Bem-aventurado Tiago Alberione

Ópera Omnia

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Registrazioni audio ssp 1957

Trascrizione del file: 1957-10-01_ssp_rosario_cinema.mp3
durata 30'47''

Don Giacomo Alberione - Roma, 01-10-1957, alla ssp?


Il rosario per il cinema



Questa sera è utile che noi prendiamo questo indirizzo o questa risoluzione: celebrare il mese del rosario per il cinema. Ecco tutto.
E perché? Tre fini.
Primo: conoscere sempre meglio l'apostolato del cinema, secondo l'indirizzo e la spiegazione che ne ha dato il santo Padre nella enciclica sopra cinema, radio, televisione.
Secondo: abbracciare questo apostolato con tanta fede con tanto entusiasmo.
Terzo poi: compierlo; non solo ma costantemente pregare perché venga in soccorso la nostra Madre Maestra e Regina.
È un fatto che vi sono oggi delle condizioni nell'umanità e nella Chiesa e delle difficoltà che superano le difficoltà che vi erano al tempo del maomettismo, cioè quando i turchi si avanzavano verso l'Italia e avevano già conquistato gran parte dei Balcani, non solo ma anche l'Ungheria e l'Austria e andavano dicendo che volevano arrivare a Roma e nella basilica di san Pietro dar da mangiare, dar la biada ai loro cavalli. Le parole erano molto orgogliose; i propositi erano veramente sacrileghi; ma erano d'altra parte ubriacati di superbia, di orgoglio per le loro vittorie contro i cristiani e in generale contro tutto l'occidente. Ecco.
Noi considerando che oggi i tempi son più difficili, la battaglia è più difficile, abbiamo bisogno di nuovo dell'intervento di Maria come l'intervento di Maria è stato visibile, sensibile a Lepanto e a Vienna, per le vittorie decisive che han riportato nella battaglia navale e poi nella battaglia di terra i cristiani sopra i turchi: la loro potenza fu fiaccata.
Oh, il rosario adoperarlo allora come un'arma di battaglia! Le nostre armi sono pacifiche, le nostre armi: noi non costruiamo né i missili né costruiamo le bombe atomiche, no. Ma noi abbiamo delle armi che sono potenti per la potenza di Dio, in quanto che bastano per il potere di Dio a vincere il nemico. E quando Davide andava contro il gigante Golia e Golia lo disprezzava e lo guardava con alterigia ad avvicinarsi, ecco Davide disse: “Tu vieni contro di me con le tue armi e io vado verso di te nel nome del Signore”, cioè nel nome e nella potenza di Dio. E sappiamo che ha atterrato il nemico.
Oh, allora pure il santo Padre descrive bene la difficoltà che vi è in questi tre mezzi di comunicazione del pensiero e in questi tre mezzi per cui si danno anche i princìpi morali, i princìpi fondamentali del culto. Tuttavia la difficoltà deve essere positivamente considerata, perché si tratta proprio di andare come Davide con cinque sassi e una fionda contro un gigante che era armato dalla testa ai piedi. E ho visto a Firenze il Davide della Scrittura, il gran monumento che ha reso celebre il suo autore.
Ora considerare in primo luogo l'apostolato del cinema. Noi occorre che abbiamo nel cuore un grande amor di Dio e un grande amore alle anime: ecco tutto. Allora sentiamo che abbiamo da difendere l'onore di Dio e difendere le anime dal peccato, dal male, anche con questo mezzo, sì, con questo mezzo. Purtroppo quelli che ne parlano, sovente ne parlano in modo commerciale o industriale del cinema, e così anche della radio e della televisione, ma in modo particolare del cinema. Ma per noi è da considerarsi il cinema, come accenna anche il santo Padre, come mezzo di apostolato, sia per allontanare tante anime dal male, dal peccato, e sia per portarle al bene, ecco. E cioè infondere in loro i princìpi sani, tanto dottrinali quanto pratici, quanto morali. L'apostolato del cinema.
Passati altri cinquant'anni molti arriveranno all'apostolato e ne useranno, anche dei cattolici, ne useranno come mezzo di guadagno, perché allora sarà già entrato nello spirito del popolo che occorre sì dal cinema aspettarsi un sollievo, una specie di divertimento, ma specialmente aspettarsi un mezzo di trasmissione di pensieri, di verità e di princìpi di morale cristiana. Sì. Come tempo fa era così del giornale ed era così del libro: non lo si considerava così facilmente come apostolato. Ho visto stamattina che è uscito un libro il quale è intitolato: “Il libro ausiliario necessario della parola, della fede, della predicazione”, ausiliario necessario della fede.
Oh, considerare l'apostolato. Certamente che tutti noi stando negli uffici e stando nelle sale, dove si compie il lavoro tecnico, siamo alle volte preoccupati dei fastidi che accompagnano l'apostolato e siamo preoccupati anche dal lavoro tecnico, perché riesca bene, e siamo preoccupati dall'amministrazione. E qualche volta non alziamo più tanto facilmente il pensiero in alto e tante volte quasi non consideriamo subito lo spirito che vi è.
Ma, sì, nel mese del rosario acquistiamo fede, consideriamo i princìpi su cui si fonda questo apostolato, i principi soprannaturali.
Che cosa debba contenere, a chi si debba dare e quale efficacia abbia nell'operare sopra gli spettatori, sì. Certamente considerato in sé, il cinema sembrerebbe, sebbene nostro, avere una parte industriale e una parte commerciale, certamente. Nelle cose che si compiono dagli uomini, anche le più sante, ci son sempre due elementi: come l'uomo stesso è composto di corpo e un corpo che è fatto delle materie di cui è fatto anche il corpo della scimmia. È un corpo sì, ma ha un'anima ragionevole, immortale, spirituale.
E così al battistero c'è l'acqua, che è acqua comune e deve essere acqua naturale, anzi l'acqua più naturale che ci possa essere. E nello stesso tempo in quell'acqua è immessa la virtù dello Spirito Santo per cui dicendo le parole battesimali, ecco che l'anima del bambino resta mondata e quel figlio dell'uomo diviene figlio di Dio. Sì.
Considerare le cose in alto, secondo i princìpi di fede, altrimenti restiamo come chiusi e il lavoro si fa con tristezza magari e ci si vede solamente più la parte di fatica o la parte della preoccupazione.
Vivere di fede nell'apostolato del cinema! Ecco la conclusione.
Quello che vogliam chiedere alla Madonna santissima: avere in noi una fede viva, una fede la quale diriga tutti i nostri passi e tutti i nostri ragionamenti, sì, e ci faccia sembrare meno pesanti le fatiche e le preoccupazioni quotidiane.
Vivere di fede! Diversamente noi ci smarriamo e diventiamo più infelici che i produttori e i noleggiatori e gli amministratori e i tecnici del cinema. Perché allora almeno essi hanno ancora una consolazione umana: o la gloria o il denaro o la soddisfazione naturale. Ma noi che cosa cerchiamo se non Dio? Chi ama Iddio, si attacca tutto a lui, per lui Dio è tutto: “Dio mi basta”, diceva santa Teresa: “Deus meus et omnia”.
Allora quando si sa che con tutti questi mezzi e queste fatiche e preoccupazioni, questi viaggi, questo parlare e questo correggersi in mezzo agli sbagli che sovente avvengono... allora prendono un senso grande: sono i mezzi con cui mostriamo l'amore a Dio e l'amore alle anime. E allora infine dire: “Dio solo mi basta”.
All'uomo basta attaccarsi quasi a niente, perché si allontani da Dio. Attaccarsi a Dio! allora il distacco dalle cose è facile; perché se noi abbracciamo Dio con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore, allora sì!
Leggevamo stamattina nella meditazione – perché quest'anno facciamo le meditazioni sul culto dei voti – che alle volte, senza accorgerci, noi ci attacchiamo a delle sciocchezze: il mio posto, il mio onore, la mia posizione. E diceva il libro, “per far cambiar posto a una persona, alle volte ci vogliono mille ragionamenti e mille agitazioni: segno che non faceva le cose per Dio”, concludeva.
Alle volte noi ci attacchiamo anche a delle cose più miserabili: un taccuino, un'immagine, un ricordino e ...va' a sapere. Una superiora era stata cambiata e non ha voluto consegnare la chiave all'altra che succedeva: bel modo! dovere andarsene a far fare un'altra dal meccanico! Ma siamo attaccati. E è più facile che ci attacchiamo noi superiori.
Oh, vedere Iddio! attaccati a Dio!
Secondo: allora ne segue che faremo l'apostolato bene, faremo cioè l'apostolato con slancio. Non ci faremo dell'apostolato un'idea strana: quasi l'apostolato del cinema in cosa consiste? nell'aver davanti a noi un buon telone e poi dopo sedersi in un seggiolone e veder lì scorrere davanti a noi la scena, il dramma, in sostanza la vicenda che rappresenta, oppure la parte che possiamo dire sussidiaria a quell'insegnamento scientifico?
Oh! l'apostolato è cosa che si deve considerare nello spirito di san Paolo: le sue fatiche per l'apostolato, le sue fatiche! Egli che andava di città in città, di nazione in nazione e mica coi mezzi moderni! Egli che doveva lavorare di giorno per poter cibarsi e predicar la notte! Egli che era contraddetto in mille maniere!
L'apostolato costa sacrificio. O non dedicarsi all'apostolato o fare i sacrifici! Uno può anche in un certo modo cercare sempre quello che è più comodo, ma quello che è più comodo per vivere non è sempre più comodo per morire.
E allora abbracciare con senso soprannaturale in spirito soprannaturale il sacrificio, il lavoro quotidiano, ecco, il lavoro quotidiano. Abbracciarlo com'è secondo quello che ci riserva, anche se noi ci accorgiamo che abbiamo da farci strada in un modo che si può chiamare una foresta. E quei missionari che avanzano per esempio nel Mato Grosso? Devono portarsi le scuri e portarsi le seghe e le zappe e poi abbattono le piante e a poco a poco avanzano, e vanno riempiendo degli avvallamenti, dei fossi, coi loro badili, eccetera. E a far dei chilometri non è semplice! non fanno mica un chilometro ogni giorno, di strada. Così è in questo mondo, in questo ginepraio, in questa febbre di lavoro per il cinema. In tutte le parti abbiamo da farci strada e è sempre difficile fare il bene, è sempre difficile fare il bene.
Per questo ci vogliono mortificazioni: la mortificazione appropriata al nostro apostolato: non vedere le pellicole che non bisogna vedere; non leggere ciò che non si deve leggere; non udire alla radio ciò che non si deve udire; non stare alle trasmissioni televisive quando è passato il tempo del notiziario. Cioè come dice il Papa, cioè come dice la Congregazione dei religiosi nella Comunicazione dataci. Quindi mortificazione!
Poi le mortificazioni sono altre: è proprio quel lavoro attorno alla pellicola, è proprio tenere quella contabilità e tenerla con precisione, con intelligenza, con amore, con dedizione, è proprio lavorare nel noleggio e passare in mezzo alle difficoltà, come uno se dovesse arrivare a casa mentre che piove, cercar di passare quasi fra una goccia e l'altra. Perché si è sempre in pericolo di essere bagnati o a destra o a sinistra: bagnati qui vorrebbe dire ingannati oppure trovare delle incomprensioni, degli ostacoli, delle opposizioni, anche da coloro che – prendiamo – dovrebbero essere i nostri aiuti e considerassero il nostro apostolato come un soccorso, un ausiliario forte del loro ministero, della loro predicazione. E quante volte inimici hominis domestici eius: i nemici sono le persone care, tante volte, quelle che stanno nella casa di Dio, ecco, quelli che... Vi sono i nemici spiegati, che ci contrastano pubblicamente, e vi sono i nemici invece che si presentano sotto l'aspetto ben diverso, come agnelli, come agnelli; ma la loro pelle copre tante volte delle intenzioni, e dei sentimenti, delle aspirazioni che non sono soprannaturali, tutt'altro: non c'è il lucro, il guadagno, non c'è che il posto e l'onore, non c'è che la soddisfazione alle volte artistica, alle volte anche sensuale.
Eh! vedere di camminare, tuttavia, tutti i giorni facendo la nostra parte, senza pretendere soddisfazioni sulla terra: il premio è lassù. Voi non vedrete, non vedrete il bene che si fa giorno per giorno, settimana per settimana, no. Non potete conoscere a quale anima avete portato un po' di luce, né quale anima avete tirato indietro dal peccato, impedendo che quelle persone andassero a divertimenti nocivi, per andare almeno a divertimenti innocui, ecco. Non si conosce. Il nostro apostolato è così. Perché il sacerdote che predica, dopo va in confessionale e sente il frutto della predica, perché quelle persone vengono magari picchiandosi il petto e: “Ha proprio ragione come diceva! Io non faccio il bene, mancavo in quelle cose che lei ricordava”. Ebbene, noi non abbiamo questa soddisfazione. La soddisfazione sarà il giorno del giudizio universale, quando si vedrà la eco che ogni nostra rappresentazione ha avuto nelle anime, si vedrà la reazione che le anime avran fatto alla nostra trasmissione positiva, sì.
Sacrificio quotidiano per conseguenza. E per che cosa? In spirito di penitenza dei nostri peccati, in prova di amore verso Iddio, per acquistare i meriti per la nostra vita eterna. Ad quid venisti? Ma la congregazione è fatta per quello: l'apostolato coi mezzi moderni. A che cosa siam venuti? Il Papa ha ricordato con tanta forza ai Gesuiti di ricordare sempre come è il loro istituto, i fini che il loro istituto si propone. Allora sempre presenti e camminare nello spirito proprio dell'istituto!

In terzo luogo: pregare, pregare perché intervenga Maria, ecco: illumini per la scelta dei soggetti; guidi la parte tecnica; intervenga nella parte di noleggio, di propaganda e di diffusione; poi Maria ci assista nelle amministrazioni; poi perché Maria dia la grazia di lavorar sempre con le mani, con innocens manibus et mundo corde, con le mani pulite e col cuore innocente.
Sì, fare come una lega di preghiere e di rosari! Rosari molti in questo mese! assieme, unendovi tutti! E questa è la ragione per cui stasera ci tratteniamo tutti assieme; per una volta soltanto però. Unirsi tutti in una quantità di preghiere, di rosari a Maria, rosari molti, rosari ben detti! perché si possa un po' sfondare quello che costituisce il complesso delle difficoltà che incontriamo, sotto ogni aspetto: il primo aspetto è il personale, sì. Pregare e meditare i misteri del rosario bene.

Oh adesso [sto] dicendo una cosa generica, poi se ne parlerà poi in particolare: nei misteri gaudiosi chiedere l'osservanza del voto di povertà, nei misteri dolorosi chiedere la grazia di osservare il voto di castità, nei misteri gloriosi chiedere la grazia di osservare il voto e la virtù dell'obbedienza; e tutti insieme [chiedere] lo spirito dell'apostolato paolino e, parlando di noi, l'apostolato cinematografico, ecco.
Meditarli bene i misteri, far delle belle adorazioni! Nel mese del rosario, di ottobre, vi sono anche indulgenze particolari per il rosario che vien detto durante la messa o davanti al Santissimo esposto, sì. Questo può incoraggiarci.
Però unirsi tutti per supplicare Maria che intervenga in questo grande apostolato, che lo benedica così che possa progredire di giorno in giorno e arrivare proprio alle anime, arrivare alle anime.
Sì, si dirà che molti non lo comprendono. E aspettiamo che gli uomini comprendano, per fare le cose? Gli uomini non comprenderebbero in generale così facilmente la vita religiosa: lasciare il mondo, consacrarsi a Dio e lasciare un avvenire forse felice e fortunato per sottomettersi a un'obbedienza e a una mortificazione religiosa continuata. Ma basta che comprenda Iddio, che veda Iddio, sì.
Unione! Io metterò tutti i rosari e li metto fin da adesso per questa intenzione, che è triplice. Mettetela tutti voi! e cercate molte persone che preghino in unione con voi il rosario per il cinema in questo mese, per l'apostolato in sé e per chi lavora in questo apostolato. Cercare preghiere! E nelle visite al santissimo Sacramento e nelle messe e nelle comunioni sempre ricordarlo, sempre.
Avrete molto aumento di grazia. Perché è di volontà di Dio. E quando noi domandiamo al Signore le grazie per fare la sua volontà, come non ci esaudirà? Sono proprio quelle le grazie che concede il Signore, le preghiere che ascolta il Signore: quelle che noi facciamo per compiere la sua volontà: “Non come voglio io, ma come vuoi tu, Padre”: e il Padre gli ha mandato l'angelo a consolarlo, Gesù, nel Getsemani; e il Padre per mezzo dello Spirito santo ha infuso quella grazia che l'ha sostenuto durante la sua dolorosissima passione, il nostro Maestro divino.
Io aspetto tanto.
E se dovessi ancor dire una cosa: che vengano vocazioni proprio per quello: per il cinema.
Si dirà che è sempre cosa difficile. Il bene è sempre difficile! Allora o rinunciarci oppure con coraggio e con molta grazia di Dio andare incontro alle difficoltà e fortemente lavorare, fortemente combattere fino alla fine. Poi corona justitiae, la corona di gloria in paradiso.
Unione, dunque, in questo mese dinanzi alla Madonna, tutti uniti!
Sia lodato Gesù Cristo.


