Blessed James Alberione

Opera Omnia

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Registrazioni audio ssp 1958

Trascrizione del file: 1958-01-26_padellaro.mp3
durata 11'04''

Don Giacomo Alberione Roma, 26-01-1958, alla ssp e all'on. Padellaro

Benedizione della casa dell'apostolato
e consegna medaglia d'oro della pubblica istruzione
da parte dell'on. Padellaro al Primo Maestro



[La benedizione è tutta in latino per una durata di quattro minuti e venti secondi]
Pax huic domui et omnibus habitantibus in ea.
Adiutorium nostrum in nomine Domini. - Qui fecit coelum et terram.
Asperges me Domine hyssopo et mundabor, - lavabis me et super nivem dealbabor.
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto - Sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula saeculorum. Amen.
Asperges me Domine hyssopo et mundabor, - lavabis me et super nivem dealbabor.
Domunus vobiscum - Et cum spiritu tuo.
Oremus: Benedic Dòmine Deus omnipotens domum istam: ut sit in ea sànitas, castitas, victoria, virtus, humilitas, bónitas, et mansuetudo, plenitudo legis et gratiarum actio Deo Patri, et Filio et Spiritui Sancto: et haec benedictio màneat super hanc domum et super habitàntes in ea nunc et in omnia saecula saeculórum. - Amen.
Asperges me Domine hyssopo et mundabor, - lavabis me et super nivem dealbabor.
Actiones nostras, quaesumus Domine, aspirando praeveni et adiuvando prosequere: ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Pax huic domui et omnibus abitantibus in ea.
Asperges me Domine hyssopo et mundabor, - lavabis me et super nivem dealbabor.
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto - sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula saeculorum. Amen.
Asperges me Domine hyssopo et mundabor, - lavabis me et super nivem dealbabor.
Adiutorium nostrum in nomine Domini - Qui fecit caelum et terram.
Domunus vobiscum - Et cum spiritu tuo.
Oremus. Domine Jesu Christe, qui dixisti discipulis tuis: In quamcumque domum intraveritis, salutate eam dicentes: Pax huic domui, veniat quaesumus pax illa super hanc domum et officinam ad libros imprimendos et divulgandos preparatam, et super omnes degentes in ea et cunctos domo in ea laborantes ab omni calamitate animae et corporis liberare digneris. Reple scriptores, rectores et operarios spiritu scientiae, consilio rectitudinis et adimple eos spiritu timoris tui ut mandatum ecclesiae fidentes et custodientes ibi digne et proximo suo salutariter valeant inservire. Benedic ergo bone Jesu, qui es via veritas et vita hunc locum et presta ut omnes in eo abitantes intercedente gloriosa et immaculata virgine matre tua Maria ad immarcescibilem gloriae coronam feliciter perveniant. Qui vivis et regnas in saecula saeculorum. - Amen.
Oremus. Domine Deus, unice fons scientiarum, qui hominum ingenium ita illuminare dignatus es ut nova artificiosa instrumenta invenirent ad paginas libri scribendas, benedic quaesumus has machinas ut per libros ad utilitatem nostram prodeuntes nihil aliud te adiuvante discamus praeter scientiam tuam quare(?) reducit ad vitam. Per Christum Dominum nostrum. - Amen.
Dominus vobiscum - Et cum spiritu tuo.
Oremus. - Exáudi nos, Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérnæ Deus: et míttere dignéris sanctum Angelum tuum de cælis, qui custódiat, fóveat, prótegat, vísitet, atque deféndat omnes in hac domo habitántes. Per Christum Dóminum nostrum. - Amen.


[seguono le parole dell'on. Padellaro: ]

La prassi vuole che ogni volta che si consegna una medaglia, si faccia un discorso. Ma ci sono due categorie di persone che odiano i discorsi e sono gli umili e gli attivi. Per questo motivo, io, dovendo parlare a don Alberione, non posso fare un discorso.
Devo tuttavia chiarire, brevissimamente, il significato di questa medaglia che il Ministero dell’Istruzione gli assegna.
La medaglia d’oro si dà ai benemeriti, se fosse possibile dirlo con altra parola che non offenda la grammatica, diremmo “ai benemeritissimi” – ché ci sono poi quelle d’argento, quelle di bronzo – ai benemeriti della cultura, dell’arte e della scienza, ai sogni, all’eternità.
Sono tentato di rientrare daccapo in quell’argomento che avevo scartato, nel dire sono tentato di fare un discorso, mi ritiro anche perché non si può mancare subito, dopo pochi secondi, di parola.
Dirò semplicemente questo: la stampa è la benedizione e la maledizione dei nostri tempi. 3.800.000 copie di romanzi polizieschi abituano gli uomini, i giovani, tutti, al delitto. L’opera a cui ha dato vita don Alberione, ha questo magnifico, provvidenziale, santo scopo: di cambiare la maledizione, che c’è sulla stampa, in benedizione. [applauso]

Adesso leggo il Decreto del Presidente della Repubblica:

Il Presidente della Repubblica:
-visto l’art. 87, comma ultimo della Costituzione;
-vista la Legge 16 novembre 1950, n. 1093;
-visto il Regolamento approvato con Decreto 18 novembre 1952, n. 4553;
-udito il parere della Commissione di cui all’art. 6 della Legge predetta;
-sulla proposta del Ministro per la Pubblica Istruzione,
DECRETA
è conferito al Sacerdote don Giacomo Alberione il Diploma di Prima classe ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte, con la facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro. [applausi]
Il Ministro predetto è incaricato dell’esecuzione del presente Decreto.
Data a Roma addì 2 giugno 1957.
Firmato: Gronchi; controfirmato: Moro [applausi]


[seguono parole di Don Alberione:]

Vi ringrazio molto, Professore.
Che cosa vuol dir questo? Chi ha lavorato, è veramente benemerito: e siete tutti benemeriti!
Naturalmente non potevano distribuire tante medaglie, perché il Governo è povero, ma quando si fan le funzioni, ci vuole un incaricato e così hanno dato questa medaglia non come persona, ma come a colui che ha dovuto fare questo ufficio, via via degli altri.
È toccato a me perché son vecchio! Non toccava mica ai piccoli!
Allora ringraziamo il Signore a cui va ogni gloria e ringraziamo e preghiamo di rendersi per noi interprete presso l’Autorità il Professore.
Ora, un ringraziamento a tutti quelli che hanno cooperato alla costruzione e quelli che hanno provveduto tutto il macchinario.
Nella benedizione che è stata data si dice: “artificiosa instrumenta” il Signore ha illuminato l’intelletto degli uomini a inventare sempre nuovi artificiosi istrumenti per il bene. Dolorosamente, sovente, vengono adoperati per il male. Ma qui, nella nuova costruzione, nella casa dell’apostolato, si possono mettere le parole che stanno scritte in alto, nel cornicione della chiesa: “Di qui voglio illuminare”. È il Maestro Divino che di qui vuole illuminare. E tutti quelli che hanno cooperato in qualche maniera, possono considerarsi come veri cooperatori del Maestro Divino.
Sì, di qui si stamperà soltanto quello che serve ad illuminare gli uomini e a portar loro la verità e la grazia e a suggerire i mezzi di grazia e a portare la virtù.
Sia lodato Gesù Cristo. [applausi]

Agimus tibi gratias, omnipotens Deus, pro universis beneficis tui, qui vivis et regnas in saecula saeculorum - Amen.
Et benedictio Dei omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti, descendat super vos et super nos et maneat semper. - Amen.

