della morte imminente, come uno spauracchio, come il precursore del becchino.
Tale sistema il parroco deve adoperarsi con tutte le forze perché cessi: adoperarsi dal pulpito, ove ripeterà spesso con prediche ed avvisi che il Sacerdote deve chiamarsi presto, e piuttosto troppo presto che troppo tardi, poiché porta la pace, porta Colui che ha guarito tanti infermi, ecc.; adoperarsi dal confessionale; adoperarsi presso gli infermi, lodando i diligenti e dolcemente correggendo chi fu negligente; adoperarsi in tutto, mostrando la più tenera sollecitudine per accorrere chiamato ed anche introdursi non chiamato. Faccia insomma capire che il più grande dispiacere che gli possono dare si è quello di chiamarlo troppo tardi.
Discendiamo ora a cose particolari: e prima riguardo a chi chiama per tempo il sacerdote. Qui non sarà
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mai abbastanza lodata nel prete e raccomandata la prontezza e il mostrarsi contento di accorrere, ancorché di notte, in ore incomode, per pioggia, neve, lontano. Si faccia mai egli vedere corrucciato, mai tempesti di domande attorno allo stato dell'infermo, lasciando trasparire un desiderio di procrastinare ed anche di non andare mai; mai si faccia vedere a scalpitare perché non si è andati prima dal medico. In alcuni casi forse potrà aspettare qualche ora: per es. se si tratta d'una tubercolosi non ancora allo stadio critico: ma non tramandare di giorno in giorno.
Visitando l'infermo, ancorché non grave, giova sempre indurlo a confessarsi, per i grandi vantaggi spirituali ed anche per i vantaggi fisici di pace e tranquillità che porta con sé tale Sacramento. Per quanto è possibile non si differisca, ancorché si speri d'avere tempo. Si pensi subito al S. Viatico che può anche fissarsi per le ore più comode, se il caso non è urgente; ma si porti dove è possibile con solennità, s'invitino i parenti ad accompagnarlo: sarà una tacita predica efficacissima. Né si tardi troppo per l'Estrema Unzione, perché non sia resa come il Sacramento dei veri agonizzanti e fuori dei sensi: esso porta vantaggio all'anima ed anche, se piace a Dio, al corpo. Nell'amministrarlo è meglio assistano quanti sono in casa. È questa un'industria che obbliga a far un po' di meditazione e d'esame di coscienza.
Amministrati i Sacramenti, non termini qui la cura spirituale d'un buon Sacerdote. La si continui, poiché è ancora utile e spesso necessaria. Qualche volta l'infermo ricorda colpe non ben spiegate e forse anche taciute: spesso è assalito da forti tentazioni: quasi sempre sente il bisogno di conforto, di consiglio, di
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istruzione. Lo si visiti il più spesso possibile, avendo riguardo alla gravità del male, alla distanza, all'età ed alle occupazioni del Sacerdote: sia questa una delle mete più preferite per passeggiate.
Giova assai tenere nel proprio studio una lavagna su cui tener scritti i nomi degli infermi per ricordarli sempre e tutti, quando si tratti d'una parrocchia numerosa.
Ricordi anche il Sacerdote: che questa è una delle più felici occasioni per conoscere e porsi in relazione colle famiglie: che quando si presenta in queste circostanze il prete è quasi sempre meglio accolto che in altre, per es. quando si fa festa: ricordi che così può farsi amare e far del bene anche ai parenti ed ai vicini con molte industrie, avvicinando i ragazzi e gli uomini: ricordi che questa è una delle opere più preziose innanzi a Dio.
Che se poi la malattia si prolunga e diventa cronica, il Sacerdote si valga anche degli ultimi decreti pontifici per far ripetere il più possibile la S. Comunione; né aspetti in ciò la domanda dell'infermo o la proposta della famiglia: suggerisca egli stesso secondo che le circostanze permettono.
È meglio che la cura degli infermi sia affidata al vice-curato o riservata al Parroco? Per se et primo loco spetta al parroco, ed è in generale da condannarsi l'uso di lasciare totalmente quest'ufficio al vice-curato o ad uno dei vice-curati. Il parroco è il vero responsabile: egli d'ordinario deve essere l'anima di tutta la cura e di tutto ciò che si fa di bene nella parrocchia. Ben inteso che si eccettuano da questa regola i casi di impossibilità fisica: ma certo egli non può prendere sopra di sé, come più importante, la cura
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dei campi o di poche divote, lasciando in disparte il pensiero degli infermi. Sarebbe come dire che il marito deve attendere al pollaio e lasciare alla moglie il vendere e comperare case, prati, ecc. Con questo non si vuol dire che il parroco non debba valersi dell'opera del vice-curato: anzi deve ammaestrarvelo per tempo: deve mandarvelo non solo se l'infermo chiede il vice-curato, ma di più, qualche volta nel corso della malattia e specialmente nel portare il S. Viatico. Solo si vuol dire che il parroco deve dirigere, fare la parte più importante e ASSICURARSI che ogni infermo sia accudito, come si conviene.