II - Le Figlie di S. Paolo, guidate in saggezza dalla Prima Maestra, che è sempre pronta ad accettare ogni buona iniziativa, ringraziano Gesù Maestro che le ha portate ad un apostolato così santo e fecondo di bene.
La dedizione incondizionata di ogni ora e momento, spiega il loro numero, diffusione, risultati.
Vi sono sempre tante cose che i superiori non possono manifestare; ma l'obbedienza frutta i più preziosi meriti ed opera miracoli.

III - Se ben si considerano le nostre divozioni principali: a Gesù Maestro Via, Verità e Vita; alla Regina degli Apostoli, Madre di Dio e nostra; a San Paolo Apostolo, in cui viveva ed operava Gesù Cristo stesso, si capisce come la Famiglia Paolina vuole dare con S. Paolo e con Maria lo stesso Gesù al mondo, come anche Egli si è dato. Si spiegano perciò le Pie Discepole, Le Suore di Gesù Buon Pastore e l'Istituto Regina Apostolorum per le vocazioni.
Le Pie Discepole hanno un triplice apostolato che nasce da un unico amore. Dall'amore al Divino Maestro presente nell'Eucaristia nasce il loro apostolato eucaristico. Dall'amore a Gesù vivente nella Chiesa, suo corpo mistico, nasce l'apostolato liturgico. Dall'amore a Gesù Cristo vivente nel Sacerdote nasce l'apostolato del servizio sacerdotale. E l'azione di Gesù in esse corrisponde al loro amore per Lui: e si manifesta nell'osservanza religiosa e nello sviluppo di persone ed opere.
IV - L'apostolato più conformato a quello di Gesù Cristo e più tradizionale nella Chiesa è l'apostolato pastorale della Gerarchia. A questo collaborano secondo il loro stato e condizione, le Suore di Gesù Buon Pastore. Se la guerra ha fermato momentaneamente il loro sviluppo, ora stanno redimendo il tempo: con cammino regolato e prudente, ma completo e deciso.
V - Immensi sono i bisogni dell'umanità, della Chiesa e delle anime, e si capisce come da ogni parte si propongano opere ed iniziative; ma le opere si fanno se vi sono le persone; e queste tanto più producono quanto più sono innestate in Cristo. Vi è la corrente elettrica a bassa ed alta tensione. La vita religiosa è la corrente spirituale ad alta tensione, è la poesia della personalità in Cristo, la generatrice e alimentatrice di eroismi. Perciò la necessità di vocazioni in tutti i settori religiosi ed ecclesiastici, nello spirito delle due opere pontificie per le vocazioni, al Clero secolare ed alla vita religiosa. In questa direttiva si costruisce l'Istituto Regina Apostolorum per le vocazioni. Procede secondo Gesù Cristo Via, Verità e Vita: il suo esempio e il suo insegnamento. Le vocazioni buone e sufficienti costituiscono il maggior attuale bisogno della Chiesa in ogni parte del mondo.
VI - Infine profonda umiliazione per ciò che finora è mancato per la gloria di Dio, per l'umanità, per la Chiesa, per noi stessi. Qui si dirigono le intenzioni del Primo Maestro quando nell'offerta delle orazioni, azioni e patimenti si dice «secondo le intenzioni del Primo Maestro».

***

Ora continua la S. Messa che, seguita in spirito liturgico, santifica la mente, fortifica la volontà, stabilisce l'unione nostra con Gesù Cristo Vittima, Sacerdote e Maestro.
Si è molto pregato per il Primo Maestro. Ora devo restituire: «quid retribuam Domino, pro omnibus quae retribuit mihi? Calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo». Nulla avendo di terreno, darò ciò che non è mio, e tutto vale, ed ho dato da cinquant'anni: «de tuis donis ac datis» cioè Gesù Cristo stesso.
I fini della S. Messa riguardano il cielo e la terra: adoriamo, ringraziamo, propiziamo, supplichiamo, perché tutti i membri delle famiglie paoline, aspiranti, cooperatori, amici e il mondo intero ricevano i massimi beni: «Per ipsum et cum ipso et in ipso».
Un cinquantenario, in fondo in fondo, è uno dei più forti rintocchi di campana che chiama al rendiconto finale. Che gli Angeli possano in quel giorno applicarmi il «Beati mortui qui in Domino moriuntur». A tutti: in letizia protendersi in avanti! santità, apostolato paolino, bel paradiso.


Giacomo Alberione

Auguri di Natale – (1957)


…che ha mandato suo Figlio. Allora noi riceviamolo bene, il suo Figlio, e riceviamolo come deve essere ricevuto, cioè in quanto egli è Via Verità e Vita che viene a noi uomini, all’umanità.
Questo è stato l’argomento, è quello che ha detto Leone XIII quando si stava per cominciare il secolo presente. Allora si era alla fine del 1900, e si stava per incominciare, quindi, il Novecentouno, cioè l’inizio del secolo presente.
Il Papa nella sua Enciclica al mondo: "Accogliere Gesù Via Verità e Vita". E noi l’abbiamo fatto entrare nelle Costituzioni, e cerchiamo di uniformare la vita a questa divozione: Gesù Cristo Maestro,Via Verità e Vita.
Tutto lo spirito è lì. Questa divozione è una divozione che comprende tutte le divozioni; e diffondere la conoscenza di Gesù Cristo Via Verità e Vita, vuol dire far l’Apostolato intiero, perfetto.
Nella Messa cantare delle belle lodi, però lodi che accompagnano possibilmente la Messa, e mottetti; per esempio in principio, lodi che siano ordinate a chiedere conoscenza di Gesù, conoscenza dei Comandamenti, dei Consigli evangelici, sì, capire il Vangelo; poi lodi che si rivolgano alla Consacrazione: Gesù che si offre vittima al Padre per i nostri peccati; poi lodi che servano a portarsi alla Comunione e quindi all’unione con Gesù, perché la Messa, l’ultima parte, è Comunione.
Sì, le lodi, i canti e i mottetti in generale, devono portarsi, propriamente accompagnare il senso della Messa. Quando la Messa è solenne allora è più facile, quando la Messa invece, non è solenne, si possono tuttavia eseguire dei mottetti e dei canti che accompagnino la Celebrazione. Sì.
Adesso vi do la benedizione, e questa benedizione sia luce alla mente, e sia conforto, sia consolazione alle anime vostre, ai vostri cuori e le feste natalizie servano per un progresso nell’amor di Dio.
«Audiutorium nostrum in nomine Domini .... Benedictio Dei Omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Santi descendat super vos et maneat semper. Buon Natale». [L’assemblea risponde Buon Natale]

Maria Mediatrice di Grazia
(1957)


Avete cantato: «Se non sono i nostri cuori così bianchi come gigli, pure ti siamo amanti figli e tu ci sei madre ancor». Vuol dire questo: che sebbene noi entriamo negli Esercizi con un cuore che non è ancora così bianco come i gigli, speriamo che con la misericordia di questa madre possiamo ricavare buon frutto dagli Esercizi, e possiamo uscire dagli Esercizi bianchi come i gigli, i gigli senza macchia. Ecco.
Le anime che passano dal tempo all’eternità senza macchia, entrano subito tra gli angeli in Paradiso, là dove tutto è bello, tutto è bianco, tutto è mondo.
Allora questo ci porta a considerare che giova entrare negli Esercizi Spirituali con fiducia.
Il demonio, nei primi giorni, spesso tenta di scoraggiamento; in qualche anima può arrivare sino a tentare quasi alla disperazione; vuole far cadere in disperazione l’anima. Attacchiamoci alla Madonna: «Pur ti siamo amanti figli», diciamo, le vogliam bene, «e tu ci sei anche madre».
Allora pensieri di confidenza nel cominciare gli Esercizi. E precisamente confidenza in Maria consideriamo questa sera.
Confidenza in Maria perché è mediatrice di ogni grazia. Che cosa significa questo titolo che diamo a Maria: “mediatrice della grazia”? Nelle litanie diciamo “Mater divinae gratiae”. Ecco, significa che Maria, ha avuto il potere da Dio di intercedere per noi in Cielo, per qualunque necessità, qualunque grazia di cui abbiam bisogno: mediatrice universale di grazia.
Abbiamo bisogni corporali, abbiamo bisogni spirituali, abbiamo bisogni nostri, abbiam bisogni per l’Istituto, abbiam bisogni per le Famiglie, e abbiam bisogni per la Chiesa, e abbiam bisogni per la Patria, per le Missioni.
Per tutta l’umanità Maria è il mezzo, è stato il mezzo per cui è venuta a noi la grazia, che è Gesù Cristo stesso. Perché? Perché «tu sei piena di grazia», la salutò l’angelo: «Ave gratia plena». E allora riempita di grazia secondo la sua missione, Ella ha dato al mondo la grazia. Gesù Cristo è Vita, che significa grazia, ecco!
Mediatrice presso Dio, stabilita così: mediatrice di ogni grazia.
Se il mondo si salva lo deve a Gesù Cristo. Ma di dove è passato Gesù Cristo? La porta è stata Maria, perché il Figlio di Dio entrasse come Dio e uomo nel mondo. La porta è stata Maria. Così è stata la volontà di Dio. «Sic est voluntas Dei». Quale? «Qui nos totum habere voluit per Mariam»: «Questa è stata la volontà di Dio: che noi tutto ricevessimo per Maria». E questo vale per tutta l’umanità, ma vale per ognuno anche.
Ogni grazia che è venuta a noi, è passata per le mani di Maria. Ogni grazia! Dalla grazia di nascere in paese cattolico, e da buona famiglia, dalla grazia del Battesimo, e successivamente tutte le altre grazie, fino ad oggi, fino a quella di stamattina, alle grazie che avete già ricevuto oggi; tutto passa per quelle benedette mani di Maria.
Come le sue mani han portato Gesù e lo hanno presentato al mondo, rappresentato dai Magi e dai pastori, così dalle sue mani vengono tutte le grazie, tutte le grazie! E se noi vogliamo, dopo ogni benefizio che riceviamo da Dio, pensare subito che abbiam da baciare le mani benedette e benefiche di Maria, indoviniamo, facciamo una cosa giusta.
Sì, mediatrice universale di grazia, tanto che Dante si esprime così : «Chi vuole grazia, e non si rivolge a Maria, sarebbe come un uccello che pretendesse di volare senza le ali». Un uccello potrebbe tentare di alzarsi dalla terra, spiccare il volo; ma se non ha le ali, non si alza neppur di un palmo e se anche si alzasse un tantino, ricadrebbe. Così se vogliamo grazie e non ci rivolgiamo a lei, a Maria. Oh!
E anche se noi ci rivolgiamo direttamente a Gesù... Tanto Gesù le fa passare, le grazie, attraverso le mani di Maria, quelle grazie che ci darà.
D’altra parte, è giusto che quello che è scritto. Alle volte ci rivolgiamo a Gesù, e non siamo subito ascoltati, e alle volte ci rivolgiamo a Maria, e siamo più velocemente esauditi. Forse che Maria possa di più? No! Perché Maria, quando noi la preghiamo, presenta le nostre orazioni a Gesù e unisce la sua intercessione alla nostra preghiera. Crediamo di valer più noi da soli o valere di più noi con Maria?
Ah, siamo santamente prudenti! sempre serviamoci di questo: assicurarsi la intercessione e la protezione e la preghiera di Maria!
Perciò, vedete che la Chiesa nelle Litanie ci fa dire – quante volte? – «ora pro nobis», «ora pro nobis»... Dà a Maria, tanti titoli, che vogliono dire: Maria ha poteri in tanti settori: sì, per ottener la sapienza, per ottenerci la fedeltà, per ottenerci la purezza, per ottenerci il perdono dei peccati, per avere lumi alla mente, buoni consigli.
Maria ha tanti poteri. E noi la invochiamo perché metta la sua intercessione, perché metta il suo potere per questo bisogno, per quell’altro, secondo noi sentiamo che nella vita ci occorre. Ecco!
Quindi qual è la ragione per cui alle volte siam più facilmente esauditi pregando Maria, che pregando Gesù?
Siamo peccatori, abbiam disgustato Gesù. Gesù ha anche il regno della giustizia, Maria solo il regno della misericordia. Avviciniamoci dunque a Lei con fiducia e supplichiamola per avere le grazie secondo il bisogno, quelle grazie che ci son più utili per noi. Il bambino si affida alla mamma; sa che la mamma le prepara il cibo che fa per il suo bisogno, per il suo stomaco, secondo la sua salute, secondo gli anni di vita che ha. Ecco: la mamma capisce il bambino e allora prepara quel che il bambino ha bisogno di ricevere.
E qual è in secondo luogo la ragione, ancora?
Questa: Maria vede i nostri bisogni.
Secondo: Maria può – presso Dio – ottenere le grazie necessarie secondo i nostri bisogni.
E, terzo, vuole ottenerceli, ci vuol bene, vuole ottenerci le grazie.
Maria conosce i nostri bisogni, in che modo? Li legge nella mente di Dio, nell’essenza stessa di Dio. Qui noi possiamo leggere su un libro; Maria vede tutto, vede noi, le nostre necessità, in Dio. Le nostre necessità si riflettono in Dio come in uno specchio e Maria le vede. E vede le necessità interiori, anche spesso quelle necessità che noi non scopriamo; non sentiam neppure, nel nostro cuore. Abbiamo tanti bisogni che neppure sappiamo conoscere, anzi, generalmente sono proprio i bisogni più grossi e più gravi – nostri – quelli che meno conosciamo.
Maria li conosce tutti, come una mamma sapiente che conosce i bisogni del bambino più che il bambino non conosca. E sì che sa bene il bambino alle volte che minestrina gli giova, gli convenga? E la mamma, che ha esperienza e sa, pensa lei, pensa lei.
E poi Maria può. Ma la potenza di Maria, presso Dio, noi la pensiamo poco. La conosciamo poco questa potenza presso Dio. Ma la Vergine SS. può far cambiare l’ordine che sembrerebbe che dovesse seguire Dio.
L’esempio è questo. Alle nozze di Cana – vedete! – veniva a mancare il vino. E mancare il vino in un convito di nozze, è una mancanza notevole, umanamente considerando le cose. E mancando a metà della festa, ne risultava un certo rossore, vergogna per gli sposi. Vedete che nessun si accorge? Maria sì, seguiva e stava attenta a quello che succedeva e come erano le provviste di casa. La madre – ah! una buona madre ha certi occhi in una casa! – dice a Gesù: «Non hanno più vino».
E Gesù risponde: «Che importa a me e a te?», che voleva dire: «Questo è affare di coloro che presiedono al convito, quelli che devono provvedere», ecco.
«Nondum venit ora mea», ecco, dice Gesù: «Non è venuta la mia ora». Voleva dir l’ora di far prodigi. Quindi l’ordine era quello. E Maria fa cambiare l’ordine di Dio.
Non è venuta l’ora? Maria fa suonar l’ora. Maria, sicurissima che la sua preghiera era tutto sopra il cuore di Gesù, ecco, dice serenamente e fiduciosamente ai servi: «Fate tutto ciò che egli vi dirà».
E Gesù allora, vinto dalla preghiera e dal potere di Maria sopra il suo cuore, ordina che siano riempite le idrie di acqua, e poi che sia portata a tavola. E mentre che portavano in tavola, ecco l’acqua si mutava in vino e vino ottimo!
Il potere di Maria sopra il cuore di Dio! Sì. Dio fosse anche sdegnato con noi, per le tante nostre ingratitudini, per l’enormità e per il numero dei nostri peccati; ricorriamo sempre a Maria con la preghiera di colui che è debole, e del peccatore: «Salve Regina, Mater misericordiae: vita, dulcedo et spes nostra, salve», «Salve, o Regina, Madre di misericordia: vita, dolcezza e speranza nostra, salve! Rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi», le diciamo.
Anche se il Signore non ci guardasse più – diciamo così – perché l’anima nostra è troppo miserabile, è troppo coperta di vermi, che sono le venialità, le ingratitudini, che sono le imperfezioni volontarie, le venialità ecc., la freddezza, tiepidezza, i sentimenti di invidia, di orgoglio; anche se la nostra anima fosse così e, a nostro modo di vedere, gli occhi di Dio non potessero quasi più mirare la nostra miseria, ricordiamoci che Maria ha un cuore che soprattutto, sì, ama ed è premuroso per i maggiori peccatori, per i figli più infermi.
«E tu sei Madre, ancor», le diciamo. Una madre in primo luogo, anche se ha cinque o sei figli, al mattino si prende premura per il figlio infermo. Oh!
E questo significa che Maria non solamente vede il bisogno, non solamente può ottenerci le grazie, secondo i bisogni, ma ci ama, ci vuol bene, e quindi pensa a noi con grande amore.
E allora? Se vede, se può, se ci ama, è Mediatrice di grazia.
Adesso la domanda: per quali grazie rivolgerci a Maria? Sì.
Non vi è nessuna distinzione, nessuna eccezione; ciò che veramente ci è utile, Maria può ottenercelo e vuole ottenercelo e ha potere per ottenercelo. Qualunque grazia, sì!
Ognuno può fare un elenco delle grazie di cui ha bisogno, riempirne una pagina, due, un quaderno.
Maria ci può ascoltare in tutto ed esaudire in tutto, per tutte le grazie – vuole appunto dire così “mediatrice universale di grazia” –: alle volte vi sono oscurità nella mente; alle volte invece vi sono passioni che tormentano il cuore; alle volte è il carattere che non si riesce a dominare; e alle volte è una brutta abitudine che ci accompagna da anni, che non finiamo di togliere, ecco; alle volte sono anche bisogni materiali, corporali; alle volte vi sono necessità generali, come la corrispondenza alla vocazione, specialmente la corrispondenza essenziale, che è di lavorare per farsi santi sul serio. È una necessità generale questa, la sostanziale per una religiosa, un religioso, perché, facesse anche tutto il resto, e non si santifica, non corrisponde alla sua vocazione; facesse anche tutto quello che è stabilito secondo il fine del suo Istituto, le opere del suo Istituto, ma se non si fa santa, non corrisponde alla vocazione, perché vita religiosa è vita destinata, dedicata alla santificazione.
Quindi alle volte sono bisogni generali come questo: se uno riconoscesse, che negli anni non ha ancora progredito, non ha ancora migliorato, da dopo la sua professione, dopo che ha – finalmente – preso il suo stato scelto, dopo che è entrato definitivamente nel suo stato, allora uno riconoscesse che non l’ha ancora fatto, può dire: anni perduti!
Oh, allora questo è il bisogno generale, e alle volte vi sono i bisogni particolari, in cui l’anima lavora per progredire, ma trova certe difficoltà, certi inciampi, in cose che sembrerebbero non avere una grande importanza, ma che pure la fermano.
Ebbene, qualunque grazia, qualunque grazia: chiederla a Maria.
Possono anche chiedersi le grazie per i bisogni corporali – s’intende –, ma in quanto sono utili per la salvezza e per la santificazione della nostra anima, queste grazie. Non è vero? Oh! Però è necessario che noi sempre mettiamo questa intenzione: per fare la volontà di Dio: «Ti domando questo, perché io faccia la volontà di Dio».
E se, piacerà al Signore, continueremo nella Meditazione successiva, perché Maria ci esaudisce sempre in quell'ordine: di compiere la volontà del suo Figliuolo.
Sia lodato Gesù Cristo.