Trascrizione del file: 1958-01-26_eucarestia.mp3
durata 26'10''

Don Alberione (durante l'ora di adorazione)
Chiusura anno paolino - Roma, 26-01-1958, alla ssp


“L’Eucarestia, la messa”



Umiliamoci per i nostri peccati. Gli angeli circondano l’ostia, sono candidi, innocenti. Purtroppo noi siamo peccatori. Atto di dolore. [tutti i fedeli recitano l’atto di dolore].

La nostra adorazione, qui, si svolge in tre punti:
– primo, la figura dell’Eucarestia;
– secondo, la promessa dell’Eucarestia;
– terzo, l’istituzione dell’Eucarestia.
E particolarmente, nelle preghiere, chiederemo al Signore la grazia corrispondente alla funzione di stamattina della benedizione solenne alla casa dell’apostolato.

Il Signore preparò gli uomini a sentire l’annuncio dell’Eucarestia e particolarmente a capire quale era il fine dell’istituzione dell’Eucarestia. Quindi egli nell’ultima cena compì ciò che aveva promesso, dando il suo Corpo e il suo Sangue in cibo e bevanda agli apostoli e a tutti quelli che avrebbero creduto in Lui.
Leggo nel Vangelo di san Giovanni al capo sesto – l’avete il Vangelo? – la figura dell’Eucarestia che è la moltiplicazione dei pani, di cui si parla, appunto, in tale capo, capo sesto, versetto 3: «Intanto Gesù salì su per la montagna, ed ivi si pose a sedere con i suoi discepoli. Ed era vicina la Pasqua, solennità dei giudei. Ora, avendo Gesù, alzati gli occhi e visto che una gran turba veniva a lui, disse a Filippo: “Dove compreremo dei pani per saziare questa gente?” Ma ciò diceva per metterlo alla prova; egli, infatti, sapeva bene quanto stava per fare. Gli rispose Filippo: “Duecento denari di pane non bastano neanche a darne un pezzetto per uno”. Gli dice uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che è questo per tanta gente?”. Gesù disse: “Fateli mettere a sedere”. C’era lì molta erba: gli uomini si misero pertanto a sedere, in numero di cinquemila circa. Allora Gesù prese i pani e, rese le grazie, li distribuì alla gente seduta; così pure fece dei pesci, finché ne vollero. E saziati che furono disse ai suoi discepoli: “Raccogliete gli avanzi, perché niente si perda”. Li raccolsero dunque e riempirono dodici canestri dei pezzi dei pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato».
Con questo miracolo, Gesù preparava il popolo a sentire quello che doveva dire dopo, cioè la promessa dell’Eucarestia.
Nell’altra moltiplicazione dei pani, si dice che le turbe avevano seguito Gesù per diversi giorni: volevano ascoltare la sua parola, vedere i suoi prodigi. E oramai erano senza cibo. Perciò Gesù, rivolto agli apostoli, disse: “Diamo loro da mangiare, perché se li dimetteremo in questo modo, verranno meno a loro le forze per istrada”, “ne deficerent in via”.
Il cristiano ha da fare un viaggio lungo. Uscito dalle mani di Dio, l’uomo deve tornare a Dio. Il battezzato, cioè l’uomo fatto cristiano, ha da passare attraverso molte difficoltà. Il cammino della vita, tante volte, è difficile.
E allora il Signore Gesù ci ha procurato un cibo, l’Eucarestia, “ne deficerent in via”, perché non ci vengano meno le forze per la strada.
E questo cibo corrisponde in qualche maniera al cibo materiale, cioè al pane quotidiano di cui noi nutriamo il corpo. Il pane consacrato è il Corpo santissimo di Gesù. Ecco che viene dato al cristiano un cibo per fortificarlo: la Comunione frequente, o quotidiana, è il cibo stabilito da nostro Signore Gesù Cristo.
Chi riceve bene questo augusto sacramento, è fortificato nel suo cammino, combatterà contro il demonio, combatterà contro la carne, combatterà contro le insinuazioni e gli esempi cattivi che vengono dal mondo, e vincerà.
Chi riceve raramente questo sacramento, e particolarmente chi lo riceve male, come potrà aver le forze necessarie?
Per accostarsi degnamente a questo sacramento, occorre lo spirito di fede, una fede profonda; occorre una fiducia serena nel cibo celeste; occorre un amore ardente. E quanto migliori sono le disposizioni nostre, tanto maggiore è il frutto.
“O sacrum convivium in quo Christus sumitur”. Ecco, allora il primo punto ci porta a domandare a noi medesimi: “Come sono le mie Comunioni?”. Questo è un cibo, è un cibo intiero, diciamo, che nutrisce la mente dell’uomo: “mens impletur gratia”; che riempie il cuore di amore verso Dio e nello stesso tempo fortifica tutta la nostra vita cristiana, fortifica la vita religiosa.
La miglior preparazione e il migliore aiuto per seguir la vocazione è la Comunione ben fatta, la Visita ben fatta, la Messa ben sentita.
Religioso che non sia devoto della santissima Eucarestia, significa che cosa? Un uomo che non si nutre. E quando manchiamo del nutrimento, che cosa avviene? Vengono a mancare le forze.
Adesso reciteremo il “Segreto di riuscita”. Onde noi sappiamo ricavare dalle Comunioni il frutto che la Comunione è destinata a portare.
Nell’ultima edizione è a pagina 124, la preghiera. Il canto “Adoro Te devote” pagina 252.


La promessa dell’Eucarestia.
«Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico: non Mosè vi diede il Pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il vero Pane del cielo, poiché il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo”». E più avanti: «“In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha la vita eterna. Io sono il Pane della vita! I padri vostri mangiarono nel deserto la manna e morirono; questo è il Pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Sono io il Pane vivo disceso dal cielo! Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne, per la vita del mondo”. Discutevano, perciò, tra loro i Giudei, dicendo: “Come mai può costui darci a mangiare la sua carne?”. Ma Gesù disse loro: “In verità, in verità, vi dico: se non mangerete la carne del Figliolo dell’uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno, perché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui. Come il Padre che vive ha mandato me, ed io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà anche egli per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come la manna che mangiarono i Padri vostri e morirono. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga di Cafarnao».
E qui abbiamo la promessa dell’Eucarestia. In questo modo Gesù continua la preparazione dei discepoli a quello che avrebbe poi fatto nell’ultima cena.
L’Eucarestia, la presenza di Gesù.
Ogni Sacerdote ha il potere di consacrare il pane, consacrare il vino. “Fate questo in memoria di me”. Gesù rimane con noi: in qualunque casa dove andiamo, troviamo un tabernacolo e abbiamo la grazia della Messa. Ma particolarmente alla Famiglia Paolina, il Signore ha concesso questa grazia immensa, dell’adorazione quotidiana: la visita al santissimo Sacramento.
Bisogna rendere giustizia a Gesù Cristo: egli il Salvatore, egli il Maestro, egli la Via, la Verità e la Vita. E gli uomini stanno lontano da lui! Occorre allora che noi compiamo questa riparazione che è un atto di giustizia!
Se tutti dimenticano Gesù e non ricordano “et ego vobiscum sum omnibus diebus”, ripariamo!
Le adorazioni nella Famiglia Paolina siano continuate. Non solamente perché nel nostro emisfero noi facciamo le adorazioni per la giornata e nell’altro emisfero i nostri fratelli che colà vivono continuano l’adorazione mentre noi siamo al riposo, ma anche perché le Pie Discepole, in continuità, adorano il santissimo Sacramento e rappresentano la Famiglia Paolina presso Gesù.
Quando Gesù promise l’Eucarestia, si scandalizzarono, e molti se ne andarono, quasi che Gesù avesse detto una cosa impossibile. Ma Gesù interrogò i discepoli più affezionati, cioè gli apostoli: “Volete andarvene anche voi?” Pietro rispose per tutti: “No, non ci allontaneremo: tu hai parole di vita eterna”.
Forse noi ci allontaneremo da Gesù? No! Il Maestro Divino parla alle anime, qui, in chiesa. E non sono tanto le parole degli uomini, specialmente dei mondani, che abbiamo da sentire, ma la voce di Gesù. La luce di Gesù [...] ha da penetrare in tutte le nostre anime, in tutti i nostri cuori.
Come sono fatte le visite al santissimo Sacramento? Riteniamo la visita come l’udienza di Gesù, l’udienza che egli ci concede ogni giorno? Un’udienza la quale è la più fruttuosa di tutte quante le udienze che possiamo avere anche dai personaggi di grande importanza? Veniamo con fede? La visita è fatta secondo le istruzioni del libro delle preghiere? Vi è sempre la parte che riguarda l’atto di fede, la parte che riguarda la volontà, la parte che riguarda i sentimenti, il cuore?
Una visita ben fatta non può mai essere senza frutto.
Dopo essere stati all’udienza di Gesù, ecco che noi ce ne ripartiamo confortati, consolati, illuminati.
Il proposito che deve seguire è questo: considereremo l’ora della visita come l’ora fortunata della giornata, dopo quella della Messa. È l'ora fortunata perché ci serve per illuminarci e prepararci anche alla santa Messa che ascolteremo il giorno seguente. La visita illumina tutta la giornata, ci mostra tutti i nostri doveri in una luce nuova e ci fa vedere l’apostolato nel suo spirito soprannaturale.
Ora reciteremo appunto le preghiere che riguardano l’apostolato, quelle che sono a pagina 128, 129 e 130 del libro, per domandare le grazie al Signore per la redazione, per la tecnica e per la propaganda e poi: “Prima della propaganda”. «Gesù Maestro» ...


