Blessed James Alberione

Opera Omnia

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Registrazioni audio ssp 1963

Trascrizione del file: 1963-00-00_conclusione.mp3
durata 4' 51''

Don Giacomo Alberione - Albano, 00-00-1963, alle vocazioni adulte

Conclusione degli esercizi spirituali


Questa mattina la funzione di chiusura.
Ora una brevissima considerazione: il pensiero che abbiamo ora presente è pensiero di ringraziamento. Ringraziare il Signore per questi motivi: perché mi avete creato, ci ha dato la vita il Signore; perché mi avete fatto cristiano, perché abbiamo avuto il battesimo, la grazia di Dio, esser fatti figli di Dio; e perché il Signore ci ha conservati fino a qui e aggiungere perché il Signore in questi giorni è stato largo di grazie e di benedizione a voi: quanti buoni pensieri, quanti buoni propositi, ecco.
Il Signore dunque ci ha dato tutti questi doni, in particolare la vita naturale e la vita di grazia, sì.
Ora è un gran tesoro la vita, è il tesoro che abbiamo, da cui dipende l'eternità. E a noi la possibilità di prepararci alla vita eterna, prepararci bene, assicurarsi la felicità eterna, avanti!
Grazia, sì, ringraziamento al Signore e la volontà decisa di spendere bene questa vita, onde quando partiremo di qua, che sia un gran cumulo di meriti da portare con noi, ecco.
Consecrar la vita, la vita che il Signore vi dà. <La vita che> Il Signore vi accompagnerà sempre nella vita, nel buio della vita presente. Voi siete stati generosi, rinunziando anche a quelle gioie <che> e quelle feste di questi giorni nel mondo, in famiglia: e il Signore certamente ha contato il vostro sacrificio.
Perciò tutto quello che voi portate di bene, è un nuovo dono della bontà di Dio.
Ora in primo luogo consecrar la vita mediante la professione dei voti battesimali. In secondo luogo darò la benedizione con l'indulgenza plenaria, dicendo prima il “Confiteor” indulgenza plenaria affinché, dopo aver tolto dall'anima qualunque peccato, ci sia anche il perdono del purgatorio: cioè che noi con la misericordia di Dio possiamo essere pienamente uniti al Signore e quindi come se si fosse ricevuto il battesimo. Avanti! Spendere santamente la vita!
Il proposito che voi avete fatto o i propositi che avete fatto, offrirli al Signore, sì. Importante però di amare molto la vostra famiglia, e di amare la Chiesa, la parrocchia, e di amare quella vita a cui vi sentite portati.

Trascrizione del file: 1963-00-00_bibbia.mp3
durata 23' 04''

Don Giacomo Alberione - Roma, 00-00-1963 - ai discepoli ssp
(sonoro scarso)

Lettura della sacra Scrittura


Il Signore mandando gli apostoli nel mondo, in tutto il mondo, disse: “Andate e insegnate a ogni creatura”: dimostrate, cioè predicate il vangelo. Questa è la prima parte della religione e cioè l'istruzione. E nella santificazione la base è sempre la fede, sempre la fede; e poi verrà la speranza, verrà la vita buona, e poi verrà la grazia, mediante i sacramenti, specialmente incominciando dal battesimo.
“In principio erat verbum”, come dire: “Dall'eternità tutta la parola”. Verbum è la parola, è la parola del Padre e cioè è la sapienza del Padre.
“Et verbum caro factum est”: e la parola, cioè il verbum, la parola, “verbum caro factum est”: il Figlio di Dio, verbum, si incarnò. E quindi in Gesù Cristo [c'è] Dio e l'uomo, figlio di Dio e umanità; cioè un'anima e un corpo come abbiamo noi, ecco.
E Gesù per tre anni predicò egli la parola e la predicò in tutte le maniere: tutto quello che noi leggiamo nel vangelo. E poi Gesù confermò la parola mediante i sacramenti e mediante la sua vita santissima.
Allora la prima cosa: se vogliamo far del bene alla società, soprattutto e in primo luogo l'istruzione: spiegare le verità da Dio rivelate; spiegare, presentare le verità rivelate e presentate dalla Chiesa, presentate dalla Chiesa.
E quindi il nostro apostolato è proprio di dare questa parola al mondo. Si può dare così, avvolta in racconti, per esempio e in esortazioni. Ma quello che vogliamo considerare in primo luogo è la Bibbia, la parola scritta, la parola quindi incarnata e incartata: incarnata [poiché il] Figlio di Dio si è incarnato; e poi il Signore volle che la parola fosse incartata, cioè scritta. E quindi nei tempi antecedenti ancora di Gesù Cristo, [ci furono] tutte le pergamene, tutto quello che era la Bibbia nell'Antico Testamento; e poi successivamente, dopo la venuta di Gesù Cristo, quello che è stato scritto dagli evangelisti e nelle lettere degli apostoli, le lettere di san Paolo, san Pietro, san Giovanni, san Giuda, san Giacomo – e con questo si è applicato quello che Gesù aveva detto e applicato alla vita pratica, – fino a che la Bibbia si chiude con l'Apocalissi; la quale Apocalissi ci fa vedere quello che sarà il mondo futuro.
Prima: il popolo di Dio, il popolo ebreo; secondo: il popolo di Dio, la Chiesa; terzo il popolo di Dio, il cielo, cioè la popolazione che è lassù e che si aggiunge sempre di più, il popolo di Dio santo e felice lassù. Così la salvezza.
Perché, se l'uomo si è rovinato per causa del peccato, adesso il Figlio di Dio è venuto a redimerci. E allora chi segue, andrà a partecipare a essere membro del popolo di Dio eterno.
Qui il popolo di Dio è ancor tanto imperfetto; anche tutti noi siamo tanto imperfetti; ma lassù non c'è più alcun male, nessun errore, nessuna cosa che possa entrare. Anche se c'è ancora da purificarsi in purgatorio, finalmente si arriva al paradiso: lassù il popolo di Dio felice.

Grande errore è questo da due, tre secoli: per cui la predicazione e l'insegnamento faceva quasi sempre astrazione dalla Bibbia. Ora la Chiesa richiama, richiama a andare la fonte. E dove sta? Nella Bibbia, dove c'è la rivelazione; e poi la Chiesa la insegna, sì. Ma bisogna che andiamo alle fonti. E la fonte è precisamente la Bibbia e poi i commenti che vengono e quello che insegna la Chiesa, perché interpreta, interpreta la Chiesa infallibilmente la Parola di Dio, la Scrittura.
Adesso se noi mancassimo alla lettura della Bibbia, commetteremmo un errore fondamentale. Quanti libri vengono pubblicati! Ma se questi sono un commento o un'applicazione della Scrittura, noi se vogliamo santificarci, [dobbiamo] attingere direttamente l'acqua, l'acqua salutare. L'acqua è considerata come la grazia e cioè “fons aquae salientis in vitam aeternam”: cioè la grazia che ci porta al paradiso: per mezzo della grazia [si effettua] la nostra santificazione e allora l'ingresso in cielo.
Fare un esame di coscienza: se già si è letto tutto il Nuovo Testamento.
Secondo: nessuno deve esser privo della Bibbia. E quindi dopo il Nuovo Testamento [si legga] l'Antico Testamento. Se si è letto il Nuovo Testamento, è utilissimo e per noi è necessario che leggiamo l'antico Testamento anche. Perché capiamo il Nuovo Testamento, lo capiamo meglio leggendo l'Antico Testamento.
[Ci sono] i 43 libri dell'Antico Testamento e poi vengono i 27 libri del Nuovo Testamento. Ed è una cosa ottima quello che fate e cioè l'Antico Testamento diviso nei libri. E allora si diffondono i libri dell'Antico Testamento come del Nuovo Testamento, ecco, in maniera tale che a poco a poco tutti arriviamo alla Parola di Dio, a leggere, capire noi, capire noi. Altro è che uno predica e altro è che uno senta la Parola stessa da Dio, quella che Dio ha voluto scrivere.
L'Antico Testamento era preparazione al Nuovo Testamento; ma l'Antico Testamento non è così perfetto, non insegna così la vita perfetta come il Nuovo Testamento. Ad esempio, oggi, le beatitudini. E Gesù Cristo stesso ha detto che il Nuovo Testamento è più perfetto. Nel suo discorso della montagna dice Gesù: «Avete sentito, avete letto – o sentito o letto – nell'Antico Testamento che c'è scritto: “Amate i vostri amici e odiate i vostri nemici”. Ora vi dico» dice Gesù: ecco come viene a fare il perfezionamento, «vi dico: amate i vostri amici, sì, ma amate anche i vostri nemici, quelli che vi hanno offeso». Questo è il perfezionamento. Gesù poi lo spiegò e lo applicò a se stesso, quando [fu] inchiodato sulla croce. La prima preghiera che ha fatto sulla croce [fu]: «Padre, perdona loro, perché non sanno quel si facciano». Ed erano quelli che avevano piantato i chiodi e quelli che avevano gridato: “Crucifigatur”. Ecco. Allora andiamo a vedere l'Antico Testamento e consultare e confrontare il Nuovo Testamento con l'Antico Testamento.
Un esempio. Qui abbiamo la messa, cioè la rinnovazione del sacrificio della croce, nella messa. Ma la parte a cui si dà adesso la parte grande, un bel posto, [è] la Parola; che è sì nell'introito, nel tratto, nell'offertorio, nel communio, ma specialmente nella epistola e nel vangelo. E molte volte l'epistola è presa dall'Antico Testamento, come quest'oggi, – la risurrezione del figlio, una donna che piangeva – e il Nuovo Testamento ci ricorda i miracoli di Gesù Cristo: ma, quindi, quest'oggi è narrata la risurrezione di Lazzaro.
Oh, ora parlando come esempio della messa: qui è il sacrificio rinnovato, nella messa, rinnovato il sacrificio del calvario. Ora l'Antico Testamento era preparazione al Nuovo Testamento, perché il popolo si preparasse a capire il Nuovo Testamento. Vi è la messa, la quale messa viene descritta nei quattro evangelisti, dal Getsemani fino al momento in cui Gesù spirò sulla croce e risuscitò e salì al cielo. Nell'Antico Testamento [ci furono] sacrifici: Abele offerse i suoi doni a Dio; e il sacrificio di Abramo: il Signore aveva chiesto il sacrificio del figlio ed egli si disponeva al sacrificio, e quello già simboleggiava che il Figlio del Padre celeste, fatto carne, fatto uomo, un giorno sarebbe sacrificato davvero il Figlio: [è] morto sulla croce. E poi il sacrificio di Melchìsedek: “sacerdos secundum ordinem Melchìsedek”, il quale, dopo quella vittoria, ha sacrificato in offerta a Dio pane e vino: in quello è ancora più simboleggiata la messa, il pane e il vino.
Poi gli altri segni per preparare il popolo: la manna, per cui gli Ebrei vissero in gran parte di quegli anni nel deserto, la manna che veniva dal cielo; “Panem de coelo praestitisti eis” quell'espressione è presa di là nell'Antico Testamento.
E poi il simbolo ancora più chiaro, il sacrificio dell'agnello pasquale: e gli Ebrei celebravano la Pasqua mediante l'offerta e consumavano e mangiavano l'agnello pasquale. E anche Gesù ha celebrato la Pasqua così. Ma dopo sostituì la nuova Pasqua all'antica Pasqua e quindi: “Prendete e mangiate: questo è il mio corpo; prendete e bevete: questo è il calice del mio sangue”: allora la vera intenzione; ma perché anche quelli che sentivano Gesù capissero ancora qualche cosa prima, per essere preparati a sentire questo mistero e cioè la trasformazione del pane nel corpo del Signore, il vino nel sangue del Signore.
Due moltiplicazioni di pane nel vangelo sono ricordate: come il pane eucaristico si dà a tutti quei che vogliono accostarsi alla comunione; e con pochi pani cibarono cinquemila; furono nutriti con alcuni pani, ecco, e avanzarono i frammenti, sì.
E poi san Giovanni tutto il capo sesto del vangelo parla dell'Eucarestia. E cioè aveva operato il miracolo della moltiplicazione del pane; ma allora cerca di sollevare il popolo a pensare un'altro pane: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita», ecco, «Il pane che vi darò io è il mio corpo, il mio sangue».
Allora l'Antico Testamento prepara al Nuovo Testamento. Così dei sette sacramenti. Il battesimo: prima, invece del battesimo, c'era la circoncisione, simbolo di quello che sarebbe stato fatto, cioè l'istituzione del battesimo; così della cresima, così della penitenza, eccetera.
Tutto preannunziato, tutto vien preparato da Dio, per avviare, illuminare gli uomini nell'Antico Testamento, onde un giorno l'umanità capisse quello che nel Nuovo Testamento sarà stabilito e sarà predicato e sarà scritto e sarà insegnato dalla Chiesa. Per saggezza nostra e per obbligo nostro, leggere la Bibbia!
E se il papa insiste su [questo] per tutti, per tutti, quanto di più questo vale per noi! e cioè la lettura: ognuno prenda la sua Bibbia.
Per questo si fa quella diffusione più larga, sempre di più, della Bibbia, sempre di più. E in generale si diffondono mese per mese quarantamila copie della Bibbia intera, in un mese. E <in parte> questa è la Bibbia intera, ma <vi è> per una parte degli uomini in primo luogo si dà il Nuovo Testamento e particolarmente il vangelo.
Ora questo è il gran libro da leggere. La visione beatifica, a cui un giorno assisteremo o, meglio, la visione che ci renderà felici [è] questa. La sete della Parola di Dio è preparazione al gaudio eterno. E la visione di Dio non è uguale per tutti, [ma sarà] secondo la fede che abbiamo avuto e secondo noi abbiam cercato la sapienza di Dio e seguito la sapienza di Dio.
Ora se ci presentassimo al Signore: “Eccomi!”. “Neppure ti sei curato della Parola di Dio?”. Vi sono molti dei fedeli che ancora non sanno leggere e scrivere in varie nazioni, supponiamo l'Africa, <sì non hanno ancora...> Ma allora? Allora il Signore provvede diversamente. Ma per noi il mezzo è quello, il mezzo è quello.
Per esser religiosi, bisogna pensare come Dio pensa. Come sono i suoi pensieri, che siano i nostri pensieri; siano uguali [a] quelli che sono i pensieri di Dio. Esser religiosi vuol dire, dopo la fede, speranza, carità dei semplici cristiani, [esercitare] la virtù della religione. E la virtù della religione comprende, in primo luogo, l'istruzione cristiana. In parte ora c'è e in parte noi, che abbiamo la possibilità, leggerla la Parola di Dio, meditarla e ricavarne i frutti. E allora i pensieri sono alti. Come egli disse: la verità c'è. Si dicono, si cercano tante notizie, cose vaghe, discorsi un po' umani, troppo umani, eccetera. Ma i pensieri di Dio!
Ognuno abbia come libro la Bibbia, da tenersi tra il miglior libro fra i libri, il miglior libro. I libri son degli uomini, ma il libro della Bibbia è il libro di Dio. Come già detto, la Bibbia è una lettera di Dio agli uomini, per invitarli al paradiso e insegnar la strada, la lettera di Dio agli uomini.
Adesso una domanda: si legge la Bibbia? Un po' per giorno, anche nella prima parte della visita: può essere anche quello il tempo. Poi meditarla, ricavare le verità e gli insegnamenti pratici, che ridondano dalla Bibbia, che ricaviamo nella Bibbia. [Siamo] discepoli di Gesù maestro? e che siamo discepoli buoni di Gesù! “Dixit Iesus discipulis suis”: quante volte è ricordato! Parlò il Signore a loro, suoi discepoli.
Propositi.
Se vogliamo avere anche le benedizioni sull'apostolato, [leggiamo] la Bibbia: il libro, è il libro. E vorremmo dare soltanto agli altri? In primo luogo nutrircene noi. La Parola di Dio è il nutrimento, perché, dice Gesù: “L'uomo non vive di solo pane, ma dalla parola che procede dalla bocca di Dio”.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-00-00_eternita.mp3
durata 24' 23''

Don Giacomo Alberione - Roma?, 00-00-1963?, alla ssp

L'eternità, la vita in ordine all'eternità


La vera saggezza e sapienza è sempre quella di vedere le cose come finiranno: quando si arriva bene e cioè finiscono bene, allora possiamo lodare il Signore; perché sulla via possiamo incontrare difficoltà, ma se noi le superiamo, poi si è conseguito quello che si desiderava.
Così è particolarmente riguardo alla nostra vita: sempre guardare la fine, la nostra fine, e il fine in generale, il fine che hanno le cose, il fine che ha Dio nelle cose; ma la nostra fine in particolare, e cioè la morte, come si conclude la vita, l'esito del giudizio particolare: salvezza o perdizione, e poi la resurrezione finale e il giudizio universale e la sentenza e l'eternità.
Come visse il ricco epulone? Prendendosi ogni soddisfazione: ricco, si abusava delle sue ricchezze ed era crudele nel negare qualche cosa, anche qualche briciola della mensa sua al povero Lazzaro, vecchio, malato, di cui avevano compassione anche i cani e lui no. E alla fine? Alla fine Lazzaro nel seno di Abramo, cioè salvo, felice; e lui, il ricco epulone, perduto in hac flamma crucior, sono arso da questa fiamma.
Guardare sempre la fine e il fine.
Ora ecco, vi erano due figliuoli di famiglia molto benestante, che erano gemelli. L'uno crebbe bene, docile ai suoi genitori; poi alla scuola [ottenne] ottimo risultato; [fece la] carriera degli studi e dopo una vita buona, una vita in cui egli si trovò coi frutti della sua gioventù: avendo superato bene i suoi studi, ecco una buona carriera, ecco una buona famiglia. E l'altro? L'altro non sembrava un gemello, tutt'altro. Né obbedienza in casa, né studio in scuola, né avvertimenti che venivano dati; e quando i genitori passarono all'eternità, dissipò quel tanto che aveva ricevuto in eredità e si trovò senza casa e senza pane e senza stima. E la sua vita fu infelice. Quando derideva il fratello, perché era docile, perché studiava, eccetera... ma poi? Ma poi, oramai ridotto alla miseria, eh, dovette andare a chiedere soccorso al fratello, umiliandosi e finì rovinato anche nella sua salute e finì all'ospedale, ricoverato. E poi gli ultimi anni [furono] infelici, infelici.
Oh, e poi al di là che cosa sarà del primo? che cosa sarà del secondo? Se si fa bene nella gioventù, vi saranno le benedizioni di Dio e con la saggezza e con il lavoro, con la buona vita e meritandosi la buona stima, ecco.
L'altro dissipò tutto quel che aveva, anche la salute. Così è riguardo alla nostra vita piena, cioè qui è come la gioventù, sulla terra: ognuno si prepara l'eternità. Dipende da noi il prepararsi l'eternità felice o l'eternità infelice.
Ecco, l'eternità. La vita presente, la vita presente è una prova, e beatus vir qui superat tentationem quoniam cum probatus fuerit ecco il premio. Così è il capitolo a vespro, ad laudes, all'ora terza. Sì, beato l'uomo che ha superato la prova, perché dopo che ha superato la prova, il gaudio eterno.
Quindi considerar la vita presente come la preparazione alla vita eterna. La saggezza sta lì. Non guardare solamente quel che è più comodo, quel che è più facile, quel che suggeriscono le passioni adesso, oh, ma vedere quale sarebbe la fine dopo, poiché sono due le vie: una conduce a salvezza l'altra conduce alla perdizione.
Oh, considerar la vita presente come si deve considerare nella vita attuale la gioventù: uno avrà, – quando giungerà a maggior età, – avrà quel che ha accumulato, quel che si è preparato: se non ha studiato, [sarà] bocciato, e se avrà studiato e si sarà applicato, avrà la sua posizione conveniente, quella che era desiderabile.
La nostra saggezza sta qui: sempre guardare la fine. Vi questo, vi è quello, cioè vi è una difficoltà ve n'è un'altra, vi è un sacrificio da fare, vi è da rinnegare noi stessi, vi è da prendere la croce sulle spalle per portarla. Ma dove si va? Guardare dove si arriva. E dove si rimane? Se l'albero cade a destra, rimane a destra e se l'albero cade a sinistra rimane a sinistra e non c'è più modo di rialzarsi.
Perciò la saggezza sta nel considerar la vita nel complesso, non guardare con miopia, vedere solamente quei pochi anni o quelle circostanze o quello che suggerisce il mondo o quello che chiedon le passioni. Certo per formarci una buona vita sulla terra, bisogna rinnegarsi: quel giovane impara un mestiere; oppure fa degli studi. E certo gli costa sacrificio, perché i giovani sono tutti giovani, <hanno> sono come sono, come la gioventù! Ma se si sa superare le difficoltà, [si riuscirà a] prepararsi una vita buona, una vita stimata, una vita in cui anche umanamente si avrà soddisfazione.
Così dunque è della nostra anima. Siamo saggi?
Ecco, ci portiamo al di là quello che abbiamo accumulato. Quando si vive bene, quando un'anima si va santificando giorno per giorno, è sicura che raduna meriti e meriti, ricchezza di eternità. Questo si fa ogni giorno. E se alla fine le somme sono consolanti, ecco [il premio]. A un certo punto tutto si ferma, non c'è più tempo né di accumulare meriti, né c'è il pericolo ancora di peccare. Si entra nell'eternità e l'albero che è caduto a destra sta a destra, e quello che è caduto a sinistra sta a sinistra.
Ma chi fa bene è sempre più contento, perché sa che giorno per giorno aumenta le sue ricchezze, i suoi meriti, e quindi ha diritto a maggior gloria e beatitudine in cielo. Come un negoziante saggio, anno per anno, facendo i conti, si trova in sempre maggiori attività. E il negoziante invece trascurato, giorno per giorno va perdendo qualche cosa e alla fine si trova in cattive condizioni. E che giorno è che ha perduto? Un po' tutto, trascurando, oh, trascurando quello che avrebbe dovuto fare. Se domandiamo al Signore la vera sapienza, la grazia di vederci bene: se possiamo vivere forse anche cent'anni, che cosa sono cento anni di fronte a un'eternità?
Quel che si è accumulato, ecco, lo si godrà in eterno, quel che si è accumulato di bene.
Vi sono stati gli undici apostoli fedeli e vi è stato un Giuda.
Ora son quasi duemila anni che gli apostoli sono nella beatitudine eterna, e hanno chiusa la loro vita con il martirio: certo, son stati condannati e sono stati martirizzati, ma il loro svegliarsi è stato in cielo. Che cosa è di Giuda? Melius erat si homo ille non fuisset natus, sarebbe meglio per lui che non fosse nato. Sì. Per chi va a perdersi, sempre, per chi finisce nell'eterna perdizione, <meglio> laggiù, desidererebbe mille volte di non esser nato. Perché non vede più nessun spiraglio di speranza, nessuna redenzione, ormai, perché l'ha rifiutata.
La saggezza, la vita buona ci rende sempre più contenti anche sulla terra. E man mano che si accumulano i meriti e si vede che la vita va concludendosi, perché diminuiscono le forze, e gli occhi non servon più così bene, e l'udito non serve più così bene, e maggior stanchezza nel fare le cose, eccetera, ma il santo sa che vita mutatur non tollitur, non si è distrutti, il nostro essere non vien distrutto, ma un'altra vita attende di là, attende di là.
E quando si è fatto bene, si va incontro alla morte con serenità, perché si va al premio, finalmente, dopo sacrifici, lavoro, abnegazione, mortificazioni e costanza, ecco il premio.
Chiediamo al Signore questa saggezza di considerare sempre la vita in ordine all'eternità. Quid hoc ad aeternitatem? Questo mi giova per un'eternità felice o questo mi merita un'eternità infelice? Quid hoc ad aeternitatem? Dipende da ciascheduno di noi scegliere questo o scegliere quello e nessuno è più nelle tenebre, più ignorante di colui che scelga di soddisfarsi per un momento e perdere quello che è eterno: per una scodella di lenticchie, si perde la primogenitura.
Oh, che abbiamo la saggezza, che viviamo sempre nella luce, ma la luce eterna, non una luce sbiadita, che anzi in fondo è un'illusione di aver la luce. Disprezzano coloro che fanno bene, che vivono bene, cristianamente; ma alla fine quid hoc ad aeternitatem? Chi ha procurato la sua felicità? Nell'inferno ergo erravimus, abbiamo sbagliato e vitam illorum estimabamus insaniam et finem illorum sine honore, credevamo che quelli lì che vivevano in quella maniera buona così, credevamo che fossero sciocchi e che non si guadagnassero la stima degli uomini mostrandosi saggi e ingannando magari. Ma alla fine? Alla fine c'è la conclusione: ergo erravimus, e l'invidia verso chi è saggio.
Vi sono Caino ed Abele. Il Signore lascia proprio noi liberi nella scelta, nella scelta. Quando si fanno i progetti per l'avvenire, sempre si deve guardare se sono utili all'eternità, se son di vantaggio quelle cose che desideriamo e che vogliamo, se sono utili con coraggio avanti! E allora si gode già la pace del cuore sulla terra e una certa beatitudine: “Beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli”. E poi questa beatitudine come si può avere sulla terra, si risolve poi nella beatitudine eterna. E beati noi che abbiamo avuto questa luce.
Oh, il mondo può dire quel che vuole, ma chi è veramente saggio? Non disprezziamo gli altri, preghiamo che abbiano la luce. Ma noi stessi camminiamo nella luce, mai nelle tenebre, sempre illuminati, sempre quella luce eterna che splende. Qual è la luce eterna? Lux aeterna, la luce dell'eternità.
Allora vediamo di fare buoni propositi e con fermezza. Si capisce che le difficoltà le incontriamo e le passioni posson esser forti e allora possono anche ottenebrare un po' l'intelletto. E allora è il cuore che fa male alla testa, e cioè sono i sentimenti che pervertono le idee e i princìpi per cui non si vede più: il cuore che fa male alla testa. Ma la testa dovrebbe far del bene al cuore, cioè dominarlo, il cuore. Sì cuore e testa camminano insieme sulla terra: ma chi deve guidare? Deve guidare la testa, la testa, cioè la ragione illuminata dalla fede, <che> la fede principalmente su questo punto: la vita nostra è per guadagnarci il paradiso. E più scegliamo la vita buona, scegliamo la vita migliore, “optimam partem elegit”, oh, mai pentirsi, mai tentennare! presa la via buona, perseverarci! Sulla via si incontreranno delle difficoltà certamente; ma non ne troveranno di più amare conclusioni quei che hanno preso la via falsa? Sì, perché man mano che poi si avvicina l'eternità, non hanno più pace. Vecchiaie che sono irrequiete, che non san più sopportar nulla, non vedono più altro che se stessi, e quindi da una infelicità sulla terra possono cadere in un'infelicità dell'altro mondo, nell'altra vita.
Oggi allora i nostri propositi.
Signore illuminaci! Signore, non permettete che le tenebre mi avvolgano e che io cammini nell'oscurità! credendomi saggio e invece sciocco. Viene poi il giorno in cui risplende la luce dell'eternità: erravimus.
Ma quel giorno in cui si entrerà in paradiso! “Accipiet coronam vitae”, riceve la corona del premio, della vita eterna. Oh, questo.
San Paolo <come> sì che è entrato in paradiso: “Coronam accipiet”. Egli stesso era persuaso: “In reliquo reposita est mihi corona iustitiae”.
Con questi pensieri passiamo le nostre giornate, i nostri mesi, l'anno.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-00-00_confessione.mp3
Durata: 29.01

Don Giacomo Alberione - Albano - Esercizi spirituali alle vocazioni adulte

La confessione e la comunione


...i punti della dottrina cattolica. Ora, ecco quello che può essere il mezzo sicuro per continuare a vivere bene dopo questo corso di esercizi: uno particolarmente il mezzo e cioè: frequentare i sacramenti della confessione e della comunione. Questo il gran mezzo: frequentare il sacramento della confessione e il sacramento della comunione.
Non tutti possono ogni giorno fare la comunione, ma una certa frequenza si può fare da tutti.