La fiducia in Maria
(1957)


È stato scritto: supponete che si raccolga tutto l’amore che le madri terrene, messe assieme, portano ai loro figli, sarebbe certamente un grande amore, un fuoco molto ardente; e tuttavia l’amore che porta Maria a ciascheduno di noi, è immensamente più grande ancora. Diciamo: “a ciascheduno di noi”, perché la Santa Vergine, mentre che ha cura di un figlio, ha pure cura degli altri figli, di ciascheduno degli altri figli.
Del resto l’amore di Maria verso di noi è l’amore verso il prossimo. Ora l’amore verso il prossimo è tanto grande quanto in proporzione è grande l’amore verso Dio. Ora non c’è dubbio che la Vergine SS. in grazia, in santità, in amor di Dio superasse tutti i santi assieme. E allora la Vergine SS. porta a ciascheduno di noi un amore più grande che tutti i santi. E quindi pensiamo come ella, essendo potente, adopererà la sua potenza per noi, conoscendo le nostre necessità, e come interviene, come provvede a ogni necessità.
Allora avere grande fiducia in Maria. Oh! Quali necessità raccomandarle? abbiamo detto, terminando l’altra meditazione: tutte le necessità, si è conchiuso. Ma la nostra preghiera deve aver sempre di mira questo: che sia fatta la volontà di Dio.
La volontà di Dio è sempre il meglio, per noi e per gli altri è sempre il meglio. Chi fa la volontà di Dio è aiutato dal Signore, perché il Signore aiuta coloro che vogliono servirlo, che vogliono amarlo, che vogliono conoscerlo, che vogliono obbedirgli, che vogliono fare in sostanza la sua volontà.
Oh! La nostra preghiera a Maria, è tanto più gradita, in quanto è diretta al compimento della volontà di Dio. Certamente Maria concede anche grazie materiali, in quanto non sono nocive alla nostra santificazione. Però, quanto più noi chiediamo le grazie in ordine al compimento della volontà di Dio, tanto più facilmente siamo esauditi.
Notiamo però, che molte volte, noi non conosciamo i nostri bisogni del tutto; e allora siccome Maria li conosce assai più di noi, ecco, diciamole che guardi lei noi. Che cosa c’è di più ammalato, quale parte del nostro essere è più infermo? E che faccia la cura che vede utile. Ci dia il rimedio che vede necessario. Lei vede di che cibo dobbiamo esser nutriti. Ecco, allora Maria può domandare per noi quelle ispirazioni, può farci capitare in mano – supponiamo – quel libro, ci può far sentire dal confessore quella parola determinata, giusta per noi. Ci può far vedere quell’esempio che ci scuote. Ci può anche mandare un rimorso che ci richiama ad una vita più perfetta, più santa. Chiediamo sì, ma sempre come il malato, che al fine si rimette al dottore. E chi vuol curarsi da sé, magari contro il parere dei dottori, forse si aggrava, alle volte con certezza si aggrava. Esponiamo i nostri bisogni, e lasciamo fare a Maria. Lasciamo fare a Maria, confidando, ché vede meglio i bisogni e ché ella ci vuole aiutare.
Poi noi abbiamo ancora da andare più addentro – se vogliamo – alla cosa. E cioè: nelle nostre orazioni e azioni e patimenti della giornata e tutto quello che capiterà nella giornata, e nella vita, mettere queste intenzioni: che tutto sia fatto secondo il gusto di Maria, secondo quello che ama di più Maria, e cioè mettere le sue intenzioni, in altre parole, le intenzioni di Maria.
Allora, noi affidiamo a lei l’amministrazione – diciamo così – dei nostri meriti, affidiamo a lei l’amministrazione delle nostre preghiere, dei nostri atti di virtù, perché le adoperi secondo la sua grande sapienza e secondo il suo grande amore, secondo la sua grande sapienza, secondo il suo grande amore.
Oh!, anche quando diciamo la preghiera al mattino Cuore Divino di Gesù eccetera, e offriamo in unione col cuore immacolato di Maria, intendiamo appunto di mettere le intenzioni che ha quel cuore immacolato e aggiungerle alle intenzioni di Maria, perché tutto sia secondo le intenzioni di Gesù. Quelle intenzioni per cui Gesù lungo la Messa si immola sugli altari. Le intenzioni di Maria!
Oh! è sempre bello, per chi vuole conoscerlo, anche se non crede di praticarlo perché non aspetta. Al mattino le intenzioni che ha Gesù nell’Ostia, che ha Maria nostra Madre, e che ha San Paolo, nostro padre. Ecco, nella giornata, nella Messa, particolarmente, nella Comunione e nei sacrifici che si devono fare poi per compimento di nostri doveri. Sì. Per conseguenza entrare sempre più nell’intimità di Maria, quello che ella vede nella sua sapienza, quello che ella desidera nel suo amore per noi.
Chiedere, anche arrivando a dire che noi stiamo nella santa indifferenza. Di tutto disponga lei. Perché per quanto noi possiamo disporre bene, non disporremo mai così bene come può disporre Maria. Disponga lei, sia che noi siamo infermi sia che siamo in salute, sia che siamo in stima sia che non siamo in stima presso altri, sia che siamo accontentati sia invece che non siamo accontentati, e sia che siamo tribolati interiormente sia che siamo in pene esterne. Ecco, rimettersi a lei, per rimettersi in Dio, nella santa volontà di Dio. Passando per Maria tutto diviene più facile, più semplice e anche più meritorio e piacerà di più a Dio, e sarà più esaudito, tutto.
Ah!, gran cosa, vivere in questa santa unione con Maria, e se qualche anima si sente ispirata, lo faccia, stabilisca questa unione.
Del resto per tutti vale farsi figli di Maria, come lei è la nostra madre. Perché Gesù sul Calvario ha detto: «Donna, ecco il tuo figlio», indicando Giovanni. Quindi ha incaricato Maria di essere la nostra madre. Ma Gesù ha ancora aggiunto: «Giovanni, ecco tua madre». E cioè: «E tu comportati da figlio». E allora il senso e il desiderio di Gesù morente era proprio questo: che noi ci facessimo figli di Maria, che ci consecrassimo a lei, e vivessimo da suoi figli, nella maniera che a Maria piace, che a Maria è gradito.
Fino a che punto possiamo arrivare a metterci in questa condizione, di stabilirci, di vivere, abitualmente come figli di Maria? San Luigi Grignon di Monfort vuole che si scelga un giorno di festività solenne, festività ad onore di Maria, e poi si faccia una buona preparazione con un Ritiro, con una confessione più diligente, con una purificazione maggiore; e poi che in quella solennità, ci consecriamo a Maria e ci mettiamo nelle sue mani come il bambino sta nelle mani della madre: veri figli di Maria.
Guardiamo a Gesù. Gesù era il figlio naturale di Maria, e questo noi non possiamo raggiungerlo. Ma vi sono i figli adottivi. Maria madre adottiva, che ci adotta, e noi figli adottivi di questa madre. La abbiamo, la vogliamo nostra madre.
Gesù ha voluto donarsi totalmente a Maria. Gesù non fu portato da Maria nel suo seno per nove mesi? E Gesù non è nato forse da Maria e non fu curato bambinello da Maria in tutto, secondo usano e devono fare le buone madri riverso ai loro bambinetti? Le buone madri: e Maria era la più delicata madre, da una parte perché santissima lei e dall’altra parte perché sapeva bene chi aveva tra le sue mani, chi metteva nella culla o prima ancora nella greppia della grotta di Betlemme.
Con quale delicatezza, ecco, con grande delicatezza noi dobbiam mettere l’Ostia nel santo Tabernacolo.
Sì, pensiamo alla delicatezza, alla santità delle mani di Maria, nel trattare il bambino Gesù. Era il suo figlio! Oh!, e poi Gesù era a lei obbediente, sottomesso, serviva la sua madre, la compiaceva nei desideri, l’accompagnava, quando era possibile accompagnarla: per esempio, nell’andare alla Sinagoga, al sabato; per esempio andare a Gerusalemme, come sappiamo che ha fatto quando egli, Gesù, aveva dodici anni, e come ha voluto, Gesù, l’assistenza di questa madre quando predicava nella vita pubblica, e l’assistenza di questa madre, quando stava per morire sulla croce. Quando Gesù venne inchiodato, Maria era presente. Ecco, la madre, sì, interviene come abbiamo considerato, sempre presso i figli che si trovano in maggiori pene, e pensiamo come doveva trovarsi là sul Calvario, quando Gesù veniva inchiodato, quando Gesù era alzato sulla croce, quando Gesù agonizzava e spirava! E financo volle, che la sua salma fosse composta da Maria. Che non la toccassero mani meno sante, eccetto che in quei servizi che, naturalmente, non poteva far Maria. Come la deposizione dalla croce. E allora, Gesù volle comportarsi da figlio di Maria, fino a quando Gesù salì su al cielo.
Potessimo noi arrivare ad essere figliuoli, così buoni, così docili, verso questa madre! Tanto da sentir sempre: piace a Maria questo? o non piace? oppure: cosa farebbe e come farebbe Maria nel mio caso? Che cosa direbbe Maria in questa circostanza? Forse tacerebbe? Forse anche col solo sguardo darebbe un’ammonizione, farebbe una correzione? Oh!, le madri! parlano non solamente con la lingua, ma parlano con gli occhi, parlano coll’atteggiamento, parlano tacendo, tante volte.
Oh, se possiamo dunque arrivare a consecrarsi a Maria, ecco, bisogna consecrare tutto. San Luigi Grignon di Monfort dice: consecrarle il corpo, consecrarle la mente, la volontà e il cuore, consecrarle i meriti e le virtù; consecrarle le nostre occupazioni, i nostri uffici, consecrarle i propositi e la volontà di farsi santi. Questa consecrazione suggerita da San Luigi Grignon di Monfort è una cosa che si riferisce a tutti i cristiani, a tutti quelli che vogliono farsi figli di Maria. Però noi abbiamo da consecrare tre altre cose, come religiosi, ciascheduna secondo il suo Istituto.
Primo. Consecrare la vita religiosa, i voti: la testa, l’obbedienza, coi pensieri santi. Consecrarle il cuore, coi sentimenti, coi desideri. Consecrarle il nostro pensiero, la nostra intelligenza, perché la nostra mente, abbia sempre pensieri santi, pensieri fatti secondo la verità, secondo il bene, pensieri che piacciono a Dio. Consecrarle la vita religiosa.
Secondo. Consecrarle l’Apostolato speciale dell’Istituto, secondo l’Istituto.
E terzo, consecrare lo spirito del proprio Istituto: voglio vivere secondo quello spirito. Naturalmente questo spirito si vivrà un po’ secondo le circostanze, come si potrà, perché stando nel proprio Istituito, si farà l’Apostolato del proprio Istituto, e quando si è inferme, non si fa Apostolato al proprio Istituto. Se poi si è inferme, in una casa di cura come questa, si conserva lo spirito, e si fanno pratiche della Casa dove una si trova. Ma quello spirito speciale, quel sentimento particolare che il Fondatore ha voluto imprimere, per illuminazione di Dio, in quella Congregazione, in quell’Ordine, ecco!
Tre cose in più, la consecrazione nostra, abbraccia tutta la consecrazione di San Luigi Grignon di Monfort, ma ha tre elementi in più, che sono i più preziosi, dato che sono: la vita religiosa, e ancora l’Apostolato proprio, e poi lo spirito, lo spirito proprio. E in un Istituto specialmente domina la povertà e se guardiamo le suore del Cottolengo la fiducia in Dio, nella provvidenza del Signore.
Ogni Istituto ha delle particolarità. Poi, tutti insieme in cielo, formeranno quell’armonia di lodi che salirà all’augusta Trinità, insieme a Gesù Cristo e alla Vergine per tutta l’eternità. Che concerto solenne!, di tutte anime sante, alternato con i Cori degli Angeli che popolano il Paradiso. Che bella cosa!
Allora, pensiamo che tutto ci viene da Maria. E più noi ci facciamo suoi figli, e più riceviamo, più siam curati da lei.
Ecco, gli Esercizi possono ordinarsi in questa maniera, di arrivare al fine con una bella consecrazione a Maria, consecrazione di tutto. Vi sono anche delle cose, che nella consecrazione non si dicono, ma si devono comprendere poi da ognuna. Ad esempio: «Io sono un peccatore: devo consecrarle la mia penitenza, perché io dovrò far d'or avanti – per piacere al Signore e andare in Paradiso – una vita di penitenza, di riparazione, di mortificazione».
Un’altra anima, invece, sarà nell’innocenza e deve consecrare quell’innocenza e impegnarsi – con non minore fatica della penitente – a conservare l’innocenza, e a farla maturare questa innocenza. E non è sempre detto che l’innocente in Paradiso andrà più in su che il penitente.
Vi sono tante cose misteriose, tante cose che passano fra noi e Gesù.
Del resto, bisogna anche aggiungere questo: che vi sono tante cose che non si dicono a nessuno, né al confessore, né alla mamma terrena, e neppure, alle volte, siamo così aperti, da dirle tutte a Gesù. Per un timore che non è sempre buono, ma intanto vi è. E allora queste cose, così intime, confidiamole a Maria. A questa madre celeste che cosa è, che non si possa dire, e che non sia utile dire? Aperti con lei! Aperti sempre il cuore. Parlarle cuore a cuore. E tante volte basta guardarla anche se non si ha la forza, non si ha il raccoglimento in quel giorno di parlarle. Perche la testa alle volte, non è così raccolta, lo spirito non è così sereno. Basta guardarla! Guardare a Maria vuol dire acquistare la serenità.
Si diceva che San Filippo, chiunque si avvicinasse a lui, col suo fare e col suo dire, metteva sempre letizia, per quanto uno fosse triste e malinconico. E sia che uno sia tentato, sia che sia turbato interiormente, guardi a Maria: comunicherà all’anima quella serenità e quella letizia, quella pace che ella stessa gode in un grado altissimo. Facciamoci figli di Maria!
Sia lodato Gesù Cristo.