Nella prima lettera ai Corinzi, capo 11, versetto 23: «In me ricevete dal Signore quanto vi ho insegnato – dice San Paolo – cioè che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e, dopo aver reso le grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo che sarà sacrificato per voi; fate questo in memoria di me”. Così pure, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è il nuovo patto del mio sangue, fate questo tutte le volte che ne berrete in memoria di me”. Ordunque, tutte le volte che voi mangiate questo pane e bevete il calice, celebrate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore indegnamente è colpevole del corpo e del sangue del Signore. Ognuno, dunque, esamini se stesso, prima, e così mangi di quel pane e beva del calice, perché chi mangia e beve senza discernere, mangia e beve la propria condanna. Ed è per questo che vi sono fra di voi molti ammalati e privi di forze e tanti son morti. Se invece ci esaminassimo da noi, non saremmo giudicati».
Dopo la figura, dopo la promessa, viene l’istituzione. La Messa, in terzo luogo, dobbiam considerare. La Messa è la rinnovazione del sacrificio della croce, fatta in modo diverso, ma sostanzialmente è lo stesso sacrificio della croce, poiché medesimo è il principale offerente, e medesima l’offerta, cioè l’ostia, e sono medesimi i frutti.
La Messa abbiamo da penetrarla sempre meglio, particolarmente nel senso liturgico, considerando bene la Messa nelle sue tre parti: la parte che è di istruzione e la parte che è il sacrificio e la parte che è la comunione, cioè la partecipazione dell’ostia, all'ostia anche.
È la Messa che dà la maggior gloria a Dio, che offre il ringraziamento degno, che ripara, soddisfa per tutti i nostri peccati, ed è la Messa che forma e che costituisce ed è essenzialmente la preghiera più efficace.
Come si ascolta la Messa? Come, anzi, ci si avvicina all’altare? Onde, se si entra in Chiesa, quali sono i sentimenti di fede e di speranza che ci accompagnano nella Santa Messa? E dalla Messa quotidiana, quali frutti riportiamo noi nella giornata?
Ascoltare la Messa pensando al sacrificio del Calvario, unendosi alle intenzioni di Gesù nell'immolarsi, alle intenzioni di Maria che assistè al sacrificio di Gesù.
È molto bello, entrando in Chiesa, far nostre le intenzioni di Gesù, le intenzioni che ebbe Maria sul Calvario, e che ha Maria in cielo e le intenzioni che ebbe San Paolo nel dar la sua vita per Gesù, le intenzioni che ha San Paolo in cielo.
Allora la Messa sarà di grande conforto per noi, e particolarmente essa sarà la preghiera nel giorno per la vocazione, per la santificazione, per l’apostolato.
Ora per questo reciteremo la Consacrazione dell’apostolato a Maria, come si trova a pagina 138.

Trascrizione del file: 1958-03-22_ssp_vangelo.mp3
durata 21'35''