Primo grande mezzo dunque, la confessione.
La confessione è il sacramento istituito da Gesù Cristo: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a quelli che non saranno rimessi, non sono perdonati”. Ecco.
Tutti dobbiamo frequentare il sacramento della confessione. Dobbiamo tutti [essere] soggetti a questa disposizione, che è volontà di Dio, volontà di Gesù Cristo, cioè l’accusa. E tanto deve confessarsi il semplice cristiano, come deve confessarsi il Papa e ogni sacerdote.
La confessione per tutti, quando si è commesso peccato. E per chi vuole evitare il peccato, più sicuramente, avere più forza: la confessione.
È il sacramento il quale ha due parti: primo: togliere il male fatto e secondo: la grazia e i propositi di non commetterne più.
D’altra parte, poi, quando si ha questa grazia di potersi confessare abitualmente a un sacerdote che si conosce e al quale si ha fiducia, allora c'è anche la direzione spirituale, l’aiuto interiore per il progresso e per evitare i pericoli e anche perché, dopo, il giovane può domandare un consiglio: “Cosa devo fare nella mia vita? Quale sembra a lei che sia sopra di me il volere di Dio?”.
Ecco, allora una guida. È fortunato chi può frequentare quindi lo stesso confessore, in cui abbia però una grande apertura di coscienza.
La confessione richiede disposizioni.
La prima disposizione è sempre quella di far l’esame di coscienza.
Non c’è l’obbligo di accusare tutte le venialità, ma quello che è grave, sì: c’è l’obbligo di confessare tutto ciò che è stato peccato grave. E si deve dire non solo il peccato, ma se fu ripetuto, o se è stato commesso in condizioni particolari, ad esempio: se il discorso ha scandalizzato dei fanciulli, oppure se uno ha portato, ha offerto ad un altro un libro o letture non buone, o inviti a un cinema, a una pellicola, che si sa che non è buona, che è esclusa. Perché [av]viene [che] assieme al peccato che uno commette per sé, [la colpa] si aggrava ancora, in quanto c’è il cattivo esempio, lo scandalo. E quindi [occorre confessare] il numero dei peccati e le circostanze che aggravano o che sono un peccato a parte.
La confessione è un’umiliazione, una penitenza è. Si chiama il sacramento della penitenza: dover accusare le nostre debolezze. Ma bisogna andare con fede, non considerare l’uomo tale, com'è, ma considerare che è il rappresentante di Dio e in quello, esso, il confessore, ha la facoltà di assolvere, appunto perché rappresenta Dio. Sì.
E vi è il sigillo, cioè l’obbligo gravissimo, di tacere sopra qualunque cosa ascoltata in confessione che riguarda il peccato.
Ma le disposizioni più necessarie sono sempre queste due: il pentimento del passato e il proposito per l’avvenire. Perché, potessimo anche ripetere molte volte le nostre accuse e ricevere l’assoluzione, ma non ci fosse il pentimento e la buona volontà di emendarsi e di fuggire le occasioni prossime del peccato, allora non c’è l’assoluzione, non è valida. Perché queste due disposizioni, dolore e proposito, sono assolutamente necessarie.
Se poi uno dimenticasse un peccato in confessionale, resta rimesso, perché è dimenticato. Un'altra volta potrà dirlo, ma intanto, siccome l’ha solamente dimenticato ed era pentito di tutto quello che era offesa di Dio, allora l’assoluzione è valida. E se si dovrà dire, si potrà dire un’altra volta. Intanto si può fare la Comunione.
La Confessione, seguita poi da quella piccola penitenza che impone il confessore. Confessarsi.

Secondo, la Comunione. I due Sacramenti che assicurano la vita buona.
È vero, nella vita ci son le battaglie, particolarmente ci sono le lotte interne alla vostra età. Perché nella vita ci sono come quattro periodi: vi è la fanciullezza e la tentazione più grossa è la curiosità; poi si entra nella gioventù, nell’età in cui c’è il pieno sviluppo o si sta svolgendo lo sviluppo, e allora la purezza; quando poi si arriva ad una certa età, l’orgoglio, la superbia domina di più; per un vecchio è l’avarizia, in generale. Son le quattro <le quattro> età, ed ogni età ha il suo diavolo, il suo demonio, cioè le sue tentazioni.
Quindi, pensando alla gioventù, ecco, la confessione e l’Ostia Santa che viene nell’anima sono i due grandi Sacramenti che assicurano la purezza per la vita. Questa lotta non è <che> di uno o dell’altro, non è che uno si vergogni di aver tentazioni su questo punto, no. Anche San Paolo diceva: «Vedo e sento in me la carne e ho domandato al Signore che mi liberasse dalle tentazioni, ma il Signore mi ha risposto: “No! Però ti basta, per vincere, la preghiera e cioè la mia grazia”», grazia di Dio che specialmente si ricava dai due Sacramenti: Confessione e Comunione.
Senza questa abitudine, non si prepara alla vita, cioè questa abitudine di frequentare i sacramenti.
La Comunione. La Comunione immette in noi Gesù Cristo stesso. “Prendete e mangiate questo è il mio Corpo”. “La mia Carne è veramente cibo”. E come è cibo? Se prima dell’adorazione facciamo la Comunione, è la colazione dell’anima, la Comunione, è la colazione dell’anima. Perché noi non siamo solo di corpo, che abbiam bisogno del refettorio, ma abbiamo l’anima e abbiam bisogno della balaustra, dove c’è la mensa eucaristica, dove c’è la mensa eucaristica.
E cosa si mangia? Ecco: “Il pane che io vi darò”, dice Gesù, “è la mia carne”. “Panem de caelo prestitisti eis”. Il Signore ci ha preparato un pane celeste: è Gesù Cristo stesso, vivo, vero: anima, corpo, sangue, divinità: interamente il Figlio di Dio incarnato.
Quando egli ha istituito l’Eucarestia, all’ultima cena, ha consacrato il pane come si consacra nella Messa. Quando si arriva alla Consacrazione, voi vi disponete sempre con maggior raccoglimento: in questo momento avviene il miracolo, cessa il pane e rimane il corpo, sangue e anima di Gesù Cristo. È sotto le specie, cioè sotto la forma: ma non c’è più la sostanza né del pane, né del vino: c’è Gesù Cristo vivo e vero.
Ora, che pane ci ha dato il Signore? Se stesso.
Quando Gesù ha annunziato che avrebbe istituito l’Eucarestia, si stupirono: “Ma fino a questo punto? Ma costui viene matto” – dicevano di Gesù – “viene pazzo! Come può darci lui a mangiare la sua carne?” e si allontanavano. Ma allora Gesù domandò agli apostoli: “E voi ve ne andate anche, perché ho detto queste cose?”. Ma San Pietro: “Tu hai parole di vita eterna”, “noi siamo con te, crediamo”, voleva dire. E difatti essi hanno avuto la prima Comunione, quando Gesù ha consacrato nell’ultima cena, <ha consacrato> il pane ed il vino: “Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo”.
La Comunione mette nel nostro sangue un sangue nuovo, che è il sangue di Gesù Cristo.
E in questa umanità, quante persone, quanti giovani cadono! Ci vuole una società in cui vi sono delle piante nuove; non queste piante vecchie, dominate dal senso, dalla passione, ma piante nuove di gioventù viva, di gioventù pura, casta. Allora la benedizione di Dio discenderà sicura. E più mangiate di Gesù Cristo e più siate santi e forti.
San Giovanni, scrivendo ai giovani, diceva: “Scrivo a voi giovani, perché siate forti, innanzi alle battaglie della vita”. E i più cedono, infelici, quanto fanno pena! Avrebbero in se stessi dei begli ideali e avrebbero davanti a sé, alle volte, uno splendido avvenire; ma si macchiano e si approfondiscono nel fango e [sono] infelici.
Ora, è vero, questa è la battaglia. E viva i vittoriosi! viva i vittoriosi! non i vinti che si mostrano incapaci alle battaglie, alla robustezza, alla lotta.
Allora, c’è anche questa grazia: che si indovina la via propria della vita, dove uno troverà più grazie, avrà più meriti e potrà fare un gran bene e godrà una pace e la sua morte sarà serena.
Chi non pecca di peccato contro la purezza, non pecca mai gravemente.
Primo peccato è quasi sempre quello. Molti giovani hanno anche avuto circostanze pericolose, in cui c’è stato lo scandalo. E si deve incolpare colui che per la prima volta ha aperto la via del male, la via del peccato.
Adesso direte: ma che frequenza [deve avere] la confessione e la comunione?
Non do una regola. Dico: quanto più potete, quanto più potete. E cioè, alla domenica con un po' di sacrificio si può accedere al confessionale e alla comunione: questa comodità la si ha da tutti, in quanto che tutti si va a sentir la Messa la domenica. E ci sarà chi non si comunicherà ogni settimana, non si confesserà ogni settimana, ma frequenti, frequenti quanto può! E poi io so bene, tra di voi, chi va alla Comunione quotidiana, o quasi quotidiana.
Certo, occorre un po’ <di> fare questo: il primo momento della giornata [sia] consacrato a Dio. E già se si dorme fino all’ora di andare alla scuola o al lavoro, allora non rimane più tempo. Ma incominciar la giornata con Gesù Cristo: che grazia è questa! che sapienza è questa! che fortezza per la giornata!
Ecco, quanto più potete, dico. Ci sono delle circostanze varie nella vita, varie circostanze rispetto all’uno, rispetto all’altro, a una famiglia, all’altra.
La regola è: quanto più potete, tanto meglio ne avrete di guadagno per la vita e per l’eternità: quanto più potete, sì
Se prima di far la colazione per nutrire il corpo, – e andiamo alla mensa in refettorio – se prima andiamo alla mensa eucaristica, si è nutrita l’anima, si è fortificata l’anima, la giornata la si vede meglio; si sente che si è accompagnati da Gesù Cristo nella giornata stessa, in gaudio e in coraggio. Ecco.
Oggi, quindi, riguardo alla confessione, tutti potete confessarvi. E certamente nessuno va via dagli esercizi senza essersi confessato. Perché è il punto dove uno dice: “Nel passato ho mancato in questo e nel futuro invece farò così”. E allora i propositi, tanto più quando il confessore dà certi avvisi e consigli.
Dunque, questi due grandi Sacramenti, di cui ogni anima vuole approfittarsi, sì.
E le anime che vogliono progredire: ecco l’uso santo di questi santi sacramenti.
È per questo che nella vita religiosa, nella consacrazione a Dio, ci son sempre le regole: frequentare la confessione, [che] è obbligatoria ogni otto giorni per chi fa i voti, per chi si fa religioso, e poi la comunione, qua è sempre libera, che ognuno si accosti secondo le sue disposizioni.

Ora, ecco la conclusione.
I propositi li formulerete, farete anche bene a scriverli nel taccuino, nel libretto in cui vi è la storia della vostra anima, se si conserva. Quante persone lo usano.
Ho dovuto occuparmi, <della morte>, dopo la morte, di una bravissima persona, la quale aveva lasciato l’incarico, appunto, perché io disponessi dopo delle cose, dopo morto. Tredici libretti aveva, successivamente, dall’età di dodici anni fino all’età di settant’anni, uno dopo l’altro, man mano che uno finiva ne cominciava un altro, e ogni giorno, almeno ogni otto giorni, notava i suoi propositi, le cose che aveva sentito nella predica, ecc. Tredici libretti, a dire 60-70 pagine ciascheduno: la storia della sua anima, la storia della sua anima. Ed era una storia veramente edificante, <che potrebbe,> che avrebbe potuto leggere ognuno, ma c’era anche il segreto e quindi i libretti segreti. Ma tuttavia il complesso indica quanto quella persona si preoccupava della santificazione sua e salvezza sua e quindi poter passare all’eternità ricco di meriti, ricco di meriti.
<La storia intima> è intitolata la vita di Santa Teresa del Bambino Gesù: “La storia di un’anima”. Ognuno può far la storia della sua anima.
Però sempre mettere ciò che sono i due mezzi principali: confessione e comunione.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-00-00_fede.mp3
durata 22' 32''

Don Giacomo Alberione - Roma?, 00-00-1963?, alla ssp

La fede


...feste natalizie abbiamo considerato i pastori che vanno a Betlemme e trovano là il Bambino con la Madre, il Bambino avvolto in panni e posto nel presepio. E lo adorarono e offrirono i loro doni. Poi arrivarono i Magi dall'Oriente, guidati dalla stella, e anch'essi si prostrarono davanti al Bambino, lo adorarono e offersero in omaggio i loro doni.
In questi giorni dell'ottava dell'Epifania si continua a chiedere nell'oremus, si continua a chiedere: noi che già abbiamo avuto la fede – cioè abbiamo creduto in Gesù Cristo, vero Dio, vero uomo, il Salvatore del mondo, il Maestro dell'umanità, – noi allora chiediamo questa grazia: di aver avuto la fede, ma anche di arrivare alla contemplazione, cioè alla visione di Dio in paradiso, quando l'anima nostra separata dal corpo arriverà alla beata visione: tutti coloro che avran creduto bene e saran vissuti secondo la fede.
Ecco insistiamo sopra queste tre virtù: fede, speranza e carità, ma specialmente qualche pensiero stamattina sopra la fede.

Come prima cosa bisogna pensare che la fede è credere ciò che non si vede. Ciò che si vede non si crede per fede, ma si conosce. Perché, se c'è stato un fatto sotto i nostri occhi, quello non ci è stato riferito, ma l'abbiam veduto. Ora la fede consiste nel credere quello che non si vede. Non vediamo ancora il paradiso, ma lo crediamo, ecco. Non vediamo nell'ostia Gesù, Dio-uomo, ma noi lo crediamo, lo crediamo sopra la parola di Gesù Cristo, sopra la rivelazione e sopra la Chiesa che ce lo insegna. Si vorrebbe ragionare dappertutto: certo bisogna studiare, studiare anche che la nostra fede è un atto ragionevole, razionale, cioè in quanto pieghiamo poi... si studia, ma poi si piega la testa, la volontà a credere.
Altro è conoscere, altro è fede. Uno può essere un professorone di teologia e aver poca fede, e averne quasi niente; come dice san Francesco di Sales: “Ecco certe persone che sono di poca istruzione, gente del popolo, che non ha fatto grandi studi, alle volte han più fede che coloro che hanno fatto grandi studi”.
Ma la fede è un dono di Dio: infuso, questo dono, questa virtù, infusa nell'anima nostra al giorno del battesimo, con la vita della grazia, insieme alle altre due virtù: speranza e carità.
Ma questa fede è necessario che poi venga accettata, quando si arriva ad una certa età, cioè quando si arriva all'uso di ragione: l'atto di fede allora è volontario. Oh, prima il bambino possedeva la virtù, ma non la esercitava; quando invece siamo andati al catechismo, oppure ancora prima le nostre mamma, i genitori ci hanno istruito e noi abbiamo creduto con la grazia di Dio... quindi prima possedevamo la fede, poi per la grazia di Dio l'esercizio della fede.
Oh, allora questa fede è la radice, è la radice di ogni giustificazione e santità. E perciò dalla fede deriverà la speranza e deriverà la carità e poi deriveranno tutte le altre virtù e deriverà tutta la vita.
Cioè chi ha fede profonda, vive cristianamente, e chi ha una fede quasi smorta, <quasi> così debole che appena appena forse c'è in fondo un qualche sentimento, più o meno, e allora la fede non ha poi influenza nella vita. Ma se è profonda, ha influenza nella vita.
Credere che noi veniamo da Dio e dobbiam tornare a Dio. Credo in Dio creatore del cielo e della terra e l'ultimo articolo et vitam aeternam, e la vita eterna. “Son venuto da Dio e devo andare a Dio”: ecco tutto. E da questo momento, dal momento in cui siamo usciti dalle mani di Dio creatrici, dobbiamo poi ritornare a quel Dio. Prima siamo entrati senza meriti, ma dopo, per arrivare alla vita eterna, dobbiamo arrivar con dei meriti. E in mezzo c'è il cammino, c'è il cammino.
E allora quale è il cammino? In Gesù Cristo, suo Figliuolo, nostro Signore: e cioè seguendo il vangelo. E non solamente volendo vivere il vangelo, ma vogliamo anche usare, approfittare della sua grazia, della redenzione; egli che ci ha meritato tutto quello che è necessario per la vita eterna, cominciando dall'assoluzione del peccato originale e dall'assoluzione dei peccati attuali. E in lui la grazia: “Non son venuto a cercare i giusti, ma i peccatori a penitenza”. E “chi crederà sarà salvo e chi non crederà si perderà”. Occorre pensare che il capire, il conoscere le cose della religione non è ancora virtù. La virtù, quella che salva, è poi il dono: cioè credere intimamente, credere intimamente e credere perché Dio lo ha rivelato e la Chiesa ce lo propone, e la Chiesa ce lo propone.
Dice san Giovanni della croce: “Vale più un atto di fede vera, che non mille visioni”: uno avesse anche molte apparizioni della Vergine o di qualche santo o di Gesù stesso. Perché lì lo si vede, Dio, la si vede la Vergine: ma <con> la fede è credere ciò che non si vede. Quindi un atto di fede sincera vale più che mille visioni. Quindi non aspirare a cose che non si avvereranno forse, ma che se anche si avverassero: un atto di fede vale immensamente di più per l'eternità.
In Gesù Cristo, suo Figliuolo unico, il quale ha voluto venire a salvare l'umanità per la misericordia del Padre celeste, mandato. E come ha redento il mondo? come ci ha insegnato la via del cielo? Nato dalla Vergine per opera dello Spirito santo, il quale compì la sua missione sulla terra, predicò il vangelo, morì sulla croce, risuscito, salì al cielo, siede alla destra del Padre.
Ecco, questa è la via che ha seguito: Exivi a Patre meo, sono uscito dal Padre, dice Gesù; veni in mundum, son venuto nel mondo; di nuovo lascio il mondo e ritorno al Padre, et vado ad Patrem. Così noi, lo stesso.
Solamente [dobbiamo considerare] se noi facciamo la via che lui ha tracciato, oppure se facciamo un'altra strada. Perché la strada finalmente ha un termine: e dove mette la strada che noi facciamo? Secondo la strada che prendiamo: o la strada comoda o la strada un po' più difficile, cioè l'abnegazione, moderare le nostre passioni, tenerle a freno, eccetera.
Iterum relinquo mundum et vado ad Patrem: può essere che si tardi un po', può essere che la vita sia un po' più lunga. E abbiamo considerato e fatto i suffragi per alcuni sacerdoti nostri, i quali sono passati all'eternità ancora in buona età. Ora ecco la via è stata tracciata da Gesù e quella è sicura. Ma quella che conduce alla perdizione?
Vivere in Gesù Cristo, cioè seguire i suoi esempi, approfittare della sua grazia, grazia che ha acquistato morendo sulla croce.
E però Gesù non voleva stare perpetuamente sulla terra, ma voleva, doveva tornare al Padre. E ci ha messo la Chiesa, ci ha messo la Chiesa, la quale è lei che ci guida, ci predica la verità, ci insegna la via della salvezza e ci dà i sacramenti, cioè ci applica la grazia per mezzo del battesimo, della penitenza, della comunione, dei sacramenti in sostanza e poi anche dei sacramentali.
Oh, la Chiesa cattolica crediamo. Crediamo che nella Chiesa vive lo Spirito santo, il quale santifica le anime e illumina la Chiesa, la dirige. E allora abbiamo la Chiesa cattolica, la remissione dei peccati, e poi alla fine la risurrezione della carne, la vita eterna, ecco.
Ecco il concetto fondamentale: sono creato da Dio per far la sua volontà. Facendo la sua volontà la vita eterna. La volontà è che seguiamo Gesù Cristo e viviamo secondo al Chiesa: vita in Christo et in Ecclesia. Occorre che pensiamo così. Che viviamo secondo i disegni di Dio, secondo l'esempio che ci ha dato Gesù Cristo e con la sua grazia.
Oh, qui sta il fondamento: che abbiamo un'anima da salvare, che quest'anima è uscita dalle mani di Dio e che un giorno renderà conto: verrà a giudicare i vivi e morti, i buoni e i cattivi, il Signore, e darà a ciascheduno quello che ciascheduno avrà meritato. Questo è il punto fondamentale. Non sono per rimaner sulla terra o per fare qualche cosa di grande che riempia gli occhi o godersi la vita o salire a dei bei posti distinti, oh no! Bisogna che noi passiamo per quella via per cui il Signore ci ha assegnato, ci ha indicato e in generale la vita in Cristo e nella Chiesa.
Poi venendo ai particolari, il Signore ha voluto che noi ci umiliassimo e cioè che siamo guidati. Per aver l'assoluzione, ci vuole il sacerdote. Anche il Papa deve confessarsi per aver l'assoluzione. Tutti dobbiamo fare l'atto di umiltà e lasciarci guidare in particolare.
Perché in generale: in Cristo e nella Chiesa; ma noi non andiamo in generale, non siamo delle idee astratte: siamo delle persone concrete. Dobbiamo lasciarci guidare. Persone che ragionano sempre, ma al fine, dopo aver pensato, la decisione è col confessore, col direttore spirituale: “Cammina così”. E “qui vos audit me audit, qui vos spernit me spernit”, “chi vi ascolta sarà salvo, chi non ascolta si perde”.
Quante volte già, se si fa un po' di attenzione o almeno si son letti alcuni discorsi del Papa, specialmente nel<l'anno,> primo anno della sua elezione: “La mia vita è stata nell'obbedienza e nella pazienza, son camminato così, ho fatto sempre ciò che mi dicevano”. Ecco. Questa è la via vera: in Cristo et in Ecclesia, ma non in generale, in particolare perché siam persone concrete e determinate.
Quindi quello ad esempio che è nella famiglia paolina, non è mica venuto per capriccio: è venuto in obbedienza. Ora si possono anche fare tanti sbaglietti, ma in sostanza la via è buona e quindi sappiamo di essere nel volere di Dio.
Allora conservarsi nell'umiltà, nell'umiltà in due maniere. Primo: noi dipendiamo da Dio e solo se <asse>condiamo Dio saremo salvi. Il Signore ha delle volontà su ciascheduno di noi: l'ultima sua volontà sarà: “Euge serve bone et fidelis”, “avanti, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore”; l'ultima volontà, ma se si è fatto prima la volontà di Dio. Quella sarebbe l'ultima volontà che facciamo e allora entriamo: “intra in gaudium Domini tui”. Ma se uno vive secondo la propria volontà o secondo i propri capricci o secondo le proprie passioni, che cosa sarà? Ecco in primo luogo: questo.
In secondo luogo: non solo esser disposti a fare il volere di Dio, ma pregare, pregare, pregare. Perché non avremmo la forza senza la grazia di Dio, non avremmo il dono della grazia, cioè della vita spirituale, della vita soprannaturale: ci vuol la vita soprannaturale per entrare in paradiso.
E poi, in terzo luogo, oltre che pregare, ricevere bene i santi sacramenti. Preghiera quotidiana oggi, per vivere bene la giornata di oggi e così di giorno in giorno camminar nella volontà di Dio.
E perché tanti si disorientano? Perché non hanno il principio fondamentale: venuti da Dio dobbiam tornare a Dio. E, volere o non volere, torneremo a Dio per essere giudicati.
Si muore una volta. Ma dopo la morte c'è il giudizio particolare “ut referat unusquisque propria corporis sive bonum sive malum”. Perché ognuno si può scapricciare sulla terra, ma finalmente Iddio ci aspetta al momento, “ut referat unusquisque propria corporis sive bonum sive malum”, “perché ciascheduno renda conto di quello che avrà fatto o di bene o di male”.
E se siamo stati contro la volontà di Dio, è male. E se siamo stati secondo la volontà di Dio, quell'obbedienza fatta in vita ci assicura l'ultima obbedienza nella sentenza finale buona, santa, beatificante.
Oh, chiedere quindi aumento di fede, aumento di fede in questi princìpi fondamentali. Dopo viene la speranza, viene la carità, poiché allora si orienta la vita verso Dio. E questa è la carità verso Dio. Orientar la vita al cielo vuol dire che si considera Dio come sommo bene, eterna felicità: ecco la carità: se noi orientiam la vita [per] arrivare a quel posto.
Dunque siccome la Chiesa in questi giorni continua a farci chiedere la grazia di posseder la fede e, dopo la fede, la visione di Dio, ecco questi giorni son adatti per chiedere aumento di fede. E quindi dopo la vita: chi avrà creduto vedrà, chi avrà creduto vedrà. E chi non avrà creduto? Sarà nelle tenebre, tenebre eterne, perché è già all'oscuro qua nelle cose divine, di se stesso; non conosce noi stessi: per che cosa siamo e che cosa dobbiam fare.
Ma chi crede sarà salvo eternamente salvo.
Preghiamo dunque durante la Messa il Signore che aumenti in noi la fede, adauge nobis fidem che io creda sempre di più.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-00-00_Anno della Santificazione.mp3
durata 29' 39''

Don Giacomo Alberione

Anno della santificazione: 25 gennaio '63 - 25 gennaio '64


Avete fatto il ritiro mensile sopra la santificazione, che è come il programma dell'annata. È veramente il programma della vita; tuttavia ci può essere un periodo di maggior impegno.
L'anno per la santificazione particolare incomincia col 25 gennaio, giorno della conversione di san Paolo, 1963 e va fino alla conversione di san Paolo, 25 gennaio 1964.
Perché si comincia dal giorno che la Chiesa dedica alla memoria della conversione di san Paolo? Sembrerebbe a prima vista che si tratti <di una per> di Saulo soltanto, il quale fino allora aveva sbagliato la strada, non per malizia, ma per ignoranza. E quindi perseguitava i cristiani. Ma vi è una cosa da notare, questa: san Paolo quando fu illuminato dalla grazia di Dio, dalla luce di nostro Signore Gesù Cristo, non prese mezze misure: si convertì e in un istante si può dire che toccò il punto della santificazione vera, della vera santità. Lui lo racconta al capo 22 del libro “Atti degli Apostoli”: [racconta di] quella gran luce che lo sfolgorò; e quando chiese: “Chi sei tu, o Signore?”, [ebbe la risposta:] “Io son quel Gesù di Nazaret che tu perseguiti”. Ecco come si arrese e come raggiunse subito lo stato di santità. Certo c'era poi molto lavoro da fare, progredire; ma raggiunse subito quello che è il centro della santità: “Domine, quid vis ut faciam?”.
Quando uno si rimette tutto nelle mani di Dio, raggiunge già il punto, il punto: la santificazione, la santità. Quell'abbandono nel Signore: “Cosa vuoi che io faccia?”, rimettersi totalmente nelle mani di Dio e lasciarsi guidare e aderire in tutto al Signore: questa propriamente la santità. Così come ha definito il papa Benedetto XV: “La vera santità sta nella conformazione al volere di Dio”. Conformità che viene dimostrata con il continuo ed esatto compimento del proprio dovere, del dovere del proprio stato; così che facendo noi la volontà del Signore secondo la nostra condizione, secondo le grazie che abbiamo, [viviamo] rimessi tutti nelle mani del Signore, abbandonati in lui.
L'abbandono in Dio: “Fa' di me quel che vuoi”, è il toccare la perfezione: che non sia soltanto una disposizione a parole, ma che sia una vita: docili nelle mani del Signore, docili agli inviti della grazia, ecco.
E in questi prossimi giorni, forse la settimana prossima, riceverete il “San Paolo”, foglio stavolta di otto pagine, che invita al lavoro particolare quest'anno per la propria santificazione.
Due mezzi [sono] particolarmente da indicare: l'uno è “vivere in Cristo”; quando san Paolo diceva: “Vivit vero in me Christus”, ecco, allora la sua vita si era trasformata in Gesù Cristo. Poi può essere anche più facile – e questo verrà poi spiegato in un altro “San Paolo” successivo, piacendo al Signore, – approfondire le tre virtù: fede, speranza e carità, ecco: vivere di fede, vivere di fiducia in Gesù Cristo, vivere di amore, amare il Signore con tutto il cuore, tutto l'essere e il prossimo come noi stessi – meglio ancora se diciamo come ci ha amati Gesù, – ecco: recitare bene gli atti di fede speranza e carità; nella visita esser guidati da questi tre pensieri, cioè la fede, la speranza, la carità, carità sempre più intima con Dio.