Per ammaestrare il vice-curato in quest'opera così delicata è bene che il parroco lo conduca qualche volta con sé specialmente quando quello si trovasse all'inizio del ministero sacerdotale.
Le visite agli infermi come devono essere? Brevi sempre, e più quando in casa trovansi figlie o donne solamente. Di più devono essere visite spirituali, per quanto è possibile; e cioè non perdendo il tempo a discorrere di mille cose inutili. Si dica quanto è necessario, si informi con discrezione delle cose che possono interessare come sacerdote e non altro, in generale. Ne avrà maggior stima e miglior vantaggio spirituale.
Converrà che il Sacerdote consigli l'infermo a far testamento?
La questione è irta di difficoltà: ma qui si considera la cosa solo dal lato pastorale, quello che più interessa il sacerdote, anzi il criterio unico con cui deve giudicare le altre cose. Ciò posto: se i parenti pregano il Sacerdote perché avvisi l'infermo di far testamento, è bene in generale che accondiscenda; se il malato stesso chiede se ha da farlo può rispondere di sì. Ma
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in un caso e nell'altro si limiterà ad indicare le formalità legali per la validità, quanto è tassativamente ordinato circa i diritti di legittima e le obbligazioni chiare di giustizia che può avere l'infermo. Ma non si immischii quanto alla sostanza delle disposizioni: potrebbe averne dispiaceri e vere persecuzioni: experientia docet.13 Che se né parenti, né infermo interrogano, può suggerire genericamente all'infermo, ancor prima di confessarlo, se è possibile, di provvedere e disporre delle sue sostanze e degli affari materiali.
Richiesto circa legati di Messe o altri lasciti di Culto, eccettuati casi speciali, cerchi indurre l'infermo a non aggravare troppo gli eredi; meglio poco: sarà eseguito e senza troppi lamenti.
Ed ora passiamo ad una seconda categoria di infermi, bisognosi più dei primi di carità: gli irreligiosi, i viziosi, gli indifferenti. Come avvicinarli? Come intimar loro il morieris tu et non vives?14 Come mutarne un poco il cuore?
Spesso questi non chiamano il Sacerdote e perciò sarebbe molto bene che il parroco si tenesse in buona relazione col medico, anche con qualche sacrificio di tempo e d'amor proprio, pregandolo poi ad avvertirlo di questi infermi ed anche avvertire i malati stessi del loro stato, quando il caso è grave. Se il medico s'accorge che il Sacerdote l'ama e lo sostiene innanzi alle famiglie, facilmente farà al parroco tale servizio.
In alcune città e parrocchie più numerose il parroco prega le suore degli infermi e alcune pie persone ad avvisarlo subito di tali infermi.
Il parroco, venuto a cognizione di tal malato, può pregare il medico, un congiunto, le persone di servizio, qualche amico dell'infermo a ricordargli il dovere di
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chiedere il Sacerdote o almeno ad annunziargli che il parroco o altro sacerdote, forse più beneviso, desidera fargli una visita, desidera sue notizie. E certamente che questa è una prudenza da usarsi: mandare presso l'infermo il Sacerdote che si spera sarà meglio accetto o per relazioni, o per età più provetta, o per una certa aureola di scienza e prudenza, o per altre ragioni: avesse pure tale sacerdote da farsi venire di lontano. Se verrà ben accolto, presentatosi, potrà nelle prime visite, ove il caso non sia urgentissimo, trattare l'infermo come amico ordinario e, senza offrirgli subito i SS. Sacramenti, dirsi pronto a servirlo quando desiderasse il suo ministero. Però faccia come un assaggio del cuore del malato frammischiando nel discorso qualche parola di fede. Poi preghi, faccia pregare: poiché le conversioni sono opera di grazia... Non si lasci scoraggiare se parenti o l'infermo stesso non son guari disposti a sentirlo: ritorni, ritorni molte volte, ancorché venisse trattato come importuno da tutti: usi tutte le industrie di chi non ha altro più caro sulla terra che riconciliare i peccatori con Dio.
Che se invece il caso è urgente, conviene parlare subito chiaro, anche nella prima visita.
Ogni volta poi che i parenti o l'infermo rifiutano ostinatamente i SS. Sacramenti, il Sacerdote con calma sì, ma con l'autorità e la libertà che ha da Dio, dica che non sarà per sua colpa se l'infermo morirà non riconciliato: che sarà lui che avrà da stare in paradiso o nell'inferno per tutta l'eternità: che la malattia è grave e un obbligo strettissimo pesa sopra chi l'assiste di preparare l'infermo all'ultimo passo, ecc. Poi si ritiri, preghi molto, molto: attenda la misericordia di Dio... E se sarà possibile si presenti ancora
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allorché l'infermo sarà fuori dei sensi per un'assoluzione sub conditione e per l'Olio Santo.