Maria
modello di obbedienza
(1957)


Abbiamo considerato ieri sera, come Maria sia la mediatrice universale di grazia; quindi ci possiamo rivolgere a lei in ogni nostra necessità. Ma la SS. Vergine non è solo la distributrice della grazia, ma è ancora il modello di ogni virtù. Ella è la prima suora. Non solo prima in ordine di tempo, ma la prima nell’osservanza dell’obbedienza, della castità, della povertà, della vita comune, e così di ogni virtù.
Fu lei che mise in pratica il Vangelo predicato dal suo Figlio, nel modo più perfetto che si possa pensare da noi. Il suo cuore era così uniformato al cuore del Figlio, la sua mente così uniformata alla mente del Figlio, la sua volontà così uniformata alla volontà del Figlio, da riuscire un’immagine del suo Figlio stesso.
Oh!, allora stasera consideriamo l’obbedienza in Maria.
Maria Madre: quindi ci ottiene la grazia.
Maria Maestra: quindi ci insegna la virtù.
Maria Regina: sostiene noi suoi divoti nel cammino buono.
Maestra: ci insegna l’obbedienza.
L’obbedienza può essere considerata in generale: ogni atto di virtù, ogni volta che osserviamo i Comandamenti, obbediamo a Dio. Ecco. E ogni peccato è una disobbedienza. San Paolo scrive: «Per la disobbedienza di un uomo tutto il genere umano fu rovinato e per la obbedienza di un uomo, cioè Gesù Cristo, tutta l’umanità fu salvata».
Però consideriamo proprio la obbedienza nel suo senso più stretto: l’obbedienza religiosa. La quale può essere: l’osservanza delle Costituzioni, l’accettare gli uffici, il compierli bene e, nello stesso tempo, accogliere le disposizioni, gli ordini che vengono dati.
La religiosa ha per suo superiore massimo il Papa, il quale ordinariamente opera per mezzo della Congregazione dei religiosi. Poi ogni religiosa ha le sue Costituzioni, ha il Capitolo, ha la Superiora che si incarica di tutto l’Istituto, e poi la Superiora Provinciale, la Superiora locale, secondo le varie gradazioni. Ecco. Qui si tratta quindi di quella obbedienza particolare, compresa nel santo voto, sì: «Emetto i voti di povertà, castità e obbedienza».
Con l’obbedienza noi diamo al Signore quello che è il meglio in noi, cioè la libertà, sottomettiamo il nostro giudizio e uniformiamo il nostro cuore a Dio, al suo volere. Quindi nell’obbedienza la religiosa si muove. Tutto quello che fa la religiosa, se ha buono spirito, lo fa precisamente nell’obbedienza! E se offre tutto quello che fa al Signore, tutto quel che è disposto, tutto quel che succede nella giornata, tutte, anche le piccole cose, le piccole osservanze, i piccoli lavori, ecc., allora in ogni azione guadagna il doppio merito: il merito perché è religiosa praticando così la virtù della religione, e il merito perché sottomette la propria volontà ai Superiori e attraverso loro a Dio, a Dio. Ecco.
L’obbedienza porta tre grandi vantaggi.
Il primo è un vantaggio che riguarda la intelligenza, la mente; poi c'è un vantaggio che riguarda il cuore; poi c’è un vantaggio che riguarda la volontà, la vita.
Riguarda – primo – la mente. Cosa avviene? Che chi obbedisce è sempre sicuro di fare la volontà di Dio. Se invece operiamo secondo la nostra mente, secondo i nostri voleri, facessimo anche una cosa mirabile, noi possiam sempre dubitare che quello piaccia a Dio. Perché piace a Dio non quel che è voluto da noi, ma quello che vuole lui. Se però una cosa è disposta, è sicuro che è volontà di Dio! L’unica eccezione sarebbe quando una cosa, per disgrazia, fosse disposta e che fosse contraria al bene, quindi contraria al Signore, quindi fosse peccato!
Che serenità deve avere la religiosa la quale fa la sua obbedienza.
In questi giorni ci hanno fatto passare il foglio da sottoscrivere – chi voleva – per la beatificazione del Marmion Columba. Oh. Egli ha scritto in una lettera: «Io mi son fatto religioso solo per obbedire. Non mi mancavano i mezzi di santificarmi nel mondo e d’altra parte ero già professore, avevo già un avvenire assicurato e già praticavo la religione e frequentavo le funzioni sacre e vivevo veramente bene. Ma mi mancava una cosa per esser contento, di sottomettere la volontà e allora mi son deciso a farmi religioso».
L’obbedienza ha tale valore davanti a Dio, che merita ben che uno si consacri a lui. Che distanza fra chi vive bene nel mondo e che sceglie lui il bene che ha da fare, dalla religiosa che vive bene nel convento, col voto di obbedienza! Che tranquillità e serenità e gioia!
Quindi c’è un grande vantaggio: che la religiosa, ancora, è sicura di essere aiutata dal Signore, obbedendo. Quel che fa è volontà di Dio, e Dio aiuta a compiere la sua volontà. Poi la religiosa è sempre sicura del successo, del buon risultato, perché, se anche tutto andasse male – per disgrazia, perché il comando è stato sbagliato o perché ci sono state contrarietà e opposizioni – essa ha guadagnato tutto il merito egualmente; per lei è andato tutto bene. E quindi il suo premio eterno. E allora la religiosa fedele all’obbedienza, non solamente al Superiore, ma anche al confessore nel lavoro spirituale, o alle sue Superiore, secondo i casi, ecco, allora gode tranquillità e procede nella serenità – sì, sempre! – ed è benedetta da Dio.
Poi quando facciamo per obbedienza e sapendo che è sicura la volontà di Dio, sentiamo il coraggio: «Dio lo vuole», ecco, «e allora vado avanti e faccio tutto per riuscire, tutto per riuscire». E qualche volta si compiono anche atti eroici. E Dio benedice.
Pensiamo allora alla SS. Vergine Maria, SS. Vergine Maria.
L’angelo Gabriele le annuncia il mistero dell’Incarnazione, le comunica che è la volontà di Dio, e che ella accetti la divina Maternità. Maria prudente, “Virgo prudentissima”, vuole qualche spiegazione e l’Angelo la dà. E allora subito «Ecco l’ancella di Dio, la serva del Signore; sia fatto di me come hai detto». Ecco il suo “sì”, pronto, generoso, totale. A Maria non mancavano cognizioni sulla Sacra Scrittura, in generale almeno; quindi poteva già sapere che cosa sarebbe stato del Messia, a quali sofferenze egli sarebbe andato incontro e quale – quindi – pena avrebbe dovuto la madre del Messia sostenere. Accettò tutto; seguì la sua vocazione, col suo continuo “sì” al Signore, ecco, fino all’ora in cui venne da Dio chiamata all’eterno riposo, al premio. Sì.
E doveva esser ben duro, per lei, vedere il bambino Gesù, nato in una grotta, in una miseria così! Il Figlio di Dio incarnato! Vedere come doveva fuggirsene in Egitto per salvare la vita del Figliuolo suo, e con quel viaggio penoso! E poi, Maria successivamente, in tutti i giorni della sua vita, quante cose incontrò, sempre sottomessa al divino volere! Solo e sempre il divino volere, anche quando ella sentì che il suo figliuolo era condannato a morte. Pensiamo allo strazio di una madre, sapendo anche come era il Figlio di Dio incarnato: era innocentissimo, santissimo. E quindi quella condanna era una cosa ingiustissima. Eppure ella, abbandonata nel volere di Dio, si affretta a raggiungere il Figlio sulla via del Calvario, per accompagnarlo. E là si adempie quello che aveva preannunciato il santo vecchio Simeone: «tuam ipsius animam pertransivit gladius», «la tua anima sarà trapassata da una spada di dolore». Ecco.
Quale pena nel vedere suo Figlio spirare sulla croce! Quale trafittura al suo cuore quando il Figlio vien disceso, deposto dalla croce e sepolto! E quale pena quando il Figlio definitivamente lasciò la terra e cessò la sua presenza visibile, per salire al cielo! E anche le pene seguenti, quando vide che il Vangelo del suo Figlio era ostacolato e gli Apostoli erano perseguitati da tutti e imprigionati!
Ma sempre, solo il suo “sì”, al Signore. Non molte parole, il suo “sì”. E neppure – possiamo esprimerci così – interporre il tempo che ci vuole a pronunciare il “sì”, ma appena si manifesta la volontà di Dio, subito eseguirla, ecco, il volere santissimo di Dio.
Oh! allora la religiosa è la prima imitatrice della prima suora, Maria, la prima imitatrice. Sì. Il “sì” al Signore sempre, sempre avanti a qualunque disposizione. E così alla fine, quando il Signore la inviterà al cielo, dirà ancora “sì” e partirà per il premio.
Come deve essere l’obbedienza, perché l’obbedienza rassomigli all’obbedienza di Maria?
Prima deve essere soprannaturale. Non si deve guardare chi comanda, né le sue virtù, né la sua intelligenza, né la sua capacità: si deve guardare il Signore, il Signore! Fede ci vuole. Non guardare se la Superiora sia una persona simpatica o sia una persona antipatica, sia una persona più anziana, sia una persona più giovane; tanto più che l’obbedienza non comprende solamente l’eseguire gli ordini della Superiora Generale, ma anche della capo-ufficio, ad esempio, della capo-laboratorio; ché nella proporzione giusta la capo-ufficio, la capo-laboratorio ecc. ha la superiorità e quindi resta obbedita.
Sì. E vi si nasconde tante volte quello che è umano, quello che è umano, dentro. Oh! Si obbedisce a quel che non si osa disobbedire, e non si vuole meritarsi un rimprovero, o per incontrare la benevolenza della persona che dispone e – tante volte – per altri fini anche meno buoni di questo, meno buoni ancora!
Veder Dio: «Chi ascolta voi, ascolta me». Che cosa ci importa che sia l’una o un’altra? Basta che sappiamo sicuri che quella ha l’ufficio di disporre: quindi rappresenta per noi il Signore, il Signore.
Chi vede sempre Iddio, ecco, è ancora più libero, è ancora più libero e la sua obbedienza è ancora più facile, perché non si ubbidisce a quella persona, che può essere anche meno istruita, ma lì si obbedisce al Signore, il padrone di tutto, colui ché è la sapienza infinita; come Gesù, uomo-Dio, obbediva a San Giuseppe, che era un semplice uomo, per quanto buono, ma un semplice operaio, senza istruzione. Ecco!
Prima deve essere soprannaturale, poi in secondo luogo deve essere totale l’obbedienza, in tutte le cose: sia quando si è veduti, come quando non si è veduti, sia di giorno, sia di notte, quando magari tutti riposano e c’è solamente l’occhio di Dio che veglia sopra di noi; in tutte le cose, anche quelle che dispiacciono, che son contro la nostra natura. Obbedienza totale, obbedienza totale, specialmente quando non capiamo la ragione del comando, non capiamo la ragione del comando.
Molti vorrebbero veder la ragione, il capire il motivo, e qualche volta si mettono a ragionare con le Superiore, così di divenir come ad un accordo. Fanno le loro obiezioni, trattano quello che si deve fare, e alla fine hanno fatto la loro volontà, non l’obbedienza! Sì. Questo fa perdere tanto merito e tanta pace, alla fine. Fa perdere merito e basta. Con semplicità. Con semplicità!
Per questo è molto importante che si leggano le Costituzioni, si meditino; specialmente negli Esercizi una delle letture più importanti è quella di leggere la Regola propria, le Costituzioni proprie, e poterle penetrare sempre di più nel loro spirito oltre che considerarle nella lettera.
Inoltre l’obbedienza, perché piaccia a Dio, deve essere amorosa. Amarlo, quello che è disposto; non perché sempre piaccia, ma perché piace a Dio. Ecco! Sì, piace a me, e anche se non mi piace, devo fare in maniera che mi piaccia, perché piace al Signore. Diceva quell’infermo: «Piace al Signore, deve piacere anche a me». Non che piaccia sempre al senso, ma piace al Signore e piace alla mia volontà. Piace in quanto che io mi guadagno un gran merito, così, perché faccio un atto di amore verso il Signore, sì.
Chi ama, poi, non sente fatica a eseguire, chi ama il Signore! “Ubi amatur”, dove si ama, non si soffre; e se anche si soffre, si pena, perché l’ufficio, il comando è duro, si ama la stessa fatica, si ama lo stesso sacrificio che si sta facendo: “Ubi amatur non laboratur; vel si laboratur labor ipse amatur”. Oh! Sì.
Noi non arriveremo mai a imitare l’obbedienza di Gesù perfettamente. Ma Gesù disse a un’anima: «Ricordati che io son morto per far l’obbedienza, per far l'obbedienza al Padre». E così egli ha detto là nel Getsemani: «Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta; non come voglio io, ma come vuoi tu, come vuoi tu»! E quando sul Calvario venne spogliato degli abiti e gli si comandò di stendersi a terra e di adattare le sue membra, le sue mani, i suoi piedi alla croce, obbedì, non fece alcuna resistenza: «oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis».
Ah, se noi riusciremo a crocifiggere la nostra volontà alla croce!
Persone che sanno raggirare e infine fan sempre la loro volontà. Sanno lavorare con astuzia e politica, diciamo così, ché non è una politica pulita. E allora dove andranno a ricevere la ricompensa? Chi li pagherà del lavoro fatto? Anche se le cose sembrano riuscite bene. Chi li pagherà? Han già ricevuto la ricompensa. Han fatto la loro volontà. Non li pagherà Dio perché non han fatto quello che Iddio ordinava. E allora delusioni in molti, non è vero? «Ho lavorato tanto e ho preso niente, guadagnato niente». Pressappoco la frase degli Apostoli, quando avevano lavorato tutta la notte e non avevan preso un pesciolino, pur buttando le reti a destra e a sinistra: «per totam noctem laboravimus et nihil coepimus». Oh, che il diavolo non riesca a ingannarci in questo punto: di lasciare che fatichiamo e lui portarsi via tutto il frutto; lasciare che fatichiamo e poi rimanere a mani vuote. E quante volte un’anima semplice, che non sa far altro che obbedire, in Paradiso passerà prima di altre persone più intelligenti, magari più intraprendenti. Sì.
Allora ci benedica il Signore, ci dia questa sapienza: la sapienza di Gesù Cristo «factus oboediens», «subditus illis», e la pazienza di Maria, così da ripetere sempre, innanzi a tutto, il nostro sì soprannaturalmente, amorosamente, generosamente; poi il premio eterno.
Sia lodato Gesù Cristo.