In primo luogo la fede. Sappiamo che in noi vi è la grazia, vi è la vita soprannaturale, la vita che si aggiunge all'altra vita. C'è la vita umana: siamo nati; ma poi si è aggiunta l'altra vita: “nasci denuo” e cioè nascere un'altra volta, che è la vita della grazia in noi.
[... interruzione nel nastro]
...prevedono e quasi precorrono la gioie celesti, l'unione con Dio: quanto si può aver sulla terra.
Atto di fede allora: considerar [che] Dio è il nostro creatore. Tutto ciò che c'è, è fatto da lui, tutto. Se togliessimo quello che è di Dio, quello che ha fatto Dio, così momentaneamente nell'immaginazione, cosa resterebbe? Resterebbe nulla, né noi, né il mondo, né tutto quel che ci circonda, – tutto è di Dio – non resterebbe neppur l'aria, nulla resterebbe, neppure il vuoto. Dio è semplicissimo e solo lui.
Ci ha creati, ha creato l'anima nostra, sì, e Dio Padre, il quale felicissimo, beatissimo nell'eternità ha voluto chiamare degli essere che siamo noi all'esistenza, perché partecipassimo un giorno alla sua gioia, alla beatitudine eterna. Come ci vuol bene il Padre celeste, la Provvidenza che ci governa, che ci sostenta ogni giorno, che ci guida, questo Padre celeste che ci attende in paradiso! Come è bello il Padre nostro! “che sei nei cieli”, diciamo, “e sia santificato il nome tuo” e non bestemmiato; “e venga il regno tuo” e cioè non il peccato, l'ateismo, ma il regno di Dio; e soprattutto “sia fatta la volontà di Dio qui sulla terra come vien fatta dagli angeli in paradiso”. Oh, sì, la perfezione!
E allora dopo questo il Signore ci aspetta in paradiso, ci vuole attorno a lui lassù, partecipanti della gioia e della beatitudine eterna, sì. Ci fa passare attraverso una prova sopra la terra, questa terra; se noi la superiamo, ecco, si compiacerà. Egli, il Padre celeste, si è compiaciuto del suo Figlio: “Questi è il mio figlio diletto”, ecco, cioè “il figlio che io amo, il figlio che ho prescelto”, come vien tradotto.
Allora fermarci durante la visita su questi pensieri: Dio, Dio, l'amore a Dio, il cercar Dio: è il nostro fine. E tutto il resto cos'è? Il resto è mezzo, mezzo [per] andare a Dio come la cappella per andare a Dio e veniamo in chiesa e troviamo i banchi per pregare, troviamo l'altare dove abita Gesù.
Fede. Allora dire adagio l'atto di fede. Credere bene, con fede più profonda. E leggere la parola di Dio, cioè il vangelo e la Bibbia in generale; e d'altra parte riflettere. Le meditazioni [che] possono essere qualche volta sopra la fede.
Cristiani che hanno fede profonda e vivono di fede; cristiani che hanno qualche cosa di superficiale, tutt'al più sanno recitare qualche parola del credo. Ma proprio la loro vita [è] conformata a Dio? La nostra vita conformata a Dio è un atto di fede: “Tu sei il Padre celeste, tu mi ami, tu mi vuoi in paradiso”.
E cosa fece? Perché noi potessimo andare in paradiso, ci ha mandato il Figlio. Gli uomini non avevano più conoscenza – diciamo così – della strada per andare a Dio. E allora “sic Deus dilexit mundun ut filium suum unigenitum daret”: il Padre celeste ebbe pietà di noi, ci mandò il Figlio, ci diede il Figlio suo, perché con la vita ci insegnasse la strada come si va in paradiso, come si arriva al Padre. Come è bello quel libro “Andiamo al Padre attraverso Gesù Cristo”! È stato ristampato. E il vescovo che lo ha scritto, al Concilio ha fatto una magnifica predica sopra questo punto.
Oh, Gesù Cristo ci ha mandato. E noi dobbiamo guardare il Figlio; perché, se il Figlio è piaciuto al Padre e se noi seguiamo il Figlio, piaceremo anche al Padre noi.
Come fare? Vedere bene la vita di Gesù. Quindi fiducia nel vangelo, in tutto quello che Gesù ha fatto, come è vissuto e quello che ha detto. Seguire Gesù! Con la sua vita cominciò da una grotta e finisce sulla croce; non finisce mica lì sulla croce, lì è un passaggio: ora siede alla destra del Padre: ecco la via che dobbiamo fare. E anche noi siamo venuti sulla terra: se facciamo la via di Gesù, arriveremo dove è arrivato Gesù, là dove Gesù ci ha preparato il posto, ecco.
Fiducia! Nessun maestro c'è che valga Gesù! Quello è il Maestro! La via [è] quella che ha tenuto lui: l'umiltà, la povertà, la docilità al volere di Dio, e poi tutto il compimento del volere del Signore.
E in secondo luogo Gesù è morto sulla croce, perché noi fossimo purificati, quindi perdonati dei peccati. E poi noi dobbiam confidare in lui: lui ci ha acquistato la grazia, sì. Troviamo difficile fare il bene, star buoni, per esempio docili? Ma se noi preghiamo, ecco lui ci dà la grazia.
Per la bontà del Padre e per la misericordia del Figlio e la sua morte di croce, così [possiamo] aver la grazia, <affinché> mediante le buone opere che io debbo e voglio fare, ecco. Le nostre opere son povere, ma se Gesù unisce la sua grazia, vengono ricche e valgono davanti a Dio. E per un atto di umiltà, un atto di dolcezza, una piccola mortificazione, eccetera, Gesù aggiunge la sua grazia e quell'atto diviene tanto ricco, meritorio. Così facendo bene le opere che dobbiamo fare, Gesù aggiunge la sua grazia e <come> noi andiamo crescendo presso Dio in merito.
E ciascheduno riceverà poi alla fine il premio secondo che ha meritato, secondo ha partecipato alla passione di Gesù Cristo, ai frutti della passione di Gesù Cristo.
E questo Gesù perché non stessimo soli ci ha dato la comunione. Oggi partite con la comunione con Gesù: <quella> lui guida nella giornata. Quanto è bello cominciar la giornata così! Altri comincian la giornata poco bene, forse non si ricordan neppur di Dio un momento nel cominciar la giornata qualche volta. Ma noi come siamo stati benedetti!
E terzo luogo: la carità, cioè l'amor di Dio. E lì poi possiamo arrivare ad un'altezza, che può essere già un po' meravigliosa, quella dei santi. Ma si può arrivare a un'altezza che quasi noi non sappiamo misurare, anzi non sappiamo misurare. Perché Gesù ci ha detto: “Siate perfetti come il Padre celeste!”: oh! venir santi come il Padre celeste! “Sicut Pater vester coelestis perfectus est”.
Allora l'amore a Dio: amare, cercar Dio, volere il suo beneplacito, cioè che sia contento di noi, che tu in qualunque ora della giornata, se il Padre celeste ti guarda, può dire: “Questo è un figlio che io amo e che mi ama?”. Lo amiamo? L'amore che sta nel suo cuore, nel compiere il suo volere.
È un Padre buono, che in tutto cerca solo il nostro bene, la nostra santità e la nostra felicità eterna. Volergli bene, volergli bene, non mai disgustarlo! Santità negativa è di evitare il peccato, ma positiva è di fare il suo volere.
E poi, giacché vogliamo amare il Padre, dobbiamo anche amare i figli del Padre celeste, perché sono immagine del Padre, son fatti a somiglianza del Padre.
Se amiamo Iddio, desideriamo che non sia offeso: quindi riparazione dei peccati che si commettono nel mondo, specialmente l'ateismo, la bestemmia. Maggiorino riparava specialmente due sorta di peccati: il lavoro festivo, la profanazione della festa in sostanza, e poi la bestemmia.
Oh, amare! L'apostolato vostro è tutto amore, perché leggendo delle cose buone o almeno passabili, ecco, [si riceve un aiuto] per evitare il peccato e per camminare sulla buona via. Tutto l'apostolato è carità, ed è proprio la carità da esercitarsi da noi.
Oh, allora ecco, – per non prolungare troppo – se vogliamo arrivare alla santificazione, questo è un grande mezzo, fondamentale, perché tutte le virtù dipendono dalla fede, speranza e carità, tutte; e senza di esse non ci può essere una vera virtù. Perché si chiaman “teologali”? Vuol dire che sono divine, riguardano direttamente Dio.
Quindi coltivare la fede, la speranza e la carità: la santità allora crescerà di un poco. Mica che subito si divenga santoni, ma intanto si inizia e si continua e si tende alla santità, progredendo un tantino ogni giorno, un tantino sì, almeno un tantino ogni settimana, oppure in un anno.
Ora riflettiamo sopra di noi. Siamo approfonditi nella fede? E la nostra speranza ha fiducia in Gesù Cristo? Tu come sei vissuto e io come vivo? E [abbiamo] la fiducia nei meriti tuoi, Gesù, la fiducia che tu partecipi a noi i tuoi meriti, i meriti della croce, specialmente? E amiamo il Signore sopra ogni cosa, sopra noi stessi, sopra le nostre idee, sopra i nostri voleri? Che cosa vuol dire questo? Capirlo sempre di più, penetrarlo sempre di più.
Vengono poi da sé le altre virtù; perché quando uno considera chi è Dio, non c'è più molto da gloriarsi. Se abbiamo speranza in Gesù Cristo, non ci mancheranno gli aiuti. E se noi amiamo veramente il Signore, non andiamo più ad offenderlo, anzi faremo tutto quel che gli piace. Fare tanti piaceri a Gesù, tanti piaceri al Padre celeste, non dargli mai dispiacere!
Coltivando queste tre virtù, facilmente – ho detto – praticheremo anche le altre e saremo stabiliti bene, come un candeliere quando ha tre piedi: eh! sono solo tre, ma sta fermo. Così se siamo stabiliti bene su queste tre virtù, la nostra vita spirituale è ben fondata, è una pietà veramente buona, è un'ascetica veramente fondata bene sui principi essenziali. Non ci faremo illusioni, non una pietà che consta solo di parole o di preghiera, ma proprio una pietà che prende tutta la mente con la fede, prende tutto il nostro volere, la nostra volontà con la speranza, mediante le buone opere, e poi la carità: amare il Signore, cercare il Signore, voler Dio, Dio in tutto; non egoismo, perché l'io e Dio sono in contraddizione. Bisogna che viva Dio, Dio solo.
Il Signore ci benedica. Preghiamo gli uni per gli altri, perché col capire queste cose poi possiamo camminare bene. E camminare a quale via? Per quella che ci conduce diretta al paradiso: quella è l'autostrada vera! Una parte della strada, ecco [è:] <per> seguire Gesù, i suoi esempi: “Io son la via” ha detto Gesù; e secondo: appoggiarsi a lui, il veicolo, l'automobile che ci porta, perché sono i suoi meriti che ci aprono il paradiso: cioè noi facciamo le opere buone e lui aggiunge la grazia, ecco. Allora, appoggiati a lui, arriveremo alla unione sempre più perfetta con Dio che è la carità.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-00-00_settimanasanta.mp3
durata: 15' 33''

Don Giacomo Alberione - Roma, 00-00-1963? - ai sacerdoti ssp (manca l'inizio e la fine)

La settimana santa


... Orientar meglio la vita e capire quale sia la missione che ha colui insegna agli altri; sentire la responsabilità di chi insegna e quale conseguenza, quale impressione può esercitare nelle anime lo scritto e tutto quello che viene immesso nella circolazione come insegnamento, come dottrina. Vi è tanto da pregare, perché vi sono tanti scrittori nel mondo e parlatori che hanno bisogno di orientarsi meglio, comprendere la loro responsabilità davanti agli uomini, davanti a Dio e davanti a se stesso, a se stessi per la vita eterna; e volessero far Pasqua, accostarsi quindi al sacramento della confessione, al sacramento della comunione, detestare quello che non piace al Signore e approfondire invece quello che piace al Signore, pensando alla gravità delle conseguenze che procedono dallo scritto, dall'insegnamento in generale.
Se vi è un tempo pastorale nell’anno, questo è il tempo più pastorale, quello della Settimana santa. Quello del tempo della Settimana santa unito però al tempo che segue, cioè la Pasqua di risurrezione.
In secondo luogo abbiamo da imparare da Gesù Via: come ha operato la nostra salvezza? con quali pene? La pena maggiore certamente è stata quella di sentirsi coperto e caricato di tutte le iniquità del mondo. Che cumulo! egli lo ha portato per la sua divinità, in quanto alla grazia, alla forza che della divinità procedeva.
Certamente che la pena più grande che soffre un'anima in purgatorio è sempre quella di aver disgustato a Dio. Perché qui non lo capiamo abbastanza cosa sia disgustare il Signore, commettere anche solo una venalità. Così noi non capiamo tutti i dolori, le pene che Gesù ha sofferto interiormente considerando tutte le iniquità, tutti i peccati della umanità, e come il suo cuore è stato come coperto, pressato dall'orrore di ciò che viene dalla iniquità del mondo. Sudò sangue!
Oh, allora, ecco, noi dobbiamo considerare quanto Gesù ha sofferto. E se vogliamo aver parte alla sua gloria, alla sua risurrezione, dobbiamo considerarci parte del corpo mistico, membra del corpo mistico, di cui Gesù è il capo. A noi [spetta] compiere ciò che ci manca. E cioè, che cosa manca? Manca la nostra partecipazione a Gesù Cristo, cioè alle sue pene, la detestazione delle nostre mancanze, il proposito di non più offendere il Signore e l'espiazione nostra, per noi stessi. Espiare e offrire le sofferenze, le fatiche dell’apostolato per tutti gli scrittori i quali hanno insegnato il male e per tutti coloro che hanno contribuito o che come tecnici o come propagandisti. Poi espiare e domandar perdono per le offese e peccati che provengono dalle anime a noi affidate: vi sono gli uditori, vi sono i penitenti, vi sono gli scolari, vi sono tutti coloro a cui noi siamo obbligati in quanto al nostro ufficio.
Si, espiare anche per gli altri. Questa è missione eminentemente sacerdotale, eminentemente sacerdotale. Perché noi nel corpo mistico abbiamo una parte fondamentale. Certo la parte essenziale è sempre Gesù Cristo. Noi pure [abbiamo] una parte fondamentale, perché Gesù ci ha associati al suo sacerdozio, il sacerdozio che egli ha esercitato così nell’ultima cena, così sulla croce.
E poi abbiamo da ricavare da questa settimana santa un aumento di grazia, una spiritualità più elevata e una generosità nell’aiutare le anime, affinché considerino come avviene la salvezza e come è stata operata da Gesù Cristo la salvezza. Sono tempi di grazia questi giorni particolarmente, giorni della settimana santa e giorni del tempo pasquale.
Ecco la detestazione del peccato: che cosa ha costato al Signore il peccato da noi commesso, quali pene egli abbia sofferto, proprio per me, proprio per te. Perché allora ci aveva a tutti presenti. E noi abbiamo contribuito a pesar sul suo cuore, premere sul suo cuore, e contribuito alla flagellazione, alla coronazione di spine, alla condanna alla morte, al viaggio al calvario, alla crocifissione e agonia. Abbiamo portato un triste contributo alle pene del Salvatore. Perciò la detestazione anche delle cose piccole, quelle che noi chiamiamo piccole, ma che in noi sacerdoti hanno una particolare gravità, – pur non cambiando la natura: cioè che è veniale è veniale, ciò che è grave è grave – ma in noi appunto perché più beneficati.
E poi oltre che detestare, conquistare, approfittare di tutta la liturgia, di tutta la liturgia in questi giorni, allargando le nostre intenzioni per tutti coloro ai quali siamo debitori; tutta la liturgia: com’è toccante il breviario! e quanto più sono toccanti le varie funzioni! Il giovedì santo giorno sacerdotale: “Haec quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis”. Il venerdì santo giorno di dolore, il sabato santo giorno di lutto, e la domenica giorno di gloria. Tutta la liturgia ci serve al raccoglimento e ci serve a chiedere proprio quelle grazie che sono fondamentali per la nostra santificazione.
Chi può sentire meglio il frutto? Entrare nell’intimo di Gesù, comprendere le sue intenzioni, le sue pene, le sue gioie, tutto; vivere la settimana con Gesù Cristo, vivere la settimana santa con Gesù Cristo!
In che modo? Ci sono i vangeli, ci sono le epistole, ci sono i versetti, ci sono le lezioni, ci sono tutte le cerimonie. Entrare nell’intimo, vivere la settimana santa con Gesù, sentire Gesù in noi e sentirsi uniti a Lui!
In che modo? Come tutti i cristiani, ma in modo particolare come religiosi legati a lui e come sacerdoti; che non dobbiamo solamente offrire la vittima, ma noi stessi piccole vittime: piccole vittime in riguardo all’umanità presente, all’umanità con la quale noi viviamo, questa, oggi, questi anni che il Signore ci ha dato, l’umanità di oggi. Non dobbiamo soltanto considerare il passato né soltanto preoccuparci del futuro, ma guardare particolarmente il presente, il presente.
Oh, sì, allora la settimana santa ci mostra Gesù Cristo Via, Verità e Vita; è tempo prezioso, tanto adatto alla riflessione; considerando in fine che la Pasqua consiste nel confessarsi e comunicarsi come gli altri, certo in una maniera migliore, sì.
Chiedere aumento di fede nella redenzione; chiedere la grazia di seguire Gesù crocifisso; e chiedere la grazia di vivere la vita nuova per noi, per tutti quelli che si occupano di edizioni in qualsiasi maniera e per tutte le anime alle quale dobbiamo destinare, per le quale compiere il nostro ministero sacerdotale, sì.
Non ci consideriamo mai soli, no, ma sempre come religiosi, parte quindi di una comunità e sacerdoti, parte di una comunità. Che tutto l’istituto sia purificato, tutto l’istituto sia purificato, tutta la famiglia Paolina: che viva in delicatezza, in umiltà e generosità, sì. E poi, oltre a questo, [considerare] tutta l’umanità in quanto si è sacerdoti.
Perciò ha un colore particolarissimo, poi proprio anche: cioè vivere la settimana santa come religiosi di una famiglia e vivere l’umanità intera, particolarmente la Chiesa, che vuol risorgere sempre ogni giorno: è la risurrezione che spera il Papa, perché la Chiesa sia più purificata, sia bella, e si presenti davanti [...]

[queste parole che seguono sembrano di un'altra predica]:
...cioè religioso, vita religiosa, a san Paolo, posso raggiungere i meriti dell’apostolato, la stampa, e posso raggiungere i meriti della vita sacerdotale; posso raggiungere, cioè unire le tre specie di meriti, arricchirmi. Allora non c’è altro da guardare, non c’è più altro da pensare, non si disperdono più le energie, a questo si pensa, questo si sogna, di questo si parla, a questo si orienta i momenti, e anche se uno va…

Trascrizione del file: 1963-00-00_SaoPaulo_OdioalPeccatoVeniale.mp3
Durata 25.18

Don Giacomo Alberione - São Paulo, 1963 giugno(?)

Odio al peccato veniale


Per intercessione della Regina Apostolorum e di San Paolo l'odio al peccato veniale.
Il peccato veniale è veramente quello che particolarmente il religioso e la religiosa devono combattere.
Combatterlo, il peccato veniale, per non ad arrivare all'estrema rovina. Perché il peccato veniale è la strada per il peccato mortale.
Nessuno diviene ad un tratto pessimo. Ma invece, chi trascura le venialità, a poco a poco si avvicina a quello che è più grave e poi viene trascinato verso il precipizio, a cui non voleva assolutamente arrivare. Ma anche una piccola valanga che si distacca dal monte, dalla cima del monte, man mano che precipita si ingrossa e poi trascina con sé piante e quanto trova sulla strada, fosse anche qualche casa.
Che cosa è il peccato veniale? Il peccato veniale è ben diverso dal mortale. Il peccato veniale è un'offesa a Dio, sì, sempre un'offesa a Dio; ma offesa a Dio o in materia leggera oppure offesa a Dio non completamente conosciuta o non completamente acconsentita: non completamente acconsentita: come può essere nel dormiveglia; e non completamente avvertita: come potrebbe essere in un atto improvviso, che non è stato controllato subito, e in cui il consenso non era pieno, anche.
Peccati veniali di pensiero vi sono, peccati veniali di pensiero: ad esempio contro la carità, distrazioni volontarie, pensieri mondani, estranei alla vocazione, pensieri contrari all'obbedienza, contrari alla virtù della temperanza, contrari all'ordine, alle disposizioni date.
Peccati veniali che si commettono con i sentimenti interni, di orgoglio, di rancore, che si commettono con desideri vani, inutili, desideri che tante volte sono contrari alla stessa vita religiosa.
Peccati veniali di lingua, perché la nostra lingua, alle volte, si lascia andare alle critiche o a parole che sono contrarie all'obbedienza; peccati di lingua, quando si dànno certe notizie e si fanno certi discorsi, che possono essere pericolosi e possono dare occasione anche di scandalo, cattivo esempio almeno.
Peccati veniali di opere, sì, perché quando si disobbedisce, quando si fanno le cose malvolentieri, quando si viene a possedere e permettersi certe relazioni, che subito subito non sono peccato, forse, ma che mettono sulla strada del peccato, aprono la via.
Peccati veniali possono essere sempre contro le virtù principali: la fede, la speranza, la carità, la giustizia, la fortezza, la temperanza, la prudenza, e le virtù religiose e le virtù morali.
Combattere i peccati veniali. Perché? Molti sono i motivi, ma principalmente la religiosa ha da considerare che il peccato veniale raffredda la carità. Con le venialità non può stare il fervore, e quindi diminuisce la forza nel bene.
Il peccato veniale è quello che toglie innumerevoli grazie, viene a togliere quella luce viva all'anima, quella luce che è necessaria per procedere nella virtù, e viene a diminuire, il peccato veniale, la forza della volontà, per cui le cadute sono più facili.
Non si arriva d'un tratto a commettere il peccato grave, ma si va gradatamente avvicinandosi, l'anima. Vedete Giuda? E' arrivato all'estremo: vendere il Maestro Divino e poi darsi alla disperazione, una volta conosciuto il male; buttar via il denaro che aveva malamente acquistato, e suicidarsi, appendersi con una fune ad una pianta.
Ecco: melius erat si natus non fuisset homo ille! Ma da che cosa aveva cominciato? Da piccoli furti che certamente in principio non potevano subito raggiungere la gravità. Ma il demonio inganna e quando la persona commette molte venialità, poco a poco perde l'orrore al peccato grave. Il demonio, poi, opera nell'anima e prepara una tentazione più grave, e fa in maniera che l'anima tralasci la preghiera. E allora ecco che, gradatamente, diminuendo le forze, aumentando le tentazioni, arriva il momento in cui non si sa più se si è ancora sul terreno della venialità oppure si è già sul terreno della gravità.
Poi, può essere che l'anima arrivi a tale cecità che, anche conoscendo che è già sul terreno della gravità, non ha più il coraggio né la forza, a fermarsi, a troncare, a tornare indietro e poi, allora, di colpa in colpa che cosa si può prevedere?
Giuda ebbe almeno cinque richiami, cinque avvisi nell'ultima Cena, dal Maestro Divino; ma non ascoltò niente. Non ascoltò, anzi, mentre che il Maestro Divino cercava di richiamarlo, stava studiando il momento opportuno per dileguarsi nella notte, nelle tenebre e andare a invitare i nemici di Gesù, che venissero ad arrestarlo, conoscendo che Gesù già si preparava ad andare al Getsemani a pregare. Ecco.
Nella Sacra Scrittura, propriamente si legge solo di un'anima dannata, ed è Giuda. Ed è questo da considerarsi: che proprio questo unico esempio di perdizione eterna riguardi un Apostolo, cioè Giuda; il quale certamente aveva la vocazione; il quale certamente aveva avuto il migliore dei maestri, dei formatori, il Maestro Divino; il quale certamente aveva avuto, anzi goduto, la confidenza e come una preferenza da parte del Maestro Divino. E allora? Allora occorre che noi impariamo.
Nulla ci assicura l'eterna salvezza: né l'abito, né la vocazione.
Una cosa ci assicura però: la preghiera costante, la pietà. Ci assicura la salvezza, la preghiera, perché vi è la massima: "Chi prega si salva, ma chi non prega si perde, si danna".
Quando si prega, si adoperano anche gli altri mezzi per non abituarsi al peccato veniale e avvicinarsi al mortale. Quali sono gli altri mezzi? La fuga dalle occasioni. Chi ama il pericolo perisce, cioè cade nel pericolo.
Vi sono certamente tanti cattivi esempi nel mondo; ma questi cattivi esempi che si vedono, se si prega, non avranno forza di trascinare l'anima; quando invece non si prega, le occasioni attraggono e trascinano e non si sa dove l'anima si arresterà, e se si arresterà, sulla cattiva strada.
Fuggire le occasioni, quindi.
L'anima che prega, detesterà, odierà anche le minime cose. L'anima che prega combatte i suoi difetti, e combattendo i suoi difetti, ancorché qualche volta caschi in essi – questi difetti non saranno peccati: no, non offendono Iddio, saranno debolezze – ma l'anima, prendendo sempre maggior vigore dalla preghiera, a poco a poco vincerà anche molti dei suoi difetti. È vero che si morirà ancora con dei difetti, ma non saranno volontari e non saranno gravi.
Combattere i difetti. E tra i peccati veniali occorre sempre tener presenti i peccati che si chiamano capitali. I quali tutti possono essere veniali, se son contenuti in un certo limite, e tuttavia tutti potrebbero diventare gravi se non si combattono.
Quindi molta vigilanza sopra i sette vizi capitali. Però è chiaro che ogni persona è specialmente portata verso di uno di essi, che noi chiamiamo il difetto dominante, il difetto più pericoloso, quello che si ha da combattere.
Ogni anima lavori sopra la virtù di cui ha più bisogno, e combatta il difetto che più facilmente la trascina.
Combattendo il difetto dominante, lavorando per la virtù opposta, ecco che si cresce nell'amore di Dio, e man mano che si va avanti si ha più luce e si ha anche più robustezza spirituale.
Allora ciaschedun'anima studi la sua passione predominante e non abbia paura a dichiararla al confessore e ascolti i rimedi che il confessore suggerirà.
Ecco, allora il lavoro interiore, la lotta interiore è anche meritoria perché c'è l'obbedienza, e con l'obbedienza c'è anche maggior grazia, a compiere il lavoro spirituale.
Non nascondiamoci i difetti, anzi scopriamoli nell'esame di coscienza! E non cerchiamo di dissimularli o coprirli a quelli che in carità ci avvertono! Perché un avvertimento è un atto di carità e di bontà molto grande. E tuttavia fare bene una correzione e ricevere bene una correzione è sempre così difficile. Se si prega, tuttavia, si ottiene la grazia e di correggere in carità e di apprezzare in umiltà la correzione.
Ci benedica il Maestro Divino.
Ascoltiamo la Messa con questa intenzione: di evitare sempre la colpa veniale deliberata. I difetti indeliberati non offendono Iddio; ma sempre combattere le venialità deliberate, ad ogni costo! È qui specialmente il lavoro della religiosa: la lotta al peccato veniale. Non pensi quasi – diciamo così, per esprimersi e farsi capire bene – al peccato mortale, al quale certamente non vuole arrivare, ma pensi a non mettersi sulla strada del peccato grave. Chi lotta contro il peccato veniale, chiude la via al peccato mortale.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-02-15_gesu.mp3
durata 26' 28''

Don Giacomo Alberione - Roma, Casa generalizia, 15-02-1963, alla ssp [ai discepoli?]