NOTA. - Ciò che spesso più spaventa tali infermi è l'accusa dei peccati. Il Sacerdote troverà quindi sante astuzie a facilitarla: per es. dirà tutti i peccati più gravi che probabilmente ha commesso il malato, come narrandoli d'un altro, quindi interrogherà l'infermo: Se aveste fatto tutte queste cose ora ne sareste pentito, non è vero?... Ebbene, tutto è detto, tutto è fatto: voi intendete di confessarvi di tutto ciò e di tutto quanto altro potete avere... chiedete perdono: vi dò l'assoluzione... Vi hanno ancora tante altre industrie simili; ciascuno le prepari prima.
Avvertiamo anche qui che quello che più giova è il dolore dei peccati: quanto all'accusa non è così strettamente necessaria né si può essere tanto minuti con simili persone. Che se la malattia si prolunga poi, forse il malato stesso, o il Sacerdote con nuove industrie vi ritorneranno sopra e perfezioneranno la prima opera. Del resto tali infermi sono in buona fede e tranquilli dopo una accusa generica: è necessario essere cautissimi nell'avvertirli degli obblighi: tanto più che la malattia molto grave spesso scusa dall'integrità.

§ 10. - TRA PARROCO E FAMIGLIE

Un Sacerdote, specialmente parroco, è il padre delle anime a lui affidate da Dio: e S. Paolo vendicava con santo orgoglio questo titolo scrivendo ai suoi figli spirituali: Se voi aveste pure moltissimi maestri ricordatevi che io solo sono il vostro padre, avendovi
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generato col Vangelo.15 Padre, perché genera i figli alla vita spirituale col battesimo: padre, perché nutre tale vita coll'istruzione e coll'Eucarestia: padre perché la ridona, perduta, colla penitenza: padre, perché non può abbandonare le anime, sinché non siano già in cielo sicure della vita eterna. È padre spirituale: dunque deve vivere in mezzo al popolo come un buon padre, deve avere colle anime rapporti intimi e tutti per il bene eterno. Di qui due norme generali:
1. Un Sacerdote-parroco avrà cura di evitare quella vita così solitaria da consumarsi quasi tutta fra i muri della canonica, appartato, insensibile o allo scuro di quanto passa nella popolazione: pericoli, gioie, dolori, ecc. Il padre ed il pastore non sono così. Il padre pensa sempre ai figli: il pastore conosce bene le sue pecorelle. S. Paolo diceva che aveva pianto con chi piangeva, aveva goduto con chi era contento:16 era passato di casa in casa a darvi avvisi e predicare; i santi sacerdoti erano uomini di ritiro e di preghiera, ma insieme di carità espansiva, di zelo industrioso in intime relazioni con il popolo.
2. Un Sacerdote deve pure schivare un altro eccesso: entrare nelle famiglie per fini umani; perché là trova una conversazione geniale: perché là si possono scroccare pranzi e vuotar bottiglie: perché là si possono consumare lunghe veglie o lunghe ore in ozio, in critiche, in bagatelle, o peggio. Il preferire famiglia a famiglia, il prendere parte a feste per matrimoni o battesimi, sono cose ripiene di pericoli per un Sacerdote! Oh quante osservazioni non potrebbero fare quelli che hanno l'esperienza! Quanti tristi fatti non potrebbero raccontare a questo riguardo!
In entrambi questi eccessi dove se ne andrebbe la
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cura pastorale? Il primo la sterilizza, il secondo la rovina quasi del tutto.
Veniamo ora a diverse norme pratiche.
Anzitutto: conviene visitare le famiglie? Di regola generale si risponde affermativamente. In Germania, in Inghilterra ed oggi anche già alquanto in Francia, il parroco, o chi per esso, specialmente il vice-curato, visita diverse volte tutte le singole famiglie in ogni anno: anzi in molti luoghi in tutti i mesi e più spesso ancora. Perché? Per conoscerle personalmente: per conoscerne tutti i bisogni materiali e spirituali, i pericoli, il numero ed il grado di istruzione religiosa: per osservare che giornali e libri circolano: per portare un avviso pel catechismo: per far penetrare una buona parola, un consiglio, ecc.; per accertarsi che tutti prendano parte alle funzioni principali, agli Esercizi spirituali, ecc.
E da noi conviene o no tal sistema? Conviene quanto negli altri luoghi, notando però: che le parrocchie, essendo generalmente più piccole, più presto se ne possono conoscere i parrocchiani: che in città le visite son più necessarie che non nelle campagne: che vi sono anche altri mezzi per lo stesso scopo, mezzi che non si hanno in altre nazioni.
Ho detto tuttavia che anche in Italia sono convenienti tali visite: a) se il parroco vuole avere una giusta conoscenza dei bisogni d'ogni famiglia ed individuo e non crearsi delle perniciose illusioni, giudicando la sua popolazione da quella parte migliore che egli confessa, o dal modo onde la vede accorrere e stare in chiesa.
b) Se vuole, nelle sue prediche e negli avvisi al confessionale, poter dire solo e tutto quello che è
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necessario al popolo. Gli avvisi stereotipati e le prediche fatte tutte a tavolino, o studiate sui libri, lasciano per lo più il tempo che trovano, non rispondendo ai veri bisogni e sentimenti degli uditori.
c) Se si desidera dirigere la sua opera pastorale non al piccolo gregge di anime pie, ma a tutta la popolazione e specialmente a quella che è così malata da non sentire più il male ed il bisogno del medico spirituale. Si ricordi un Sacerdote che Gesù Cristo correva appresso alla pecorella smarrita, lasciando le altre novantanove già in sicuro; si ricordi che Gesù Cristo disse chiaro: Non hanno bisogno del medico i sani ma bensì gli infermi.17
d) Se dunque vuol imitare il modello divino deve come Lui andare agli infermi spirituali, come Lui andare alle famiglie, come Lui trattare con tutti, come Lui forse anche invitarsi non invitato.
e) Se desidera far vero frutto nella popolazione. Quel fare aristocratico di parte del clero francese, sino a qualche tempo fa, fu causa che la Francia, in fatto di religione pratica, divenisse quello che è. La religione, diceva un Sacerdote francese, presso di noi non è più una vita che si vive, ma una veste di lusso che si indossa in certe circostanze, per es., al battesimo, allo sposalizio, per sepolture. Come si invita la banda musicale, così il prete, non perché santifichi, ma perché compia l'apparato...: ma gli individui, le famiglie, la nazione sono in fatto di pensiero e di costumi senza religione.