Don Giacomo Alberione - Roma, Casa generalizia, 22-3-1958 - ai sacerdoti


Sul vangelo della prima domenica di Passione



Stiamo entrando nel tempo detto di Passione e segnato dal capitolo di vespro di oggi: «Fratelli, il Cristo, essendo venuto quale pontefice di beni futuri, è passato attraverso il tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano mortale, un tabernacolo cioè che non appartiene a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario non col sangue dei capri o dei vitelli, ma col suo stesso sangue, ottenendo così la redenzione eterna. Poiché se il sangue dei capri e dei tori e l'aspersione fatta con le ceneri di una giovenca santificano coloro che sono colpevoli, in modo da ridar loro la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che in virtù dello Spirito santo si offrì a Dio ostia purissima, purificherà la nostra coscienza, affinché possiamo servire il Dio vivente. E perciò egli è il mediatore di una nuova alleanza onde, intervenuta la morte per riscatto delle iniquità commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano la eredità eterna a loro promessa in Gesù Cristo nostro Signore».
E si entra in questo tempo detto di Passione poi con la considerazione del vangelo che leggeremo domani. Il vangelo che ci rappresenta la lotta sempre più stretta, più decisa della sinagoga contro Gesù Cristo, fino ad una vittoria momentanea, illusoria, una vittoria che fu una sconfitta, la sconfitta piena, la sconfitta piena della sinagoga. E invece la vera vittoria è di Gesù Cristo sopra il peccato e sopra la morte e sopra il demonio.
«In quel tempo Gesù disse alla folla dei Giudei: “Chi di voi può accusarmi di peccato? Se vi dico la verità perché non mi credete? Colui che è da Dio ascolta la parola di Dio: per questo voi non l'ascoltate, perché non siete da Dio”. Ma i Giudei gli risposero: “Non abbiamo forse ragione di dire che sei un samaritano ed un posseduto dal demonio?”. Gesù rispose: “Non sono posseduto dal demonio, bensì onoro il Padre mio e voi mi insultate. Io non cerco la gloria per me. C'è chi la cerca e giudica. In verità in verità vi dico che chi osserverà la mia parola non vedrà la morte in eterno”. I Giudei gli dissero: “Ora sappiamo per certo che tu sei posseduto dal demonio: Abramo è morto ed i profeti pure e tu dici: chi osserverà la mia parola non vedrà la morte in eterno. Sei forse più grande del nostro padre Abramo che è morto o dei profeti che sono pure morti? Chi pretendi tu di essere?”. Gesù rispose: “Se mi glorifico da me stesso, la mia gloria è nulla. Chi mi glorifica è il padre mio che voi dite essere vostro Dio. Voi non lo conoscete, ma io lo conosco. E se dicessi di non conoscerlo, sarei un bugiardo simile a voi. Ma lo conosco e osservo la sua parola. Abramo vostro padre desiderò di vedere il mio giorno, lo vide e ne gioì”. I Giudei gli dissero: “Non hai ancora 50 anni ed hai visto Abramo?”. Gesù rispose: “In verità in verità vi dico: io esistevo ancor prima di Abramo”. Essi allora raccolsero delle pietre per scagliarle contro Gesù, ma egli si nascose ed uscì dal tempio».
Il frutto principale da ricavarsi da questa considerazione è questo: approfittare del tempo di Passione nella miglior maniera. Nella miglior maniera significa: considerare bene tutto quanto la sacra liturgia ci mette sotto gli occhi in questo tempo: prima le parole della messa, le parole del breviario, tanto più nella settimana santa; considerare insieme tutte le cerimonie. Parole e cerimonie sono per ricordarci i più santi misteri, i più sacri misteri: la redenzione che si compie e la redenzione che dev'essere applicata, data a tutto il mondo, a tutte le anime per mezzo del sacerdote, per mezzo della Chiesa. La liturgia dunque da considerarsi con le sue parole, le sue cerimonie e tutti i misteri che essa in questo tempo ci ricorda.
È un tempo che possiamo chiamare di mestizia. Noi consideriamo come il mondo ha trattato il Maestro: la ostinazione: “Voi non siete da Dio, perché non ascoltate la Parola divina”, l'ostinazione degli Ebrei e quante anime si ostinano nel male!
La nostra salute è tutta in Cristo: “Sui non receperunt, quotquot autem receperunt eum dedit eis potestatem filios dei fieri”. La nostra redenzione è tutta in lui: la sua parola, i suoi esempi, i suoi sacramenti, la sua morte, la sua risurrezione, le sue promesse, la Chiesa istituita da lui: tutto, particolarmente quello che è il centro del culto, la messa.
Allora bisogna che noi guardiamo a Gesù Cristo. Non confidiamo così facilmente in noi. Noi abbiamo da morire alle nostre tendenze, ai nostri cattivi desideri, alle passioni per vivere e stabilire la nostra vita in Cristo, pensare come lui e operare come lui e sperare in lui, confidare totalmente in lui, nella sua grazia, sì.
Quindi considerare l'ostinazione degli Ebrei, ostinazione che li portò alla rovina totale.
Poi in secondo luogo considerare la passione e morte di Gesù Cristo. E lì abbiamo da notare quanto Gesù ha sofferto per l'umanità, quanto ha sofferto per l'umanità: le sue sofferenze interiori, interiori e le sue sofferenze corporali, le sofferenze del suo cuore, l'ingratitudine degli uomini: viene a portar la salute al mondo e non è accolta la salute; opera prodigi, predica una dottrina mirabile, tratta gli uomini con somma bontà e si ostinano e prendono occasione da ogni parola per accusarlo e per condannarlo.
Considerare le sofferenze del cuore di Gesù anche per l'abbandono dei discepoli durante la sua passione e per la malevolenza, la malizia di Giuda. Proprio coloro che egli aveva eletto come capi della Chiesa, Pietro stesso, capo degli apostoli, ecco: come si sono regolati durante la passione di Gesù Cristo? Considerar le sofferenze del cuore di Gesù.
Poi abbiamo da considerare le sofferenze esterne, particolarmente dall'inizio della Passione: il Getsemani, poi i vari episodi, fino alla sua morte in croce e fino alla lanciata da parte del soldato, la lanciata che ferì il costato sacratissimo di Gesù. Considerare i vari tratti della Passione nella Via crucis particolarmente.
Poi dobbiamo considerare i misteri: il mistero dell'istituzione dell'Eucarestia, il mistero dell'Ordinazione sacerdotale, – possiamo chiamarlo mistero, – con quello che egli, Gesù Cristo, ha conferito di potere ai sacerdoti, e l'incarico che diede ai sacerdoti di predicare la sua parola, oltre che di consecrare il pane e il vino: “Andate e insegnate”. Sentire quale sia la nostra vocazione, quale sia il nostro ministero: ministero tutto sacro, ministero che ci mette in una posizione di mediatori con Gesù Cristo e in Gesù Cristo e per Gesù Cristo tra l'umanità e Dio, l'umanità peccatrice e Dio offeso. Ecco.
Noi che dobbiamo tutti i giorni presentare lo stesso sacrificio che fu offerto già sulla croce al Padre celeste in adorazione e ringraziamento e soddisfazione e supplica, supplica per tutta l'umanità. Quanto c'è bisogno di riparare le offese che si fanno a Dio!
Se noi abbiamo fede nella messa, ma una fede viva in quello che si compie nelle nostre mani sull'altare, certamente da una parte onoreremo più Iddio e ripareremo di più le offese fatto a Dio e d'altra parte otterremo molto più grazie all'umanità.
Consideriamo che nella settimana santa come il sangue divino, il sangue che viene versato da Gesù Cristo sul Calvario, dev'essere applicato a questi due miliardi e settecento milioni di uomini. Noi raccogliamo tutta l'umanità nel nostro pensiero, nel nostro cuore, in questo tempo e presentiamola al crocifisso Gesù, perché il sangue cada su tutti, cada su tutti in remissione, in riconciliazione: che l'umanità si arrenda a Gesù Cristo e attraverso Gesù Cristo trovi Iddio, il Padre, trovi la salvezza, la gloria eterna. Sentire la nostra grande missione, particolarmente in questo tempo!
Inoltre aiutiamo le anime al massimo! Per quanto ci è possibile condurre i peccatori a Dio. Tempo di riconciliazione, questo della Pasqua. Il segno che uno è ancor cattolico e vuol viver la vita di cattolico è appunto che faccia ancora la Pasqua; se poi lascia cadere ancora la Pasqua, si può dire un cristiano di battesimo, ma non un cristiano di vita, non un cristiano di vita. Se non prende i beni che Gesù Cristo ha portato per mezzo della sua vita, della sua passione e della sua morte, oh, non vivrà la vita di Cristo. E allora non vivendo in Cristo, come si potrà chiamare cristiano?
Dunque cercare di aiutare al massimo i peccatori con la preghiera, col sacrificio, con la mortificazione nostra, con la parola e con tutto quello che ci propone di mezzi la sacra liturgia in questo tempo.
Aiutare le anime! Aiutare quelle anime, che sono più delicate, a penetrare nei misteri della passione e morte di Gesù Cristo: che comprendano e che si commuovano alla considerazione delle sofferenze di Gesù, sì; comprendano e si commuovano alla celebrazione dei sacri misteri della settimana santa; che si pentano sempre di più delle debolezze, dei difetti, dei peccati anche veniali per condannare e per risorgere. Queste anime che sappiano vivere meglio Gesù Cristo: “Mihi vivere Christus est”, ecco. Conduciamo le anime alla massima perfezione.
Le vocazioni sorgono sempre dal fervore di vita: se non c'è il fervore di vita, non ci può essere la fioritura di una vocazione. Fervore di vita cristiana! Allora quando c'è questo fervore, oltre i comandamenti si cercano ancora i consigli evangelici; oltre che salvare noi stessi, c'è ancora la volontà, il desiderio dell'apostolato, di salvare gli altri, salvare le anime, illuminandole e conducendole a Dio. Condurre le anime alla massima perfezione, a vivere quanto più possibile con fervore la vita in Cristo: “Vivit in me Christus”.
E anime che siano piene di fede, anime che sentano la speranza, sentano a che cosa è indirizzata la vita, che cosa si deve fare su questa terra e [sentano] perché in sostanza viviamo e che cosa ci aspetta; anime che sperano nei meriti di Gesù Cristo! Condurre queste anime all'amore ardente a Gesù Cristo, all'amore ardente al prossimo.
Sentire che cosa voglia dire salvare un'anima, che cosa ha fatto Gesù Cristo per un'anima, per le anime: “Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis”!
Allora la Pasqua poi ci sarà di grande frutto spirituale. E otterremo maggior abbondanza di vita spirituale e risorgeremo in Gesù Cristo, se noi siamo stati diligenti ad approfittare di questo tempo di quaresima e più ancora di questo tempo di passione.
Adesso veniamo a fare ciascheduno di noi i nostri propositi.
E offriamo i nostri propositi a Gesù perché li benedica e ci fortifichi nell'osservanza, affinché ogni tempo sia sacro, ma specialmente questo tempo della passione di Gesù Cristo.
Che nessuno aggiunga pene al Salvatore e che ognuno di noi lo consoli, il Salvatore, che va a patire e morire per noi.
E ognuno approfitti di questo tempo per un aumento di grazia e di santità, proprio aumento di grazia e di santità.
Noi sacerdoti poi facciamo ancora il proposito di celebrare quanto più santamente ci sarà possibile i sacri misteri del tempo.
Sia lodato Gesù Cristo.