La mormorazione
(1957)


Tanti anni fa, sono andato in una casa, e ho visto nel parlatorio un bellissimo mobile nuovo. Poi recentemente, di nuovo sono andato in quella casa, e quel mobile era tutto tarlato e stava ancora in piedi, così, come poteva. I tarli lo avevano roso interiormente.
I tarli delle comunità, sono le mormorazioni. I tarli delle comunità, cioè le mormorazioni, fanno perdere lo spirito d’obbedienza, lo spirito di carità, di bontà e offendono il Signore, portano l’indifferenza, e rovinano l’obbedienza, e allora questa sera meditiamo un po’ sopra questo peccato; anzi vorrei dire, questo vizio più che un peccato.
Mormorare degli ordini ricevuti, mormorare delle Superiore, mormorare delle sorelle, dei loro difetti e delle loro qualità, del loro comportamento. Oh!, la mormorazione, che rovina! La mormorazione è un peccato che si può paragonare a una spada a quattro tagli.
Anzitutto, la mormorazione offende il Signore: chi mormora si fa giudice del prossimo, della sorella, del fratello, della Superiora, del Superiore. Si fa giudice! E tu chi sei che giudichi il tuo fratello? Che giudichi la tua sorella? Che giudichi la tua Superiora? L’ufficio di giudice spetta a Dio solo. Vorremmo prendere questo ufficio noi? rubarlo a Dio? Il Signore ritiene fatto a se stesso quello che si fa contro le Superiore, contro le sorelle. «Qualunque cosa che avrete fatto, anche al minimo, lo ritengo come fatto a me». E si oserebbe mormorare di Gesù?
E già, vi sono anche le persone che mormorano contro la Provvidenza! oltre che mormorare contro le persone di questo mondo! Sì. E sarebbe utile allora, quando qualcheduna si permette la mormorazione, che ci fosse una sorella, o chi la sente, che faccia un richiamo e dica magari: «Prima di tutto guarda te stessa! Prima càvati il trave dal tuo occhio, poi andrai dalla sorella e le dirai: permetti che ti tolga la pagliuzza che porti nel tuo occhio».
La mormorazione poi fa danno a colui stesso, a colei stessa che la fa.
Commette un peccato! E chi è poi capace di riparare il male fatto? Oh! Vi è da temere che la mormorazione causi, poi, un lungo soggiorno in Purgatorio. Del resto, chi mormora contro le Superiore, contro le sorelle, si priva di molte grazie, e poi cade ella stessa nei difetti che rimprovera e rileva nelle sorelle, nelle Superiore. Questo è uno dei castighi che vengono da Dio: commettere quello che si è rimproverato, si è rilevato nelle altre persone; cader negli stessi difetti.
D’altra parte la mormoratrice non si accorge, ma nel mormorare manifesta quello che è dentro, manifesta se stessa. Che cosa si vede nelle altre? Si vede più facilmente il difetto che abbiamo noi. Quindi quante volte si potrebbe dire, dopo che si è sentita una mormorazione: «Non potresti applicarlo a te stessa quello che adesso hai detto riguardo alla sorella, riguardo alla Superiora?».
Quando uno si mette gli occhiali verdi, vede tutto verde; e se mette gli occhiali scuri, tutto davanti a lei si oscura. Così, quando c'è l’invidia nel cuore, tutto è interpretato in male, anche le azioni migliori; e si cerca negli altri – diciamo così – il pelo nell’uovo, mentre che poi noi stessi, o con la mormoratrice medesima, commette cose più gravi.
E quello che rileva nelle altre, non dipende forse da ciò: che nel suo animo vi è l’invidia, vi è l’orgoglio? Si vorrebbe che le altre fossero umiliate, che non si avesse stima, forse, anche quando si sente allora parlare in bene della suora, della Superiora, della sorella.
Se c’è invidia, malevolenza dentro, si sente parlare in bene e l’invidiosa, la malevola: «Eh, ma voi non sapete tutto. C’è anche questo, c’è anche quell’altro. Ah, se conosceste tutto! se io potessi parlare! Ma per carità non dico». E si gettano sospetti ancora più gravi: «Chissà che cosa avrà da dire? Chissà quale difetto, quale male avrà commesso». Ecco, allora occorrerebbe ricordare quella penitenza che ha dato San Filippo a una certa signora, che continuava sempre a mormorare; e la penitenza è stata questa: «Andrai sul mercato a comperare una gallina, e poi passi per le tali vie», e indicò le vie principali della città «e vai spennacchiandola, buttando via le penne, le piume». Ecco.
Oh! Ella non voleva accettare: una signora... diran che è pazza.
Ah, ma non c’era verso. San Filippo: «O questa penitenza o nessuna assoluzione».
E si adattò.
«Son venuta a prendere l’assoluzione».
«Oh, quella è la prima parte solo della penitenza, adesso ci vien la seconda. E cioè ripassare per le medesime vie e raccogliere tutte le piume che sono state buttate via».
«Ma, padre, è impossibile: il vento se le è portate via, sono...».
E chi raccoglie tutte le parole che dici lungo il giorno addosso a questa o quell’altra persona? Semini il male, semini tante venialità. E chi ripara poi tutto questo male? E se non si può riparare, quali danni, quali conseguenze! Proprio che il male si debba mettere a vista di tutti? Se dobbiamo mettere qualche cosa sulla tavola, mettiamo qualche cosa di bello. Voi mettete i vasi di fiori, mettete delle tovaglie, belle, almeno pulite, e poi presentate i cibi in maniera conveniente. E perché nelle conversazioni, in pubblico rilevare le cose più brutte di questa o quella persona? di questa o di quella suora, Superiora o sorella che sia?
Quello indica un cattivo istinto: cercare il male. Di ogni persona si può dire del bene e di ogni persona si può dire del male. I santi e le persone che amano il Signore, rilevano il bene; e invece, le persone non sante, le persone che non amano il Signore, che non hanno carità, rilevano il male. Cattivo istinto! Segno che dentro c’è un cuore che non è buono, non è conformato a bontà. E quanti pensieri ci saranno contrari alla carità! e quanti desideri e sentimenti contrari alla carità! E forse, quante opere contrarie alla carità, se ci son tante parole già contrarie alla carità!
Quindi la mormorazione è una spada che fa danno a colui che la commette.
Terzo. La mormorazione fa male alla persona che la sente, perché è uno scandalo che si dà. Scandalo, perché chi è abituato a mormorare, stando così nelle ricreazioni ecc., è facile che allarghi il vizio della mormorazione. E quindi quel peccato, dall’una passa all’altra. E allora, come si risponderà davanti a Dio? Come si risponderà davanti a Dio?
Se abbiamo già da far penitenza e detestare e accusare e condannare e farsi perdonare dal Signore i nostri peccati, perché andare a seminare i cattivi esempi, lo scandalo e l’abitudine di mormorare fra le altre persone? Rispondere ancora davanti a Dio del male che abbiamo causato negli altri e nella comunità?
Poi, la mormorazione abbassa sempre lo spirito religioso in una comunità. Sempre! Perché abbassa sempre lo spirito religioso in una comunità? Perché rilevando sempre il male, si diminuisce l’amore alla comunità. E allora, non si sta più tanto volentieri. La mormorazione priva la comunità di molte grazie da Dio, quindi l’Istituto non è più così benedetto.
Poi, la mormorazione porta lo scoraggiamento nelle persone. E quante rotture di carità, quante insubordinazioni! Quante volte i comandi non sono più accettati bene! E si attribuisce il comando, la disposizione a qualche capriccio, oppure a qualche malinteso. E la persona, quindi, che sente la mormorazione, è meno portata all’obbedienza, è meno portata all’amore alle sorelle. È meno portata essa medesima. «Se ci son tanti difetti nelle altre, e beh, posso anche passar leggermente sui miei difetti», si finisce col ragionar. Oh!
E allora si introduce nella Comunità come una gramigna. E le prediche fan più poco frutti; gli avvisi meno ancora, le disposizioni sono mal ricevute, le cose si fan con metà forza.
E se la mormorazione va molto avanti, si può arrivare anche alla perdita di vocazioni. Primo, se le mormorazioni son fatte con le più giovani; poi, il Signore permette, alle volte, che l’anima non faccia più frutto delle prediche, delle meditazioni, degli avvisi, delle opere di pietà. Allora resta arida e quindi cade in un certo avvilimento, in un certo disorientamento, e neppure sa più confidarsi. Neppure sa più aprirsi. Non trova più una persona che le possa dire una parola che la incoraggi, che la sostenga.
Oh! La mormorazione fa danno a chi la sente.
E poi, in quarto luogo, la mormorazione fa danno alla persona di cui si mormora.
Perché fai perdere la stima? È minor peccato rubare i soldi. Perché l’uomo, ogni uomo ha tre beni: ha i beni di persona, ha i beni di fortuna e ha i beni di stima.
Beni di persona, quindi che ognuno rispetti la persona altrui, non si può mica percuotere, ad esempio.
Beni di fortuna si può mica rubare, ma più preziosi sono i beni di stima, l’onore.
E la Scrittura dice: è meglio un buon nome che molte ricchezze. Dunque, voglio dire, è minor male rubare molto, che togliere la stima alle persone. Togliere la stima alle persone!
«Ma è un male che han fatto».
E perché è stato fatto, credi di essere autorizzato a pubblicarlo? Ha fatto male, se veramente ha fatto male? Ma tu fai veramente male se mormori, se lo manifesti senza necessità.
Vi sono dei casi in cui bisogna manifestarlo ai Superiori, certamente! Ma questo si fa per motivo di carità, per togliere un abuso, o uno scandalo in mezzo alla comunità. Ma manifestarlo, invece, così, per ricreazione, tanto per dire: questo è veramente offendere, togliere la stima. Anche se è stato commesso, e non è ancor pubblicato, quel male, e anche se fosse già noto, perché parlarne? Forse Iddio lo ha già perdonato quel peccato, e noi continuiamo a parlarne? Continuiamo a diffonderne la notizia? No! No! Non si può, togliere così leggermente la stima alle persone. Chi la restituirà poi? Non sarà così facile, restituirla.
Vi sono casi in cui è necessario osservar i segreti, perché sono segreti commessi, perché sono segreti naturali, perché sono segreti fiduciari, diciamo così, manifestati per avere un consiglio, o per altri bisogni.
Violare i segreti, tanto più quando si manifestano dei difetti che o siamo venuti a conoscere, oppure quelle persone le hanno mostrati a noi, le hanno spiegati a noi, per avere direzione e per avere un conforto, per conoscere il modo di emendare il difetto, di togliersi da quello stato infelice in cui si trovavano. Rispettare tutti! Ecco.
La mormorazione. Non si potrebbe dire quello che ha detto Gesù? Han condotto a Gesù una donna sorpresa in atto di peccato. E tutti ad accusarla, e avevan già le pietre in mano per lapidarla, come era allora l’uso presso gli Ebrei. E rivolgendosi a Gesù tutta quella gente manifestavano la colpa di costei: «Fu sorpresa nel male; la legge dice di lapidarla; e tu cosa dici?», chiedevano a Gesù. E Gesù li guardò. Poi si chinò verso terra e cominciò a scrivere nella polvere col dito. E tutti stavano a sentire e volevano indovinare cosa scriveva.
Ma vedendo che egli continuava; di nuovo lo interrogano: «Ma che cosa dici, allora, di questa donna?». E Gesù guardandoli in volto: «Chi di voi è innocente, scagli la prima pietra». E li guardò fissi. E ce ne erano là dei peccatori, che erano pronti a lapidare la povera adultera e non facevano l’esame su se stessi.
«C’è stato un difetto, e chi di voi è innocente, si faccia avanti, lo pubblichi, prima. Chi di voi è innocente scagli la prima pietra». Allora occorre pensare sempre a noi. Vi sono delle persone che hanno un cattivo istinto: guardano i difetti degli altri. E vi sono persone che disturbano così alle volte le comunità, che non si può più disporre, non si può più compiere quello che si dovrebbe fare. Non c’è più la libertà, ecco!
E queste persone, forse, vedranno solo al Giudizio il male che han fatto. Ma è meglio che lo conoscano prima specialmente negli Esercizi, per toglierlo, togliere la causa di questo.
Oh! Non aggraviamoci ancora dei peccati altrui, che ne abbiam già troppi noi! da confessare e da espiare, da riparare, da correggere. Sì.
Non fare agli altri quello che ragionevolmente non vuoi fatto a te stesso. E fa agli altri quello che ragionevolmente vorresti fatto a te.
Vi sono autori, libri, che sopra la mormorazione hanno delle parole roventi.
Le Superiore hanno un dovere assai grave di togliere questa zizzania e le seminatrici di zizzania. Ma non l’hanno mica solamente le Superiore, alle volte lo hanno più le sorelle, perché son loro che sentono, e quindi possono umilmente, ma caritatevolmente, dire chiaro: «Correggi te stessa. Sai che hai da fare l’esame di coscienza su di te».
Eppure c’è questa tendenza: si portano due bisacce: nella bisaccia davanti, si mettono i difetti degli altri e si guardano e si conoscono; e i nostri li mettiamo nella bisaccia di dietro. E proprio quelle che fan bene in comunità, stanno a guardare le altre e rilevano e giudicano, e condannano l’operato della Superiora e l’operato delle sorelle. E se poi una cosa va male, oh!, lì la colpa è di tutte fuorché di loro, fuorché di loro. E forse è andata male proprio per causa loro, perché non han lavorato, perché non han messo il loro impegno, perché han lasciato mancare la preghiera per la comunità e per le sorelle, perché non hanno dato il buono esempio.
«Et a peccatis alienis munda me». Sì! Che il Signore ci perdoni i nostri peccati e ci perdoni anche di quelli che abbiam fatto commettere agli altri!
Quindi, la mormorazione è una spada a quattro tagli: offende Iddio e offende colui stesso che mormora; offende la persona di cui si mormora e offende, ancora, chi la sente la mormorazione, chi sente la mormorazione.
Domandiamo a Gesù questa grazia: di aver grande carità, grande bontà. Copriamo volentieri i mali, i difetti altrui, come desideriamo che gli altri tacciano su di noi e spieghino sopra i nostri difetti, i nostri peccati un velo di silenzio.
Sia lodato Gesù Cristo.