Il Sacerdote può predicare a gente che giunta a casa si trova con un giornalaccio, che predicherà ogni dì e col lenocinio delle passioni più di lui. Che gioverà?
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Curi il male in radice, entri nelle case, senza l'aspetto di far l'inquisitore, ma da padre; studi, esamini, si prenda nota, poi a poco a poco cambi giornale o almeno accanto al cattivo ne metta uno buono, ecc.
Ma quanto sovente tali visite? Secondo il bisogno, il numero della popolazione, le occupazioni del Sacerdote, la conoscenza che ha della parrocchia, ecc. Per es.: è ottima cosa che un parroco, nell'ingresso parrocchiale, annunzi che vorrà fare la conoscenza personale dei suoi figli, visitandoli tutti; poi nei primi giorni di libertà incominci il giro, avendo riguardo alle convenienze sociali. È conveniente le visiti poi di nuovo due o tre volte nell'anno con qualche scusa: per es. per compire lo stato d'anime, per raccogliere gli abbonamenti e per portare egli stesso qualche volta il bollettino parrocchiale, per invitare tutti agli Esercizi spirituali, come ho detto di sopra, ed anche solo per motivo di benevolenza, per vederli qualche volta, ecc. Né basta che un parroco conosca già personalmente i suoi figli, i loro pericoli: in pochi anni le condizioni morali potrebbero cambiare assai e nella casa potrebbe penetrare un male prima ignorato.
Ed in che modo tali visite? Non bisogna andare a casaccio: si farebbe molta fatica e forse più male che bene. Da noi gli inconvenienti venuti dalle visite fatte male sono così numerosi e il bene così poco in generale, che si è finito per raccomandare quasi unicamente di star ritirati. Badiamo dunque al modo. a) Formarsi una specie di programma, ordinando bene il fine da proporsi ed i mezzi per raggiungerli. E qui alcuni si fanno per iscritto un casellario da riempire, non innanzi alla gente d'ordinario, ma giunti a casa.
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I punti di tal casellario potrebbero essere: di quante e quali persone consti la famiglia: se in essa vi furono mutazioni dall'ultima visita: come siano rispetto alla religione (praticanti, indifferenti, cattivi): quali pericoli abbiano in fatto di religione, nelle occupazioni, in ciò che leggono, chi frequentino, ecc.: quali siano le condizioni economiche e se abbisognano di soccorsi: quali errori serpeggino in generale: quali i vizi più comuni: quale bene morale si potrebbe loro fare: quali servizi potrebbero rendere al parroco: osservazioni particolari. Vi sono alcuni, che hanno un vero registro, altri tanti cartellini quante le famiglie, ordinate per lettera d'alfabeto: registri e cartellini che si possono correggere ogni volta che se ne riconosca il bisogno nelle visite.
Ciò fatto si può scegliere il tempo più conveniente per la popolazione specialmente quelle ore in cui la famiglia è radunata: poi, giorno per giorno, leggendo prima ciò che già ha registrato nelle visite precedenti, passare un certo numero di famiglie. Le visite hanno da essere brevi, non accettando da bere o altro, per principio, anche dichiarato dal pulpito; i discorsi con arte siano fatti cadere su ciò che ha bisogno di sapere, senza però che s'avvedano di quanto è meglio non sappiano; distribuisca a tutti saluti affettuosi, strette di mano, non dia soggezione, mostri un fare spigliato, faceto, che ispiri confidenza; a tutti dica una parola buona; accarezzi molto i piccoli, regali immagini, medaglie, dolci; si interessi e discorra volentieri delle cose loro, parlando di ciò che al popolo sta più a cuore: non disdegni, anzi chieda qualche volta di visitare la stalla, la cantina, ecc. Potrà, uscito da una casa, annotare subito qualcosa che potrebbe
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dimenticare, poi passare ad altre ed altre, in modo da compiere in breve un lavoro che per sé è lungo e richiede, fatto in tal modo, un vero spirito di sacrificio. Giunto a casa compirà gli abbozzi.
Se un parroco avesse già intenzione di fondare una opera, per es., un ospedale, ovvero di sostenere un circolo, ecc., potrebbe servirsi del giro per accertarsi della convenienza e delle disposizioni del popolo a quel riguardo.
Tutto questo costerà vera fatica: molti lo crederanno anzi inutile e dannoso. Ma se si proverà una volta, specialmente all'inizio del ministero pastorale, vedendone in seguito i frutti buoni, non si smetterà più. Ed un parroco così facendo non avrà certo l'odio della popolazione, non sbaglierà nel dirigerla e sarà il vero padre e pastore.
Oltre a questa norma ve ne hanno altre pure utili per conoscere intimamente le famiglie.
Usare sempre una dignitosa e paterna affabilità: con tutti, specialmente se uomini, se poveri, se infermi; quando vengono a parlargli ed a fargli visita; quando li incontra per via o dinnanzi alla chiesa dopo le funzioni. Prendere parte alle sventure ed alle gioie pubbliche e private, mostrando tali sentimenti anche dal pulpito, se si tratta di cose pubbliche, in privato se si tratta di cose particolari. Qualche volta saper offrire un bicchier di vino, poiché una bottiglia spesso fa dei miracoli di bene; astenersi sempre che non sia necessario da ricordare e rinfacciare difetti; non invitare secolari a far la partita in canonica, specialmente alla sera; non preferire famiglie e persone particolari, ecc., se non per necessità e con moderazione: per es. visitando di più il sindaco, il maestro,
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il medico, ecc., perché più influenti e più degni di riguardo.
Vivere insomma della vita del popolo; non pretendere con fare aristocratico, asciutto, tutto sussiego e maestà che ci venerino come semidei. Bisogna essere semidei di bontà, di carità, di affabilità e saremo come tali venerati ed amati, saremo i confidenti di tutti, saremo da tutti ricercati.
Il vice-curato potrà inaugurare tale metodo o semplicemente mettersi in relazione con alcune famiglie del paese? No: inaugurare il metodo spetta al parroco e visitare spesso famiglie particolari, scrivere, ecc., è sempre pericoloso, dannoso, imprudente. E questo tanto più quando in paese circolassero voci contro il parroco, quando egli andasse colà a sfogare la bile sua contro il parroco, quando fosse già trasferito altrove nonostante il suo rincrescimento.