Trascrizione del file: 1958-02-15a.mp3
durata 30' 32''

NB - Audio poco comprensibile. Il segno [...] indica qualche parola incomprensibile.

Don Giacomo Alberione - ai discepoli(?)

Devozione a Maria e a San Giuseppe. L'apostolato del Discepolo del Divin Maestro




Quest'oggi [è il] primo sabato dell'anno mariano di Lourdes, e d'altra parte ci troviamo vicini alla celebrazione del mese a san Giuseppe.
Maria e Giuseppe si trovano uniti in una missione grande e questa missione non era distaccata, anzi era una partecipazione della missione stessa di Gesù Cristo. Essi, Maria e Giuseppe, ebbero l'incarico, l'ufficio di preparare al mondo ciò che era da tutto il mondo desiderato, dal mondo antico, il Messia, di preparare al mondo il Maestro divino; che cominciò a dare un saggio del suo sapere il giorno in cui è si è fermato a disputare con i dottori all'età di dodici anni a Gerusalemme e poi si manifestò quale era. E come un tempo avevano parlato i profeti, così egli, Gesù, “aperiens os suum docebat eos”, “aperta la sua bocca, insegnava”. E fece il discorso così celebre della montagna.
Maria e Giuseppe prepararono al mondo l'ostia di propiziazione. Nessuno poteva entrare ancora in cielo senza il riparatore. Si offrivano nei tempi antichi sacrifici vari: si offriva olio, vino, si offrivano agnelli, si immolavano tori; ma erano tutti, questi sacrifici, come un'ombra e un segno del sacrificio unico che doveva essere stabilito: il sacrificio della croce. Il quale ci ha riaperto il Paradiso. E quelle porte lì aperte, stanno sempre aperte per chi vuole entrare. La porta è sempre aperta, ma molti sbagliano la via e non trovano più la porta; e altri la vedono aperta in distanza e non vi entrano.
E poi Gesù ebbe ancora il grande ministero, ministero eterno che continua in cielo, e cioè sacerdozio. Egli sempre, mentre che è ostia, cioè vittima, è anche offerente e quindi in cielo la liturgia è piena. La liturgia sulla terra ha il suo centro nella messa. Nella Chiesa di Dio i sacrifici sono ridotti a uno ed è perpetuo. E si offre da levante a ponente, in tutte le 24 ore della giornata, poiché non cessa mai la messa sulla terra e quando non si celebra qua, si celebra in altre regioni.
Ecco Maria e Giuseppe ebbero questa missione: missione unica, che non ebbero mai più e non avranno mai più altri uguale: missione unica. Ma non soltanto fecero qualche cosa, cioè prepararono al mondo questo, ma parteciparono alla redenzione, si unirono nelle intenzioni e nei sacrifici e nelle opere, nelle preghiere, nei desideri e in tutta la vita alle intenzioni medesime di Gesù, sì; e parteciparono quindi al ministero, all'ufficio, alla missione di Gesù Cristo stesso; in una maniera ineffabile, in una maniera ineffabile, che fu propria singolare di essi, e che qui però sono inimitabili in modo assoluto; imitabili in un modo relativo, cioè nella possibilità nostra di partecipare alla redenzione del mondo.
Perciò san Giuseppe e Maria santissima, uniti in questa missione collaborarono costantemente. Dove essi non potevano arrivare, intervenne Dio direttamente mandando l'angelo: l'angelo a Maria e “Verbum caro factum est” e l'angelo a Giuseppe: “Quod enim in ea natum est de Spiritu sancto est”. E allora uniti insieme compirono quella missione: ed eccoli a partire per Betlemme insieme, eccoli insieme al presepio, insieme in Egitto, insieme a Nazaret; finché le memorie si perdono per riguardo alla vita di san Giuseppe e non sappiamo bene quando sia stato il suo transito. E tuttavia egli aveva compito, quando passò al premio, aveva compito la sua parte ed aveva anche insegnato il lavoro al Figlio di Dio incarnato: maestro di lavoro.
Oh, adesso perciò è utile che ci prepariamo tutti bene alla celebrazione del mese a san Giuseppe. Ma non soltanto una cosa esteriore, una cosa che nasca dall'anima, anzi penetri tutta l'anima, tutta la mente, tutto il cuore, tutti i sentimenti, la nostra vita.
Credere alla vostra missione, così simile alla missione di san Giuseppe. Credere! Se si parte dalla fede, viene la speranza e viene l'amore, cioè la carità. Ma se non si parte dalla fede e si ragiona umanamente, tutto svanisce, è tutto umano. La vita non ha più ideale, se manca la fede in generale. E se non c'è la fede in modo particolare, cioè nella missione che ciascheduno ha, naturalmente non ci può essere l'amore e non c'è la speranza che di lì proprio [...].
Ma se si crede alla missione, la si vede nel suo aspetto soprannaturale, allora la si considera come un grande mezzo per santificazione, un grande mezzo di apostolato, se la si ama; e dove si ama non si sente il peso, e se si sente il peso, si ama il peso stesso.
Perché, sì, il discepolo, quando è nello spirito, va ancor che fa le penitenze e mortificazioni, oltre le sue costituzioni, oltre il suo ufficio; ma tutti siamo così. I confessori hanno sempre da tenere a freno le anime che son piene di amore, che hanno la fede che li sostiene, li porta, e la speranza: per cui tengono sempre su il freno. Allora bisogna frenarli, quasi, vogliono guidati con più gradualità; e quasi, diciamo, abbreviare il passaggio sulla terra per raggiungere un premio più presto e un premio più grande.
Ma se manca quella vista di fede, è inutile predicare ed è anche inutile costruire, perché si costruisce senza fondamento e si può costruire un pezzo di casa senza fondamento e quando si è arrivati a una certa altezza, la casa trema, perché non ha la base.
Fede. Credere alla missione che abbiamo, alla vocazione religiosa e alla vocazione apostolica: la doppia vocazione. Nella modestia, non cercando altri, non predicando ad altri. Qui mi ha messo il Signore, per la mia santificazione; santificazione che posso raggiungere sicuramente e per la quale io ho innumerevoli aiuti esterni e innumerevoli grazie interne – sì, e così [...] – innumerevoli aiuti, raggiungere il più alto grado di santità, perché in me c'è questa vocazione alla vita religiosa, povertà, castità e obbedienza nella vita comune con quelle regole, con quelle determinazioni che ci son nelle Costituzioni.
Da molto tempo vado considerando quale [...] così il numero preponderante è proprio, oh, non fuori della generalizia, [...] per quanto io sappia, e le lamentele non valgono.
Oh, quindi, un altissimo grado di santità. Però abbiamo questa fede: io collaboro al Maestro divino. Non soltanto [...] ma io collaboro, opero con lui. Egli è la verità ed io gli sono il mezzo, gli metto a disposizione il mezzo per trasmetterlo. Egli è la via: io gli sono il mezzo per far conoscere con lui qual è la via, che lui stesso è la via. Ed io collaboro con lui nel dare i mezzi di grazia, i sacramenti, la messa e tutti quegli aiuti spirituali che si trovano nella Chiesa. È una collaborazione a Dio. Considerare la collaborazione a Gesù Cristo, viverlo nella fede, [...] sempre meglio.
L'apostolato. E qui, l'apostolato ha tanti mezzi materiali e tra le altre cose c'è da ringraziare il Signore che vi ha dato questa magnifica casa di apostolato; ed è anche un premio [...]. Perché quando il Signore manda una cosa, la manda perché vede che si è disposti a usarla bene, se no non la manda. E ve l'ha mandata. E si può dire che ci avesse messo le mani tutti per prepararla, questa casa di apostolato: ecco un merito.