Conoscere Gesù per amarlo, imitarlo, viverlo


Anno, dedicato in modo speciale alla santificazione. Santificazione in primo luogo nell'interno dell'anima nostra, nell'intimo del nostro essere e cioè la santificazione della mente, la santificazione del cuore, la santificazione della volontà.
La santificazione nostra si realizza quando c'è l'imitazione di Gesù Cristo: De imitatione Christi, così stampata. Imitare l'interiore di Gesù e cioè possedere, vivere nella nostra mente i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la sua volontà, il suo essere. Imitare il Signore Gesù, non soltanto come un'aggiunta esterna che si può dare e se noi ci uniformiamo alla sua povertà, uniformiamo alla sua attività, alle sue azioni, alle sue virtù, al suo apostolato, al suo lavoro per la gloria del Padre, per la salvezza delle anime. Ciò che importa è vedere quali sono i pensieri di Gesù, l'intimo di Gesù, la uniformità di Gesù al Padre.
E per questo primo passo è necessaria la conoscenza di Gesù. E l'impegno di questo anno come mezzo per la santificazione è questo: conoscere meglio Gesù, per amarlo di più, per viverlo, viverlo, sì, uniformandoci a lui e conservando i <nostri> suoi sentimenti, anzi arrivare al “vivit vero in me Christus”: come [è] scomparsa la nostra personalità umana o, meglio, quando è retta la nostra personalità umana e cristiana, allora [è] sostituita o perfezionata dalla personalità di Cristo, la personalità di Gesù Cristo, la seconda persona della santissima Trinità, persona. Oh, se egli vive in noi ecco, lui diviene la nostra personalità.
Conoscere Gesù Cristo. È utile che si riveda ancora la circolare che riguarda la nostra santificazione, sì. E quello per segnare l'ampiezza: Gesù Cristo il Figliuolo di Dio, ab aeterno nel seno del Padre, “in principio erat verbum”, da tutta l'eternità, egli il Verbo, cioè la parola del Padre, la sapienza del Padre. E andare fino dove? Fino all'eternità seguente, diciamo, cioè a quello che durerà sempre. Il Figlio di Dio incarnato, glorificato alla destra del Padre, poi giudice dell'umanità: chi ha seguito il suo messaggio della salvezza, chi non lo ha seguito, ed egli inviterà al cielo quelli che l'avranno seguito e presenterà le anime conquistate da lui con la sua santità, coi suoi meriti, con la sua croce e presenterà questa umanità salvata al Padre celeste. Allora sarà il regno eterno di Gesù Cristo, regno che egli presenta al Padre. E così sempre per tutta l'eternità, cioè non avrà fine, non avrà fine.
Oh, allora, conoscere bene, quant'è possibile umanamente a noi, povera gente, che abbiamo così poca testa, così poca intelligenza, così poca applicazione, conoscere Gesù Cristo per amarlo, per imitarlo, per viverlo: “vivit vero in me Christus”.
Ma partire dalla conoscenza: chi egli è e quale fu l'opera sua e che cosa egli vuol comunicare a noi. Ecco, quando egli è la persona che domina in noi, allora è il Figlio di Dio che sta in noi, allora siamo fratelli <in> di Gesù Cristo, rispetto al Padre, e se figli, anche eredi e coeredi con Gesù Cristo. Ineffabile mistero della redenzione.
“Oh se conoscessi colui che ti parla!” disse Gesù alla samaritana, “se conoscessi!”. E anche noi sebbene abbiamo stampato tanti vangeli e tante Bibbie e tanti cerchiamo di diffonderli con zelo, ma noi la conoscenza intima l'abbiamo?
Perché vi è una vita esterna, l'attività di Gesù, cioè quello che è di Gesù dal presepio sino alla sua risurrezione. Ma bisogna estendere la nostra visione dall'eternità, per tutta poi l'eternità. E non per fare soltanto una redenzione esteriore, ma per santificare le nostre anime, e elevarle le nostre anime in Gesù Cristo, vivere in Gesù Cristo.
Oh, quale nobiltà, quale privilegio! E allora riconoscenza al Signore e tutto l'impegno ad arrivare al “vivit vero in me Christus”. Scompaio io, vive in me Gesù Cristo.
E allora che cosa fare per conoscere Gesù Cristo? Quali mezzi? “Haec est vita aeterna ut cognoscant te et quem misisti Jesum Christum”, dice Gesù al Padre: “Che gli uomini ti conoscano, o Padre, e conoscano colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Quindi vuole che conosciamo Gesù Cristo, Gesù Cristo stesso vuole questo: ed è la vita eterna, la salvezza.
E se siete discepoli del Maestro divino, conoscere il Maestro allora: chi è, qual è stata l'opera sua, qual è l'opera sua in noi, che cosa fa Gesù quando è nel nostro cuore, il nostro cuore, se lo lasciamo dominare. Ma quante volte noi invece lo lasciamo dominare in qualcosa, ma poi in tante cose vogliamo ancora conservare i nostri pensieri, i nostri desideri, la nostra volontà!
Al Signore non si dà, non si concede il possesso intiero dell'anima nostra: la quale cosa vuole Gesù, vuol possederci tutti, interamente il nostro essere. Ma tante volte noi lo ospitiamo, ma gli diciamo: “In questo però no!”. Lo si lascia entrare con la comunione, ma poi vi sono degli ambienti, dei locali che gli chiudiamo: che non entri e che quindi non finisca col rendersi, col rendersi padrone intiero dell'anima nostra, perché non siamo docili. Lo escludiamo: ci sono i cassetti chiusi e cioè le nostre piccole volontà, i nostri pensieri di certe cose, il voler ancora questo o quella soddisfazione, limitare l'azione di Gesù in noi, c'è l'opposizione. Dio solo trova opposizione da parte nostra. Siamo liberi, e gli diamo un arresto, cioè lo fermiamo: che non prenda possesso intiero dell'essere nostro. E questo se non si fa sulla terra, si dovrà fare in attesa di entrare in paradiso, cioè in purgatorio.
Conoscere Gesù Cristo, oh. È molto utile prendere una vita completa di Gesù. Ne abbiamo diverse che hanno il loro valore, ciascheduna. Forse quella che ha più valore tra le cose stampate, è il Tintori, ancora, perché considera il Figlio di Dio ab aeterno, “in principio erat Verbum”, fino al momento glorioso in cui Gesù presenterà al Padre le anime e il popolo da lui salvato con la sua passione e morte e così sarà l'eternità.
Oh, un libro, ma ce ne sono tanti altri. Quando eravamo chierici – io – si leggeva il Capecelatro e si leggeva il Camus, “La vita di Gesù”, molto sviluppata. E ce ne sono ora altre. Vi è qualche vita che è piuttosto critica e vi è qualche vita che è piuttosto pratica. Ho veduto, guardato questi giorni passati, una decina di questi autori della vita di Gesù. Quella che forse è più adatta attualmente per voi, sebbene è un po' monca anche quella, in quanto che non ci dà una cognizione un po' più profonda del Figlio di Dio, – la santissima Trinità, “in principio erat Verbum”, la seconda persona della santissima Trinità e poi la fine, – ma intanto dà già una cognizione sufficiente: Hammer [è] l'autore, che è stato stampato nel 1957 poi di nuovo ristampato.
Oh, allora conoscere Gesù Cristo. Quando Gesù rimproverava gli apostoli, specialmente rimproverava Tommaso: “È da tanto tempo che son con voi”, disse Gesù, “et non cognovistis me?”, “e ancora non mi conoscete?”. E un po' di rimprovero così lo meritiamo anche noi.
Conoscere Gesù nel suo intimo: perché nasce in una grotta in tanta povertà? Perché il Figlio di Dio si umilia così da prendere l'umana carne? Perché quella vita privata e sino a fare il mestiere umile del falegname? E per quale ragione egli predica, egli dà la sua vita per la redenzione degli uomini? e come noi partecipare alla sua redenzione? e quale sarà il dominio di Gesù, quando possederà e avrà raccolto in cielo tutte le persone che l'han seguito, che presenterà al Padre? e quale sarà la nostra partecipazione alla sua gloria, alla sua beatitudine?
“Et non cognovistis me”, “tanto tempore vobiscum sum”, “Da tanto tempo son con voi, ma mi conoscete poco”, anzi lui dice: “non cognovistis me”, “non mi avete conosciuto”. Eh, conosciuto la faccia sì, la statura sì, il vestito sì! ma [era] l'intimo di Gesù che non capivano, non conoscevano ancora e non arrivavano con la loro poca capacità. C'è poi stato lo Spirito santo, quando è venuto a completare.
Anche noi possiamo studiare la storia di Gesù, cioè la vita esteriore di Gesù, presentarla com'è, anche in forma critica: ma è tutto lì? E no! La vita di Gesù è la sua vita interiore, la sua vita come Dio e come uomo, interiore. Come erano i suoi pensieri? Come risultano dall'espressione del vangelo? quali erano gli amori che stavano, che dimoravano nel suo cuore? I fini dell'incarnazione? E come compiva il volere del Padre? e come meritava quella glorificazione “sede a dextris meis”?
Conoscere Gesù. Però siccome anche da queste biografie il concetto preciso non viene sempre dato, leggiamo il Vangelo! leggere il vangelo! E allora cominciando dal primo capitolo di san Giovanni “in principio erat verbum”, sino a quello che la Chiesa ci insegna, quello che san Paolo dice nelle sue lettere, allora sì, c'è già una visione un po' più larga, sebbene noi capiamo sempre quel poco che sappiamo capire e ognuno capisce non secondo la sua scienza, ma secondo il suo spirito, secondo il proprio spirito. Perché vi sono persone che non hanno fatto studi e sono più sapienti che i teologi. E in questo il commento è di san Francesco di Sales e lo leggiamo nel breviario ogni anno, quando si legge la vita – nel breviario – di san Francesco di Sales: il commento che vi dà, il commento che dà per la festa, la festa del Cuore di Gesù.
Oh, noi possiamo allora prendere il vangelo. Vangelo il quale può esser considerato a parte, cioè i quattro vangeli, uno per volta: prima san Matteo, poi san Marco e poi san Luca e poi san Giovanni. O si può prendere il vangelo concordato, in cui è coordinata l'azione: le varie parti della vita di Gesù vengono coordinate: vangelo concordato, e sta bene e ci dà un'idea più completa.
Oh, un vangelo che abbia quel numero discreto di note, e cioè quelle che son sufficienti per far conoscere il pensiero, l'intimo di Gesù; e quelle nozioni che servono a questa conoscenza. Ma quello che importa è di leggere il vangelo, non dei commenti, per cui il commentatore si sostituisce alle parole di Gesù e infine prende pretesto dalle parole di Gesù per esporre le sue cose. No! Occorrono le note, ma le note che siano nella giusta via, <che> quel tanto che serve ad una maggior conoscenza di Gesù, di Gesù, non di quello che sa uno scrittore o un altro, portando lì quello che ha imparato dalla teologia. Conoscere Gesù.
Ora nella visita il libro più indicato, specialmente per quest'anno, è proprio il Vangelo, – nella prima parte della visita – e particolarmente il vangelo concordato.

Oh, questa è la conclusione: conoscere Gesù. E riflettiamo sulle parole: “Oh, se conoscessi chi è colui che ti parla!”: se conoscessi colui che stampi, colui di cui hai una nozione più o meno sufficiente di Gesù. Il libro da leggere è il libro del vangelo.
Oh, ieri sera nell'“Osservatore romano” è stato riportato l'esortazione del Papa a legger la Bibbia e leggerla dal principio, cominciando di là: “In principio il Signore creò il cielo e la terra”, eccetera, “creò l'uomo”; fino alla redenzione: parte dell'antico Testamento e poi il nuovo Testamento; e siano i vangeli e siano le lettere e l'Apocalisse.
Conoscere quindi sempre meglio il mistero della redenzione <che è al cen...> ed è, riguardo al mistero della redenzione, è Gesù Cristo il centro. Poiché la nostra salvezza viene proprio da Gesù Cristo e nei secoli ora si sta applicando agli uomini, perché vi partecipino e godano i grandi benefici della redenzione operata da Gesù.
Conoscere Gesù! domandar perdono! Delle volte si leggono delle sciocchezze, delle cose che son fantastiche, e si ha sete di vedere come riproduce la televisione, la radio, ma...
Conoscere Gesù! conoscere Gesù! E se non lo conosciamo noi, che vogliamo presentarlo agli altri e che gli altri lo conoscano?
Approfittiamo della grande grazia, poiché due sono le consolazioni dell'uomo sulla terra, del cristiano, meglio, sulla terra, dice l'“Imitazione” e cioè: conoscere la Bibbia e conoscere l'Eucarestia. Bibbia la quale comprende tutti i libri speciali e quindi si chiama poi complessivamente il libro, cioè la Bibbia. E sapere penetrar meglio i benefici della redenzione, capir meglio che cosa sia comunicarsi.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-04-06_maria.mp3
durata 23' 35''

Don Giacomo Alberione - Roma ?, 06-04-1963, alla SSP. (ai sacerdoti)

Missione di Maria e missione del sacerdote


È stabilito un paragone tra la missione che ebbe Maria e la missione che ha il sacerdote. Per dedurre se la missione del sacerdote ha ed è una missione che ha somiglianze con Maria, con la missione di Maria, allora [consideriamo:] Maria fu santissima per compiere la sua missione; allora la conseguenza: il sacerdote sia santificato e si santifichi.
Maria è la Madre di Dio, la Madre di Gesù Cristo, corpo fisico di Gesù Cristo e la Madre pure del corpo mistico, cioè delle anime nostre. Lei <è la nost> è nostra Madre.
La maternità universale di Maria vale a dire: Maria è Madre di Cristo uomo-Dio, corpo fisico e del suo corpo mistico. Che Maria sia Madre del Creatore e cioè dell'uomo-Dio, Figlio di Dio incarnato è di fede. Che Maria sia Madre delle creature è sentenza comune prossima alla fede.
Allora, siccome Maria è Madre del Figlio di Dio, che si è incarnato in lei, allora, come dobbiam pensare? La grandezza di Maria ha una certa infinità e, essendo la madre di Gesù, ebbe relazioni particolari con la santissima Trinità.
«Maria, in virtù della divina maternità, entra in relazioni nuove con la santissima Trinità. Come il Padre ha realmente generato ab aeterno il Verbo, secondo la natura divina, così Maria santissima lo ha generato nel tempo secondo la natura umana; come il Padre lo ha generato nella sua sostanza divina, nella sua sostanza divina, così Maria l'ha generato nella sua sostanza umana.
Il Padre e la Vergine, dice sant'Agostino, ebbero naturalmente uno stesso figlio comune. Conseguentemente sia il padre che la madre, cioè il Padre celeste e Maria, rivolti allo stesso Figlio con la stessa bocca e la stessa verità possono dirgli: Tu sei il mio figlio».
Poi relazioni col Figlio. «In forza della divina maternità la Vergine santissima ha contratto con il suo divin Figlio una triplice gloriosissima relazione. Maria consanguinea di Gesù, come è tra la madre e un figlio. E di somiglianza nella santità e terzo di dominio perché ella comandava al Figlio, il quale era subditus.
E terzo: relazione con lo Spirito santo. Maria fu tempio dello Spirito santo per la sua santità, splendido come quello di nessun altra creatura al mondo dopo Gesù. La Madonna fu sposa dello Spirito santo perché concepì per opera sua. Cosicché la Triade augusta è stata la suprema glorificazione di Maria e Maria santissima a sua volta è stata la suprema glorificatrice della Triade augusta. Nessuna persona creata ha ripetuto mai, né mai potrà ripetere in modo più efficace, sia con la parola e sia coi fatti: “Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito santo”».
E poi è madre del corpo mistico che è la Chiesa, che sono le anime. E allora quella relazione o paragone della missione di Maria con la missione del sacerdote: relazione col corpo fisico: il sacerdote dice: “hoc est corpus meum”, “hic est calix sanguinis mei” e produce il Cristo fisico nell'ostia, come quando Maria disse: “Sia fatto di me come tu hai detto”, e cioè l'angelo aveva detto: “ecce concipies et paries filium” eccetera: “et verbum caro factum est”.
Il sacerdote che produce <il corpo> Gesù Cristo, l'uomo-Dio incarnato, quindi Figlio di Dio incarnato, fisico. E produce il sacerdote i figli di Dio col battesimo, perché lì, al battistero, oportet nasci denuo: la seconda nascita, la seconda nascita. Nell'uomo prima figlio dei suoi genitori soltanto e dopo figlio ancora di Dio. E perciò tante volte il sacerdote assolve le anime, il sacerdote distribuisce la comunione e è il ministro ordinario dei sacramenti. Quindi ha una paternità spirituale, il sacerdote, e il popolo per lo più ci chiama padri, perché lo sente, il popolo, quale sia la nostra missione, il nostro ufficio.
Perciò la conclusione. «Essendoci una somiglianza tale tra l'ufficio che ebbe Maria, la sua missione riguardo al corpo fisico e riguardo al corpo mistico, rispetto al sacerdote, nelle sue relazioni col corpo fisico di Gesù Cristo e col corpo mistico, allora si richiede una santità. Maria fu preparata alla sua missione altissima, concepita senza peccato e cresciuta nella santità giorno per giorno, ma i sacerdoti hanno bisogno particolare dell'attività interiorizzante di Maria, per la qualità di contatto che essi hanno con Gesù Cristo e con le anime. È Maria che deve condurli, i sacerdoti, a scoprire la sublimità ed il valore dell'anima in grazia e tempio dello Spirito santo; è lei che deve render dolce, gioiosa e totalitaria la solitudine, facendo loro sentire quanto è soave l'unione col Figlio suo e svelando loro i misteri della sua bellezza interiore. È Maria che deve introdurre i sacerdoti nei tesori infiniti della redenzione e della passione di Cristo contenuti della santa messa e deve far loro intuire l'infinita malizia del peccato e d'altra parte intuire il valore, la bellezza di un'anima che vive in grazia per opera del sacerdote».
E insiste su questo: «Sempre ricordiamoci della nostra dignità e della nostra missione. Maria si santificava a contatto con Gesù Cristo, suo Figlio, negli anni che passò con lui.
Il vangelo ci tiene a mettere in risalto questa nota con un'osservazione profonda, che esso ripete due volte», e cioè: il raccoglimento, come Maria viveva in spirito di raccoglimento, così il sacerdote. E cita i due passi: «Maria teneva a mente le cose cioè i commenti della gente che si riferivano al suo divin Figlio, là, alla culla del bambino, meditandole in cuor suo le cose che sentiva». E poi l'altro, quando di nuovo è detto press'a poco la stessa cosa: «Maria: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo trovarmi nella casa del Padre mio? Ma essi – cioè Maria e Giuseppe – non compresero ciò che egli aveva detto loro, ma la Madre sua serbava tutte queste cose in cuor suo e le considerava”».
Perciò Pio XII ha affidato alla Madonna la protezione dei sacerdoti e dice: «Più gravi le difficoltà nel cammino della santità e nell'esercizio del vostro ministero, volgete fiduciosi gli occhi e l'animo a colei che è la Madre dell'eterno sacerdote ed è perciò Madre di tutti i sacerdoti cattolici. Se Maria ama tutti di tenerissimo amore, in modo tutto particolare essa predilige i sacerdoti, che sono viva immagine del suo Gesù». E continuando nel “Menti nostrae”: «Confortatevi al pensiero di questo amore della Madre divina per ognuno di voi e sentirete più facili le fatiche della vostra santificazione e del ministero sacerdotale. All'alma Madre di Dio, mediatrice delle grazie celesti, noi affidiamo i sacerdoti di tutto il mondo, affinché per sua intercessione Dio faccia scendere una larga effusione del suo spirito che spinga tutti i ministri dell'altare alla santità».

Oh, allora abbiamo da considerare queste esortazioni del Papa: maggior santificazione. Maria fu santissima, purissima, questo è perché doveva essere la Madre di Gesù Cristo e Madre universale per adozione di tutti noi, figli suoi adottivi secondo il volere di Dio. Allora noi pensiamo giorno per giorno: oggi ho da celebrare, produrre il Cristo. Lo toccheremo, diciamo così, parlando, lo produrremo prima. Così consecriamo il calice e guardando che cosa contiene il calice, dopo, quand'è finita la formula della consecrazione, guardiamo: lì c'è il sangue che è stato sparso da Gesù dal Getsemani sino alla lanciata: <“exivit sanguis”> “continuo exivit sanguis et aqua”. Noi abbiam mescolato col vino qualche goccia di acqua. Che cosa abbiamo in mano? Abbiamo il Crocifisso, il Calvario noi. Maria come salì al Calvario, quando raggiunse il Figlio che portava la croce? Quale santità, quali disposizioni, quali pensieri e quali angosce nel suo cuore!
Allora Dio volle che il suo Figlio si incarnasse nel seno di una vergine purissima e santissima. Allora che cosa ci richiede? Perché il Padre ha voluto preparare al Figlio un tabernacolo degno. Allora prima della messa, dopo la messa, prima come preparazione e dopo la messa: il ringraziamento continuato. Perché non possiamo continuare a incoronare di spine Gesù, dopo che lo abbiam prodotto. Occorre che noi passiamo la giornata in delicatezza: pensieri interni e sentimenti e parole, comportamento, l'attività di ministero, di apostolato nel miglior modo, il modo più santo.
Secondo: guardare al ministero che abbiamo, come sacerdoti, riguardo alle anime. Le anime saranno santificate in misura dell'azione sacerdotale per quanto spetta a noi sacerdoti. E non tutti rispondono alla grazia, ma quando per nostra parte è fatto ciò che si doveva fare e si porta la santità nel cuore, per parte nostra abbiamo compito il ministero, l'apostolato e come Gesù ha compito la redenzione: chi l'ha accettata e chi non l'ha accettata. Ma egli l'ha compita, e quindi il premio: “resurrexit, sedet ad dexteram Patris”. Così il sacerdote.
Che cosa abbiam da trattare noi su questa terra? Le persone comuni, gli uomini comuni, cristiani comuni, trattano cose di terra, trattano quel che riguarda in modo particolare il corpo, le necessità della vita quotidiana. Trattiamo qualche cosa di ben più alto: l'anima, in ordine non al tempo, ma all'eternità.
Ecco due ragioni, due motivi che ci richiamano a una santità sempre maggiore. E Maria continuò a santificarsi sempre di più: ogni momento della sua vita, passata con Gesù; e poi anche quando Gesù finì la sua missione terrena, andò crescendo fino all'estremo, fino all'ultimo momento, a morire di amore.
Ci sentiamo uniti e sentiamo che c'è un paragone molto vivo tra la missione di Maria e la missione nostra? Quanta confusione nella nostra anima, quando ci accorgiamo di non essere ancora così santi come Maria! O almeno così santi come sono stati i grandi sacerdoti, di cui la storia ci ricorda i nomi e la vita: sacerdoti: il Pallotti, e poi tanti sacerdoti i quali sono già onorati nella Chiesa; ma il più dei sacerdoti non è menzionato nella storia in generale, ma Iddio li ha esaltati secondo i meriti.
Maria come trattò il suo Figlio? suo bambino? come lo trattiamo noi? dopo che lo abbiamo prodotto per mezzo della consecrazione? e come e con quale delicatezza noi ci comportiamo rispetto alle anime, specialmente nei ministeri, nell'apostolato, il contatto. Sì, i sacramenti operano ex opere operato; ma c'è anche il frutto ex opere operantis? e noi portiamo un contributo, una aggiunta alla grazia sacramentale? la grazia e l'influsso della grazia che procede dal nostro ministero e dalla santità sacerdotale intima? Possiamo ragionare in modo soprannaturale oppure sempre in modo naturale, come se fosse un ufficio ordinario?
La cosa abituale alle volte non ci fa più impressione; ma se noi meditiamo come Maria “conservabat omnia verba haec conferens in corde suo”, allora è tutt'altra cosa la nostra vita.
Facciamo dei propositi. E ci sentiamo confusi di essere elevati a una così grande dignità, a un sì grande ufficio. E ci sentiamo anche più confusi, se non abbiamo fatto la preparazione e non abbiam continuato a migliorare nella nostra vita. Perché dopo l'ordinazione non abbiam continuato forse con tutto l'impegno a santificarci: un'altra ragione di confusione: domandar perdono a Gesù Cristo proprio per mezzo di Maria, al Figlio suo divino, e mettiamo nelle sue mani i propositi nostri sacerdotali. Santificate perché “quia ego sanctus sum”.

Conclusione santissima: oggi giornata serena, giornata che ci prepara alla domenica, cioè per Mariam ad Jesum. Perciò una giornata fruttuosa, santa. Non consideriamo le cose superficialmente, ma profondamente.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-08-00_ssp_messico_Eucaristia.mp3
Durata 3.14

Don Giacomo Alberione - Visita in Messico, agosto 1963

L'eucaristia


Mentre che mi trovo nelle varie case, la mia intenzione della Messa è questa – e sarà anche qui –: e cioè che tutti i membri che costituiscono la Casa, le persone, raggiungano la santità. Perché come accennato non è una visita canonica, ma è una visita fraterna, paterna per la santificazione della casa intera: che si componga nella vita religiosa e per la santificazione di persone religiose, e cominciando dai piccoli, che non si commetta mai peccato e che si progredisca nella fede, speranza e carità.
L’Istituto è nato dall’Eucarestia, e deve vivere dell’Eucarestia, come è nato, e [deve] crescere, crescere, per l’alimento che viene dall’Eucarestia: “La mia carne è veramente cibo”, “la mia carne è veramente cibo”. Crescere!
Il bambino prende il latte, poi prenderà il cibo più solido, e crescerà e arriverà alla maggiore età. Quindi, se volete fare delle persone robuste spiritualmente, forti, che amano il Signore davvero, e cercano la sua gloria e che amano le anime e quindi l’apostolato: lo stesso alimento, l’Eucarestia! Con questo alimento, che è il pane quotidiano eucaristico, si cresce. E per questo prepararsi alla Messa, ringraziamento alla Messa, le adorazioni quotidiane, secondo le nostre Costituzioni, e poi far comprendere come l’Eucarestia è vero cibo ed è stato istituito sotto la specie di Pane affinché intendiamo che è un alimento.
La santificazione che cosa è?
(la registrazione si interrompe qui)

Trascrizione del file: 1963-08-28_saluto.mp3
Durata 10.01

Don Giacomo Alberione Canada, 28-08-1963, ai ragazzi ssp, con traduzione in francese

Saluto ai ragazzi ssp del Canada


Ecco, un salutino! Desideravo tanto di vedervi. Ecco, finalmente sono arrivato.
Ho sentito subito elogio di voi. E cioè che dopo le vacanze, le ferie, siete ritornati in numero completo.
Ora, si potrebbe dire, vi sono visite che si chiamano “canoniche” – vedete che nome difficile! – e vi sono visite paterne e vi sono visite fraterne.
Oh, questa è una visita paterna, per parte mia e poi quanto al Sacerdote don Barbieri che mi accompagna è una visita fraterna.
Siete tutti buoni? Avete superato tutti gli esami?
[Voci bisbigliate. Il traduttore dice: “Sono pochissimi quelli che non sono stati ricevuti agli esami”].
Va bene, ma adesso ripeteranno?
[Il traduttore risponde: “No no, pochi, sono solo tre o quattro che non sono stati promossi”]
Sì, ma anche quelli ripeteranno?
[Il traduttore risponde: «Qui ripetono, Primo Maestro, subito dopo, la settimana dopo gli esami: fan la ripetizione, l'han già fatta»].
Vedete, non scoraggiatevi, anche se vi son difficoltà nello studio.
L’Arcivescovo di Torino, quando era ragazzo, era stato bocciato, rimandato all’esame, e c’era scritto d’accanto: “Forse è inabile agli studi”. E ha trovato sui registri scritto questo, per il suo nome. E allora, fatto Arcivescovo invece a Torino, gli hanno scritto d’accanto: “Ora Arcivescovo di Torino”. Quindi coraggio! Senza spaventarvi perché un giorno, una volta l’esame non è andato bene, non spaventatevi!
Adesso, in questi giorni, quale è il programma? Il Superiore ce lo dice? [Bisbigli]
E poi farete un piccolo triduo di Esercizi spirituali, all’8 dicembre, cioè per l’8 dicembre, per prepararvi.
Vedo anche subito, dall’esterno, che in questa Casa c’è buon progresso. Sì, e come il progresso si vede all’esterno, così tanto più sarà nell’interno.
Oh! «Jesus proficiebat sapientia aetate et gratia»: Gesù – nota il Vangelo, e nota a riguardo di Gesù quando aveva dodici-tredici-quattordici anni e cioè: – progrediva in sapienza, età e grazia.
Oh! Voi crescete, crescete di età, e nessuno si ferma, quanto all’età e gli anni passano anche se noi non ci riflettiamo, non ci badiamo.
Cresceva in età, ma “in età” voleva dire: fortezza, robustezza. Come si cresce nella salute e nella forza fisica e così crescere nella forza morale, nella virtù.
Sapienza: e in sapienza crescerete anche quest’anno, neh, cominciando bene lo studio.
E poi in grazia: più buoni, più buoni, più buoni, crescere in grazia.
Ecco, così, come Gesù, così come Gesù: crescere in sapienza, età e grazia.
Questo era per un piccolo saluto, adesso.
Poi credo che domani mattina potrò parlarvi un po’ più a lungo e più in pratica.
Si è già data la benedizione? [Traduttore: “No”].
Dopo? [Traduttore: “Dopo è ora di cena”].
E allora adesso benedico così, con la mano. E poi dopo, prima della cena canterete il Magnificat per ringraziare il Signore di tutto quello che vi ha dato, di sapienza, età e grazia.