§ 11. - TRA PARROCO E SUORE

Le suore sono le aiutanti, quasi direi le sorelle dello zelo del parroco: quale bene non possono fare nell'asilo, nell'ospedale, nel ricovero, nelle scuole, nell'oratorio, nel laboratorio! Sono esse un potente aiuto quando siano veramente formate a pietà profonda e virtù schietta. Questo concetto deve determinare le relazioni tra parroco ed esse.
Relazioni: 1) di rispetto: cioè non troppa famigliarità: giacché con esse i pericoli sono maggiori che con le donne ordinarie. Visite quindi piuttosto rare, solo di giorno, per quanto è possibile brevi, serie, in pubblico: per es. nella corsia dell'ospedale, in cortile,
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nel parlatorio comune. Meglio ci si dica che siamo grossolani, avessero pure da rammendare o lavorare la biancheria della chiesa: giova intendersi una volta per sempre; non crearsi bisogni ad ogni istante.
2) Di carità vera: cioè il sacerdote deve prendersi cura dell'anima in foro interno, se ne è richiesto: guidarle secondo lo spirito della congregazione, non dispensarle così facilmente dalle loro regole: inculcare sempre lo spirito di sacrificio e l'umiltà: esigere che spesso, anche più che non prescrivano le regole loro e i decreti pontifici, si confessino dallo straordinario. E questo ad ogni costo, poiché è ben frequente il caso in cui protestano la massima confidenza, mentre non ne hanno affatto. Si sappia pure sopportare i difetti che spesso hanno e istruirle molto sul bene che possono fare e sul modo che possono farlo. In ciò è bene usare molta attenzione: poiché se vengono bene addestrate al lavoro sono più virtuose. Spesso esse ignorano le circostanze particolari del paese: qualche volta si caricano di soverchie occupazioni, che non riescono a disimpegnare bene: il parroco vigili.
NOTA: E colle suore questuanti? Se nel paese vi sono altre suore sarà sempre bene mandarle ad alloggiare e a mangiare presso di esse, facendo, se lo crede, una qualche offerta a questo [scopo]. Se nel paese non vi sono suore, può riceverle in canonica, ma dopo essersi bene assicurato delle loro carte e dopo aver esaminato se nella parrocchia non vi sia qualche pia persona che possa fare tale carità: in questo caso il parroco stesso o le suore potrebbero rivolgersi ad essa.
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§ 12. - TRA PARROCO E ASILO