Ecco allora tutto il nostro apostolato ha parte materiale, che son le macchine. E quanto buone e belle quelle che avete!
Oh, si direbbe quasi che è una tipografia comune, ma non è una tipografia comune: è una casa di apostolato, una casa di apostolato. Perché può essere una tipografia per vivere: eh! hanno bisogno di vivere e prendono un mestiere: ecco gli artigiani. E può essere un mezzo per farne degli errori, un'industria, e può essere che [...].
Ma che cosa bisogna pensare? Bisogna pensare che l'acqua del battesimo è un'acqua come tutte le altre, come quella che c'è nel Tevere e come quella che c'è nell'Atlantico: non è [...]. Ma uno può adoperare tutta quell'acqua a lavare un bambino e non dargli la vita eterna, se non si dice la formula con l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Quel [...] ha messo un bicchiere d'acqua in testa, sulla fronte del bambino. È l'intenzione con la formula più che il mezzo [...] nell'acqua. Eh, ma se è un’acqua come tutte le altre! ma adoperata con l'intenzione. È l'intenzione che conferisce al vostro apostolato in primo luogo il carattere soprannaturale. L'intenzione e poi l'oggetto. E cioè che non si stampano cosacce, ma si stampano cose sante: intanto quello che oggi avrebbe predicato Gesù Cristo, quello che oggi predicherebbe san Paolo. Lo spirito soprannaturale della missione.
Che cosa ci poteva essere di più umile che il lavoro di san Giuseppe che stava al suo banco con gli strumenti del mestiere? Ebbene era apostolato, era collaborazione al Maestro divino, collaborazione a Dio stesso che voleva il mondo salvo e che aveva mandato il suo Figlio per salvare il mondo, sì. Vedere l'apostolato in questo senso, in questa fede.
Ora viene la speranza. Ma io cosa faccio? Io mi faccio santo e salvo anime. Quindi sono da una parte un religioso, dall'altra un apostolo, un apostolo. La parte materiale ci deve essere, ma informare l'intenzione e l'oggetto, ecco. E si tratta, quello che si tratta non è una cosa, non è che il nostro lavoro: e per mezzo delle sue sofferenze e del suo lavoro san Giuseppe preparava il Redentore al mondo insieme a Maria. Quindi le devozioni non si devono mai distinguere, separare: Maria e Giuseppe, Maria e Giuseppe assieme, Maria e Giuseppe, le due devozioni.
Oggi poi avete una conferma che la vostra devozione e il vostro titolo stesso piace a Dio e nello stesso tempo è utile per voi: una messa a Gesù Maestro.
Essere essenziali! Vogliono senso all'esteriorità? questo è accidentale! L'approvazione vera è quando si dice la messa. Come gli antichi tempi la consacrazione di una chiesa si faceva silenziosamente: veniva Gesù: si vede che la casa era consacrata con la sua presenza; la casa, cioè, il luogo che chiamiamo chiesa, che è la casa di Gesù nostro fratello, ecco.
E così l'approvazione è tutta riassunta lì: le altre cose esteriori sono questioni che dipendono dai tempi, dalle vedute, ma quello ha un'importanza secondaria.
Oh, allora una conferma: discepoli di Gesù Maestro è il vostro titolo glorioso, il vostro titolo glorioso, discepoli di Gesù Maestro.
Oh, allora noi viviamo insieme; pensiamo secondo la Chiesa. Allora se dunque abbiamo pur davanti due, sette [...] che si guadagnano la vita religiosa e quelli [...] l'apostolato, la nostra speranza non solo nel Paradiso [...] doppiamente gloriosi, diciamo così, di un doppio Paradiso. E si lavora con generosità e si fanno quelle opere che io debbo e voglio fare per meritarlo.
E allora viene l'amore a Dio, a Gesù e l'amore alle anime. E allora vorremmo salvarne quanto si può di anime e vorremmo dare a Dio quanto è più possibile, quanto è più possibile [...].
Quel “Padre nostro” che sempre ci commuove: “Sia santificato il tuo nome", [...] “per mezzo di Gesù Cristo sia sanificato il tuo nome, Padre, Padre nostro che sei nei cieli”. E “venga il tuo regno” e cioè: gli uomini si arrendano a Dio; sono figli di Dio, ma figli un po' scapestrati, ecco, alle volte. E Gesù è la via per arrivare al Padre. Amiamo il Padre celeste! e che vengano tutti gli uomini a riconoscere che son figli di Dio e devono partecipare un giorno alla tua felicità in cielo come figli, quindi eredi.
E sia fatta la volontà di Dio come si fa in cielo e così si faccia in terra, in maniera che la terra sia una preparazione, un prevenire un po' le occupazioni del cielo, sebbene prima ci portino la gioia, la felicità, coi meriti: nell'occupazione del cielo portano il premio, la felicità ai beati, sì.
Oh, adesso in conclusione: primo: la fede nella vita religiosa e la fede nell'apostolato; secondo lo spirito nelle intenzioni nelle vedute di san Giuseppe, secondo. Fare le nostre cose con spirito soprannaturale, se no si trova tutto pesante. Quei muratori che non hanno lo zelo faranno il meno che possono, ma colui il quale ha viva fede nel paradiso, nel premio, cerca in ogni cosa di esser diligente: diligente nella preghiera, diligente nell'osservanza degli orari, diligente nella carità nella bontà con tutti. E ogni tanto vien fuori qualche cosa che ha cercato qualche altro di seminare: un po' di zizzania nel bel campo della vita, nel bel campo della vita spirituale e della vita paolina. Un po' di zizzania. [...] sta nascosto [...] di notte soprasemina la zizzania.
Oh, poi, l'amore a Dio, la sua gloria, con Gesù Cristo, tutto in Gesù Cristo e proprio per la gloria di Dio: Gloria in excelsis Deo; in Cristo per dar la pace agli uomini, [...] la pace tra l'uomo e Dio: l'uomo è riconciliato con Dio nella vita soprannaturale, nella vita poi eterna, sì. Quindi questa fede.
Secondo: collaborazione delicata, diligente, a tutto: sia per l'osservanza religiosa, e per l'amore all'istituto, l'amore alla vita del discepolo e collaborazione.
E poi terzo: questo amore soprannaturale, soprannaturale. E quest'amore per cui, pur facendo delle cose materiali, come quando il prete versa dell'acqua sulla testa del il bambino, in realtà si dà, si porta la vita eterna.
Eh, se il mondo fosse pieno di buoni libri e se invece di quarantamila, cinquantamila copie di un bel gran libro, si aggiungessero degli zeri e si facesse dei milioni! Oh, date il pane a questa gente che muore di fame, che perde la vita soprannaturale! Era partito da una situazione con qualche soldo in tasca, ma poi era venuto a disputarsi coi porci le ghiande e morì di fame, di [...]. Questa gente che si allontana dal Padre celeste! Poter dare un pane sostanzioso, ecco: la verità! Sentire, sentire. “Ad hoc natus sum ut testimonium perhibeam de vita”, “Io sono venuto in questo mondo e sono nato in questo mondo per portare la verità agli uomini”: il Maestro divino.
Per questo stare insieme, in collaborazione coi sacerdoti, coi quali perché sia istituto e per raggiungere quel grado di meriti è necessaria l'unione intima. Un solo apostolato, una sola azione, una sola azione salvatrice.
Dunque quello che volevo dire: tenete la vostra devozione a Maria. E avete fatto bene a stampar tante copie del numero unico: una bella azione. E unire san Giuseppe, le due devozioni, come il Signore Iddio ha unito Maria a Giuseppe nella stessa missione. E si son santificati insieme, si sono santificati insieme.
Propositi.
Non lasciatevi perdere o in chiacchiere o in [...]: Dio, [...], le anime.
Propositi.
Noi faremo il mese di san Giuseppe alla sera.
Sia lodato Gesù Cristo.