La meditazione


…uomo che l'ha curato nella sua ultima infermità, diceva: «Non comprendo come questo, con tutti i mali che aveva addosso, abbia potuto arrivare a così tarda età».
Allora il malato rispose: «Io ho sempre avuto una grande forza di volontà, e sopportavo i miei mali in pazienza, e dicevo: domani sarà meglio di oggi. E così con il coraggio che nutrivo e con la preghiera costante, ho sempre potuto lavorare, anche in questi ultimi tempi».
Ecco, noi abbiamo una grande forza dentro di noi, una grande forza naturale, quando vi è un “voglio” sincero, un “voglio” sentito, deciso, e cioè, quando noi prendiamo la risoluzione: non santi a metà, ma santi totalmente.
E venire alla decisione ogni mattina: «Io comincio oggi; è poco quel che ho fatto adesso, di più voglio fare oggi». E così, rinnovandosi il buon volere ogni giorno, si progredirà.
Forza di volontà! Non sfruttiamo abbastanza in noi, generalmente, il frutto, la energia che viene da una buona volontà. E quante cose con la buona volontà si fanno nell’ordine naturale, e quante più cose si fanno con la buona volontà nell’ordine spirituale.
Si aggiunge, poi, che noi abbiam da chiedere al Signore due volte la fortezza: una volta come virtù cardinale, terza virtù cardinale, e altra volta come dono dello Spirito Santo.
E quando lo Spirito Santo è disceso sugli Apostoli, da gente timida che era, fu cambiata in gente risoluta, forte. Mentre che prima si nascondevano “propter timorem Judeorum” per timore dei Giudei, dopo sfidavano i giudei e, anche battuti a verghe, sanguinanti, rispondevano: “È meglio obbedire a Dio che agli uomini”.
Molto conto dal frutto che può venire dalla fortezza naturale, e tanto più dalla fortezza che discende come dono dallo Spirito Santo.
Oh!, questa forza di volontà, deve essere il frutto della meditazione al mattino. Al mattino si fa la meditazione, alla sera generalmente, si fa la lettura spirituale, e molte volte si fa la lettura spirituale nella visita al SS. Sacramento.
La lettura spirituale ha per fine soprattutto di istruire la mente, illuminare la mente. È l’alimento che si dà alla mente, e serve alla santificazione della mente.
La meditazione del mattino ha per fine, invece, di rafforzare la volontà, e in senso naturale, e in senso sopranaturale. Sì.
Poiché vi sono creature debolissime... prendiamo sant’Agnese, giovanissima, fanciulla: come è stata forte dinnanzi al carnefice! Ecco.
Allora come si deve fare la meditazione perché lasci in noi una volontà risoluta, forte, costante? come si deve fare?
Nella meditazione vi sono, regolarmente, cinque punti.
Il primo punto è l’introduzione. La quale introduzione si fa con tre disposizioni, una preparazione che – diremmo – ha tre parti.
Primo: mettersi alla presenza di Dio: «Dio mi vede, sono qui dinanzi a lui».
Secondo: chiedere il perdono dei peccati del giorno prima.
E, terzo, domandar la grazia di essere illuminati dalla luce dello Spirito Santo e poter penetrare quelle verità che si sta per meditare, e ricavarne un frutto buono, durevole per la giornata, poi per la vita stessa.
Primo quindi: mettersi alla presenza di Dio; secondo: chieder perdono per i peccati, che sono sempre quelli che impediscono le grazie; e terzo: domandare luce al Signore, e soprattutto, chiedere il dono della fortezza.
Conchiudere con dei propositi fermi. Vedete come sono fermi i propositi che avete adesso! Generosi sono questi propositi, poiché il Signore è stato tanto buono in questi giorni con ciascheduna di voi.
Quella fortezza, quel fervore, quella buona volontà che sentite adesso, non è destinata a spegnersi, a illanguidirsi. Come quando uno che era vicino al fuoco si è scaldato, dopo, allontanandosi, torni a sentire il freddo. Gli Esercizi... poi passato un mese, due mesi, il terzo mese ecc. si cominci di nuovo a sentire la tiepidezza, la freddezza spirituale, quasi la indifferenza. Oh!
Noi abbiamo lungo il corso dell’anno dei modi di ravvivare la buona volontà: il Ritiro mensile. Ogni mese considerare una delle verità eterne. Poi fare il nostro esame di coscienza sul mese scorso, finito, e poi, proporre pregando per il mese che si sta cominciando, confessando poi i nostri peccati, e recitando la preghiera della “Buona morte”. Il Ritiro mensile sarà ben conchiuso, specialmente se uno lo fa (in modo proprio,) in modo preciso, diligente, attento; se prima lo desidera, se prima prega!
I Ritiri mensili sono come tante occasioni per rinnovare in noi il frutto degli Esercizi spirituali. Ma anche ogni mattina, non solo ogni inizio del mese, ma anche ogni inizio della giornata deve essere segnato da questo rinnovamento: «ego dixi, nunc coepi», «l'ho detto, comincio adesso».
Poi vi sono tre punti della Meditazione, ancora: il secondo, il terzo e il quarto.
Il primo punto è specialmente destinato a illuminare la mente, il secondo a fortificare la volontà, e il terzo a santificare il cuore.
Illuminare la mente. Per illuminare la mente leggere un tratto di un libro buono; e ciascheduno dovrebbe avere il suo libro. Vedete se si curerà molto la scelta dei libri di meditazione negli Istituti, si avrà un grande vantaggio. Ecco, quando entrano le aspiranti: libri semplici ma chiari, adatti all’intelligenza, alla capacità, all’età delle aspiranti. Poi il secondo anno, il terzo anno, il quarto anno, prendere libri che accompagnano lo sviluppo spirituale dell’aspirante, libri sempre un po’ più profondi; come si fa per il catechismo. Al bambinello che ha da far la prima Comunione, si dà un po’ di tutto ciò che è essenziale: cioè i princìpi di fede, le verità di fede, almeno i misteri; poi si insegnano le cose necessarie da farsi nella sua età, e poi si insegna a ricevere bene la Confessione, la Comunione. Dopo, ogni anno, si allargano queste cognizioni. Sempre le verità, sempre i princìpi di morale, sempre la pietà, la preghiera. Ma ogni anno un po’ più approfondito quello che si è insegnato, e un po’ più allargato.
Così nelle meditazioni e nelle letture spirituali che si assegnano allor che entrano le aspiranti, man mano che passano da un grado all’altro, al noviziato, alle professioni temporanee, e poi alla professione perpetua, in modo tale, che scegliendo bene i libri, alla fine, la persona abbia in sé un complesso di insegnamenti ascetici, utile, sufficiente per la vita, sufficiente per la vita, un complesso di dottrina ascetica, la quale mantenga poi il fervore e sostenga la vita religiosa, dopo.
Se le aspiranti sono giovani, allora, come si fa la scuola? Ogni anno prendono il loro libro. Supponiamo: quest’anno prendono il primo volume di geografia, l’anno prossimo il secondo, poi il terzo, il quarto, il quinto. Così nell’ordine delle meditazioni, nella distribuzione delle letture spirituali, avere (una sequela,) un ordine che sia ragionevole, e che serva a formare l’istruzione spirituale delle materie spirituali, di cui ha bisogno la suora per vivere poi religiosamente. Ecco.
Quando si dà una cosa ordinata, ragionevolmente ordinata, si porta un vantaggio molto più grande, e si formano le aspiranti in maniera molto migliore.
Allora scegliere il libro, ho detto, scegliere il libro di meditazione, e sceglierlo bene. Sempre è utile seguire quello che è tradizionale nel proprio Istituto. Ciascheduna sa come si fa nel proprio Istituto, come è ordinato quello che riguarda la meditazione e la lettura spirituale: seguire l’ordine. E se non c’è ancora stabilito un ordine, una cosa importantissima è lo stabilirlo. E ciascheduna secondo lo spirito della propria Istituzione, della propria Famiglia religiosa.
Oh! Vi sono anche persone che vogliono sempre nutrirsi e trovano quasi inesauribile quello che contengono quei libri perché sono fatti bene, perché aprono all’anima un grande orizzonte di bene.
Quando un’anima si trova ben nutrita, non dovrà cercare altro. Fin che si sente nutrita da una lettura, e si sente nutrita, fortificata da un libro di meditazione, meglio continuare quello: leggere il libro, oppure ricordare un fatto, per esempio: un quadro della Via Crucis, ricordare la crocifissione di Gesù, ricordare la vita di un santo, di una santa, ricordare una massima del Vangelo, per esempio, una delle beatitudini, delle otto beatitudini del Vangelo ecc.
Illuminare la mente. Però, questo lavoro di illuminar la mente, non deve essere lungo. Al più presto si passi alla volontà, perché la meditazione sia più utile. E allora bisognerà confermarsi, riflettere su ogni periodo che si è letto. E rappresentarsi bene quel fatto che abbiamo ricordato, forse, come è avvenuta la crocifissione del Salvatore, ad esempio, in che circostanze, con quale crudeltà, con quali pene e strazio di Gesù, e pene e strazio del cuore SS. di Maria, perché era presente ecc.
Una massima che sia penetrata, che sia quasi digerita, cioè masticata e digerita. Perché vi sono persone le quali fanno quasi come chi andasse a tavola: vede la tavola imbandita e se ne va. Non basta guardare le belle cose, i buoni cibi, bisogna mangiarli, masticarli, digerirli, cambiarli in sangue, il quale sangue andrà poi a costituire le ossa, i muscoli, ecc. Quindi lavoro sopra quello che si è letto, o si è ricordato, o sulla massima che abbiamo preso a meditare, sì, in maniera di sentirla, sentirla entro di noi.
In terzo luogo, poi, la parte della meditazione che riguarda il sentimento.
Alla fine dell’esercizio della volontà, viene l’esame di coscienza: «Come ho fatto fin’ora?». L’esame di coscienza sul passato. Supponiamo che si sia meditato il Paradiso. «Io lo ricordo vivo, questo pensiero della vita eterna? Penso che questa vita è breve e che il mio soggiorno eterno è in Paradiso? e ordino tutti i miei pensieri, le mie decisioni, i miei lavori, le mie intenzioni al Paradiso? Come ho fatto? Come voglio fare?».
Così se meditiamo la crocifissione di Gesù: «E le mie delicatezze? e le mie insubordinazioni? mentre che Gesù... pongo Gesù ai carnefici». Si fanno gli esami di coscienza e si fanno i propositi.
Di lì in là è la preghiera. Sì. Perché la preghiera è quella che ci ottiene quel dono della fortezza, quella virtù della fortezza, ed è proprio la parte più importante della meditazione. Anzi, se qualche persona qualche volta non può raccogliersi nella meditazione, prenda il suo taccuino, il suo proposito, dove sta il proposito, e poi ci dica un Rosario sopra a quel proposito che ha fatto negli Esercizi, affinché ci sia di nuovo il fervore di volontà. Ma la meditazione? eh... la meditazione così è ben fatta.
E poi, la Messa. La Messa, poi, serve ad aumentare questa forza di volontà, questa decisione, aumentarla ancora, così da sentirne l’effetto per tutta la giornata.
Oh! Il fine della Meditazione è di rafforzare la volontà.
Volontà fiacche, volontà deboli, mezze volontà. Quei “vorrei” di cui è lastricato l’Inferno. No! Tutte devono cambiarsi in quello che è là, nel Vangelo. Buona volontà, forte volontà, costante volontà! Ecco. Tutto deve arrivare lì. Se non arriviamo al mattino a partire con decisione, allora la giornata sarà fiacca, sarà quasi vuota di meriti, oppure avrà molti meriti in meno di quelli che avrebbe dovuto produrre. Sì.
Molta applicazione alla meditazione. E lì, nella meditazione, il fuoco si accende, il fuoco spirituale, sì, si accende.
Oh! Dobbiamo anche vigilare per non divagare troppo nella meditazione; ricordando che non è una lettura. Poco, ma approfondito. E se nell’anno facciamo 365 meditazioni e meditiamo 365 punti, – e [meditiamo] bene, in maniera di sentire in noi un nuovo fervore –, siamo sicuri che da un corso all’altro degli Esercizi si sarà fatto un bel progresso.
Il quinto punto è la conclusione.
Nella conclusione si fanno tre atti.
Primo: ringraziamento al Signore, che ci ha dato la grazia di far la meditazione e ci ha dato dei lumi e delle buone risoluzioni nella meditazione. Ringraziamento.
Secondo: riparare con domandar perdono al Signore, quello che è mancato, sinché non ci siamo applicati abbastanza nella meditazione così da ricavarne più frutto.
Poi, domandare ancor, la benedizione del Signore sopra i nostri propositi, e sopra tutta quanta la giornata.
Quindi partire dalla meditazione con quelle risoluzioni e sotto quella luce per cui la giornata, quasi con certezza, passerà bene.
Nella giornata poi, ogni tanto ritornarci sopra, un momentino, anche nel corso del lavoro, anche mentre che si va o si viene, si fanno le scale, anche nello stesso tempo di ricreazione. Basta, alle volte, mettere una mano sul petto, toccare il crocifisso, per ricordarsi subito del pensiero dominante nella meditazione. In ogni modo, trovare qualche mezzo per ricordarla, la meditazione. Quando poi viene l’esame di coscienza, abbiamo da richiamare, da richiamare, quel punto, quel proposito, con cui avevamo concluso la meditazione, e vedere se abbiamo osservato.
Vi è però una cosa da dire, importantissima, ed è questa. Ci occorrerebbe veramente un tempo più lungo, per spiegarla.
Vi sono persone, le quali sembrano disorientarsi un po’ per il cambiamento del confessore, per il cambiamento del predicatore, oppure anche per il cambiamento delle superiore, di quelle che in modo particolare avevano cura della parte spirituale. Vedete! Il disorientamento è in chi non fa un vero lavoro ordinato, nel suo spirito. Quando si è terminato il noviziato, ognuno deve essersi fatto un programma di vita religiosa e deve aver preso, scelto un proposito, supponiamo, l’osservanza dei voti, lo spirito di fede, la vigilanza sopra certe difficoltà, certe tentazioni, certe tendenze, certe passioni. Ognuno deve essersi fatto un programma. E poi, negli esercizi spirituali meditando bene i bisogni propri, si trovano, si vedono i propositi che son necessari.
Cambierà la suora che ha cura della parte spirituale, cambieranno i predicatori, cambieranno i confessori, ma la persona ha già preso la sua direzione. Dalla suora, dal predicatore, e dal confessore, prenderà non tutti i momenti un indirizzo nuovo, no? È quello preso nella professione, l’indirizzo; è quello rinnovato o stabilito di nuovo negli Esercizi.
Deve dirigersi con fortezza. Per questo è necessario che, anche se la predica fosse – supponiamo – sopra la preghiera, e invece, tu avevi sullo spirito di fede, ecco, il proposito principale deve ritornare sullo spirito di fede. E se è sul Paradiso, deve tornare sullo spirito di fede, non deve cambiare. Così che, il cambiamento esterno serve ad aiutare e serve, tante volte, ad istruire di più, ma non a portar l’anima come se fosse una navicella senza timone, sopra le onde del mare, e agitata e sospinta di qua e di là dai capricci del vento e delle onde.
La stabilità! Faccio questo lavoro: vivere di fede – per esempio –, la carità, l’osservanza del voto di obbedienza, «sarò obbediente ad ogni costo, in tutto» o l’osservanza della povertà. Ma l’obbedienza, poi, comprende tutto e porta una gran pace nel cuore l’obbedienza, perché allora si è sicuri di viver nella volontà di Dio.
In sostanza: altra è la direzione di una giovinetta che ha ancor da scegliere il suo stato, che fa i primi passi nella vita spirituale; altro è la suora che ha emesso i voti, specialmente se è già arrivata alla professione perpetua: deve aver già un carattere suo, una personalità sua, e tutto il resto in quanto aiuta, e da tutto prende occasione per essere aiutata: dalle prediche, dalle esortazioni, dalle ispirazioni interne dalle circostanze di luogo, di tempo, di persona, da tutto prende forza.
Vi è troppo pericolo che molte anime si smarriscano, con una cosa o con l’altra. E son disposte a cambiare sette volte il proposito in una settimana, oppure cambiarlo 52 volte nell’anno perché vanno a confessarsi 52 volte. No, non così! La direzione [va] stabilita in quei giorni in cui si è in maggior luce: noviziato; in quei giorni in cui si è in maggior luce: gli Esercizi. Poi si lavora in quella direzione. E se si cammina sempre nella stessa direzione, della strada se ne fa! Ma se uno fa un pezzo avanti e poi torna indietro e poi prende un’altra strada e poi, di nuovo, se prima aveva preso la strada di destra, adesso va sulla sinistra... quanto cammino avrà fatto a sera? Si avrà perso molto tempo. E quanto cammino in un anno, spiritualmente? Poco! Ferme in un punto, stabilite bene e in quella decisione, sempre ritornare lì; con gli esami di coscienza, con le confessioni su quel punto, con i ritiri mensili, con le meditazioni.
E anche i libri spirituali che si leggono, servirsene in quanto aiutano all’osservanza di quei propositi fatti. Non già perché una santa ha fatto così, che tu devi fare quel proposito della santa. No, generalmente il proposito non si cambia lungo l'anno, generalmente.
Se fossimo tutti capaci a intenderlo giusto, direi questo: che la religiosa che ha una vera decisione e che ha una vera volontà di farsi santa, quasi dirige il confessore, dirige la maestra di spirito. Perché? Perché se veramente tiene fermo in quel proposito, si confessa lì sopra. E allora gli avvisi saran lì sopra. Si aprirà lì sopra con la maestra di spirito e avrà gli avvisi, gli incoraggiamenti e i suggerimenti che riguardano quel proposito.
Avere una personalità religiosa, la personalità di una santa, la religiosa.
Sia lodato Gesù Cristo.

Preparazione alla festa dell'Immacolata
(1957)