Sopra si è veduto quale cura deva porre un Sacerdote nell'educazione della gioventù. Ora è certo che più presto egli si pone attorno a queste tenere pianticelle e migliore sarà il frutto di sue fatiche: potrà piegarle come crede, innestarvi le gemme preziose della fede e della divozione: fede e divozione che saranno gli aromi che preserveranno quei giovani cuori dalla corruzione.
Si dice che la miglior educazione è quella della famiglia: la scuola non è che un sussidio di essa.
È vero: quindi sarebbe assai bene che i bambini venissero educati in casa dalla mamma, con ogni attenzione. Ma in pratica si vedono genitori curarsi ben poco dell'istruzione religiosa dei figli, perché essi stessi sono indifferenti o troppo occupati; si vedono i bambini esposti a mille pericoli nelle piazze, nelle vie, nelle stesse famiglie. All'asilo infantile invece imparerebbero i primi rudimenti del catechismo, le orazioni, i primi principî di educazione morale e religiosa. Di più: nell'asilo il parroco trova delle buone maestre o suore che sanno preparare meglio dei genitori e del Sacerdote stesso i piccoli alla prima Comunione. E ciò importa ancor più oggi, dopo gli ultimi documenti pontifici circa l'età in cui sono da promuoversi i fanciulli a quest'atto sì importante nella vita.
Per ciò sarà generalmente parte dello zelo sacerdotale il cercare di istituire nella parrocchia un asilo quando ancor non vi sia. Ma perché il lavoro che richiede e le spese che importa non siano tali da assorbirne tutta l'attività e il denaro disponibile, egli getterà l'idea, la coltiverà tra quelli che sono capaci di
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aiutarlo, la farà maturare. Poi distribuirà le incombenze varie ad un'amministrazione capace, vi porrà un personale adatto e riserverà a se stesso ed ai suoi successori l'ufficio di presidente nato, o almeno, di direttore. Ciò importa assai, perché in avvenire non finisca col diventare un ente laico o quasi laico, con gravissimo danno della cura pastorale.
Avverrà invece talvolta che il parroco trovi l'asilo già eretto, governato da amministrazione veramente cristiana, in cui egli è chiamato a fungere da Presidente. Accetti allora volentieri tale dolce onere, si adoperi con zelo perché tutto proceda bene, specialmente per la parte religiosa, cerchi d'avere un personale molto buono.
E se invece l'asilo già fondato fosse governato da uno statuto laico, con un programma froebeliano puro,18 con un'amministrazione liberale, escluse le suore? Il parroco come dovrà comportarsi specialmente quando vi fosse solo ammesso per un po' di lustro, o perché tassato d'un bel numero d'azioni? Ritirarsi subito non gli conviene: sarebbe tacciato d'avaro e quei piccoli, che là stanno crescendo uomini, ne avrebbero danno. Accetti come azionista, accetti, anzi desideri qualche carica nell'amministrazione, accetti volentieri se venisse eletto presidente. Quanto bene potrà fare sia con buone parole nel consiglio d'amministrazione, sia con prudenti direzioni agli insegnanti, sia col far sì che poco per volta anche lo statuto sia informato a principii cristiani! Colla prudenza, carità, affabilità verso tutti forse non sarà difficile giungere a questo punto o quasi.
E se i suoi sforzi a nulla approdassero e l'educazione dell'asilo fosse del tutto laica, che dovrà fare?
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Potrà rendere note pubblicamente le sue ragioni e ritirarsi: egli non può col denaro o coll'opera propria concorrere a gettare nei bambini principî falsi.

§ 13. - TRA PARROCO E OSPEDALE

L'ospedale è il rifugio d'un buon numero di miserie umane: spesso è Dio che prova, qualche volta è la sua mano che colpisce, sovente è la Provvidenza misericordiosa che vuol guidare a ravvedimento i peccatori. Come ci sta dunque bene il Sacerdote salvatore d'anime nell'ospedale! Là egli consola e conforta a soffrire, indicando il cielo: là insegna a cambiare in prezioso purgatorio i dolori: là accoglie i peccatori, li riconcilia con Dio e li prepara all'ultimo passo. Dunque un parroco non può disinteressarsi dell'ospedale: e il suo zelo può manifestarsi in molti modi.
Spiritualmente: assistendo gli infermi là raccolti, come, e meglio che non si assistano gli altri nelle loro case, e procurando che si dispongano santamente a presentarsi a Dio.
Moralmente: sia esercitando una certa alta sorveglianza sopra il personale di servizio, laico o religioso che sia; sia consolando; sia col far sì che gli infermi guariti, ritornando poi alle loro case, stiano lontani dai disordini e vivano da buoni cristiani. Vi hanno persone che il parroco solo può avvicinare in tale luogo ed è un gran bene che si valga di quell'occasione per indurle a riflettere alquanto sopra le verità religiose e sopra i principii morali.
Questa influenza il parroco può e deve esercitarla sempre, sebbene in diversa misura, vi sia o no il cappellano.
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Coll'opera sua: quando fosse creato membro dell'amministrazione. In questo ufficio egli farà ogni suo sforzo perché dall'ospedale venga tenuto lontano lo spirito laico, che oggi tutto vuole invadere.
E fondare un ospedale? è cosa molto difficile e difficilissima quando nel paese non vi siano ricche e benefiche persone o lasciti di qualche rilievo. È certo però un'opera molto buona: ma prima generalmente non conviene abbandonarsi, come si dice, totalmente nella Provvidenza; è necessario possedere in re o fondatamente in spe19 qualcosa almeno.
NOTA: in generale il parroco ed il Sacerdote è sempre bene che accettino gli uffici di amministratori in ospedali, opere pie, scuole, ecc.: potranno con questi mezzi esercitare sempre direttamente o indirettamente la cura pastorale. Così direi anche, sebbene con più cautela, di accettare come azionisti e raramente come amministratori in quelle società per sé neutre, come sono la banda musicale, società di filovie..., per impianti elettrici. Ben inteso: quando si abbiano queste tre condizioni: che non venga troppo disturbato il ministero sacerdotale, vi sia il consenso dei superiori, sia concessa l'autorizzazione per quegli uffici in cui la Chiesa comanda di ottenere prima la debita licenza.