Trascrizione del file: 1958-05-20a.mp3
durata 25' 09''

audio poco comprensibile: il segno [...] indica che si è tralasciata qualche parola dubbia o incomprensibile

Don Giacomo Alberione - ai sacerdoti novelli [?]

Lo zelo sacerdotale - I tre caratteri: del battesimo, della cresima, del sacerdozio



...lo Spirito Santo che ha infuso negli Apostoli una fede più viva, una virtù più forte, uno zelo più ardente e si sono imposti subito con tale ardore che coloro li udivano credettero che fossero uomini usciti di senno. E allora è proprio quella parola di fede che han detto gli altri apostoli: “Non essere questi uomini che siano ubriachi, ora che siamo al mattino. È venuto invece il giorno in cui si compie la profezia antica: lo Spirito Santo discenderà e profetabunt, parleranno i vostri figli e le vostre figlie, eccetera.
Chiedere per questa festività lo zelo, sì, e chiederlo per mezzo di Maria, in unione con Maria e per le sue mani presentare al Signore le nostre suppliche. La supplica può essere secondo la nostra vocazione, secondo il nostro stato, amare le anime, e quindi uno zelo ardente, uno zelo prudente, uno zelo costante, uno zelo illuminato, così, ecco. Venga a noi, rifulga abbondanza di Spirito Santo; traduciamo tutta la vita in apostolato.
Non è che siamo arrivati al sacerdozio per riposare: siamo arrivati soltanto qui sul campo del lavoro. Ora il contadino non va a riposare nel campo: riposerà nella casa. Non partirebbe da casa. Ma nel campo si porta nella via più corta per compiere il lavoro e assicurarsi il maggior frutto. Ecco che stiamo arrivando sul campo del lavoro.
Una considerazione fondamentale questa. Perché non si illudano i preti. Il Signore agli apostoli non ha promesso dei premi, no no: “Vi manderò come agnelli in mezzo ai lupi”, “sarete cacciati dalle sinagoghe”, “sarete perseguitati e coloro che vi perseguiteranno, pretenderanno di dar gloria a Dio anche”, eh sì!, e crederanno di far bene; molti saran convinti, considerandovi, così possiam dire, considerandovi come gente inutile, gente che sfrutta la società, gente che illude il popolo, sotto l'aspetto e sotto la promessa dei beni eterni, vuole avere che cosa? vantaggi temporali, cioè vivere comodamente e sfruttare l'ignoranza e la ingenuità del popolo, del popolo.
Oh, ecco, primo: abbiamo ricevuto il carattere del battesimo: “Ex aqua et de Spiritu sancto”: figlio di Dio, “renatus fuerit ex aqua et de Spiritu sancto”. Lo Spirito santo è diffuso in noi, la vita cristiana per noi. Poi lo Spirito santo è disceso in noi nella cresima, sacramento dello Spirito santo, che ci fa veri soldati; i laici stessi siano combattenti. Non c'è posto nella Chiesa di Dio per i mezzi sordi, quelli indifferenti, perché chi vuol vivere è [...] per Dio, per amare il Signore. Chiunque ama il Signore, desidera ai fratelli la salute eterna, la gioia di Dio.
Poi ancora il terzo carattere: “Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis, quorum retinueritis, ecc.”. Il terzo carattere. Entreremo in paradiso con tre caratteri, tre glorie, se siam fedeli: prima se abbiam fatto rendere la vita cristiana fino alla cresima; e poi se abbiam fatto rendere il carattere della cresima ancora come militanti, come militanti, se abbiamo fatto anche da parte nostra già un qualche impegno; e terzo se facciamo rendere il nostro carattere, il nostro potere, la nostra missione, la nostra vocazione: terzo carattere, abbiam detto: “Ricevete lo Spirito”, “et quotiescumque diceritis, – ecco – in mei memoriam facietis”.
Ora noi comprendiamo che in Paradiso possiamo entrare con la gloria di questi tre caratteri e allora [...]. Sì, però il carattere che abbiamo attualmente nel sacerdozio, è quello che deve rendere e per la vita cristiana e per la vita di Dio e [...] del battesimo e deve rendere, specialmente ora, deve rendere anche il carattere sacerdotale.
Noi potevamo non essere né creati, né battezzati, né cresimati, né stati ordinati, ma ora lo siamo e non c'è più altra via se vogliamo arrivare alla santità, alla salvezza. Quel talento, i talenti non nasconderne nessuno, non nasconderne neppur uno; perché ci verrà chiesto conto del frutto e se sono cinque talenti, cinque noi abbiamo da portare al giudizio di Dio, voglio dire: cinque talenti ricevuti, cinque talenti fatti fruttare, il frutto di cinque talenti.
Vengono a portare qualche volta dei soldi a prestito: “Quanto mi date?”. Noi diamo il 5; ma vogliono il 6 vogliono il 7, vogliono l'8. E noi cosa vogliamo, come vogliamo far rendere i nostri capitali? Almeno il 5, ma io sono sacerdote e allora il 6, il 7. “Mi impegno e mi sopraimpegno”, fino alle volte che bisogna dire: “Ma un po' di riposo!”. E riposano, sì, il riposo eterno. E quindi non si arrendono al male fin che non son costretti, e non starebbero a riposo finché non stanno nella tomba; e non si arrendono agli esempi che alle volte vedono attorno a sé, esempi non troppo edificanti e [...]. La glorificazione del sacerdote Giuseppe [...], la glorificazione del quel sacerdote [...] quando ero più giovane me lo ricordavo spesso, perché [...] qualcuno a Torino, in un piccolo istituto tenuto da un sacerdote [...] si chiamava [...]. Oh, e qualche [...] discorrere, e finiva con arrestarsi un momento perché il tema lo pretendeva e non aveva [...] abbastanza. Oh, ma senza andare a degli estremi, purtroppo noi gli eroismi li [...] prima ai santi e non [...]. Ma almeno il talento che renda, il talento del sacerdozio [...].
Però ci vuole preghiera, perché diversamente il fuoco si spegne, sì, e fiducia: bisogna sempre alimentare la fiamma. Si alimenta con la preghiera, si alimenta nella meditazione, si alimenta configurando quella che voglia dire un'anima salvarsi o un'anima perdersi, quello che significa dare l'eterna felicità a un'anima, quale merito sia, quale carità dimostri e carità più eccellente, immensamente più eccellente che dar da mangiare al povero, che vestire l'ignudo e visitare il carcerato, sebbene anche tutte queste opere siano opere di carità, ma vi è sempre grado e grado tra il raggio della carità. Le opere di carità spirituale precedono le opere di carità corporale. Ma parlando dei preti non è per noi: è opera sì di carità, obbligatoria, non di consiglio, non di consiglio. Perciò abbiamo [...] sopra di noi “Jugum meum suave est” [...] sì questo.
Ora benediciamo il Signore perché possiamo compiere l'apostolato grandissimo per mezzo dell'edizione pur restando tranquilli, diciamo meglio che tranquilli [...]. E quindi un apostolato così largo: “In omnem terram exivit sonus eorum et in fines orbis terrae verba eorum”. L'apostolato mediante i mezzi moderni danno la possibilità di adempiere questo più facilmente e letteralmente. L'istituto, quando si sente ben unito, l'opera che potrà fare produce salvezza. Si dice che, se non c'è la tecnica buona, anche lo scritto avrà meno effetto, e soprattutto se ben presentato anche nella sua veste grafica, nella pellicola, nello stampato, eccetera.
Quindi il Signore vi ha dato un sacerdozio speciale e questo sacerdozio speciale dovrà [...] la vita in proporzione, in proporzione. Il male, il male si estende sempre di più, si estende sempre di più, sia perché il mondo è senza difensori, e sia perché vi sono sempre più mezzi per la diffusione del male. E allora viene sempre più il bene in proporzione e [...]. Allora ringraziare il Signore di questo.
Poi do un'altra considerazione. Noi facciamo non solamente il bene alle anime, ma se facciamo dei discepoli e se facciamo dei sacerdoti, ecco che noi prendiamo un mezzo che è antico ed è moderno, perché noi ci moltiplichiamo poi in tutti [quelli] che arriveranno dietro di noi e che estenderanno il vero apostolato e arriveranno nelle varie nazioni dove il Signore ha destinato che si arrivi.
Fare un buon cristiano è ottima cosa e fare un buon sacerdote, un buon apostolo, oh, quale aggettivo dobbiamo adoperare per indicare quanto questo sia meritorio e quale segreto di moltiplicarsi. Dicevano di quel sacerdote che è arrivato a fare circa duecento sacerdoti nel suo ministero: [...] dedicato alle vocazioni e in tutte le maniere curava i giovani sanati spiritualmente e materialmente e contando su su: ecco i nostri moltiplicatori, i moltiplicatori.
Abbiamo i preti moltiplicatori allora [...]. Oh, perciò lo zelo per le vocazioni.
Inoltre il nostro zelo illuminato. Sappiamo che cosa facciamo. Istruirsi. Ognuno di noi istruirsi: sul come scrivere, sul confessare, sul predicare. Oh, credono che sia tutto questo una cosa facile: eh, non è facile! Non si tratta mica di andare al mercato e far delle chiacchiere o degli scherzi. Che il nostro zelo sia illuminato: che sappiamo che cosa diciamo e sappiamo anche il modo di dirlo e a chi lo diciamo. E poi farlo coi nostri i mezzi, affinché il frutto sia maggiore e venga formato, illuminato.
E poi da qui dobbiamo imparare: [...] pastorale si fa col tempo. La prima volta che ho conosciuto gli appunti di pastorale [...]. E [...] nel riferire che in Germania si stava già sviluppando ampiamente e l'Italia era ancora arretrata. Ed ora quanto si è svolta! E ce n'è tantissima, e tutti i congressi di pastorale, questi aggiornamenti da fare. Sempre c'è da studiare, pensare, vedere.
Eh, fare una predica costa fatica, certo costa fatica. Il canonico Chiesa per una decina d'anni tutte le settimane doveva fare [...] prediche. Lui si è fatto la [...] sul diario e quando preparava una predica aveva scritto sul diario [...]. Andava per fare la predica come ha fatto [...] pur migliorandola ancora volta per volta, però già [...] delle cose da dire.
Illuminato. E poi ci vuole lo zelo costante. Lo zelo richiede sacrificio. Se lo scolaro va dieci minuti dopo a scuola o la termina dieci minuti prima: moltiplica un po' per cento i dieci minuti: quanti minuti si perdono? prova a moltiplicare i dieci minuti? E allora – concludeva il canonico Chiesa – non ho incoscienza o no? Allora si poteva dire che il moralista quasi più stimato e sempre consultato [...].
Oh, quindi, qualcuno fa così direttamente, sia quando si sta in confessionale, sia quando si deve parlare, sia quando si deve scrivere, sia quando si deve muovere per le varie cose, perché l'apostolato è talmente nostro e complesso.
Zelo costante perciò. [...] “fatigati ex itinere”: beati noi se alla fine potremo dire: ho camminato tanto per le anime [...].
E poi lo zelo prudente, sì, perché le anime si hanno da trattare con molto riguardo, per non scoraggiarle alle volte, per sostenerle, per conoscere i loro bisogni e d'altra parte per suggerire i mezzi e noi medesimi mentre che pensiamo di santificare gli altri e non perdere [...] anche prima [...] la preghiera, lo studio necessario, il lavoro nostro spirituale; e poi daremo ciò che abbiamo: ma prima [...].
Dunque questa può esser la grazia da chiedere in questa giornata particolarmente dedicata alla Regina Apostolorum. Chiedere questa grazia [...] e consacrare [...] a Maria e che rendano al massimo.
Sia lodato Gesù Cristo.