Jesu Magister Via Veritas et Vita,
Miserere nobis!
Regina Apostolorum,
Ora pro nobis!
Sancte Paule Apostole,
Ora pro nobis!
Benedictio Dei Omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti descendat super vos et maneat semper.
Amen
.

Trascrizione del file: 1963-06-10_paolo.mp3
Durata: 29'50''

Don Giacomo Alberione - Albano, 10-06-1964, alle vocazioni adulte

San Paolo


...ricordato san Paolo quando egli si è ritirato nel deserto di Arabia per alcuni anni, occupando quel tempo in preghiera, in lavoro e in opere di penitenza, soprattutto nell'impegno di conoscere, approfondire la conoscenza di Gesù Cristo.
Quando ebbe terminato quella lunga preparazione, non si credette ancora in grado o non era persuaso del tutto di dover cominciare il ministero pubblico, cioè la predicazione: non [era giunto] ancora il tempo di andare di città in città. Si ritirò di nuovo a Tarso, conducendo una vita tutta spirituale, profondamente cristiana.
L'umiltà sua: egli conosceva bene che occorre la chiamata, la vocazione per iniziare un ministero pubblico, la vocazione. Stette umilmente, finché venne il suo cugino ad invitarlo a recarsi in Antiochia e associarsi a coloro che in Antiochia vivevano la vita cristiana e quelli che guidavano la chiesa di Antiochia. E allora, ecco, sentita la chiamata di Dio, la chiamata della Chiesa, ecco: seguì e si mise all'ultimo posto.
Negli Atti degli Apostoli è appunto ricordato che in Antiochia vi era un certo numero di sacerdoti, diaconi. E lui si è messo all'ultimo posto ed è nominato all'ultimo posto: quale umiltà! Egli era così illuminato: poteva mettersi come al primo posto. Umilissimamente!
Non si era quindi mosso a cominciare la predicazione, finché non venne la chiamata di qui, perciò nelle mani della Chiesa e dei presbiteri, cioè di quelli che guidavano la Chiesa. Sentiva nel suo cuore un grande ardore di predicare il nome di Gesù Cristo e andare di città in città, ma stava umilmente sempre docile ad aspettare, aspettare. E ci volle la parola di Dio, l'invito di Dio, l'ordine di Dio: «Mettete da parte Saulo e Barnaba al ministero ai quali ho destinato»: Dio, ci vuol la parola di Dio. E allora “mettete da parte”. E [furono] ordinati vescovi e quindi la Chiesa diede a loro la benedizione e li avviò alla missione e cominciarono a evangelizzare i pagani, predicando di città in città, eccetera.
La docilità: attendere la parola di Dio. Attraverso a chi? al compagno? [Ai] maestri, ai sacerdoti, a quelli che guidano voi.
Così tutti i santi sacerdoti, tutti quelli che han fatto veramente del bene, [si sono messi] nelle mani dei superiori e, guidati, hanno umilmente accettato. E che cosa è stato? In proporzione in cui si è [=sono] lasciati guidare, opereranno nella Chiesa. E hanno operato nella Chiesa. Prendete don Bosco: si è messo nelle mani dei superiori e specialmente nelle mani di don Cafasso, san Giuseppe Cafasso. Il quale lo consigliò, lo guidò, lo aiutò in tante maniere. E qual è stato il risultato? Un sacerdozio veramente fruttuosissimo. E quanti sono i suoi figli adesso e quante sono le sue figlie adesso nel mondo!
Si riesce a misura che ognuno si mette nelle mani di Dio attraverso ai sacerdoti, che sono i rappresentanti di Dio. Mica aspettare che venga una visione, che venga a parlare! Ma [arrivare a] una decisione e cioè una decisione che è obbedienza: decisi di lasciarsi guidare, e in misura che c'è l'umiltà, quando c'è la formazione e la fede. L'umiltà: mettersi nelle mani, aprirsi del tutto, il bene e il male che c'è nell'intimo: e lì è l'umiltà. E poi credere alla parola che vien detta, seguire.
Perciò umiltà e fede, se si vuole riuscire a qualche cosa. Lasciarci guidare in tutto, specialmente nell'intimo, nello spirito. E ci son le tentazioni, e ci sono le difficoltà, e c'è l'orgoglio e la superbia, e ci sono ancora quei che fanno sentire magari degli spropositi. E così alle volte sentono e ascoltano gli spropositi che vengono detti. Ma chi vi guida: un compagno o coloro che hanno la missione – il sacerdote – di guidare? Come uno diviene strano in mano a dei compagni, i quali alle volte non sono proprio quelli migliori! E tanto meno i migliori, ma anche quegli stessi compagni, non sono i maestri: i maestri sono i sacerdoti. Come si impara il greco o si impara il latino? Con le regole che vengono date, spiegate dal maestro. C'è la grammatica, l'impariamo; ma la spiega il maestro e la applica e fa fare gli esercizi di traduzione perché si provi. E così si fanno gli esercizi di umiltà e gli esercizi: “Pròvati a vincere quella tentazione, pròvati a vincere quelle tendenze”: eh, le prove! come si fan le traduzioni per imparare; così le prove: obbedienza, carità, bontà, fedeltà, docilità, pietà eccetera. Nessuno ha la missione ancora di guidare e di insinuare pensieri e propositi e desideri e tendenze eccetera, nessuno finché non si abbia l'ufficio; [l'avrà] quando sia stato dato l'ufficio, quando ci sarà l'ordinazione e sarà uno mandato: “Va', compi questo ufficio, questa missione”.
Quanto si è stolti a seguire compagni, quando poi sono i meno buoni! Che stranezze! come facilmente ci son le deviazioni!
Allora cosa fare?
Aprirsi totalmente, non da chi è in giro, ma da chi è dato per voi qui. Sì che sanno bene quella che è la vostra vita e quelle che sono le difficoltà e quello che è necessario. Come fanno e come conoscono la maniera di formare? No, sanno altre cose, ma non sono i vostri consiglieri, sicuro.
Ora da chi andate a mangiare, se non in casa?
Lo stesso! non solo che cresca la statura perché si mangia e perché si conserva la salute e perché ognuno si irrobustisca e possa fare. Andate a cercare il pane per strada? Oh! Così per istrada quando uno ascolta quello l'altro, sì, quelli che non han missione e poi anche coloro che avranno alle volte sì anche degli uffici, ma non per voi: sarà un parroco, ma non è per voi.
Una volta scelta l'istituzione, mettersi! Come si aspetta la minestra e si aspetta la colazione, si aspetta la merenda, lo stesso! – [inciso, probabilmente rivolto a chi chiude la finestra:] sì, chiudi un po' di là – come aspettate andare a scuola e prendete lì la grammatica o la storia, eccetera, quello che vien dato; e quello che viene avviato nell'apostolato per formare lo spirito di zelo, di zelo: cioè produrre quello che serve alle anime e così formarsi lo zelo. E si dimostra nell'amore all'apostolato. Perché al sacerdote occorrono tre cose: santità, scienza, apostolato.
Guai a chi dà scandalo, specialmente in ordine alle vocazioni: “meglio che si metta al collo una pietra grossa e vada a immergersi nel mare”, come è l'espressione del vangelo.
E poi più stolti sono coloro che si lasciano guidare da chi non è capace e non ha la missione: e allora si ha un cieco che conduce un cieco.
Altro male è il chiudersi come se uno dovesse lui soltanto guidarsi. Ma no! Tutti i santi hanno una guida, tanto più quelli che sono ordinati a una professione religiosa e a una vita sacerdotale. Ecco.
Stolto... perché si dice che è stolto? Siccome non si sa, non si è ancor fatto la via, la strada, la vita, ancora no, allora bisogna chieder al strada. Se uno parte con la macchina ed ha una meta, supponiamo uno va a Milano, e se non ha ancor fatto la strada, bisogna che domandi! prima di partire: da che parte orientare la macchina; e poi quando ci sono due strade, bivio e qualche volta trivio, ci son tre strade, magari anche quattro, – in una strada qui vicino ci son quattro strade in sostanza –, allora si domanda: ecco l'umiltà. E fede! Se c'è l'atto di umiltà, allora il Signore illumina chi guida e illumina chi viene guidato e accetta.
E non che uno si fissa: “Ah, ma io passo da quella via: è più bella!”. “Di' un po': e se vai all'opposto? oppure invece che andare a Milano vai a Torino oppure in altra direzione?”. Qui c'è un punto fondamentale della formazione, eh!, fondamentale.
Quindi camminando diversamente o che si è ciechi e uno è superbo e si chiude in sé e non domanda, non si apre, non espone le sue cose interiori, i suoi desideri, le difficoltà, ecc.: questo: il cieco conduce un cieco quando uno conduce se stesso. Secondo: cieco che si affida a un altro cieco, cioè a uno: lui è cieco e l'altro non ha ancor l'esperienza e non ha la missione: ecco un cieco che guida un altro cieco. Prima è un cieco che guida se stesso; e quando è un cieco che vada per istrada, cosa capiterebbe? Da sé. E poi se è un altro cieco, è un cieco che guida un cieco. Se poi è uno che non solamente non esegue, ma vuole insegnare agli altri, vuole insegnare agli altri a pensare nelle sue espressioni e poi allora [ha] l'orgoglio di insegnare agli altri: non è solamente cieco, ma si aggiunge l'orgoglio. E allora, se uno segue un orgoglioso, che quasi vuole imporsi, vuol trascinare gli altri, con le sue ricreazioni, con i suoi discorsi, eccetera, allora la cosa è più grave ancora.
La docilità: nelle mani bisogna mettersi, come la pasta molle: <che allora> la pasta può essere lavorata e potrebbe essere una pagnotta e potrebbe essere un grissino, potrebbe prendere una forma o un'altra. Lasciarsi formare, lasciarsi formare! L'espressione di san Giovanni Bosco era questa: “Se è vero che ho la vocazione, mi faccia un abito da prete”, cioè tagli – voleva dire cioè – la forma di un sacerdote; cioè voleva dire: l'intimo: voleva essere formato. E come si è lasciato formare! e quale riuscita! Certamente lui ha avuto una superiorità su tanti vescovi, che sono nelle diocesi. Oramai ha case in quante nazioni! e quanti sono i suoi sacerdoti! e i suoi discepoli! che tra loro si chiamano fratelli.

Oh allora ecco: occorre orientarsi bene e imparare da san Paolo.
Quali sono i risultati poi nella sua vita? “Deus qui multitudinem gentium beati Pauli apostoli predicatione docuisti”: “O Signore, che hai eletto Paolo a predicare a una moltitudine di popoli”, non di persone, perché andava di regione in regione, popolo da popolo.
Si riesce in proporzione dell'umiltà e fede in chi guida, in chi guida, perché è illuminato da Dio, ha quella missione lì, di far quello.
Ma essere così? Ho l'appetito per il corpo, ho la fame e trovo e mi danno e prendo il pane. Per far merenda vado nella casa del vicino? Bisogna proprio che ci sia la rettitudine, la saggezza. “Diventate un po' sapienti, un po' saggi e non più fare i fanciulloni!” diceva quel predicatore: “Oramai dovrete essere un po' sviluppati”.
Notando che Gesù stava sottomesso alla mamma fino a trent'anni quando incominciò il ministero pubblico. Da chi si impara se non da Gesù Cristo, da san Paolo?
Basta, adesso! A san Paolo chiedete questa umiltà, per sapervi aprire docilmente. “Eh, ma mi costa sacrificio!”. Eh, certo! ci costa a tutti sacrificio per farci santi e tanto più per raggiungere – e anzi più – per raggiungere quella che è la volontà di Dio nella vocazione: quella è virtù. E poi aver la fede: “Qui mi ha parlato Dio e basta”. E chi mi ha parlato? Colui che ha i lumi da Dio e ha le grazie, perché gli ha assegnato quell'ufficio e perché opera in carità e solo in amore, per fare del bene, per chi consuma i giorni e la vita, le fatiche, i giorni e la vita stessa.
Oh! Chi trova un amico trova un tesoro. E l'amico è assegnato da Dio: è chi guida.
Non vorrei che questo fosse come una cosa secondaria, perché è una cosa essenziale. Uno se è duro, è come una pietra: non prende forma. Bisogna che si sia docili, docili e umili. E fede! E allora il Signore ci guiderà bene. E su quella strada che vi è indicata troverete le grazie necessarie. Si troveranno delle difficoltà, ma si supereranno e si camminerà nella strada giusta e si arriverà a destinazione, dove si vuole arrivare. Prima nella via che il Signore assegna a ciascheduno e poi quello che è assegnato è il Paradiso, la meta ultima, la meta ultima.
Ma poi bisogna aggiungere questo: che si finisce mica di essere docili e farsi consigliare: fino all'ultimo dobbiamo consigliarsi, domandare parere e credere che coloro i quali hanno l'incarico di guidarci, ci guidano. Un giorno...
Ecco adesso basta perché è passato il tempo. Ma fate un po' i propositi: pensate un poco come siete aperti, come siete docili, pensate un po' se qualcheduno azzarda dei pareri suoi, magari strani. Si devono ascoltare i migliori, si devono ascoltare coloro che son dati dal Signore a guidarci. E poi se ci sono di quelli che possono essere esemplari, cioè coloro che seguono bene, allora saranno di buon esempio.
Un po' di riflessione: come vi trovate realmente in questo? Alle volte vi sono delle ondate di chiacchiere che sono proprio stranezze e vi sono le parole che sono buone, che sono di edificazione. Ma, comunque sia l'ambiente, [a] coloro che sono destinati a guidarci aprirci con umiltà! e credere che il Signore illumina chi ci guida! E anche se si sbagliasse una volta, il Signore poi fa camminare lo stesso bene: e cioè illuminerà più tardi e guiderà di più e si guadagnerà tempo e si riuscirà. Ma ci vuole proprio fede, non tutti questi ragionamenti umani, che... Ma qui sono condizioni soprannaturali, la vostra vita e il fine a cui tendete. Cosa c'entrano coloro che non hanno missione in questo?
Fate un po' i propositi su questo riguardo. E poi domandate al Signore e poi aprirvi tutti: sì, lasciarvi guidare! E lasciarsi guidare non vuol dire solamente andare a orario: eh c'è lo spirito dentro, il più, da guidarsi. Perché anche i soldati si lasciano guidare da un ordine e se non seguono, ci son le prigioni, ci sono i castighi. Ma è lo spirito interiore che ci deve guidare qui: guidare perché dopo con la libertà di spirito si segua. Sì, non si è dei soldati, né dei collegiali. Obbediscono anche nei collegi, dove magari ci sono collegi di atei, gente che non ha religione; ma qui è tutt'altra cosa. Ed è tutt'altra cosa la missione, la vocazione.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-08-29_confessione.mp3
Durata 19.57

Don Giacomo Alberione Canada, 29-08-1963, ai ragazzi ssp, con traduzione in francese

Confessione e comunione


Predicare in due ha più valore, rimane più impresso e viene quindi meditato più facilmente.
Ieri sera ho parlato: «Gesù cresceva in sapienza età e grazia».
Ora crescere in Gesù Cristo, crescere come Gesù.
Ora, per crescere in Gesù Cristo, specialmente, vi sono due mezzi per crescere in sapienza età e grazia, vi sono molti mezzi: la lettura spirituale, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, ecc. Ma i due mezzi che hanno più valore e che sono veramente sacramentali sono la confessione e la comunione.
Questi due grandi mezzi sacramentali [sono stati] istituiti da Gesù Cristo e confermati e predicati continuamente dalla Chiesa.
Per praticare e usufruire questi due mezzi: confessione e comunione. Ottime confessioni, ottime comunioni per crescere in sapienza età e grazia.
Perché, per crescere in sapienza età e grazia, prima bisogna togliere ciò che impedisce. Se uno è malato, non può crescere, non può irrobustirsi e allora togliere prima i mali: quindi la confessione. Togliere le cattive abitudini, primo togliere il peccato, poi correggere i difetti: questo è specialmente da farsi per mezzo della confessione.
Tutti i giorni si fa l’esame di coscienza ma l’esame di coscienza è ordinato alla confessione, è preparazione quotidiana alla confessione che poi... che giorno? [il traduttore risponde: “al venerdì”] al venerdì.
Sì, togliere quindi il male! Buone confessioni! Non sono le confessioni lunghe che correggono i nostri difetti, è il dolore in primo luogo e poi il proposito. La lunghezza non va tanto nella confessione, quanto nella preparazione.
Quindi non solo l’esame di coscienza che già si fa tutti i giorni, ma la riflessione e la preghiera per avere il dolore e con il dolore vi è sempre unito il proposito.
Non è il confessore che ci santifica, lui con il ministero ci assolve dai peccati, ma siamo noi che dobbiamo correggerci.
L’impegno deve essere in noi, la buona volontà, che poi è il proposito. Allora ogni settimana si può verificare se abbiamo fatto meglio, prima, nella settimana antecedente, oppure siamo andati indietro, oppure abbiamo migliorato. Poi, tanto meglio questo se ogni mese nella confessione mensile, nel ritiro mensile, tanto meglio, possiamo constatare se c’è stato progresso o non c’è stato.
Ho progredito nella preghiera? ho progredito nello studio? ho progredito nell’apostolato? ho progredito nella formazione, nel crescere? crescere cioè in ubbidienza, in carità e poi in tutte le virtù specialmente la fortezza, arrivati a un certo punto della vita.
Vi sono azioni dove occorre di più una virtù, più necessaria, in altre un’altra virtù.
Specialmente la fortezza. “Scrivo a voi - dice S. Giovanni - scrivo a voi giovani perché siate forti”. Resistere al male e seguire quello che vi viene insegnato nell’Istituto.
Togliere le malattie, quindi togliere il male che, ad esempio uno non avesse lo stomaco a posto. Tolto il male, allora il nutrimento è la comunione. Se uno non ha dei mali, allora si nutre e il cibo gli fa bene. Allora la comunione frequente è l’alimentazione dello spirito per crescere in sapienza, età e grazia.
Tolto il male allora il cibo ci fa bene, le comunioni danno frutto. Ecco, noi abbiamo il cibo per il corpo: “Da’ a noi il nostro pane quotidiano”. Ma ha voluto Gesù darci anche un pane per l’anima: “Prendete e mangiate: questo è il mio corpo”: ecco l’alimento per crescere. Crescere allora in sapienza, età e grazia.
Quando si fan delle belle comunioni, se il Signore ha dato a un giovane la vocazione, il giovane avrà forza a corrispondere. Chi non fa bene le comunioni, non può corrispondere alla vocazione. Ecco allora il cibo, “Panem nostrum quotidianum” per l’anima anche se vogliamo ricevere la comunione ogni giorno. Non è obbligatoria, ma quanto più uno meglio si ciba, si nutre tanto più si conserva e cresce nelle sue forze.
Dice Gesù: “Il pane che vi darò è il mio corpo. Il mio corpo è veramente cibo. Chi non mangia la mia carne non avrà la vita; chi mangia la mia carne avrà la vita”. Tutti i santi per crescere in santità si sono nutriti di questo cibo divino.
Perché cantate “Il Pane Eucaristico”, “Panem del coelo prestitisti eis”?
Ora, non tutti capiscono l’importanza della comunione; quando l’han sentito, gli Ebrei, quando han sentito Gesù che parlava di dare in cibo la sua carne, si son meravigliati, si sono allontanati, molti di loro. Credevano che fosse una pazzia. Ma Gesù ha confermato: “Chi mangia la mia carne avrà la vita, chi non mangia la mia carne non avrà la vita”.
Ecco, a una certa ora andate tutti a tavola, al mattino, a far colazione; ecco la mensa, qui, prima; ecco la mensa qui alla balaustra, chi vuole nutrirsi fortificarsi, ecco la mensa.
Che cosa compie il Sacerdote? Presenta l’Ostia: chi vuole, ecco, può nutrirsi.
Negli Istituti, i quali non guardano la crescita soltanto nello studio, nella salute, ma crescere nell’anima, ecco al mattino, prima mensa, prima tavola, la balaustra.
Oh! Perché il cibo faccia bene bisogna che lo stomaco sia ben disposto, quindi preparazione alla comunione. Dopo che avete mangiato si fa ricreazione per digerire. Il ringraziamento alla comunione è per la digestione: digerir Gesù!
Perché quale è la digestione? Aumento di fede, di speranza e di carità: le virtù teologali.
Perché tanto cresciamo in santità quanto crescono in noi la fede, la speranza e la carità.
Vi sono giovani che usciti dagli Istituti Religiosi fanno vita non buona, perché non è cresciuta in loro la fede, non è cresciuto il timore del peccato, la paura del peccato.
Nel libro che stavo meditando in questi giorni, dice “La teologia della perfezione”: «La grazia più grande di un sacerdote e di un giovane, la grazia più grande è acquistar l’orrore al peccato». Orrore del peccato! In maniera che poi, quando uno si confessa, ha un vero dolore se ha mancato.
Ecco dunque i due grandi mezzi sacramentali, quindi più di tutti gli altri mezzi: buona confessione, buona comunione. Ecco il proposito di stamattina.
Adesso io celebro la Messa, e raccolgo tutte le vostre intenzioni per presentarle, per mezzo del calice, a Gesù. Ma, come in tutte le altre Case, sempre, celebro la Messa, la Prima Messa che celebro in una Casa, per la santificazione della Casa e dei membri.
Io applico la Messa in questo senso. Ciascheduno ha le sue intenzioni.
Perché questo è lo scopo per cui quest’anno sto visitando le Case: celebrare la Messa in ogni Casa per la santificazione della Casa che vuol dire dell’Ordine, e poi di ciaschedun’anima, di ciaschedun membro della Casa.
Chiamate Maria, che vi dia la grazia di fare sante confessioni e sante comunioni.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-08-29_pieta.mp3
Durata 27.44