§ 14. - TRA PARROCO E TRISTI O NEMICI

«Omnibus debitor sum»,20 di tutti devo curarmi, scriveva S. Paolo; e voleva dire: a tutti devo predicare, per tutti devo lavorare allo scopo di guadagnarli a Dio. Questo può pur essere il motto d'un pastore d'anime: salvare tutti, lavorare e pregare per tutti: fossero pure dei traditori, come Giuda, o dei
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crocifissori. Ma mentre egli tutti amerà e stringerà volentieri al cuore suo, anche i più tristi, dovrà combattere il male da essi fatto e gli errori da essi sparsi, perché sia risparmiato il gregge: Pereant errores, vivant homines.21
Secondo tali principi, ecco diverse norme pratiche:
1. Coi tristi.22 Anzitutto pregare molto per essi e far pregare da tutte le anime buone. La conversione esige che si pieghi la volontà e cambi il cuore, e questo è opera di Dio solo. Poi tentare con tutte le arti pazienti della carità di convertirli. Si potrà agire direttamente, ponendosi in relazione, se la prudenza lo permette; si potrà agire indirettamente per congiunti o persone buone, se la prudenza vieta una relazione diretta, ovvero questa gli riesce impossibile. Con questi mezzi egli studierà la causa di tal vita e secondo la causa si farà un piano di lavoro. Se la causa è l'incredulità potrà far giungere a lui libri che gradatamente lo interessino dei problemi religiosi, poi lo inducano a studiarli, ecc. Potrà far loro pervenire buoni giornali: in certi casi potrà anche entrare con loro in amichevoli conversazioni: in altri, quando cioè nella parrocchia ve ne abbiano molti, potrà far tenere corsi di conferenze da persona abile e accetta. Si guardi però sempre da ogni invettiva o da zelo amaro: solamente la carità longanime, molto longanime riesce a convertire. Se la causa invece fosse il vizio, allora converrà agire diversamente, secondo i diversi casi. Se si tratta di un matrimonio contratto soltanto civilmente cercherà di indurre i coniugi a porsi in regola: se si tratta di una cattiva relazione vedrà se non è possibile allontanare uno dei due, fosse pure cercando impiego altrove, ecc. Ma in tali casi è meglio d'ordinario agire per mezzo di terzi.
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Importa sempre però premunire il gregge dall'azione deleteria di questi infelici: e ciò con un'energica azione pel bene. Se il libertino sparge errori contro la fede, il parroco spiegherà bene la dottrina, sciogliendo le obiezioni; se diffonde stampa cattiva, egli lavorerà a diffondere la buona; se tiene conferenze, egli ne opporrà altre. Che se i cattivi, essendo numerosi o forti di aderenti, costituiscono società, circoli, ecc.: egli ne organizzerà altre, ma cattoliche, anzi sarà bene che faccia sempre il primo in queste cose. Insomma si eviti ogni personalità,23 ogni invettiva: ma si lotti contro il male, opponendo armi ad armi: nelle relazioni sociali mostri anzi che egli li ama e li tratta ancora come figli; non li avvicini di troppo, poiché il popolo deve vedere nella condotta del pastore una tacita condanna dei loro errori; ma non li schivi del tutto, quasi li odiasse.
Né si perda d'animo il parroco, né si contristi: nell'ordine generale della Provvidenza anche i tristi compiono una missione: esercitano nella virtù i buoni, tengono desta la nostra attenzione sulla propria condotta per mantenerci irreprensibili, scuotono l'inerzia, spronano all'azione feconda di bene. - Lo scoraggiamento e l'inerzia, innanzi a tal fatto, sono difetti, come l'irritazione e le invettive.
2. Coi nemici. - Anche con questi il parroco deve compiere due lavori: uno per la riconciliazione di essi, l'altro per impedire il male che sugli altri può venire dall'inimicizia. E sia per una come per l'altra cosa giova cercare la causa del fatto.
Qualche volta ha colpa il parroco col suo carattere pronto, violento, grossolano, ecc. Si esamini tal cosa innanzi a Dio: poiché per recitare il mea culpa in
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tali casi si richiede un atto quasi eroico: poi cerchi ad ogni costo di correggersi e frenarsi: quindi, senza strisciamenti, chieda colle parole o col fatto scusa, obbligando i suoi nemici a confessare che, se anche lui può errare, sa tuttavia ravvedersi saggiamente. L'ostinarsi è assumere una posizione difficile ed anche scandalosa. Non pretendiamo sempre d'aver ragione dove è solo l'amor proprio che ne va di mezzo e non le anime.
Altre volte l'inimicizia è causata dall'aver il parroco sposato un partito, schierandosi apertamente contro l'altro. Qui egli deve ricordarsi che non è suo ufficio entrare in questioni puramente locali o personali, materiali. Egli è per le anime e non per altro: egli non può sposare che il partito del bene e tenersi assolutamente fuori da ogni altro partito. Anzi egli deve essere il padre che può a tempo debito ricordare agli uni ed agli altri il dovere rispettivo, egli è il ministro di carità, l'ambasciatore di pace.
Qualche volta però si tratta del partito del bene contro il partito del male: ed allora il parroco non può stare spettatore ozioso ed indifferente: darebbe scandalo e sarebbe il pastore che assiste ozioso alla strage delle pecore. In tal caso egli si schiererà apertamente coi buoni, con dignità e coraggio: facendo conoscere che così opera per la religione e per le anime.
Può anche avvenire di trovar nemici pel suo zelo prudente ed efficace, per es. quando vuol togliere un vero abuso o un vizio. In questo caso egli finga di non accorgersi di tal inimicizia, non se ne curi, non si lasci andare a vergognose dedizioni. Non combatta mai le persone, ma il male; non si lamenti,
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specialmente in pubblico, delle contraddizioni; sia sempre calmo e trionferà coll'aiuto di Dio. È naturale che i cattivi si oppongano all'azione del Sacerdote: questi è ministro di bene, essi apostoli del male: dunque non lo soffriranno in pace.
Un parroco, che sia davvero amato da tutti, fa fortemente temere che non faccia il suo dovere. Anche Gesù Cristo venne combattuto, perché faceva miracoli e tutti attirava a sé colla bontà sua. Le persecuzioni molto spesso sono segno di lavoro, sono segno che Dio è contento del suo ministro, sono segno che lo spirito cattivo è perseguitato.
Avanti, dunque: confidenza in Colui che vinse il mondo, pur essendo calunniato, perseguitato, crocifisso.
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1 Mt 10,16: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe».