…ha cominciato a preparare colei che doveva essere Madre del Figliuolo di Dio, sì. Il Signore, voleva che il suo Figliuolo, il Figliuolo di Dio, al momento dell’Incarnazione fosse posto in un Tabernacolo degno, in un Tabernacolo che non avesse mai avuto qualche cosa di meno che santo, che cioè non fosse mai stato abitato dal diavolo, dal peccato. Quindi ogni cosa che si riferisce al peccato, ecco, non si può mai applicare a Maria: è immacolata, “tota pulchra”, tutta bella. Ecco.
Allora noi, celebrando il grande avvenimento, celebrando il privilegio di Maria Immacolata, dobbiamo pensare: ricevere Gesù nella Comunione, il Figlio di Dio incarnato! Oh! Prepararsi con la Madonna, prepararsi con la mondezza del cuore, la mondezza della mente, la mondezza del corpo, la mondezza della volontà, sì; affinché, quando Gesù viene deposto sopra nostra lingua, noi lo riceviamo con la innocenza, con cuore mondo, cuore mondo!
Pensiamo come Maria ricevette il bambino Gesù e là nel presepe lo depose sopra la paglia, nella greppia, con quale riverenza, rispetto e amore!
Ecco va tanto bene nella preparazione alla Comunione ricordare l’Immacolata Concezione. Se Iddio Padre volle intervenire con un privilegio così grande rispetto a Maria per preparare il suo cuore a ricevere il Figlio di Dio, il suo Figlio, quando si sarebbe incarnato, anche noi dobbiamo preparare un cuore puro, santo, alla Comunione. Va tanto bene la pratica: dal mezzodì fino al momento della Comunione del giorno seguente pensare così: «Domani devo fare la Comunione, bisogna che il mio cuore quest’oggi sia immacolato, se non voglio commettere neppure la minima mancanza volontaria» – sì, dei difetti involontari sempre ne abbiamo – «ma voglio preservare il mio cuore anche dalle macchie più piccole volontarie, cioè non voglio acconsentire a nessun atto, a nessun pensiero e a nessun sentimento che sia anche soltanto una venialità».
Pensare come Maria Santissima preparò i pannolini per avvolgere il bambino Gesù appena nato. Allora da mezzodì fino al momento della Comunione, immacolati perché abbiamo da ricevere Gesù. E poi dalla Comunione fino a mezzodì, un continuato ringraziamento in questo senso: «Gesù è in me, non voglio disgustarlo, non voglio trattare male il mio ospite divino», ecco.
Oh! E allora evitare, anche qui, le offese a Gesù sebbene piccole, ma quelle che sono volontarie – parliamo sempre di cose volontarie –.
Così la giornata è eucaristica, perché dal mezzodì fino all’indomani mattina, è una preparazione a ricevere Gesù, e dal mattino, dalla Comunione, fino al mezzodì, è un ringraziamento a Gesù venuto, Gesù che sta nel nostro cuore, Gesù che sta prima sacramentalmente e poi sta spiritualmente, sta, abita in noi, come Dio. Sì.
Considerare sacro il petto, il cuore, come si considera sacro il Tabernacolo. Vedo che c’è grande diligenza, qui, a tenere pulito l’Altare – non solo l’Altare, ma anche la chiesa –, a tenere bene in ordine il Tabernacolo, a osservare anche tutte le prescrizioni liturgiche della chiesa. Ma il nostro cuore è un Tabernacolo migliore che quello di pietra che sta sull’Altare – che è quello di legno, quando il Tabernacolo è di legno, e fosse anche d’oro –: il nostro cuore è un cuore vivo. L’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Ecco. E allora, tanto più di diligenza, a conservare il cuore immacolato! Però mai crearsi degli scrupoli; la delicatezza è tutt’altra cosa che lo scrupolo. Oh!
Questo anche per un’altra ragione, e cioè perché la suora è consecrata a Dio, appartiene a Dio.
Fare i voti, vuol dire tre cose.
Primo: separarsi dalla comune degli uomini, dalla comune. E questo vuol dire quanto disse il Signore: «Exi de cognatione tua et de finibus tuis», sì, «esci dalla tua parentela, esci dal tuo paese, e vieni al luogo che io ti mostrerò». Sì. Quindi una separazione dal mondo, ecco.
Queste sono le anime che il Signore ha creato per sé; sono le anime che devono fare un ufficio tutto diverso dagli uffici ordinari, dai mestieri, dagli impieghi che hanno le persone ordinarie; di modo ché la vocazione importa una separazione; ma separarsi davvero con i sentimenti, con i pensieri, con l’attività.
Separazione: Gesù diceva degli Apostoli: «Et hi de mundo non sunt», «non sono mondani questi», «sicut et ego de mundo non sum», «come anch’io non sono mondano, non son del mondo».
Ecco, bisogna proprio che entri bene nell’anima che noi abbiamo fatto una separazione. E «lasciate che i morti seppelliscano i loro morti», nel pensiero e nel senso che Gesù dava a queste parole, quando esortava quel tale a non recarsi in famiglia a seppellire il padre che era defunto.
Poi la professione implica la consecrazione a Gesù. Il che significa che dopo apparteniamo a Gesù. Ci possono essere tanti calici da consecrare, e possono essere adoperati per un uso comune, anche magari per bere a tavola. Ma quando un calice vien consecrato, è profanazione usarlo per uso comune come bere a tavola, perché è di Gesù, è sacro! Così, consecrati a Dio, non possiamo più impegnarci nelle cose comuni. I nostri interessi sono quelli di Gesù, cioè che noi ci santifichiamo e che salviamo – con l’Apostolato – anime. Siamo suoi, consecrati a lui. E non è una consecrazione, [la] professione, come quella che si fa alla Madonna quando si recita quella formula di consecrazione: qui è una donazione completa! una donazione che è anche irrevocabile, perpetua: «Sono di Gesù».
Lo può dire ogni cristiano in qualche senso, ma il religioso o la religiosa in un senso molto più ampio: «Sono di Gesù!». E se una cosa appartiene a Gesù, noi bisogna che la rispettiamo. Quindi rispettare i propri occhi, il proprio udito, la propria lingua! Non possono mai venir usati a peccare i sensi: sono di Gesù. E «nessuno mi tocchi! nessuno mi tocchi! sono di Gesù», consecrati a Lui.
Poi la professione implica ancora un sacrificio, un’offerta. «Sono di Dio, Dio può adoperarmi in quello che vuole. Io non ho più volontà, ho offerto tutto a Lui. E quindi vado immolando la mia vita un po’ per giorno, un po’ per giorno per il Signore». Perché ogni giorno che passa, ecco, si abbrevia la nostra vita. «Oggi vado morendo un po’»: “quotidie morimur”. Moriamo a quel tempo che viene già consumato, viene già passato. Ecco. E se dovevamo vivere, supponiamo, centomila giorni – per dire un numero –, uno di meno allora.
Offrire tutto il consumarsi della nostra salute, del nostro tempo al Signore! Ma anche accettare tutto quel che il Signore dispone a nostro riguardo e impegnarsi in opere buone, in opere sante! Perché siamo di Dio.
Il sacrificio. È chiaro che dopo il sacrificio di Gesù sul Calvario e dopo il martirio, la professione fatta bene è il maggior sacrificio. È l’atto più meritorio. Ma viverla, questa professione! Viverla!
Ecco perché noi religiosi dobbiamo prepararci all’Immacolata con un sentimento più profondo che non i semplici cristiani. Perché? Perché, da prima, ci comunichiamo spesso; quindi bisogna che rendiamo il Tabernacolo del nostro cuore sempre più santo, sempre più accogliente rispetto alla Comunione, rispetto a Gesù; e, d’altra parte, ché noi sentiamo di essere totalmente di Dio, perché separati dal mondo, come ha voluto Iddio, offerti a Gesù come ha voluto il Signore e destinati a sacrificarci e a diventare come vittime di amore – e anche l’accettazione della morte è compresa –, vittime di amore per Gesù.
Quando si parla di anime vittime, alle volte si dicono delle cose un po’ inesatte; meglio: si scrivono delle cose un po’ inesatte in certi libri. Ma noi abbiam da comprendere bene il senso: le anime consecrate a Dio sono tutte vittime, se intendono bene la professione, se intendono bene la professione.
Perché Gesù dopo, ha diritto di disporre di noi, che ci siamo consecrati a lui in una maniera speciale, non solamente come ha diritto di disporre di tutti i cristiani e di tutti gli uomini, ma in modo particolare. Appunto per la professione.
Allora celebriamo santamente la festa dell’Immacolata, leggendo qualche cosa sulla Madonna, dicendo i Rosari meglio, ricordando frequenti giaculatorie, ma soprattutto preparandoci sempre bene alla Comunione.
Questo è il modo di onorare il privilegio dell’Immacolata Concezione. Immacolata perché doveva essere il Tabernacolo di Gesù, immacolati perché dobbiamo diventare il Tabernacolo di Gesù, portar sempre Gesù con noi, nel nostro cuore. Il nostro cuore un Tabernacolo!
Sia lodato Gesù Cristo.

Tre divozioni:
agli Angeli Custodi, alle Anime del Purgatorio, a San Giuseppe
(1957)


Ogni Istituto ha le sue divozioni speciali, e tutte sono buone, sante quindi da conservarsi, da praticarsi, da viversi. Tuttavia questa sera volevo ricordare tre divozioni, le quali non sono quelle che ogni Istituto principalmente avrà da seguire, ma vanno bene con le altre che ciascheduno degli Istituti ha scelto; voglio dire la divozione agli Angeli Custodi, la divozione alle Anime del Purgatorio e la divozione a San Giuseppe.
Queste tre divozioni compiscono le altre, e portano innumerevoli grazie alle anime.
Primo - La divozione alle Anime del Purgatorio.
Questa divozione ha per fine di liberare quelle anime dalle loro pene, e il mese di novembre specialmente è un mese di liberazione. E poi questa divozione ha per fine e serve a due cose: evitare i piccoli difetti, i piccoli peccati, e prendere tutte le occasioni per guadagnare meriti; evitare in sostanza i piccoli difetti e praticare le piccole virtù.
In Purgatorio, tra le altre ragioni per cui si va tra quelle pene [c'è] questa: la passività ai peccati veniali. Il peccato veniale, il quale non fa perdere la grazia di Dio, ma diminuisce la grazia stessa e non merita l’Inferno, ma merita il Purgatorio.
Persone che sono molto attente a combattere i piccoli difetti, i piccoli vizi, le piccole tendenze cattive, e vigilano sopra i loro pensieri, i loro sentimenti, la loro attività, la loro vita, e sulle loro parole.
I piccoli difetti, lavorare a correggerli, a evitarli. Se non si potrà giungere, – come non si giungerà mai – a vincere tutti i difetti e a correggerli tutti, almeno detestarli, e cercare in quanto è possibile, di evitarli.
Se noi li detestiamo, e vigiliamo per evitarli, non saranno offesa di Dio, come non è offesa di Dio una distrazione delle preghiere, quando si lavora, quando si sta raccolti e si vigila per il raccoglimento; ma parliamo di quei difetti che sono volontari, che si conservano, che non si detestano, che non si lavora per mondarli.
Ecco allora la tiepidezza, la freddezza nel servizio di Dio, la trascuranza nei doveri, ecco, tante cose, tante occasioni, per cui l’anima può accumularsi pene, da scontare di qua o da scontare di là.
La divozione alle Anime del Purgatorio ci insegna ad evitare il peccato veniale e i difetti in generale.
Ma la divozione alle anime del Purgatorio ci insegna ancora, a coltivare le piccole virtù.
Vi sono persone che nella giornata sanno cogliere tutte le occasioni per aumentare i loro tesori di cielo: la osservanza degli orari, la delicatezza con le sorelle, vigilano sopra il loro interno, sanno fare qualche servizio, sanno dire parole buone, e sanno interpretare in bene le azioni degli altri, sanno consolare, incoraggiare, sì! Persone che pur non avendo tante qualità sanno, vigilando, accumulare gemme preziose per il cielo, perché stanno attente.
Ecco, questa divozione alle Anime del Purgatorio ci insegna a praticare le piccole virtù e a cogliere tutte le piccole occasioni, in quanto sia possibile, le occasioni di bene, le occasioni di merito.
Vi sono persone, per esempio operai, impiegati, che hanno un discreto stipendio, ma sembra che abbiano le mani bucate, spendacchiano tutto, e nella settimana danno fondo al denaro portato a casa al sabato, o nel mese danno fondo al denaro che hanno portato a casa alla fine del mese. E vi sono altre persone, invece, che sono vigilanti, risparmiano in tante piccole cose, pur provvedendo a quel che è necessario, non sciupano niente. Ecco, sono vigilanti, e vi sono persone che spiritualmente, sono così vigilanti, così attente. Quegli operai che sono, ecco, buoni economi e sanno tenere in conto quello che lo merita, e magari arrivano al termine della vita, o nella vecchiaia, che hanno accumulato un certo patrimonio, per cui passano gli ultimi anni della loro vita serenamente. Invece altri, finiscono con l’avere una vecchiaia stentata, magari in un ricovero, perché hanno sciupato. Anime che sciupano tanti tesori, anime che invece, accumulano tanti tesori.
Non si tratta di grandi virtù, ma delle piccole virtù. E non si tratta di peccati gravi, ma di sciupii di grazie. La divozione alle Anime del Purgatorio ci rende quindi attenti sopra le piccole virtù e i piccoli difetti.
E sempre noi dobbiamo considerarsi umili, umilmente, e quindi credendo che non siam capaci a grandi cose, a grandi meriti, prendiamo però le occasioni per i piccoli meriti e nello stesso tempo vigiliamo per evitare i piccoli difetti.
La divozione agli Angeli Custodi, poi, ha lo scopo di elevarsi verso pensieri santi, desideri santi, parole sante, opere sante.
Gli Angeli del cielo, che sono là vicino al Signore, ecco! Il loro ricordo, ci fa pensare che noi abbiamo un fine che dobbiamo raggiungere, un destino eterno: che la nostra dimora è in cielo, la nostra dimora è il cielo, e allora nostra conversatio in cœlis est. La nostra vita più celeste.
Vi sono persone che coltivano sempre pensieri santi, buoni, elevati e anche le loro stesse fantasie, i ricordi che conservano, i progetti che fanno, sono sempre cose buone, cose sante.
E vi sono persone, invece che sono tanto volgari nel pensare e basse nel pensare, sì! Elevarsi come vergini, degne dello sposo celeste. Non solamente i pensieri, ma i desideri di cielo: i desideri di amare Gesù, i desideri di aiutare le anime, la preghiera per tutte le anime, per la Chiesa, desideri di santità, desideri di possedere una fede profonda, una carità ardente, un’umiltà sincera, un’obbedienza costante. Ecco, desideri santi.
Oh!, e così avendo pensieri e desideri santi, le parole che si pronunziano, i discorsi che si fanno, sono poi elevati anche, sono elevati: cose belle; non cose volgari, racconti o notizie che portano piuttosto alla divagazione, oppure a cose mondane, no; discorsi, parole, notizie solo belle e, se se ne devono raccontare delle cose non belle, si è per aver occasione di pregare, perché si eviti sempre di più il male, per detestarlo in sostanza, per correggerlo il male. E anche le opere allora, sono più elevate. Conservarsi sempre degne dello Sposo celeste, dal mattino, quando si va alla Comunione, fino alla sera, degne di stare vicini a Gesù; allo Sposo celeste, che tutto santissimo, e che vuole che la sua sposa, non solo abbia la veste nuziale, cioè lo stato di grazia, ma la sua veste non abbia macchia alcuna.
Egli, è uno sposo geloso, e la vuol perfetta, la sua sposa, la vuole santa. Conservarsi in questa atmosfera di spiritualità, questa atmosfera bella, elevata, come piace a Gesù! Immaginarsi che l’Angelo Custode stia d’accanto. Egli che è tutto candido e che piace a Gesù! O immaginarsi che stia d’accanto, anzi sta nel cuore, lo Sposo celeste. E come ci vuole trovare belli, canditi, santi! Santi, persone che sono delicate, e sono amanti delle cose pulite, delle cose belle, delle cose ordinate, senza esagerare, però, nello stesso modo che hanno di fare, di comportarsi, mostrano che sono queste persone delicate e chiamano la lindezza, la mondezza, tanto fisica come morale, tanto materiale, come spirituale.
Gli angeli ci insegnano questo. Essi che son così belli, che piacciono tanto a Gesù e stanno vicino a lui, in cielo.
Poi la divozione a San Giuseppe ha diversi fini, diversi fini. Il primo è quasi la prima grazia da chiedersi per noi a San Giuseppe, si è questa: di saper entrare nell’intimità con Maria, nell’intimità della divozione a Maria e nell’intimità della divozione a Gesù eucaristico. La intimità di Giuseppe con Maria, la intimità di Giuseppe con Gesù fanciullo è ineffabile. Chi può ben comprendere quanto Giuseppe amasse la sua sposa Vergine Santissima, quanto amasse il fanciullo Gesù che cresceva sotto i suoi occhi, a cui insegnava il lavoro, il mestiere di falegname?
Ci dia, ci ottenga San Giuseppe la grazia di sapere entrare nell’intimità della divozione a Maria, nell’intimità della divozione a Gesù. Che le Comunioni siano belle, che i nostri Rosari siano raccolti.
Poi la divozione a San Giuseppe ci serve ancora, per chiedere la grazia di una santa morte. Essendo egli passato all’eternità, assistito da Maria e assistito da Gesù, ecco, ci ottenga a noi, la grazia di trovarsi in quel momento, nel passaggio all’eternità, in intimità di fervore, in santità interiore, dopo aver scancellato ogni debito con Dio, e di aver finito di distaccare il nostro cuore dalle cose della terra; che quindi la nostra sia una morte che venga da considerarsi come la porta del cielo, la porta del cielo e possibilmente il passaggio diretto dal letto di morte al Paradiso.
Perciò diciamo pure frequentemente la giaculatoria “Pregate per noi e per gli agonizzanti di questo giorno, di questa notte”.
La divozione a San Giuseppe, ancora, è perché preghiamo questo Patrono universale della Chiesa, per il Papa, per i Vescovi, per i Sacerdoti, per i religiosi, religiose, per tutti i fedeli: per la Chiesa, in sostanza. Che vi siano vocazioni belle, che l’Apostolato, avendo fatto bene, che i cristiani abbiano sempre in mente, e sempre di mira il Paradiso. Che sia evitato il peccato, l’offesa di Dio, che i bambini crescano buoni nell’innocenza, e che siano tante le anime che si consacrano al Signore, e che vi siano nella Chiesa di Dio, delle anime generose le quali nel silenzio e nell’umiltà, note solamente a Gesù, conosciute solamente (di lui) da lui, sappiano offrirsi, secondo i desideri di Gesù, secondo i desideri del suo cuore, secondo le intenzioni con cui Gesù si immola sugli Altari. Oh!, pregare per la Chiesa, allora, pregare per i morenti, pregare per le anime che sono in peccato, perché ritornino a Dio.
Dunque queste divozioni possono essere per tutti, in quella misura giusta che è permessa secondo i vostri (gli) Istituti, rispettivi.
Ma bisogna che dica quante grazie abbiamo ottenuto, anche subito, in bisogni urgenti, o materiali o spirituali da San Giuseppe, dagli Angeli Custodi, dalle Anime del Purgatorio. Quante volte non era ancora finita la preghiera, e già si era esauditi. Le Anime purganti, se noi preghiam per loro, divengono così sollecite per noi. E gli Angeli, in Paradiso, parlano subito a Gesù delle grazie, dei bisogni che abbiamo. E San Giuseppe, poi, quante volte interviene per i poveri – è il santo della provvidenza –, per i lavorator, – egli era lavoratore –, per gli agonizzanti perché ricevano i Sacramenti ecc.
Oh!, vi sono delle cose che solo Iddio conosce e che vedremo in Paradiso. Quante grazie con la divozione a San Giuseppe, alle Anime del Purgatorio, agli Angeli Custodi.
Questa mattina mi raccontavano di un certo uomo, il quale aveva condotto una vita niente buona. E in punto di morte chiama il sacerdote. E si sono messi i nemici della Chiesa attorno, hanno assediato la casa e il prete non ha potuto entrare. Ma egli pregava, ecco. Egli pregava. E perciò si può stare sicuri, o almeno si ha buona speranza, che la disposizione buona che aveva in quel momento, gli abbia servito prima per ottenere il perdono dei peccati, e poi per unirsi a Dio, e accettare dalla mano di Dio la morte, e così salvarsi, così salvarsi.
Noi alle volte preghiamo per i morenti: non sappiamo quali dei morenti che passano all’eternità oggi abbiano bisogno delle nostre preghiere. Ma il Signore li conosce tutti, e le preghiere che eleviamo a San Giuseppe, serviranno per i morenti che si trovano in maggiori necessità.
Dunque in quanto è permesso dai vostri Istituti, rispettivamente, non dimenticare queste tre divozioni – ne avrete sicuro un grande vantaggio –, almeno quelle giaculatorie che sono più facili, più consuete: all’“Angelo Custode”, l’“Angelo di Dio”; alle anime del Purgatorio, “L’Eterno Riposo”; per San Giuseppe: “O San Giuseppe, padre putativo di Gesù, ecc.” oppure “San Giuseppe confido in voi”, “San Giuseppe pensateci voi”. Sono brevi giaculatorie, preghiere, che son così efficaci, particolarmente quando si tratta di un urgente bisogno spirituale.
Sia lodato Gesù Cristo.