Don Giacomo Alberione Canada, 29-08-1963, alla ssp

La pietà, amore alla preghiera, perseveranza, unione


Il ritiro mensile deve avere una conclusione, la conclusione è questa: «oportet semper orare et numquam deficere», “è necessario sempre pregare e non trascurare mai la preghiera”.
Si usa dare avvisi quando si è visitata una Casa, ma è bene che ognuno prenda la luce dal Tabernacolo, da una parte; dall’altra parte vi è l’esame di coscienza, per cui ognuno conosce sempre meglio se stesso.
«Quidquid orantes petite», “qualunque cosa chiederete al Padre in nome mio, vi sarà data” dice Gesù.
Ecco, avvisi possono cadere, cadere dalla mente e quindi venire dimenticati dalla memoria. Ma ogni mattina, quando andiamo in chiesa, quando il nostro sguardo si incontra con il Tabernacolo, ecco, lì Gesù ci illumina e ci fortifica.
Appena il segnale della levata, «Magister adest et vocat te», “il Maestro è presente e ti chiama”.
Allora, questo deve essere impresso nella mente di ognuno. Dare la prima importanza, la prima e la principale importanza alla pietà, alla pietà. Perché? Perché il Signore ha detto: “Qualunque cosa chiederete...”, e allora ogni bene viene dal Signore, «a quo bona cuncta procedunt»: da Dio, “da cui procede ogni bene”.
La pietà. In primo luogo dare alla pietà l’importanza che merita. Come la prima parte di tutta la formazione e di tutta la vita religiosa. La prima parte. Perché se son quattro le parti – e cioè: spirito, parte spirituale; poi la parte intellettuale; poi la parte apostolica; e poi la parte di formazione, in particolare la povertà, – ma prima sta proprio la parte spirituale.
Come va una Casa? Quale risultato darà? Quando c’è la fiducia in Dio, la Casa va a misura che c’è la pietà. E come va un’anima, come va quel figliuolo? Come va quel religioso? Secondo che prega. Si capisce, la preghiera vera, non una esteriorità di canto o di vociferazione, ma quella pietà che si fonda sull’umiltà e sopra la fede.
L’umiltà, perché da me nulla posso: ecco l’umiltà. E secondo: ma con Dio posso tutto: con l’aiuto di Dio, la santità; con l’aiuto di Dio, la corrispondenza alla chiamata, alla vocazione.
In primo luogo l’umiltà. Quando noi siamo già persuasi di esser abbastanza illuminati, di aver studiato abbastanza, di sapere come dobbiamo regolarci, ecc., quando c’è questa persuasione, non si sente il bisogno di Dio. Bisogna saper rinunciare a molte nostre idee, a molte nostre idee. E quando uno crede che la propria sua idea, il suo metodo, il suo comportamento sia sufficientemente buono, allora non si è disposti a sentire la voce di Dio, che passa anche attraverso i Superiori, quella voce di Dio che viene dal tabernacolo: “Signore, illuminatemi!”, e Gesù: “Di qui voglio illuminare”. Il tabernacolo, ecco: “Di qui voglio illuminare”. “Signore, illuminatemi!”. Quindi: l’umiltà.
E poi l’umiltà che riguarda le nostre debolezze. Sappiamo bene quanto siamo deboli, fragili. E allora chiedere a Gesù la forza, la grazia, specialmente usando bene i due sacramenti: la Confessione e la Comunione.
Prima di partire dall’Italia, ho preparato la circolare, cioè il numero del “San Paolo”. Riguarda i due grandi mezzi, cioè Confessione e Comunione, di cui abbiamo già fatto una meditazione.
Poi la fede in Dio, fede. La fede che il Signore vuole donarci tutte le grazie necessarie per il nostro stato, tutte le grazie. Perché se il Signore ha chiamato uno al suo servizio particolare, [se ha] chiamato uno perché venga un giorno a consacrarsi al Signore e per vivere la vita di consacrazione, ci sono certamente preparate le grazie. Il Signore non fa le cose a metà. Se chiama uno, dà gli aiuti, le grazie necessarie. E, sul cammino della vita, si incontrano poi tutte le grazie che sono necessarie giorno per giorno. Quindi, la fede in Dio.
La fede. Posso farmi santo, prima cosa; secondo: imparare tutto quello che è necessario per la nostra vita in particolare; poi, perché noi sappiamo capire l’apostolato, diversamente viene un lavoro, non un apostolato; e poi tutta la formazione; e la formazione a che cosa? Non ci riferiamo soltanto ai bambini che sono entrati o che entreranno, o soltanto fino a quando si è arrivati o all’ordinazione o alla professione perpetua. La formazione comincia, più completa, lì: dal giorno dell’ordinazione o della professione perpetua, perché ci prepariamo al Paradiso! La vita è il noviziato del Paradiso. E allora sentiamo il bisogno di progredire sempre di più nella pietà, e sempre di più impegnati a purificarci e a vivere in Gesù Cristo. Sempre meglio. Fede! Fede!
Chiamati a particolare santità, chiamati a particolare santità: questa è la vocazione. Cioè non solo santità del buon cristiano, ma la santità del religioso, della religiosa.
Perciò, la stima della preghiera. Nessuno pensi che sia tempo meno importante, oppure che nessuno pensi che siano importanti le altre cose e poi la preghiera, magari, messa all’ultimo. Capire il valore della preghiera: l’onore, la lode che si dà a Dio, e l’intercessione, cioè la supplica per le grazie. Importanza alla pietà.
Secondo: fedeltà alla pietà.
Fedeltà: non sottrarre neppure un minuto.
E quale pietà? Le nostre divozioni, in primissimo posto, e cioè: la divozione a Gesù Maestro, capirla sempre meglio; la divozione alla Regina degli Apostoli, siamo ordinati all’apostolato; e poi la divozione a San Paolo, che fortifica. Le nostre divozioni in capo a tutto.
Il libro delle preghiere, che avete, ecco: lì cercare in primo luogo le grazie di cui abbiamo bisogno noi. Non c’è da guardare chi fa altre cose, chi ha altra vocazione, chi appartiene ad altro Istituto! Paolini essere, paolini!
Ognuno merita lode quando vive la sua vita particolare: il gesuita deve vivere la sua vita, il salesiano la sua vita, così il trappista vivrà la sua vita.
Sentirsi paolini: quello che c’è nelle Costituzioni, quello che si domanda al Signore per mezzo delle preghiere nostre, e quello che deve essere seguito nella parte intellettuale e apostolica e formazione, formazione fino alla professione, all’ordinazione, e comincia la preparazione, la formazione al Cielo.
Quindi dare la massima importanza alle nostre divozioni.
Si introduce questo, si introduce quello: allora si è di nessuno! Ma noi siamo di Gesù Cristo Maestro e di San Paolo, maestro e modello e protettore, e della Regina, di Maria, sotto questo titolo, sotto questo titolo. Questo è da portarsi da noi al mondo, e prima viverlo affinché dopo possiamo dare agli altri.
Ecco, allora, domandare le grazie necessarie; e fra le grazie la prima: amare l’orazione. Poi, quando si ama l’orazione, allora, si ottengono dal Signore le grazie. «Ma qui si fa così, là si fa...”. Si fa quello che è l’Istituto! Non è mica un Istituto il quale non sappia la sua via, il suo spirito, no! Abbiamo la via precisa e c'è l’approvazione che viene dalla somma autorità della Chiesa. E quindi la nostra direzione spirituale è quella, ecco: per vivere sempre meglio la vita paolina.
Ora, domandare le grazie, ad esempio: molto amore alla Bibbia. Qui bisognerà sempre insegnarlo meglio. La rivelazione procede da Dio, proceduta da Dio, la Parola di Dio che salva. E la Parola di Dio viene a noi attraverso la Scrittura e attraverso la predicazione della Chiesa.
Ma noi, in particolare, dobbiamo dare la Parola di Dio scritta, poi il sacerdote ammonisce anche la Parola di Dio orale.
Se si legge la Bibbia, si capisce che lì c’è la rivelazione di Dio, i quarantasei libri dell’Antico Testamento e poi, in particolare, i ventisette libri del Nuovo Testamento.
Come si fa lo spirito di apostolato? Come si viene a capire a che cosa serve quella macchina? Non si è mica degli operai, ma degli apostoli.
E allora , se si capisce che la rivelazione in particolare ci viene dalla Scrittura, ecco, noi, in particolare, daremo importanza alla Parola di Dio stampata. Oh, si può aggiungere quella del cinema, si può aggiungere quella della radio, della televisione; ma intanto, per ora, avete specialmente davanti questo compito: che tutti leggano la Bibbia, in primo luogo il Nuovo Testamento, poi, successivamente, l’Antico Testamento.
Domandare al Signore la grazia di formare delle persone veramente illuminate. Lo studio sia fatto bene. E non si confidi solamente che s’impari perché vi è [=vi sono] tante ore di studio, tante di scuola. La fiducia anche in Dio, in primo luogo! Perché il Signore, chiamandoci a un apostolato, che è un apostolato che ha bisogno dell’istruzione, allora ci sono [= ci dà] anche le grazie preparate per lo studio.
E sempre, allora, tenere presente questo bisogno che abbiamo della grazia, della luce di Dio.
Chiedere al Signore la grazia di saper formare dei paolini, e formarli non con delle carezze o le mani addosso, ma con l’istruzione e l’educazione alla vera virtù, alla vera virtù. E poi portare nel cuore e portarli all’altare, i nostri.
Sì, dopo cena, ci son le orazioni. Finite le orazioni, finito: nessuna comunicazione con i giovani! Si faccian dormire! E al mattino, invece, buone meditazioni, in comune.
Poi domandare al Signore la grazia della perseveranza, della perseveranza. Perché, fatta la professione, è l’inizio della vita religiosa, della vita di santificazione. Se invece si crede: “Ora é fatto, ora sono arrivato”, è come arrivare in tipografia: basterebbe? o che arrivassero le suore in cucina, basterebbe? [Sono] arrivato in tipografia per fare apostolato; da quel momento in cui si è entrati e si è detta la preghiera, dopo si fa l’apostolato. E se sono arrivate in cucina non è per guardare i tavoli, ma è per preparare. Così la vita religiosa. Così la vita religiosa.
Perché: “C’è questa spiritualità, c’è quell’altra spiritualità”... avverte la Teologia della perfezione - ottimo libro - avverte: “Guardatevi da queste discussioni spirituali, e da queste discussioni di metodi, ecc., non perdete il tempo: l’educazione è unica, è la cristiana, quella cioè che risulta dal Vangelo”.
Ho sentito nell’adunanza dei Superiori – ha parlato, ha fatto la meditazione ai Superiori generali e chi teneva la predica era un Gesuita, il quale aveva già grande esperienza, quaranta anni di ministero, e poi è stato in varie Nazioni con incarichi delicati –: “Non c’è che una spiritualità: è quella del Vangelo. E non c’è un’educazione [secondo] quello che in insegna il tale autore o l’altro: c’è solamente il Vangelo! L’educazione è quella”.
Ecco, allora noi abbiamo la formazione sul Vangelo, sulle parole di Gesù, sui suoi esempi e come ci è presentato Gesù Cristo da san Paolo. E quindi è lì lo spirito paolino: conoscere e seguire Gesù Maestro, Via, Verità e Vita, come ce lo presenta san Paolo, specialmente nelle lettere agli Efesini, le lettere ai Colossesi, e potremmo mettere a capo la lettera ai Romani e poi un po’ tutte. Per parecchi ci sarebbe bisogno di leggere la lettera agli Ebrei sul sacerdozio.

Oh! Domandare l’unione tra di voi. Vedete: sento che lasciando i nostri, partendo dalle Case, dopo le visite, credo che sia mio dovere fare come ha fatto Gesù. E cioè: quando partì dal Cenacolo per andare a iniziare la passione, là, nel Getsemani, fece quella preghiera che si divide in tre parti: la prima riguarda il Padre, poi pregare per gli Apostoli, poi pregare per tutti quelli che avrebbero creduto agli Apostoli. Ma quale è stata la grazia che Gesù domandava di più in quella preghiera? L’unione, l’unione. “Ut unum sint” e una volta, e poi “Ut unum sint”, la seconda e la terza e la quarta volta: quando Gesù chiede quattro volte, nella stessa preghiera, lo spirito di unione.
Ecco: prendere ciò che viene da Roma, essere uniti a Roma. Secondo, prendere in ogni Casa quello che il Superiore... – che veramente è meglio che si chiami non Superiore ma Maestro, ma, ad ogni modo, quello è il senso, quello che noi diamo anche alla parola Superiore, cioè Maestro. –
L’unione. “Ma, questo e quello”... Si fa quello che è detto! Si prendono gli uffici che sono adatti e si segue l’indirizzo nella pietà, e nelle scuole, e nella formazione, e poi in tutta la vita religiosa. Uno: “Si dovrebbe far questo, si dovrebbe far quello”... Si possono fare tante cose buone, ma intanto ce n’è una determinata, e non si può: “Io faccio la cosa perché è buona” e l’altro dice: “Io faccio un’altra cosa perché a me pare che sia buona”. Se ne prende una e si cammina! Diversamente non c’è l’“unum sint”: unione di pensiero, unione di parole, cioè lodare quel che è da lodare e lodare quel che è disposto. E poi il modo formare gioventù, di far le scuole, di aver la pietà, e poi tutto quello che riguarda l’apostolato e la vita dell’Istituto in generale e della Casa in particolare.
“Ut unum sint”, “ut unum sint”! Se Gesù ha fatto così, come suprema sua preghiera, “Pater venit hora” ecc., – che è bene ripeterla questa nella visita –, se Gesù ha fatto così, ecco, devo farlo anch’io, “ut unum sint”. E basta.
Il Signore ci illumini specialmente sopra il bisogno della preghiera e ci dia le grazie, le disposizioni necessarie perché la preghiera sia ascoltata.
Umiltà! Ho bisogno di Dio! Sotto ogni aspetto.
Secondo: e Dio mi ha preparato tutto, ma vuole che chiediamo, vuole che chiediamo. Egli ci dà tutto, ma a condizione che abbiamo fede in Lui, che abbiamo fede.
Preghiera vera: quella del pubblicano.
Preghiera vera: ancora del pubblicano che ebbe fiducia in Dio e tornò a casa santo, cioè giustificato.
Pregare con le dovute disposizioni: umiltà e fede.
Adesso la santa Messa, tanta umiltà, portare alla Messa, e tanta fede portare alla Messa.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-08-29_vita.mp3
Durata 24.40

Don Giacomo Alberione Canada, 29-08-1963, alla ssp, manca il finale

La vita religiosa, la vita come preparazione al cielo


...arsi e ritrovarsi dopo un certo tempo e soprattutto constatare i passi che si sono fatti in questa Nazione da parte della Pia Società San Paolo, come ugualmente, a fianco, le Pie Discepole, le Figlie di San Paolo.
Ho trovato la casa ordinata, unita, come deve essere sempre unita una società. La vita religiosa è una vita che deve sempre essere accompagnata da grande gioia, letizia, perché è la preparazione più diretta al Paradiso: la vita religiosa; poiché nella vita religiosa ci si allontana dal male, si tolgono molti attaccamenti e d’altra parte l’unione sempre più intensa con Dio, preparazione diretta al Paradiso: la vita religiosa.
Ogni Istituto è una società. Ora, una società deve vivere in che maniera? Membri che sono uniti nelle stesse intenzioni, gli stessi fini e collaborano sotto la guida di chi è a capo della società. Ordine, e ho udito che si prega. E quando c’è Dio con noi, che cosa ci manca? E se non c’è Dio, che cosa abbiamo? Dio è la ricchezza, di aver Dio, sommo Bene, eterna felicità.
Poi, ho notato l’organizzazione dello studio e il lavoro vocazionario, compìto sia per il reclutamento come per la formazione, e anche molto lodevole e molto felice questo: il Noviziato, il quale nel prossimo anno avrà un numero buono di membri.
Ho veduto anche l’apostolato, apostolato che si compie con buono spirito, con dedizione e la produzione è buona, meglio scelta.
Nelle librerie si lavora con ordine, con la prudenza che è necessaria perché il risultato sia buono.
La libreria è una chiesa, il banco è un pulpito. Ecco.

Stasera come argomento un pensiero generale: la nostra vita. Che cosa sia la vita, a cosa sia ordinata la vita, e come dobbiamo svolgere la nostra vita secondo i disegni di Dio.
La vita. La vita nostra bisogna che sia considerata sempre nel complesso. È un grande errore [quello] di coloro che pensano alla vita presente soltanto, e non pensano insieme alla vita futura. Non sono due vite, ma sono una vita.
Dio è eterno. In principio è la terra. E Dio come non ebbe principio non ha fine. Ma la nostra vita ha avuto un principio: siamo stati creati, la nostra vita è cominciata e avrà termine.
La nostra anima è immortale e per misericordia del disegno di Dio, secondo la Redenzione, anima e corpo si dovranno riunire e ricevere insieme quel tanto che nella vita presente si è meritato. La vita vera è la vita eterna: è vita di felicità, di gioia, di beatitudine, ma la vita eterna si prepara di qua.
Sarà felice la nostra vita? sarà infelice la nostra eternità, la nostra vita al di là?
Ecco la grande domanda.
Io che cosa voglio trovare al di là? L’anima si presenta al Giudizio, perché così è la Rivelazione, sì, la Rivelazione. Perché c’è un Giudizio particolare e c’è anche un Giudizio universale: «oportet nos manifestari ante tribunal Christi, ut referat unusquisque prout gessit sive bonum sive malum», e cioè noi porteremo al di là ciò che abbiam fatto di qua e avremo quel gran premio che ci siamo [meritati] con la bontà della vita presente, con la rettitudine, con la buona vita presente: premio eterno.
Poiché il giudizio: «opera tua sumus, non te deseremus», le nostre opere non ci lasceranno. Con il chiudersi della vita presente, con l’ultimo respiro, ecco c’è la separazione dell’anima dal corpo e l’anima si presenta al Signore portando quello che «unusquisque mercedem accipiet secundum suum laborem», ciascheduno riceverà il premio, quello che avrà meritato, secundum suum laborem.
Ecco: e l’esito, quale sarà l’esito del Giudizio? Appena l’anima si separa dal corpo, l’anima vede come è e cioè se è in grazia o se non è in grazia, se è ricca di meriti o se è povera di meriti. E l’esito del Giudizio quale sarà?
L’esito del Giudizio è triplice.
Vi è chi immediatamente è ammesso al premio eterno: anime del tutto purificate, anime ricche al cospetto di Dio, anime belle: «intra in gaudium Domini tui».
E l’esito invece potrebbe essere meno buono, ma ancor buono, quando l’anima si presenta a Dio senza peccato, quindi in grazia di Dio: perciò la salvezza eterna. E tuttavia può essere che debba ancora attendere l’ingresso in Paradiso. Il Purgatorio è l’attesa per l’ingresso. Il Purgatorio è una preparazione. L’anima è già certamente salva, ma tuttavia deve disporsi all’ingresso con le pene, perché porta al di là qualcosa o degli attaccamenti, l’anima, o porta al di là, invece, delle venialità o ancora è necessario che faccia la penitenza di quello che ha commesso nella vita passata. Quindi il secondo esito potrebbe essere la salvezza ma l’attesa.
E poi vi può essere una sentenza che è quanto mai terribile: «melius erat si natus non fuisset homo ille»: Gesù ha detto così di Giuda. È pensiero ci mette orrore. E quando noi riflettiamo sopra la verità più tremenda che abbia la religione, l’inferno, noi sempre ci sentiamo tutti sconvolti a considerare anime che finiscono là. E allora nasce un proposito: piuttosto la morte che il peccato.
E così si entra nell’eternità.
L’anima e il corpo sono uniti e l'uomo risulta da questo composto: l’unione dell’anima col corpo. L’anima e il corpo devono fare insieme il viaggio all’eternità.
Dopo la morte c’è la separazione: il corpo andrà al camposanto e l’anima all’eternità.
E sarà sempre così. No? Verrà il giorno in cui si realizzerà quello che noi recitiamo nel Credo: la risurrezione della carne, la vita eterna. E anima e corpo si riuniranno. E anima e corpo avranno quello che avran meritato tutti assieme, corpo e anima. E avranno quindi il premio o la pena. Perché quando si fa il bene, si opera assieme, anima e corpo. Se siete qui a meditare, non è solamente l’anima, ma c’è anche il corpo. E corpo e anima meritano assieme. Ma e corpo e anima possono peccare.
Quando l’anima si distacca, si separa dal corpo, non ci può esser più né alcun merito, né alcun peccato, appena si è dato l’ultimo respiro.
Ed ecco la vita presente: prepara alla vita futura. Sempre considerare la vita nel suo duplice aspetto: vita presente dove noi ci eleggiamo il posto per l’eternità; dove scegliamo: «Ti metto davanti la vita e la morte: elige ergo vitam». Ecco.
Vi sono le due strade, e l’uomo è libero. L’uomo sceglie lui la sua felicità o la sua infelicità. E cioè, se vuole la felicità, ecco deve, sulla terra, evitare il peccato, e fare opere buone; e bisogna fare delle rinunce, delle mortificazioni. Vi sono quelli che pensano soltanto alla vita presente, e vi sono quelli che, invece, pensano alla vita presente insieme alla vita futura.
Che cosa dice sant'Agostino? Se tu ami davvero te stesso, se ami davvero te stesso, mortifichi la tua carne e operi rettamente e guadagni merito: allora ami te stesso davvero. Ma se tu soddisfi la carne e i suoi desideri, allora non ami te stesso, ma odi te stesso.
Amiamo noi stessi? Diciamo: “Amare il prossimo come noi stessi”. Ma amiamo davvero noi stessi? E che cosa si è preparato per l’eternità, giù? La vita nostra è preparazione al cielo.
Vi sono le due vie che portano all’eternità e tutti dobbiamo fare o l’una o l’altra di queste due vie.
Vi è la via stretta: sale, ed è seminata anche di spine; è Gesù che ha salito il Calvario, ecco; però era l’ascesa, l’ascesa. Così sono i santi, come Gesù Cristo; portando la croce, Gesù; e là morì sulla croce.
E vi è poi la via che è comoda, piana, attraente, anche si fa facilmente, perché fare il male è un cercare le soddisfazioni della terra. Ma dove mette capo quella via?
Sta a noi. L’uomo è libero. Ogni uomo ha le grazie necessarie per la salvezza e per la santità. Scegli dunque la via che conduce al Paradiso, «elige ergo vitam», non la morte eterna.
Perché la nostra vita presente si riduce a tre parole: nati, viviamo e passiamo all’eternità. È come Gesù dice di sé: “exivi a Patre”, sono venuto dal Padre; “veni in mundum”, e venne su questa terra a compiere la missione affidatagli dal Padre, cioè la Redenzione; “iterum relinquo mundum”, adesso lascio di nuovo il mondo e torno al Padre.
Così noi, usciti dalle mani del Padre, ecco, passiamo su questa terra a far qualche cosa, e questo qualche cosa da che cosa è determinato? Dalla strada che il Signore ha segnato per noi sulla terra: la vocazione, parlando di noi in particolare. “Veni in mundum”.
E poi si raccoglie alla fine: “iterum relinquo mundum”, adesso lascio il mondo e vado al Padre.
Dio è il principio, ci ha creati; Dio è il fine, il fine beato; in mezzo ci sta la strada che noi possiamo scegliere e che ci conduce all’eterna felicità. La vocazione è questo e la corrispondenza alla vocazione. Perché anche adesso l’ho sentito bene la Congregazione dei Religiosi, quando firmano la dispensa che non è motivata da impossibilità – perché possono essere delle cose diverse –, ma in generale [dicono]: “Firmiamo il passaggio all’inferno”, firmando. Perché? Perché si inizia con il perdere le grazie, perdere le grazie, e non pensiamo così facilmente che dopo si abbiano le stesse grazie.
Allora, la vita ordinata e considerata nel suo senso pieno.
La mia anima è immortale, qui è in prova: «Beatus vir qui comprobatus fuerit». Che cosa c’è? L’uomo retto, quando è stato provato ed ha superato la prova, felice, in eterno: «accipiet coronam vitae», allora riceverà la corona del Paradiso.
Oh, adesso, quindi, consideriamo: “a che cosa, io ordino la mia vita?” Al Paradiso? Certamente. Tutti quelli che siamo qui, abbiamo bene scelto.
Cosa vogliamo fare di questa vita che Dio ci ha dato? È il gran bene, la vita, bene che non ci verrà più tolto, perché vivremo in eterno. Cosa vorrò fare io della mia vita per lucrare il Paradiso, per non mettermi a rischio della pena eterna?
Ecco, il ricco Epulone e il povero Lazzaro. Il ricco Epulone che godeva e negava anche le briciole che cadevano dalla sua mensa, le negava al povero Lazzaro, vecchio e infermo.
Morì Lazzaro: ecco la salvezza eterna: seno di Abramo.
Morì anche il ricco Epulone: «sepultus est in inferno».
Cosa voglio fare io della mia vita? Amo veramente me stesso? Odio l’anima mia, la mia vita stessa?
Dodici Apostoli: undici sono le grandi stelle del Paradiso; uno, per che cosa? un po’ di denaro! E dove è finito? L’ha buttato poi via. Sdegnato e disperato morì.
Cosa voglio fare della mia vita? Come voglio spendere la mia vita?
Ecco, noi dobbiamo riflettere questo: il Signore ci ha dato i mezzi per la salvezza, e ci ha abbondato in misericordia...

Trascrizione del file: 1963-08-29_vita2.mp3
Durata 28.27

Don Giacomo Alberione Canada, 29-08-1963, alla ssp

La vita si deve basare su fede, speranza, carità


Abbiamo considerata la vita nostra, riguardata nel suo senso completo: vita su questa terra e vita nell’eternità. Pio XII sempre insisteva su questo punto: ricordarsi del fine ultra terreno, cioè non guardare soltanto quello che piace sulla terra, ma guardare quello che ci attende al di là.
La nostra santificazione è la preparazione all’ingresso in cielo.
Ma la santificazione sopra che cosa si basa? Abbiamo già ricordato che vi è la purificazione e vi è la conquista.
Togliere ciò che è male: la confessione; mettere quello che è il bene, che è tutto il bene, cioè Dio in noi, specialmente nella Comunione, quando Gesù diviene il nostro cibo: “manducat Dominum pauper servus et humilis”.
La vita però, che deve avere una base, quale sarà?
La vita deve basarsi sopra le tre virtù teologali: fede, speranza e carità.
Come un candelabro sta su se ha i suoi tre piedi, allora porterà la candela accesa: sì, deve avere una base sufficiente.
Occorre che il cristiano conduca vita teologale, prima, poi sarà la vita religiosa. Ma prima la vita teologale. Non c’è da sperare che si possa condurre vita religiosa, e non si può condurre vita sacerdotale, se non vi sono prima le virtù teologali. Anzi, vi dovrebbe già essere prima la vita retta, la vita umana ben vissuta, cioè l'osservanza dei comandamenti. Ma, dopo il battesimo, fatti figli di Dio, vivere la vita cristiana e dare alla vita cristiana una base. Fede.
È tutto l’uomo che ha da santificarsi: la mente, la fede; tutto l’uomo ha da santificarsi: la volontà, la speranza; tutto il sentimento ha da santificarsi e cioè la carità, l’amore a Dio, l’amore al prossimo.
Poi dalle virtù teologali, dopo la vita teologale, si arriva alla vita, cioè alla virtù della religione. La virtù della religione sta in mezzo tra le tre virtù teologali e le quattro cardinali. Vita religiosa vuol dire pratica della religione, virtù della religione. Ma per ora le virtù teologali.

L’uso della ragione secondo i principi della ragione specialmente della filosofia. Ma poi sopra c’è la rivelazione, e quindi la fede: santificare la fede.
Dio illuminò l’uomo con la ragione, ma il Figlio di Dio ha rivelato verità soprannaturali. Vivere di fede. «Il giusto vive di fede». E cioè il credo: “Io credo in Dio Padre Onnipotente Creatore” [...], il quale ci ha mandato su questa terra, e ci ha messo come modello e come aiuto Gesù Cristo. Modello e aiuto: la grazia e poi alla fine la Risurrezione della carne e la vita eterna.
Se teniamo presente sempre la vita eterna, allora tutta la nostra giornata viene ordinata a Dio, al Paradiso.
L’ultimo articolo del Credo è la vita eterna, dobbiamo arrivare alla vita eterna. Qui sta la base della vita cristiana e della vita religiosa. Pensare che siamo ordinati al Paradiso e avere sempre meglio dentro di noi il senso della vita, cioè la vita guardando nel senso giusto, nel senso cristiano: creati per arrivare al cielo.
La persuasione che noi facendo bene guadagniamo meriti per il Paradiso e poi che abbiamo in mente bene: se siamo nello stato religioso, questa è una grande grazia per cui la nostra vita merita immensamente di più.
Fede sul valore della vita religiosa, che è una predilezione di Dio, questa vocazione, predilezione di Dio e che, essendo noi religiosi, ogni azione che facciamo, oltre che avere una virtù propria, ha anche sempre la virtù della religione, è sempre esercizio della religione, perché siamo religiosi.
E così, se uno fa l’apostolato, o se uno ha da fare altro ufficio, mentre che esercita l’apostolato, ad esempio, esercita la virtù della religione, per cui ogni azione ha doppio merito.
Quale ricchezza nella vita religiosa! Quale ricchezza! A quale altezza di perfezione può arrivare un’anima fedele alla sua vocazione o religiosa!
Considerare il valore della vita religiosa. Considerare la preziosità del tempo. Tenere sempre in mente: sulla terra è per arricchirmi di meriti, l’eternità è il premio, mi attende lassù. E allora, anche se vi sono sacrifici da compiere, e se qualche volta non capiamo anche la ragione, ci sembra poco ragionevole quello che succede, quello che viene disposto: no, tutto, sempre, solo ordinato al cielo, ordinato al cielo.
Vi sono tanti ragionamenti così umani e qualche volta neppure umani: ragionamenti i quali fanno astrazione da Dio e dall’eternità. Allora la vita è proprio una vita molto infelice, perché si lavora, si spendon le fatiche e le forze, e allora si guadagnano o non si guadagnano meriti?
Anche la minima opera – come dice l’Imitazione di Cristo – anche una piccola azione vale, anche solo un desiderio buono interno e anche un proposito vale. È cosa di un momento, ma il premio è eterno: «aeternum gloriae pondus operatur in coelis».
Vivere di questa fede, il senso giusto della vita, la grazia particolare di essere stati chiamati alla vita religiosa.