2 All'incontro sta per al contrario o viceversa.

3 1Pt 4,9: «Praticate l'ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare».

4 S. AGOSTINO, Confessioni, VIII, 11. L'espressione testuale è: «Si isti et illae, cur non ego?» (Se questi e quelle [poterono fare tanto], perché non io?).

5 Cf M. T. CICERONE, De senectute, 11: insensibilmente.

6 Mt 18,15: «Fra te e lui solo».

7 Cf SACROSANCTUM CONCILIUM TRIDENTINUM, sessio XXIV, Decretum de Reformatione, caput 1, in J. D. MANSI (a cura di), Sacrorum..., op. cit.

8 Lc 9,60.

9 Una delle ultime istituzioni che si richiamano a don Alberione è l'istituto “Ancilla Domini” per le “familiari del clero” in parrocchia. Lo stesso Fondatore vi indirizzò personalmente una giovane, che fu la prima candidata del costituendo istituto, avviato successivamente e preso in cura dall'istituto “Gesù Sacerdote”. Il nuovo istituto venne ufficialmente eretto il 1° giugno 1997 con decreto di Mons. Eugenio Ravignani vescovo di Trieste. Don Furio Gauss IGS ne è l'Assistente spirituale. Nel 2001 l'istituto contava 131 membri.

10 Mt 25,40: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».

11 Sull'esempio di San Francesco e dei suoi primi compagni, l'Ordine dei Conventuali si è sempre fatto promotore di attività caritativo-sociali. L'Opera del pane dei poveri iniziò a Padova nel 1887. Cf G. ODOARDI, Conventuali, DIP, III, 1976, pp. 2-94.

12 La Società di San Vincenzo de' Paoli ebbe inizio nel 1833 per opera di A. F. Ozanam e altri sette compagni. Gli associati con la loro opera si prefissero la visita ai poveri nelle loro abitazioni. Nelle loro sedute, dopo la preghiera e la lettura spirituale, rendevano conto delle visite, assegnavano i buoni da distribuire e organizzavano fra loro una questua. L'Ozanam fu instancabile propagatore dell'opera dovunque si trovasse nei suoi viaggi fino alla vigilia della sua morte. Cf P. PASCHINI, Ozanam Antoine-Frédéric, EC, IX, 1952, pp. 488-489.

13 TACITO, Historiae, I, 5-6: L'esperienza insegna.

14 2Re 20,1: «Morirai e non guarirai».

15 Cf 1Cor 4,15.

16 Cf Rm 12,15.

17 Cf Mt 9,12.

18 Cf F. FROEBEL, L'educazione dell'uomo, Paravia, Torino 1852; e anche Manuale pratico di giardini d'infanzia, Civelli, Milano 1871.

19 “In re... in spe”: nella realtà o nella speranza fondata.

20 «Sono in debito verso tutti». Cf Rm 1,14: «Graecis ac barbaris sapientibus et insipientibus debitor sum - Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti».

21 Periscano gli errori, vivano gli uomini.

22 Tristi, da “tristo”: moralmente infelice, sciagurato, o addirittura malvagio.

23 Sta per personalismo, o attacco personale.