Il Raccoglimento
(1957)


…stasera, Maria sopra un’altra virtù, o meglio, sopra un suo comportamento, un suo modo di vivere, il quale da una parte procede dalla virtù, e dall’altra aiuta a crescere nella virtù; voglio dire: vivere in raccoglimento, imparare da Maria questo suo raccoglimento in Dio.
Che cosa sia il raccoglimento è chiaro. Raccogliere è all’opposto del disperdere: si raccolgono le pietre oppure si disperdono le pietre; si raccoglie la frutta o si disperde la frutta; si raccolgono i pensieri oppure si disperdono i pensieri.
Vi è chi pensa abitualmente al Signore, e a compiere la sua volontà, quanto è possibile: ecco questo è il raccoglimento.
Pensare a Dio e a fare bene il volere di Dio.
Sì. Non che dobbiamo sempre pensare al Signore direttamente; questo particolarmente nella preghiera, e anche frequentemente nella giornata; ma, è sempre raccoglimento quando noi ci applichiamo a fare l’ufficio che ci è assegnato, quando ci applichiamo nel corso della giornata ad evitare le mancanze, e poi a crescere nell’unione con Dio.
Sì, raccoglimento.
Persone che sono tanto distratte perché pensano a mille cose, che non interessano, volontariamente. Persone che si applicano a tante cose, senza condurne nessuna a termine, perché ne cominciano molte e ne sospendono, ne tralasciano, poi, molte. Persone che hanno i sentimenti un po’ così dispersi. Il loro cuore non ha un orientamento abbastanza costante verso Dio. Disperdono le forze del loro cuore in cosette, che alla fine il risultato è questo: di fare minori meriti nella vita.
Persone le quali moltiplicano la loro corrispondenza inutilmente, fanno dei letteroni che non – quasi – sanno come cominciarli, cosa dire e non sanno ancora come le finiranno, espressioni grosse alle volte, che poi, [se] si va ad analizzare fino al fondo, si trova quasi niente di sostanza; non si sa neppure che risposta dare. Persone che facilmente prendono relazioni di qua, relazioni di là. Persone che anche nell’apostolato, non si applicano con decisione e con un orientamento costante. Sì, e allora abbiamo una dispersione di forze, una dissipazione: dissipare, disperdere.
Oh, che cosa pensare a questo riguardo? Pensare in primo luogo che noi siamo inclinati alle divagazioni, siamo inclinati alle varie relazioni, siamo inclinati anche a pensieri inutili – ecco – e forse tante volte a considerare gli altri più di noi stessi. Persone allora che vivono metà nel passato, senza che possono rimediare; o perché hanno timore di non essere state sincere, di non aver aggiustato abbastanza bene i conti con Dio, mentre che già il confessore ha detto che basta quel che si è detto e quel che si è fatto; oppure vivono nel futuro, con immaginazioni. Nel passato con memorie inutili, e nel futuro con fantasie che forse non corrisponderanno mai a quello che incontreranno nella vita. E nel momento presente si preoccupano di tante cose. «Martha, Martha, turbaris erga plurima: Maria optimam partem elegit quae non auferetur ab ea; unum est necessarium» [Lc 10,41-42]: «Marta, Marta, pensi e ti turbi per troppe cose, Maria invece ha scelto la parte migliore; una cosa sola è necessaria»: salvarsi – voleva dire – l'anima, santificarsi; e poi questa parte scelta non le sarà tolta: «non auferetur ab ea».
La suora raccolta è quella che ha due pensieri costantemente che la conducono: il primo articolo delle Costituzioni e il secondo articolo delle Costituzioni; cioè il fine principale dell’Istituto e il secondo fine dell’Istituto.
Nel primo fine si intende che noi miriamo alla gloria di Dio, alla santificazione e perfezione nostra. Il pensiero della santificazione, mediante che cosa? Le osservanze della vita comune mediante l’osservanza dei tre voti: povertà, castità e obbedienza. Ecco, pensano a questo. La loro decisione, la loro missione, la loro scelta è fatta: santificarsi. Questo le occupa, questa decisione le occupa dal mattino alla sera, senza turbamenti, perché il turbamento non viene da Dio ma senza indecisioni e senza divagare in una cosa o nell’altra.
Quando noi ci dedichiamo ad una vita, quella diviene la volontà di Dio: è solo lì che noi possiamo santificarci; e se stiamo lì, rivolti a quel fine, e sempre tendendo ogni giorno verso quel fine: ecco, la santificazione.
Ieri abbiam fatto una festa e c’era da ricordare nell’Oremus che S. Andrea (S. Andrea d'Avellino) aveva fatto il voto di fare sempre il meglio e progredire ogni giorno. Ecco. Prima di fare un voto simile, oh!, bisogna già avere avuto l’abitudine di osservarlo per non rischiare di cadere in scrupoli. Ma il desiderio, la tendenza a orientarsi verso il meglio e a fare e progredire ogni giorno un tantino almeno: quello è il gran pensiero della suora, che ha messo fra lei e il mondo un muro di separazione.
Secondo poi, viene l’apostolato. L’apostolato è parola un po’ generale. D’altra parte tutte le suore hanno da praticare l’apostolato in una forma o nell’altra, tutte le anime consacrate a Dio. Non si amerebbe il Signore se non si amassero i fratelli, se non si pensasse alla salvezza delle anime, le quali hanno costato tanto a Gesù Cristo. Non si possederebbero i sentimenti e il cuore di Gesù, se non si pensasse a quello che Gesù ha detto: «Ecco quel cuore che tanto ha amato gli uomini e nulla ha risparmiato per essi». Non possiamo avere un altro cuore. Quindi tutte [compiono] l’apostolato. Ma nell’apostolato vi possono essere vari uffici: chi è destinata ad una parte dell’apostolato, chi a un’altra; chi ha un ufficio in Casa e chi ne ha un altro; e chi l’ufficio l’ha in Casa e chi l’ha fuori. Quello costituisce la volontà di Dio. Perché le Costituzioni e le Regole sono tali che parlano in generale, ma poi con la disposizione del Superiore, della Superiora, quelle regole sono applicate in quel modo alla persona. La persona deve attendere al suo apostolato, compiere il suo apostolato in quella determinata maniera.
Oh!, ecco i due pensieri.
Allora studiarsi poi di far bene l’ufficio, di compiere bene la parte assegnataci dai Superiori, e in tutto il corso della giornata, in tutto il corso dell’anno: questo è raccoglimento. Quindi o pensare a Dio o pensare a quel che piace a Dio, cioè la sua volontà, la volontà che è manifestata in generale dalle Regole e in particolare dalle disposizioni dei Superiori.
Oh!, primo punto: chi vive raccolta, si guadagna innumerevoli meriti in più. Chi vive raccolta nel Signore, evita una gran parte delle piccole mancanze che succedono a chi è distratta abitualmente, nella giornata. Chi vive raccolta, pratica tante piccole virtù, e compie tanti piccoli atti virtuosi, che chi è distratta non arriva neppure a ricordarli, ad avvertirli. Chi è distratta lascia sfuggire mille occasioni. Distratta: quanti pensieri in quella mente! Ché è anche difficile dominar la mente: la santificazione della mente è la santificazione della facoltà che è più difficile santificare, dominare. E chi è distratta, quanti piccoli desideri, sentimenti, ora di collera o di invidia, ora di ribellione, ora di orgoglio, ora desideri vani, ora ambizione ecc. E alla sera vi è stata una continuità di imperfezioni, se si è distratta di giorno.
Chi è distratta, quante parole non controllate! Parlare senza pensare quel che si vuol dire e dire senza riflettere se la nostra parola piace a Dio e fa del bene; e poi senza riflettere ancora sulle conseguenze: non sanno quel che diranno, non sanno quel che dicono quando parlano, e non sanno le conseguenze che ne verranno. E allora che cosa valgono i muri di separazione dal mondo, che cosa vale l’abito che ci distingue e ci separa dal mondo? Allora che cosa valgono tutte le precauzioni e tutti gli aiuti che abbiamo nella vita religiosa a fine di arrivare alla santificazione?
Quanti cuori che vivono in qualche parte della giornata fuori del convento! Quante menti che vivono parte della giornata fuori dal convento! E quante cose che non dovrebbero più ricordarsi, perché disturbano soltanto! E quante cose che ci fanno già affannare perché si prevedono disgrazie o circostanze che forse non capiteranno mai!
Ecco. Quando si vive in questo abituale raccoglimento, si nota una cosa: quella persona abituata al raccoglimento si perfeziona ogni giorno; perfeziona se stessa, controlla sempre se stessa, e perfeziona il suo Apostolato, il suo ufficio della giornata.
Può essere anche che una persona non fosse di grande intelligenza, ma siccome bada a quel che fa, allora tutti i giorni migliorerà un tantino. Sì.
Quando si vive abitualmente raccolti, i pensieri della meditazione si richiamano alla mente. I propositi compiuti al mattino, dopo la Comunione nel corso della Messa, si ricordano, e della meditazione si ricava come un sunto, come un mazzetto dei pensieri più belli, dei sentimenti più belli. E allora, la persona compie quel che dice gentilmente San Francesco di Sales: ogni tanto cerca di odorare quel mazzetto spirituale che si è formato dopo la meditazione, dopo la Comunione, dopo la Santa Messa. Vive raccolta.
Quando invece non si educa la mente a pensare, cosa capita? Che i propositi si ricordano al mattino poi la seconda volta quando? Quando si ha l’esame di coscienza, forse? Distratte!
Raccolte nelle nostre cose. Che cosa ci interessano gli altri, se non abbiamo proprio dei doveri? se li abbiamo è un nostro dovere, e pensare agli altri è un dovere e quindi è vivere raccolti nella volontà di Dio. Ma – quante volte! – persone che vanno troppo avanti nelle relazioni, e il loro cuore va un poco a sbalzi, un po’ a destra e un po’ a sinistra; persone che vogliono saper tutte le notizie oppure vogliono darle tutte le notizie, anche quelle che non ci sono; e quando non ci sono notizie, ne inventano; e poi rompono i silenzi. Le regole stabiliscono generalmente che non si entri l’una nelle camere delle altre, e giustamente. In qualche caso non ci sono le camerette, ci sono invece le tende: tanto più evitare di entrare l’una nelle camere o dietro la tenda dell’altro.
Ma voglio dire che si finisce con l’occuparsi di quello che non spetta a noi e dimentichiamo poi noi, dimentichiamo poi noi. Sanno dirvi e giudicare tante cose e tante persone: non giudicano se stesse.
Allora San Paolo interviene e dice: «Attende tibi!», «Bada a te!». Questo «Bada a te!» basterebbe per tutti gli Esercizi, «attende tibi», questo santo avviso che San Paolo rivolgeva al suo discepolo: «Attende tibi et lectioni: hoc enim faciens, teispsum salvum facies, et eos qui te audiunt» [1Tm 4,16], «pensando a te e studiando, leggendo cose buone, allora salvi te stesso e salverai anche altri».
Poi l'avvertimento che sta in quel detto latino «age quod agis»: «Fa’ quel che fai», cioè: «Bada a quel che fai». Bada a quel che fai. Cioè: hai da fare una cosa? Applicarti serenamente in quella cosa.
E come si ottiene questo raccoglimento? Il raccoglimento si ottiene – prima – pensando che la santificazione della mente è la prima, la più urgente. Innaffiare la radice della pianta è più importante che bagnare le foglie della pianta. Se innaffiamo la radice, tutta la pianta avrà l’acqua, l’umidità sufficiente, ma se noi bagniamo le foglie, il tronco può disseccare, la radice può disseccare, e disseccherà poi tutto.
Pensare alla santificazione della mente. Vigilare suoi nostri pensieri, non perché si debba ritenere che ogni pensiero è un peccato, ma perché bisogna che santifichiamo la mente. Sì. I pensieri, anche cattivi, non son peccati, se non sono acconsentiti, se uno non dice: «Questo è male e voglio farlo lo stesso»: consenso. Ma altro è evitare soltanto il peccato e altro è farsi santi, eh! Ma il mestiere della religiosa è proprio di santificarsi. Sì.
Oh! Secondo mezzo: badare a quel che facciamo, mettendoci mente, forze, cuore. Abbiam da pregare, e badate: chi non prega, però è una distrazione involontaria o anche molte distrazioni involontarie, non ci son peccati. Il Signore guarda la buona volontà con cui cominciamo e con cui ci rimettiamo a posto se mai la nostra mente si è divagata. Raccogliere la mente, nelle cose.
Quando hai da fare la cuoca, quando hai da fare la sarta, quando hai da fare la portinaia, quando hai da fare la sagrestana, quando hai da fare l’infermiera, quando hai da fare un altro ufficio, che sarà proprio assegnato, come per esempio la scuola, la pulizia ecc., o un apostolato diverso, bada a volerlo migliorare ogni giorno, sempre un po’ più bello, sempre un po’ più bello! Non è possibile che una cominci un lavoro a venti anni in un modo e che a quarant’anni lo faccia ancor nello stesso modo. Non doveva progredire? Non doveva progredire? Se non migliora anche il suo apostolato, non ci può essere il fervore! Perché il fervore è la volontà «prompte se tradendi ad ea quae pertinent cultum Dei», è la volontà generosa di fare quel che piace a Dio. Quindi applicarsi, applicar la mente. Poi applicare anche le forze, farlo sempre meglio. Alle volte industriandosi si risparmia tanto tempo e le cose riescono non solamente in modo buono, ma sempre migliore.
Applicare le forze, e poi applicare il cuore. Amare quella volontà di Dio, non strascinare, non lamentarsi, non pensare ad un’altra cosa. Amare proprio quel tipo che danno in convento, quell’abito che si porta. Amare quell’occupazione che è stata assegnata. Amare quella casa materiale anche; le persone con cui si convive. Le relazioni che si devono sempre tenere perché si è in società. Si è in società, gli Istituti son tutti società di anime che si uniscono per tendere maggiormente alla perfezione, e maggiormente all’apostolato.
Sì, riflettere: «age quod agis». Sei religiosa, non pensare alla famiglia, se non per pregare. Sei religiosa! Oh! Il muro fra te e il mondo è stato eretto! Sì.
Stiamo attenti! Ora, abbracciata una via, per esser santi non c’è altro modo che quello di viver bene lì, e applicare le nostre forze a compiere quello che si deve compiere nella giornata.
Oh! Il raccoglimento in Maria, che avremmo dovuto adesso ricordare.
Quali relazioni, tutte sante e poche, tutte sante e poche! Attendeva a se stessa in quella casetta, quando andava alla sinagoga, andava al tempio. Attendeva ai suoi lavori, li faceva per bene. Ecco. E allora arrivava a mille cose, Maria, per il suo raccoglimento. Non lasciarsi trascinare da desideri inutili e vani.
Vi sono persone che si tormentano da sé, tormentano se stesse. Ma perché tormentar se stesse, per pensieri che non devono ritenere, sentimenti che non devono seguire, o azioni, cose che non devono fare? E allora se il cuore si lega un po’ di qua e il cuore si lega un po’ di là; e se noi vogliamo sapere le notizie comunicarle, e se noi vogliamo preoccuparci di quello che non ci aspetta, e allora?
Due pensieri dominanti: farci santi e far bene il nostro ufficio nell’Apostolato assegnato. E Maria, nella sua missione sempre: santificarsi e compiere il suo ufficio di corredentrice, sia mentre viveva Gesù, sia nel tempo che ha seguito la morte di Gesù e la sua Ascensione al cielo, in quel tempo in cui è ancor rimasta sotto la terra, raccolta in sé.
Sia lodato Gesù Cristo.