Poi la speranza nostra. La speranza è il cielo. E sopra chi noi ci appoggiamo? Sui meriti di Gesù Cristo, sulla sua grazia. Nel Battesimo ci è stata infusa la vita soprannaturale e tutta la santificazione è lo sviluppo iniziale della grazia battesimale, tutta la santificazione. È come un piccolo seme immesso nel terreno, che poi si sviluppa, cresce in pianticella, e poi in grande albero, che può portare buoni frutti.
La santificazione è lo sviluppo della vita soprannaturale che ci è stata infusa nel Battesimo, questo germe della grazia di Dio, ordinata al Paradiso.
Ma la vita eterna non è la vita naturale. E cioè occorre la grazia, e la grazia per la vostra bontà, per i meriti di Gesù Cristo, la grazia, per la bontà di Dio che ci ha comunicato questa vita soprannaturale, e nello stesso tempo questo ci viene dato per i meriti di Gesù Cristo.
La grazia abituale ci fa figli di Dio. Sì, eravamo nati, ecco, figli dei nostri genitori. Ora [siamo] anche figli di Dio: «dedit eis potestatem filios Dei fieri», chiamati per i meriti di Gesù Cristo, chiamati ad essere figli di Dio, e figli di Dio, quindi eredi del Padre Celeste che ci attende in Paradiso. E quindi il premio: fratelli di Gesù Cristo e quindi coeredi, coeredi. Andremo, andremo alla casa del Padre Celeste! Ecco il cielo! Per la grazia infusa di Gesù Cristo e per le opere buone che possiamo fare, se abbiamo l’aiuto divino “mediante le buone opere che io debbo e voglio fare”. Sì: la speranza nostra.
Noi, abbiamo da infondere nelle anime il pensiero del Paradiso, il premio che ci aspetta, perché, quando si ricercan le vocazioni, che cosa si può dire, se non si promette un bel Paradiso? “Voi che mi avete seguito, avrete il centuplo e possederete la vita eterna”. Ecco. Non dei premi, oppure “starai bene”, “avrai dei giochi” o anche soltanto metter davanti i beni della terra, cioè che uno studia, ad esempio, può raggiungere una carriera, ma quello che vale per la vocazione, che richiede sacrifici! Occorre che noi mostriamo, facciamo vedere l’immensa ricchezza, l’infinita durata del premio.
L’altro giorno leggevo nella vita, un tratto della vita di santa Teresa del Bambino Gesù, diceva: ”Non promettete dei giocattoli o delle caramelle se starete buoni; promettete il Paradiso, se starete buoni.” Quello che vale. Elevare le aspirazioni all’eterno Paradiso! Felicità! I santi ci attendono, «me expectant iusti», sì, lassù.
Perché giorno per giorno dalle città vengono portate salme al cimitero. Lì, la città si popola poco a poco di altri abitanti. Ma quelli che son passati all’eternità dove saranno? Si mettono anche delle lapidi con il nome di chi è sepolto in quel tal posto, ma l’anima, l’anima dov’è? Vorremmo indovinarlo dov’è l’anima. Lassù. Andremo nella Casa del Padre Celeste! Questo.
Gesù, quando invitava a seguirlo, specialmente quando si rivolgeva agli Apostoli, prometteva i dolci? passeggiate? La Croce! “Chi vuol venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua”.
Certo, le cose necessarie di riposo ci vogliono, ma occorre che si immetta nell’anima, si stabilisca nell’anima questa virtù della speranza, fiducia in Dio, nei meriti.
Per chi sono quei meriti, questo Gesù Crocifisso? Sono per noi, fatti da Lui, ma a nostro vantaggio.
Vogliamo capire bene e sapere spiegare bene che cosa sia la vita presente e a che cosa siamo ordinati?
Come [disse] Gesù:
Beati i poveri, disse, di loro è il Regno dei Cieli. Quindi “la povertà”, Regno dei Cieli.
Beati i miti, possederanno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia di Dio.
Beati anche quelli che piangono. Paradiso.
E dobbiamo fare un’altra predica noi? Non possiamo dire altro che ciò che disse Gesù, ciò che è scritto nel Vangelo.
La speranza cristiana, la speranza cristiana.
Vi sono dei fedeli che hanno una fede così viva, hanno una fiducia così grande nel Paradiso, che fanno anche dei sacrifici, dei lavori, delle fatiche. Paradiso. Il pensiero che li sostiene. Ma se si illanguidisce la speranza nell’anima, e allora, soddisfare la gola, soddisfare il senso, soddisfare l’udito, soddisfare le curiosità e le letture ecc.
Ma: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso». Alla fine possederete il Paradiso.

Terzo piede, diciamo, del candelabro, è la carità.
L’amore di Dio, l’amore al prossimo, l’amore di Dio. Cioè tutto fare per Dio, tutto ordinare a Dio. “Vi amo Gesù con tutto il cuore, sopra ogni cosa, Voi bene infinito” eh? Che cosa potrebbe essere un bene temporaneo? una soddisfazione, qualsiasi, specialmente se la soddisfazione è peccaminosa. “Vi amo, sommo bene, eterna felicità”.
Questo, e quindi tutte le intenzioni rivolte a Dio, niente peccati, tutto la sua volontà, la volontà di Dio.
Allora si capisce che, quando c’è questo amor di Dio, si fanno delle belle comunioni, si sta volentieri in chiesa, e poi l’offerta al cuore di Gesù di tutte le nostre azioni, tutto ordinato al Paradiso: quello è l’amore a Dio. In che cosa consiste l’amore a Dio? Forse in un sentimento passeggero? No, sta nel compiere il volere di Dio.
E se volete spiegarvi poi un po’ più a lungo: “Amare il Signore Dio tuo”, primo comandamento e principale comandamento: amarlo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze, tutta l’anima. Che vuol dire? Tutto il nostro essere ordinato a Dio.
E poi c’è “il prossimo come noi stessi”. Voi che esercitate l’apostolato: è tutta carità! è tutta carità! Non solo “come noi stessi”: questa è la formula dell’Antico Testamento. Ma la formula nuova della carità, del Nuovo Testamento, è: «diligite alteritum sicut et ego dilexi vos», “amatevi vicendevolmente come vi ho amato io”.
Come ci ha amato il Figlio di Dio incarnato per noi? Ha sofferto ed è morto sulla croce. Quindi egli ci amò più di se stesso, perché diede la vita. E chi fa l’apostolato tutta la vita, ama più di se stesso, non per condurre una vita sua beata.
Ci possono essere dei librai che guadagnano: son librai, ma lo fanno per guadagno. Ma voi che non lo fate per guadagno, ma per dare alle anime un po’ di luce per mezzo delle edizioni: è più di noi stessi, perché non lo facciamo per denaro, per vantaggio nostro, e cioè per Dio, per l’Istituto, e attraverso l’Istituto per Dio, in sostanza.
Sì, amare il prossimo un po’ più di noi stessi, più di noi stessi. E se non ci fosse quello, quante cose si lascerebbero! Ma Gesù ci ha amato fino a che punto? «Sicut ego dilexi vos» “come io vi ho amato, così amatevi”. Sì.

Allora la fede, la speranza, la carità costituiscono come un treppiedi, per cui sta su in piedi il candeliere. E poi sopra, la candela che arde, arde: è il simbolo dell’amore che abbiamo verso Dio.
Perciò sempre atti di fede, speranza e carità. Fede che illumina la nostra strada. Speranza, che non è solo una cosa più o meno sicura, come se dicessimo “speriamo che questo mi vada bene” o “che abbia buona salute” e “ti auguro buona salute”. Sono desideri. Ma il Paradiso è sicuro. E abbiamo l’appoggio sicuro, che è Gesù Cristo, e cioè i suoi meriti, la sua grazia, la sua misericordia. E poi Dio, Dio, cercar Dio!
Oh, adesso, siamo qui: vi auguro una vita lunga e benedetta, cosparsa di mille grazie da Dio. Ma alla morte si lascia tutto, quindi è perduto tutto: o che ci amassero o che non ci amassero, o che ci lodino, ci avessero lodati o criticati, o che facessimo una cosa che ci piaceva o che abbiam dovuto fare cose che non ci piacevano, ecc., resta finito tutto.
Resta il bene eterno, felicità eterna. Guardare lassù, guardare lassù! E lì, mentre che è speranza, è anche fede ed amore insieme.
Quante volte bisognerebbe guardare il cielo! «Padre nostro che sei nei cieli». Là, il Padre, attende tutti i suoi figli: «ut sedeatis et bibatis in regno Patris mei» dice Gesù, «affinché un giorno vi sederete alla tavola eterna del cielo» dove la beatitudine è piena, «in regno Patris mei».
Avanti, con coraggio! Gli scoraggiamenti nascono di qua e di là, qualche volta siamo sfiduciati e qualche volta i sacrifici ci costano: ma il Paradiso, il pensiero del Paradiso!
“Questo non lo farei”, diceva un medico un giorno, “a fare questa operazione e a curare le piaghe di questo”: era un ragazzo che mandava delle grida, veramente soffriva molto. Disse: “Non lo farei se mi dessero, mi offrissero dieci milioni; non lo farei. Ma lo faccio per il Signore, per il Paradiso”.
Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione del file: 1963-08-30_commiato.mp3
Durata 20.29

Don Giacomo Alberione Canada, 30-08-1963, alla ssp

Conclusione visita, consigli vari, diversità tra aspiranti chierici e discepoli


Adesso primo dovere è ringraziare: ringraziare voi tutti per l’accoglienza e la pazienza che avete avuto con me. C’è l’espressione “abbi pazienza con me”. Tuttavia non è quello che ci obbliga al ringraziamento, ma specialmente la continuità delle grazie che avete ricevuto dall’ultima visita che ho fatto qui: allora parecchi di voi non c’erano, ma la continuità delle grazie è stata sopra a questa Casa e sopra ognuno che è arrivato a questa Casa.

Adesso volevo ricordare qualche cosa e cioè: è bene distinguere lo studente che mira al sacerdozio da colui il quale invece sceglie la via del discepolo; non è che il discepolo debba annoverarsi e aggiungersi ai discepoli, né che lo studente si aggiunga ai chierici: son due vocazioni diverse, due vocazioni diverse. E quindi una è la vocazione al sacerdozio, l’altra è la vocazione a discepolo.
Il discepolo ha due vocazioni, e cioè: alla vita religiosa, che è comune con gli aspiranti chierici al sacerdozio, è comune la vocazione religiosa; poi è comune anche la vocazione all’apostolato, tanto per il discepolo come per l’aspirante al sacerdozio. Ma il discepolo, quindi, ha due vocazioni; il chierico, il sacerdote ne ha tre: vocazione religiosa, vocazione all’apostolato, vocazione al ministero ancora sacerdotale.
Bisogna che si entri nell’intimo. E può essere che uno abbia molta più intelligenza – [parlo] di un discepolo – che non un chierico e un aspirante al sacerdozio. E abbiamo, bene, dei discepoli che sorpassano in intelligenza.
Perché poi l’aspirante alla vita del discepolo, l’aspirante può avere degli uffici molto delicati. Ad esempio: chi dovrebbe amministrare nelle nostre Case è l’economo, è il discepolo: dovrebbe prendere l’indirizzo dal Superiore, ma dovrebbe fare lui. Così tutta la parte tecnica, tutta la parte di propaganda. E per questo i discepoli dovrebbero essere almeno i due terzi.
Siccome qui più facilmente avete vocazioni di discepoli, voi riparate a qualche Casa che ne ha pochi, pochissimi. I discepoli, supponiamo in Brasile, [sono] pochi. Ma qui, se il numero dei discepoli fosse elevato, voi qui provvedereste molto di più, sotto vari aspetti, sotto vari aspetti.

Ora un’altra cosa, per i novizi. I novizi devono avere una certa separazione dagli altri membri che sono in casa e cioè sia quanto a quelli che sono già sacerdoti, come separazione da quelli che sono già professi, e in certa parte anche dagli studenti giovani.
Siccome qui la separazione non è ancora possibile – la separazione materiale: perché, come si fa? – possono essere in comune la chiesa, la cappella e anche il refettorio. Ma se non c’è la separazione materiale nelle altre parti, almeno ci fosse la separazione morale.
In generale, i professi non abbiano relazioni non necessarie – qualche volta ci sarà anche del necessario – ma in generale non abbiano relazioni non necessarie con i novizi. E così anche gli altri membri della Casa.
La separazione [deve essere] in maniera che il novizio abbia solo da fare, quasi soltanto da fare, in generale, con il suo Maestro. Però vi sono poi anche gli altri uffici; e nell’apostolato dovrà dipendere anche dal capo dell’apostolato.
E quindi vedere questa separazione in quanto vi sarà possibile: morale separazione. Anche la ricreazione [sia] a parte, supponiamo.

Un’altra cosa che sarà utile è formare il cortile, in maniera che si possa anche attendere e più abbondantemente partecipare alla ricreazione.
Cosa che poi è stabilita nelle Costituzioni: l’adunanza mensile tra il Consiglio della Casa e, quando vi è cosa che ha qualche importanza, chiamando anche tutti i Professi, Sacerdoti o i Discepoli, secondo le materie di cui si ha da trattare.
Quanto agli studi, li organizzate bene, mi pare che ci sia un buon avviamento in quanto a questo, gli studi, per quanto ho sentito dire.
Riservatezza, poi, perché si evitino le amicizie particolari, si eviti di metter le mani addosso, di far carezze o di far conversazione dopo le orazioni, dopo cena, dopo le orazioni, ancora. Dopo la cena vadano a dormire tutti. È miglior cosa di dormire allora: è più facile. Qualcheduno può essere che invece trovi un po’ di tendenza.
Occorre che i temporanei siano poi, man mano che è possibile, [debbono] essere aiutati in qualche conferenza, catechismo settimanale.
Vi è questo: si fa la meditazione in comune. La meditazione in comune si può fare in due maniere, anzi in tre maniere. Si radunano tutti all’ora stabilita e uno, il Superiore o chi è incaricato, legge la meditazione e poi si ferma a spiegare, applicare, quello che è stato letto: questo è un modo. Secondo: può essere letto semplicemente il libro e poi ciascheduno fa i riflessi, le applicazioni.
In parecchi casi, per esempio in Casa Generalizia, tutti vengono, arrivano alla meditazione, ma ciascheduno si porta il libro e sceglie il libro che ha e poi continua, giorno per giorno, a seguire il libro che ha scelto di meditazione, naturalmente è meglio che si sappia che libro è, che libro da consigliarsi, specialmente ai giovani, perché si possa fare una meditazione appropriata, adattata a chi deve meditare. Quindi si può fare questa terza maniera.
Quest’anno nella Casa Generalizia l’abbiamo applicato tutto l’anno, questo: ognuno ha il suo libro e legge, fa la meditazione; chi dirige la meditazione dice il “Veni Creator” in principio e poi fa la preghiera di conclusione, al termine.

La cosa che ci sta molto a cuore è questa: voi sapete che l’Istituto si compone, cioè la Famiglia Paolina si compone: Pia Società San Paolo, Figlie di San Paolo, le Pie Discepole, le Suore Pastorelle, le Suore Apostoline che sono incaricate dell’opera vocazionaria. Per esempio (oggi quanti ne abbiamo?) domani si inaugura la mostra vocazionaria a Vicenza: sono presenti 50 istituti; la mostra vocazionaria con conferenze, con filmine appropriate, canti, ecc. E poi la gioventù passa, si può dire, da tutte le Parrocchie, passa a vedere. E specialmente si desiderano i giovani, le giovani, – perché la mostra è vocazionaria –, quelli che hanno ancora, cioè, da decidere la loro strada, la via della vita. Ora, questo: sono, si chiamano le Apostoline.
Poi hanno le loro pubblicazioni, le riviste, – una rivista – e poi il lavoro per tutte le vocazioni. La loro vita è consacrata alle vocazioni: preghiera e azione; e poi dopo pubblicazioni, e poi i contatti, i tridui vocazionari: per esempio un triduo che si tiene – oh, l’abbiamo adesso, nel mese di settembre – dove le giovani, i giovani studiano il problema della loro vita. Beh, questa parte.
Poi ci sono i tre Istituti secolari: uno si chiama dei Sacerdoti, Istituto Secolare dei Sacerdoti Diocesani; l’altro si chiama delle Annunziatine, cioè di Maria SS. Annunziata; e il terzo si chiama Istituto di San Gabriele, della Pia Società San Paolo.
Ora, questi tre Istituti Secolari, zelarli quanto è possibile! zelarli quanto è possibile!
Quest’anno, dato il numero, per esempio, delle Annunziatine – che è l’Istituto più sviluppato dei tre –, facciamo quattro corsi di Esercizi, perché non c’è posto da contenere tutte le persone: quindi un corso di Esercizi in Sicilia, Sardegna, Alta Italia, Roma e poi se ne dovrà ancora tenere, forse, un quinto, perché mi pare che non ci siano luoghi di capienza sufficiente.
Ecco, anche questo è molto importante. Ciò che poi farei la proposta. Ma intanto se si vuole zelare questo degli Istituti secolari... Chi ha già lavorato alquanto, è don Gilli Paolino, e quindi può indirizzarsi la corrispondenza qui e poi dopo, se si devono mandare i Regolamenti, gli Statuti, in un posto o nell’altro. Oh, questo dunque sarebbe molto buono.

Oh, adesso, il voto che dicevo, l’augurio: iniziare un “Cooperatore”, pubblicazione di un “Cooperatore”. Qui credo che arrivi “Il Cooperatore paolino”. La prima volta che è uscito eravamo in luglio e se ne facevano tre o quattro numeri all’anno, qualche anno anche solamente due numeri.
Farvi conoscere! pubblicare tutte le edizioni! ché adesso sono belle queste edizioni, sono scelte, sono adattate allo sviluppo mentale e, diciamo, sociale e, secondo gli studi che si fanno.
Sì, aggiornàti nell’apostolato, aggiornàti! Oggi certi argomenti hanno un’importanza speciale: la liturgia, pedagogia, sociologia, e poi psicologia: quante altre materie, poi, secondo i bisogni. Per esempio: avete fatto una bella cosa l’anno scorso o l’altr’anno che sia: pubblicare il libro del Cardinale Cushing “Il comunismo”: va molto bene!
Vi sono dei momenti sociali in cui bisogna andare a dire la nostra parola in quei casi, a dire la nostra parola, la Parola del Vangelo, la parola che è conforme alla Chiesa, sì. E allora anche l’apostolato, se vive sempre in un clima più aggiornato, porterà maggior bene.

Raccomando poi l’ultima cosa: la lettura della Bibbia. La Parola di Dio è passata ed è fissata nel Libro che è il Libro, cioè la Bibbia. E allora noi diamo questa Parola di Dio con i mezzi moderni. E la Parola di Dio è la più studiata, perché quando si parla, si dice quello che in generale è il concetto che si vuole esprimere, ma quando vi è lo scritto, lo scritto si pensa meglio.
E perciò [fate] in maniera che adesso cominciate ad avere un’influenza qui nella Nazione.
Anche il lavoro, per esempio, il lavoro vocazionario: un “Cooperatore” aiuta tanto, un “Cooperatore paolino”, che venga pubblicato di tanto in tanto. E della materia ve n’è abbondantemente. E qualcheduno se lo vuole prendere questo incarico? E ci si aiuta anche sempre così: con le offerte; e che capiscono sempre meglio la Società San Paolo: chi accoglie e a che cosa indirizza coloro che vengono, i ragazzi, cioè alla vita religiosa e, quando vuole il Signore, anche alla vita di ministero, cioè alla vita sacerdotale.
Allora vi ringrazio di tutto di nuovo.
Diciamo un Magnificat e la benedizione su questa Casa e su tutti abitantibus in ea:
Benedictio Dei omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti descendat super vos et super nos et maneat semper. Amen.
Oremus ad invicem.





Trascrizione del file: 1963-00-00_giudizio.mp3
Durata 25.59

Don Giacomo Alberione - Albano, esercizi spirituali alle vocazioni adulte

Il giudizio particolare e il giudizio universale


Avete sentito che vi sono due giudizi, un giudizio particolare che segue la morte, ma poi un giudizio universale al termine del mondo.
Il giudizio particolare fissa la situazione di ognuno, di ogni anima, cioè l’eterna salvezza o l’eterna perdizione. E questo non viene più cambiato.
Ma poi vi è un giudizio che avviene alla fine del mondo, di tutta l’umanità, di tutto il creato, degli angeli stessi. E cioè vi è il giudizio dell’uomo e invece l’altro è il giudizio del mondo, alla fine, perché vi sono cose che riguardano le leggi sociali e tutto quello che è stata la storia dell’umanità.
È il riassunto della storia dell’umanità, perché siano esaltati i buoni davanti al mondo tutto – e i buoni, tante volte sono disprezzati – [e per] esaltare Gesù Cristo, che l’han fatto morire sulla croce, tra un cumulo di calunnie. E compariranno i crocifissori, coloro che l’hanno condannato. E allora viene <data,> fatta giustizia ai buoni e fatta giustizia a Gesù Cristo, e fatta giustizia a Dio, perché si vedrà con quanta sapienza e bontà il Signore ha regolato il mondo, tutta la storia umana.
Ora, il giudizio universale si compone di alcune parti: la prima parte [è] la risurrezione da morte, “credo la resurrezione della carne”; poi vi è il raduno dell’umanità e quindi il giudizio; e poi l’entrata in cielo di coloro che avranno seguito Gesù Cristo e la caduta nel luogo di perdizione di chi non ha accettato il messaggio della salvezza.
La morte è la separazione dell’anima dal corpo; la risurrezione è la riunione dell’anima al corpo: si ricostituisce l’uomo. Prima c’era da una parte l’anima e dall’altra parte il cadavere: [ora] si riuniscono. Perché? Perché l’uomo, quando fa il bene, non è solamente l’anima che lo fa, ma lo fa il corpo insieme; e quando l’anima fa il peccato, non lo fa solamente l’anima, ma la maggior parte delle volte lo fa il corpo insieme.
Ora si fa il bene: siete attenti alla predica: l’anima guadagna, ma il corpo è presente: e l’attenzione e servono gli orecchi e serve la mente per ricordare, la memoria per ricordare, la mente per apprendere.
Quindi è giusto che l’uomo abbia veramente il premio intiero, anima e corpo; e l’uomo, chi è stato ostinato nel male, tutto l’uomo [abbia il castigo], anima e corpo.
Anche gli angeli e i dèmoni saranno presenti: gli angeli e i dèmoni, sempre spiriti, ma presenti. Perché ci sono stati gli angeli fedeli e ci sono stati gli angeli ribelli, e son diventati demoni.
Sì, è di fede che alla fine del mondo ci sarà la risurrezione.
Allora “omnes quidem resurgemus”, sì, tutti risorgeremo, e “procedunt qui bona fecerunt in resurrectionem vitae qui vero mala egerunt in resurrectionem judicii”, cioè: le anime si ricongiungono al corpo, ai corpi che prima avevano: e la riunione dell’anima al corpo, quando l’anima e il corpo hanno operato il bene, ecco l’incontro e la destinazione al premio, assieme; e l’incontro dell’anima infelice con il corpo di un infelice, quanto penoso!
Il corpo dei santi, dei buoni, sarà segnato dalle opere buone, dai sacrifici compiuti in vita: è la bellezza loro, lo splendore: le virtù praticate, i doveri compiuti. Ma il corpo dei cattivi sarà segnato dai vizi, dai peccati commessi e non riparati.
Risorgerà il corpo degli eletti simile al corpo di Gesù Cristo risuscitato, al corpo di Maria assunta in cielo in anima e corpo.
Quali saranno le doti di questo corpo glorioso perché apparterrà ad un’anima che è stata fedele, che ha guidato bene il corpo?
Primo: impassibilità: colui che risorge non soffrirà più, il corpo non morrà più e non avrà più pene, “mors non erit amplius”.
Poi il corpo [sarà] glorioso, come quello di Gesù Cristo, così il corpo degli eletti: gloria e splendore, luce, “splenderanno come il sole”.
Poi il corpo degli eletti ha l’agilità, sì, in questo: “ad nutum animae”, come si dice nella teologia: il corpo è agile e con semplice volere dell’anima eseguisce i segni, i voleri dell’anima stessa.
Poi la sottigliezza, per cui si entra anche a porte chiuse, come è stato di Gesù, quando compare, dopo la resurrezione, agli apostoli raccolti insieme.
Oh, la resurrezione.

Secondo punto. L’umanità si raccoglierà. Si raccoglierà per sentire la sentenza finale. Finale per coloro che hanno operato il bene e per coloro che hanno operato il male. Ma la sentenza per ciascheduno è già data: lì è per glorificare, in faccia al mondo tutto, coloro che son vissuti bene ed in faccia al mondo tutto coloro che han fatto il male: che siano umiliati e gli altri siano glorificati.
Qante volte i buoni son disprezzati e anche calunniati e perseguitati! [ad esempio:] i martiri, tanti sacerdoti e vescovi che gemono ancora in carcere per la fede ora. Ci sarà la giustizia, ci sarà la giustizia piena. E come saranno esaltati quelli fedeli a Gesù Cristo, e come saranno umiliati quelli che li hanno condannati, condannati ingiustamente, perseguitando i buoni e perseguitando nei buoni Gesù Cristo, Dio stesso.
Sì, allora tutto davanti all’umanità verrà messo in mostra, tutta l’umanità.
Arriverà la separazione. Separazione come è stabilita e indicata dal Vangelo: a destra i buoni, con gli angeli buoni, a sinistra tutto ciò che c’è di cattivo, tutto; a destra i buoni, a sinistra tutto ciò che c’è di male.
La grande divisione! L’umanità intera! Oggi siamo tre miliardi di uomini, figuriamoci quanti sono allora: da quelli che sono già passati e quelli che ancora passeranno su questo globo terrestre. La grande divisione, definitiva divisione! E fatta con la giustizia di Dio!

Dio deve giudicare. “Omne iudicium dedit Filio”: però il Padre celeste ha incaricato il Figlio a giudicare, “omne iudicium dedit Filio”. Perché egli, Gesù Cristo, ha proposto la via del Paradiso, il messaggio della salvezza: adesso arriva a vedere chi lo ha seguito e chi lo ha rigettato ecco.
Allora, secondo dice la Scrittura, “quel Gesù che salì al cielo, ritornerà la seconda volta”. La prima volta è venuto nel presepio, l’ultima volta verrà glorioso, preceduto dalla croce in segno della salvezza, in grande potestà e gloria. Egli stesso lo ha detto.
Ecco, in quel momento si farà quello che vien detto “la manifestazione delle coscienze”. Il Signore, che è buono, ha stabilito che i nostri peccati venissero perdonati, manifestando [il peccato] anche solo a un sacerdote: e viene coperto dal sigillo del silenzio, perdonato, scancellato.
Ma allora vi sarà la manifestazione di tutte le coscienze, tutti i peccati di ognuno e tutti i beni, le virtù, le opere buone fatte da ognuno. Niente sarà nascosto: “nihil opertum quod non revelabitur”, niente sarà coperto o nascosto che non venga rivelato in quel giorno. E rivelato proprio alle persone a cui si è studiato uno di nascondere, magari fino al confessore, o ingannando o nei contratti, o in tante altre maniere: pensieri cattivi, di odio, ecc., tutto viene rivelato.
E allora si vedrà quanto di bene hanno operato tanti sacerdoti, tanti martiri, tanti santi, che si sono adoperati per la gioventù, per sollevar le miserie, per portare la luce nelle missioni, perché hanno fatto scuola, hanno educato; i genitori che si sono sforzati di formare bene i loro figliuoli. Tutto verrà fuori: proprio il peccato, quando è stato fatto, in quell'ora, in quel momento: rivelato a tutti, anche alle persone a cui si è cercato di nascondere, fosse pure stato il confessore. Tutto viene rivelato!
Oh, rivelato tutto il male e tutto il bene. Questo si chiama “la manifestazione delle coscienze”. Perché Iddio fa la giustizia piena, e davanti a tutti. E per glorificare il bene e per colpire il male. Glorificare gli Angeli che sono stati fedeli a Dio; umiliare e punire gli angeli che non sono stati fedeli a Dio. Così degli uomini.

Seguirà la sentenza. La sentenza è espressa con brevi parole. La prima parte della sentenza riguarda i buoni: “Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio”, “Venite, benedetti, nel regno del Padre mio”. E perché? Dice Gesù che parlerà così, in quel giorno – lo dice nel Vangelo adesso –, e cioè: «“Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, avevo bisogno di esser vestito, ero in carcere, ero malato, mi avete soccorso”. “Quando l’abbiam fatto questo?” “Tutte le volte che l’avete fatto in carità, al prossimo, l’avete fatto a me”». Quindi: premio, “come l’avessi fatto a me”. E poi, rivolto ai cattivi: «“Andate maledetti nel fuoco eterno, perché avevo fame, avevo sete, ero infermo, ero in carcere, non mi avete soccorso”», non avete avuto cioè carità del prossimo. «“Andate! Tutto quello che avete negato di bene al prossimo e che potevate farlo, l’avete negato a me. Andate dunque, maledetti!”». E allora: il precipizio – per dir così, <per modo di,> per esprimersi, – ma l’inferno è in qualunque posto dove uno soffre.
Allora è manifestata la giustizia di Dio, è glorificato Gesù Cristo, son glorificati i buoni e ognuno che è stato buono [sarà] “benedetto nel regno del Padre mio”. Il Paradiso è dove c’è la felicità, l’intima, l’intima felicità: si vede Dio, si ama Dio, si gode Dio, gaudio eterno.
Ma per esprimere meglio, così, <un poco,> un po’ concretamente, per capirci meglio: Gesù Cristo ha conquistato col sangue della croce, per la salvezza delle anime: e quelli che lo hanno seguito, lo seguiranno entrando nel regno del Padre celeste. Egli, Gesù Cristo, sarà seguito da tutti gli eletti, ed egli li introdurrà nel regno del Padre celeste, e li presenterà: “Ecco la conquista mia, la conquista fatta con la sofferenza e con la morte di croce”.

Allora sarà glorificata tutta la misericordia di Gesù Cristo, [sarà] glorificato Dio. Allora rimarran due soltanto i posti – è chiuso il purgatorio –: paradiso e inferno.
La storia del mondo verrà chiusa così.
E nel Vangelo è descritta bene. E credo che l’abbiate sentita anche nella spiegazione del Vangelo poco tempo fa.

Allora, che cosa dobbiamo noi conchiudere?
Così conchiudere: l’anima è ragionevole, l’anima deve condurre il corpo.
Se il corpo chiede soddisfazioni carnali, l’anima ha la ragione: deve negarle. Se il corpo è pigro, non vuole studiare, non vuol pregare, non vuole fare ciò che è bene: l’anima deve guidare il corpo. Se l’anima vuol proprio bene al corpo, gli fa fare ciò che serve per acquistare il Paradiso. E quindi, se l’anima ama veramente il corpo, deve guidarlo, negargli ciò che è male e indurlo a fare quello che è bene. Ecco la prima applicazione.
Se amiamo veramente noi stessi, anche se noi abbiamo poco amor di Dio, che abbiamo l’amor proprio di voler esser felici in eterno. Là comincia l’eternità. Pensate magari a una vita lunga, magari, se il Signore ve la desse, di cento anni. – Monsignor Caricci è morto a 102 anni, poco fa, dopo che ha fatto tanto bene. – Ora, l’eternità non è di cento anni, non è neppure di cento milioni di anni: l'eternità è qualche cosa che sta sempre fermo, senza muoversi, senza distruggersi, senza cambiare. L’eternità è un punto del mondo, come Dio, come Dio. Dio è per l’eternità anche prima; noi avrem l’eternità dal momento che siamo creati, perché l’anima nostra è immortale: incomincia ma resta ferma e non sarà mai distrutta.
Quindi vedere di conchiudere così e confermare i buoni propositi che avete fatto in questi giorni: amo me stesso o odio me stesso? Dice Sant’Agostino: “Chi pecca odia se stesso”, “odit animam suam”. E coloro che soddisfano tutte le loro passioni? Odiano la loro anima, [*] preparano l’anima che tormento, stesso, all’anima stessa e poi al corpo e parte del peccato, a parte del peccato”. [* = che tormento preparano all'anima stessa e poi al corpo! senza considerare il peccato che commettono].
Che amiamo noi stessi! Che riflettiamo!
Eh, quante cose si sentono dire nel mondo! Il mondo che va appresso a tre generi di soddisfazioni, e cioè: il godimento delle ricchezze, l’avarizia; e poi il godimento della carne; e poi la superbia: che sono i tre principali nemici.
Il mondo, “mundus totus in maligno positus est”, dice Gesù Cristo: “tutto lo spirito del mondo è ispirato dal diavolo”.
Allora, bisogna che noi facciamo la separazione da questo mondo cattivo a noi stessi. Perché se noi ci separiamo dalla mondanità, da chi segue il male e continua a fare il male, la separazione la facciamo qui noi. Perché uno si mette da una parte e poi vada, e rimane, come dice il Vangelo. E se dall’altra parte si mette alla destra, si troverà alla destra, alla destra con gli angeli e con i santi. Ecco la felicità, il Paradiso eterno, Paradiso eterno.
Allora, tutto sarà chiuso, la storia dell’umanità.
Quante cose abbiamo noi da considerare, ma particolarmente questo: io, voglio mettermi alla destra, adesso? o mi metto alla sinistra? Secondo: amo veramente il mio corpo oppure lo odio? Ho un po’ di amor proprio, se non dell’amor di Dio, oppure non ho niente di amor proprio e mi preparo alla rovina?
Ecco, queste conclusioni confermano i vostri buoni propositi.
E avanti! Avete cominciato tanto bene in questi giorni: avanti! Alla destra, sempre, anche al giudizio finale, per entrare nel gaudio eterno: “intra in gaudium Domini tui”.
E ci siamo poi allora tutti, alla destra!
Sia lodato Gesù Cristo.


Trascrizione del file: 1963-08-00_ssp_messico.mp3
Durata 25'41''

(Audio molto disturbato. - Sono tra parentisi quadre le parole incerte)

Don Giacomo Alberione, agosto 1963

Visita in Messico


... questo è un criterio che si deve sempre più applicare nell'eleggere i superiori: dev'essere, in primo luogo, esempio [di fede] e quindi fa, in primo luogo, questa carità: stabilire la vita comune cioè tutta la vita ordinata, organizzata bene. Non alzare la voce, ma sempre più in bontà. E considerarsi sempre più in servizio: si è servi dei servi di Dio. La vita comune, amata, ben ordinata. In primo luogo la pietà, in secondo luogo il sapere: chi guida deve sapere e studiare: studiare quello che è dottrina e studiare quello che è l'apostolato e i mezzi e i progressi; e poi la formazione e l'amministrazione, sì.
Al mattino sempre orientarsi e disporre la giornata: così che noi facciamo l'esame preventivo individualmente e poi organizziamo la giornata con le opere che dobbiamo compiere: lo studio, la scuola, l'apostolato, le attività varie, tutto organizzato. Presentate bene al Signore le nostre aspirazioni, desideri, e con la grazia della messa e con la grazia della meditazione, la giornata si inizia bene. E poi nel corso della giornata ancora fermarsi, per di nuovo rivedere noi stessi: il nostro interno e il nostro esterno, per quello che dobbiamo fare e per quello che abbiam fatto.
Oh, amare.
E delle case che io ho visitato dall'oriente a qui, solo due ho trovato che la meditazione non è alle cinque e mezzo. Alle cinque e mezzo la meditazione comune. Poiché questo è un grande amore alla comunità e ai membri e ai fratelli. Perché si incominci bene la giornata, [si ha il programma formato] dalle altre case: se si va a riposo alle nove, se questo si fa bene, si fa, allora alle cinque son già otto ore che si riposa: e le ore ci vogliono per riposare. Ma se si va tardi, si capisce che al mattino non si è finito di riposare.
E io domando anche scusa di questo: che in quasi trent'anni – ventisette almeno – che sono a Roma, una volta sola ho accettato di andare a pranzo fuori, perché mi sembrava di aver ragioni oltre che sufficienti, quasi buone. E ieri sera ho fatto lo stesso, ma mi son pentito due o tre volte. Ogni volta che noi usciamo con gli uomini, dice l'Imitazione, «son ritornato meno uomo». In ogni caso con le relazioni non necessarie con gli uomini, non è da cristiano, più che religioso. E poi diventa meno che cristiano e poi perde la stima anche delle persone con cui si crede di comunicare.

Oh, allora teniamoci dentro: ci stimano di più, facciamo di più e la nostra anima si arricchisce.
Il raccoglimento. Certo, il raccoglimento [va] inteso bene. Perché se uno è un libraio, deve stare a contatto; ma deve rifornirsi di più di pietà e di preghiera, appunto per il contatto. Ma se uno anche nella libreria deve trattare con molte persone, se si è fornito bene al mattino, se ha fatto bene rifornimento dell’anima sua, il contatto sarà apostolato.
Non che si prende quello che non ci aspetta: e la politica e le notizie e i discorsi inutili; ma quello che uno si impegna a far bene l’apostolato: lì è raccolto, è unito a Dio; perché è raccolto nel dovere suo e applica cioè la mente e le sue forze a compiere il suo apostolato. E allora il contatto è santo. Il contatto edifica. E veramente la libreria diviene un pulpito, una chiesa.

Amarsi, e amarsi molto! Sì, ho ammirato molto la delicatezza con cui vengono trattati i ragazzi, con cui vengono a trattare anche i fratelli vicendevolmente: delicatezza. Per esempio: Giappone e un po’ tutte le nazioni che ho veduto. Oh, amarsi!
Sant’Ireneo parlava della Chiesa cattolica: che è il principe, la Chiesa cattolica, della carità.
Carità: sacrificarsi e non sacrificare; non molte parole, ma parole che siano pensate prima, che siano veramente costruttive, edificanti, le parole.
Ma la carità: ordinare la casa, far bene la preparazione per la scuola, organizzare l’apostolato, vedere che tutti facciano la visita e la facciano possibilmente nei tempi più liberi; sì, per alcuni è più libero il mattino, e per altri è più libera la sera o il pomeriggio. Organizzare bene: questa è la carità.
La carità, poi, riguardo agli altri è scriver bene, mandare i periodici, spediti per tempo, studiare i bisogni delle popolazioni al tavolino, poi davanti a Gesù, quando si fa la visita: che cosa dire alle anime? Sì, amarsi vicendevolmente.
Per questo, è molto utile quello che si fa in altre nazioni: vi sono varie cappellanie, ma si fa sempre il giro e cioè: quel che fa stamattina la funzione o celebra la Messa stamattina, domani andrà al secondo, al terzo, e nella settimana si fa il giro, perché non prendiamo troppe relazioni.
Se voi date e acquistate quella stima di persone, persone che pregano, che operano, vedrete: i soldi vi verranno a casa. E tante volte, andandoli a cercare, li perdiamo, perché è il Signore che coordina le anime, che muove il cuore, le volontà. Aver fede.

Ma veramente volevo parlare più specialmente di cosa che ci interessa al massimo: la direzione spirituale.
Parlando in primo luogo della direzione spirituale, che riguarda noi: ognuno [abbia] il suo confessore, ognuno il suo consigliere o direttore spirituale. Perché il lavoro principale della vita è la santificazione: questo è il nostro primo dovere, secondo il primo articolo delle Costituzioni. Del resto [vale] per tutti: quelli che vogliono provvedere bene per l’eternità, si impegnano a santificarsi.
“Come! eh, non son più un bambino!”. Dovremmo sempre esser bambini, semplici e docili, e sentire il bisogno di essere guidati, aiutati spiritualmente. Così hanno fatto i santi.
Cos’è la direzione spirituale? È la guida di un’anima che dal peccato o dai difetti vuole essere portata alla santità. Il viaggio verso la perfezione, verso Dio che è meta di tutto: Dio, il Paradiso, la meta.
Se si viene un po’ avanti negli anni, crediamo proprio di essere già sicuri di non aver più bisogno? Non han più bisogno di chiedere la strada quelli che stan fermi! Ma chi cammina, ogni tanto ha bisogno di chiedere: “Questa è la via?”, “Devo passare a destra? devo passare a sinistra?”.
Sentire i consigli! Ma il mio confessore è uno dei miei alunni e con molta libertà dà i suoi consigli e dirige spiritualmente proprio l’attività interiore.
Qui è proprio il lavoro che dobbiamo fare: la santificazione. Avendo lasciato famiglia e lasciato un po’ tutto quel che è mondo, allora adesso non inganniamoci. Dopo aver lasciato tutto, che non conquistassimo la santità e un bel Paradiso! Saremmo della gente che perde i beni terreni e non acquista i beni eterni, come dice l’Imitazione, saremmo i più miserabili se, dopo aver lasciato tutto, noi non arriviamo a guadagnare la santità, cioè un bel posto in Paradiso. Abbiamo scelto quello: un bel posto in Paradiso, che è un bel posto in mezzo agli uomini. E Dio ci ha dato questa grazia. Adesso la facciamo...
Oh, poi, quanto alla direzione spirituale dei nostri, non basta la predica in comune; il guidar la massa, la scolaresca e poi tutta la comunità, tutti gli aspiranti, in sostanza tutti quelli che sono in formazione. Non basta! Le cose comuni si devono predicare: meditazioni, consigli, ecc.; ma poi l’applicazione a ognuno: è lì la Direzione Spirituale.
Conoscere anima per anima: le disposizioni, le difficoltà, le tentazioni, i pericoli che si hanno di lasciare magari la vocazione; intervenire quando ci sono i bisogni particolari di un’anima che si trova in pericolo. Il confessore certo ha lo scopo, ha il ministero di assolvere, e di indicare i mezzi di salvezza e indicare anche i pericoli, i pericoli perché non si cada nel peccato.
Ma, quanto si otterrà di percentuale sui giovani, sopra gli aspiranti? Se – dico una cosa grossa per indicare una cosa piccola – se entrano trenta in prima ginnasio, e che alla fine ci siano tre: da trenta, tolto uno zero, siamo a tre. “Oh, ma non fanno, non corrispondono... i genitori...”: ci sono tanti pericoli, tante ragioni; ma se uno accudisce le anime singole... Non solo esiger l’ordine, la disciplina esteriore, ma le singole anime. Il maestro è maestro di spirito, non è maestro soltanto di disciplina.
Negli Istituti Religiosi, come ha risolto il caso la Santa Sede? La “Sedes Sapientiae”: nei seminari: due [maestri]: maestro di disciplina e maestro di spirito; negli istituti religiosi è uno solo, tanto per la disciplina, come per lo spirito. Perché noi abbiam da formare nella vita comune, abbiamo da essere veri padri; invece nei seminari vanno per uscire e cioè per essere ordinati, alla fine dopo gli studi, e uscire.
Ora, perché uno sia religioso, aggiungere diverse, tante cose che non sono necessarie nel clero diocesano. Dobbiamo fare i religiosi: religioso poi che viene elevato – se è ben preparato – al sacerdozio. Ora questo amore a ognuno, a ognuno: quanto si amano i nostri, si curano i nostri, tanto meno siamo attirati fuori. Sono i nostri, sono le anime, quelle di cui ci chiederà conto il Signore in primo luogo.
Allora, il cuore si sente, il cuore diviene sempre più sacerdotale, sempre più sacerdotale. Amare le persone singole, che sono in casa: saper compatire e saper aiutare.
Dopo che i nostri, la riconoscenza [va] alle Pie Discepole: sacrificano le loro giornate e se c’è un giorno di festa loro devono lavorar di più. Ma quello che dànno di contributo maggiore è la preghiera, l’adorazione per le vocazioni nostre.
Perché la carità deve essere ordinata. Non simpatie o antipatie, ma carità ordinata, equilibrata.
Ma quello che è più necessario e che veramente assicura una percentuale maggiore di riuscite è conservare con bontà l’ordine, la disciplina, ma le singole anime: portarli avanti, nel sapere, nella santità, ognuno. Sono i nostri figliuoli spirituali.
Perché poi, a poco a poco, già crescete: una quindicina di chierici, ventuno, mi pare; ventidue novizi; sacerdoti, che già, sono in mezzo di voi e che già possono aiutare quelli che appartengono alla propria nazione, capirli e considerarsi noi ospiti. Perché poi devono essere i nostri paolini che fanno una Pia Società San Paolo in Messico. Noi li incamminiamo. Ma mica che poi dopo la Pia Società San Paolo debba sempre mandare persone da oltre Italia o da altre parti. Si viene, si avvia all'apostolato tecnico, redazionale e di propaganda, per esempio chi collabora bene a diffondere i periodici paolini. Questa è carità verso i nostri.
Dunque. Tutti siete superiori: chi è confessore, chi è maestro di scuola, chi è maestro di apostolato, chi ha l'impegno della disciplina, l'ordine, chi deve amministrare i beni, chi deve far tutto perché ci sia anche il progresso economico: tutti siete superiori, fosse anche solo uno che sia assistente, ossia nel compimento del suo apostolato.
E in libreria e in [sala] e nelle conferenze – supponiamo – alla radio, diffondere la produzione: Famiglia Cristiana, Domingo, e poi quello che si potrà aumentare. E coloro che [ordinano] dentro l'apostolato, quanta carità lì c'è dentro, perché riesca bene e per di più unirsi alle anime.
Vivere in carità! Allora «pasce agnos meos, pasce oves meas». Stabilirsi nella carità!
Oh, credo di esercitare veramente la carità in quello che ho detto.
Parliamone a Gesù, specialmente nella messa, e parliamone a Maria nel rosario.
Avere la carità. Ma non che uno voglia per se che gli altri siano buoni sol con lui. Ma che sian coscienti anche gli altri. Non che vogliamo solamente che gli altri siano caritatevoli con noi, ma esseri i primi caritatevoli con gli altri. Ma non consiste in chiacchiere, in parole, ma proprio nel dare davvero, dare la santità, dare la scienza, dare l'apostolato per la vita, formare della gente robusta di spirito, nutrire bene anche fisicamente: questo lo fate? fisicamente? E allora tutto l'individuo potrà produrre di più per la gloria di Dio e per la salute delle anime, la salvezza. Ecco. Allora: vivere in carità!
Adesso concludiamo. Che in questi giorni noi ci orientiamo meglio sulla carità verso Dio, la carità verso i nostri e carità verso il popolo per mezzo dell'apostolato. Quando vedo un apostolato ben ordinato, tutto si fa: e scelgono i libri migliori, quelli che fan proprio per questa nazione o per quell'altra – secondo – e come [fan l'educazione anche] secondo i bisogni. Allora, ecco: qui si vive di carità.
Sia lodato Gesù Cristo.


Trascrizione del file: 1963-00-00_sacro_cuore.mp3
durata 19' 03''

Don Giacomo Alberione - Roma, 1963 - ai discepoli SSP

Sacro Cuore di Gesù


Oggi, venerdì, festa del sacro Cuore di Gesù.
Nella coroncina al sacro Cuore di Gesù si ricorda i doni grandi che Gesù ha elargito a noi. E specialmente sono ricordati il Vangelo, l'Eucarestia, la Chiesa, il sacerdozio, lo stato religioso, Maria come madre e la stessa vita di Gesù, che ha offerto la sua vita per la nostra salvezza.
I doni che sono ricordati: in primo luogo il Vangelo: la predicazione che ha compiuto Gesù nel suo ministero pubblico e cioè il vangelo; il vangelo che è la buona notizia, e cioè la notizia della salvezza, l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento. E la base del Nuovo Testamento è propriamente il Vangelo; e poi seguono ai quattro vangeli, seguono gli Atti degli apostoli, le lettere degli apostoli, san Paolo, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni e poi l'Apocalissi.
La predicazione del vangelo. Quale differenza vi è tra il popolo ebreo, cioè prima della venuta di Gesù Cristo, rispetto a noi? Quali doni ci ha fatto il Signore Gesù? Il dono principale è la stessa sua vita, quindi ha dato la sua vita per noi; è morto per aprirci il cielo e poi tutte le grazie perché possiamo arrivare al cielo.
E quanto al Vangelo Gesù [disse]: “Sono stato mandato ad evangelizzare i poveri”. Molte volte i sapienti non si umiliano a inginocchiarsi davanti al Maestro e ricevere l'insegnamento. E sono piuttosto le anime elette, le anime pure, i poveri: questi accettano la evangelizzazione.
Noi abbiamo da domandare al Signore la grazia di capire qualche cosa del Vangelo. E chi arriverà a penetrarlo del tutto? Nessuno, fin che siam sulla terra. E poi Gesù vuole che il Vangelo sia annunziato a tutta l'umanità: “Andate a tutte le genti, tutte le nazioni”.
E allora da una parte [dobbiamo] capire il Vangelo e dall'altra parte pubblicare il Vangelo. E vi sono coloro che predicano il Vangelo con la parola e vi è chi predica la Parola per mezzo di strumenti della comunicazione sociale.
E se c'è la Parola viva, vi sono poi gli strumenti che sono larghissimi quanto a effetto e cioè la stampa. Oh, quanto di più di stampe rispetto alla predicazione! Alla domenica c'è l'omelia di un quarto d'ora, magari, da dieci a quindici minuti; ma tutti i sette giorni tipografie immense che ogni giorno mettono fuori fiumi di carta. E poi il cinema: e quanto è frequentato! E poi la radio e la televisione, che son sempre ascoltati; e quando? nella giornata stessa alle volte. E poi quello che è la televisione e quello che adesso va avanti sempre di più: i dischi e altri strumenti.
Oh, ora l'evangelizzazione può essere così ampia ed è così scarsa invece: un quarto d'ora al mattino ogni settimana. È un'umiliazione. Allora domandare al Signore la grazia che la Parola di Dio arrivi alle anime, a tutte le anime.
Stenta a andar ascoltare una predica; e invece il giornale: lo spendono quel denaro e poi leggono con sete, ecco. Che torto si fa alla parola di Dio! E allora domandiamo la grazia che almeno dalla nostra parte, in quanto è possibile, diffondiamo il Vangelo: o diretto, quello che il Vangelo autentico, o quello che è la spiegazione del Vangelo.

Altro dono che il Signore ci ha fatto è l'Eucarestia. Ci ha dato se stesso: “Prendete e mangiate: questo è il mio corpo; prendete e bevete: questo è il mio sangue”. E quindi nella seconda parte di questa coroncina domandiamo al Signore la grazia, dal cuore di Gesù questa grazia: <ascolta> partecipare bene la messa e fare comunioni sante e adorazioni, visite sante. Il gran dono dell'Eucarestia: Gesù in mezzo agli uomini in mezzo a noi sempre, fino alla fine dei secoli.

Poi il terzo dono, che viene ricordato: la Chiesa. La Chiesa, che è la società dei credenti. E nella Chiesa vi è chi guida il popolo di Dio: il papa, i vescovi e tutti i sacerdoti che operano. Ringraziare il Signore perché ci ha dato la Chiesa, perché nella Chiesa vi è la salvezza; e possiamo giorno per giorno conoscere sempre meglio la Chiesa. E quindi grande fede nella Chiesa; e che noi amiamo la Chiesa; e che il mondo aderisca e capisca la Chiesa. Allora poi in questa occasione pregare per il Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il quarto dono è stato l'istituzione del sacerdozio. Col nome di sacerdozio si intendono i vescovi, i sacerdoti, i diaconi e <quelli che sono> quelli che devono aiutare. Ora al sacerdozio: udire la parola, sentire la legge, l'ascetica, la mistica per la perfezione, e poi la preghiera, la preghiera, perché il sacerdozio, il sacerdozio ogni giorno si ripete la il sacrificio della messa; e d'altra parte che il sacerdote deve pregare per tutto il popolo, per tutta l'umanità.

Poi lo stato religioso ci ha dato Gesù Cristo, quando ha invitato il giovane: “Se vuoi esser perfetto, vieni, dopo aver lasciato tutto, vieni e seguimi!”. E allora le promesse di Gesù Cristo per chi si consacra a Dio e vive fedelmente la vita religiosa. Ringraziare il Signore di questo.

Vi è poi: “Ringrazio e benedico il vostro cuore pietosissimo per averci donato Maria”. Quando Gesù sulla croce stava per spirare, ecco, ci ha dato come madre Maria: “Donna, ecco il tuo figlio. Giovanni, ecco tua madre”. Ecco, Maria che è nostra madre, colei che è corredentrice e che è dispensatrice della grazia per i meriti di Gesù Cristo. Avere questa fiducia nella madre nostra Maria.

E poi l'ultimo dono che ci ha fatto Gesù: morì sulla croce per noi: la sua vita; si è immolato. Oh, erano più delle tre del pomeriggio del venerdì santo e allora, siccome all'indomani c'era la festa pasquale e la festa cominciava la sera, dove si mangiava l'agnello pasquale secondo l'uso ebreo e non dovevano esserci esposti i condannati, doveva esser la festa di pace, allora domandarono che venissero uccisi i tre crocifissi, venissero uccisi e poi deposti dalla croce, perché non ci fosse alcuno crocifisso là che fosse vivo. E allora i soldati ebbero l'ordine di rompere le gambe ai due ladroni e lo fecero, perché si affrettava la morte, si affrettasse la morte. E arrivati a Gesù, – la croce era un po' più indietro, secondo si pensa, – trovarono che Gesù era già spirato. E allora, per constatare che veramente era spirato, ecco la lanciata, per cui è stato aperto il costato di Gesù: la punta della lancia è arrivata al cuore e dalla lancia scorre sangue e acqua, sangue ed acqua. E ciò è indicazione dell'Eucarestia.
È di lì, dall'amore di Gesù Cristo, che ci ha dato la Chiesa e che ci ha dato questi doni, queste grazie per arrivare all'eterna felicità noi. Oh, ci ha dato quindi la sua vita stessa, Gesù Cristo.
Noi sappiamo essere riconoscenti a qualcheduno che ci ha fatto un servizio, un favore. Questo è tanto buono, la riconoscenza è un dovere verso chi ci fa benefici o qualche aiuto ci dà. Ma qui i grandi doni che ci ha fatto Gesù Cristo! Allora, se siamo riconoscenti anche per piccole cose, qui [abbiamo] i sette grandi doni: allora nella giornata recitare la coroncina, nella visita al santissimo Sacramento, e riconoscere i benefici che Gesù Cristo ci ha fatto.
E poi la corrispondenza che dobbiamo avere: primo: leggere bene il vangelo; secondo: accostarsi bene alla comunione, ascoltar bene la messa, far bene la visita; poi una devozione grande alla Chiesa, come figli che siamo della Chiesa e che la seguiamo docilmente; e poi riconoscenza perché Gesù ci ha dato il sacerdozio, il sacerdozio, che deve guidare le anime e portare la grazia alle anime; e poi dopo riconoscenza per lo stato religioso a cui siamo stati chiamati per sua misericordia, di Gesù; e poi il dono di Maria nostra madre; e infine la vita stessa di Gesù.
Quindi nella giornata, nella giornata, recitiamo bene la coroncina al sacro Cuore di Gesù.
In modo molto distinto Pio XI ha insistito perché si faccia in questo giorno riparazione ai peccati del mondo; riparazione e cioè: consolare il cuore di Gesù tanto offeso, sì, e che gli uomini comprendono quanto Gesù ci ha amato, quanto Gesù ci ha amato, e che noi provvediamo dei doni e quindi arrivare alla salvezza. E nella giornata poi si deve da recitar la preghiera di consacrazione dell'umanità al cuore sacratissimo di Gesù, ecco.
Quindi oggi è una giornata di raccoglimento, di amore verso Gesù, il sacratissimo cuore di Gesù che tanto ci ha amato e nulla ha risparmiato, tutto ci ha dato. E nello stesso tempo che Gesù sia consolato dalle tante bestemmie e dalle tante pubblicazioni scandalose, rovinose e di tutti i peccati dell'umanità.
E sono ormai quasi venti secoli e dolorosamente il vangelo non è ancora arrivato a tutte le nazioni, a tutta la gente. Perché? Perché come Gesù, quando predicava, molti non accoglievano la sua parola, anzi l'accusavano, così capita nella Chiesa. Noi ripariamo, ripariamo le tante offese. Almeno Gesù, guardandoci, dice: “Almeno voi, almeno voi mi capite come vi ho amato”, questo il senso, e come egli ci comunica le ricchezze della sua grazia, particolarmente di aver il dono della fede e quindi l'amore.
Dolce cuor del mio Gesù, fa' ch'io ti ami sempre più...