Trascrizione del file: 1958-03-19_ssp_giuseppe.mp3
Durata 24'28''


Don Giacomo Alberione Roma, cripta del santuario, 19-03-1958
in occasione del 25° di professione di 5 discepoli


San Giuseppe, il discepolo



Avete cantato "Fidelis servus et prudens, quem constituit Dominus super familiam suam".
San Giuseppe fu veramente il servo fedele e prudente, qualità essenziali per chi deve guidare una famiglia.
San Giuseppe ha una missione universale, per tutta la famiglia umana, e ha una missione universale rispetto alla Chiesa, di cui è patrono. E ha una missione particolare per tutte le famiglie umane, di cui egli è esemplare. E ha una [famiglia, anzi, una] missione particolare rispetto alle famiglie religiose.
A Nazareth, la prima famiglia religiosa, a Nazareth la famiglia che deve essere di esempio a tutte le famiglie religiose.
In primo luogo, considerare la sua missione in quella famiglia. Egli là era il padre, il capo: "Ecce pater tuus et ego" disse Maria al ritrovamento di Gesù al Tempio: "Ecco il padre tuo ed io".
Il padre: così ha da essere considerato nelle famiglie religiose il cosiddetto superiore. Il padre ha l'ufficio di formare la famiglia, ha una paternità di un'ordine, nelle famiglie religiose, di un ordine molto elevato.
Paternità. Nelle famiglie religiose è necessario ricordare che il padre deve nutrire la mente e deve nutrire il sentimento, formare il cuore e deve formare la volontà e deve guidare in tutta l'attività.
Condizione essenziale per ricevere da chi guida, da chi ha l'ufficio di padre: la docilità, l'amore; condizione essenziale: il rispetto.
San Giuseppe rappresentava il Padre celeste, nella sacra famiglia: “paterna vice”. Così il superiore della casa, così il superiore di ogni reparto, rappresenta il Signore.
Ma, sempre è da considerarsi quanto è diverso un collegio da un vocazionario.
Il collegio ha degli scopi molto buoni, ma il vocazionario ha degli scopi più larghi.
Nel vocazionario il superiore, o meglio il maestro e padre, ha degli scopi intimi: in primo luogo la docilità nell'apprendere l'insegnamento.
La formazione della mente: si hanno da apprendere i pensieri, le idee, le convinzioni, la dottrina, da coloro che sono preposti a questo ufficio: insegnare.
Quando vi è la umiltà e la docilità prima di imparare che di giudicare, allora si stabiliscono i fondamenti giusti per sviluppare in seguito con sicurezza il sapere, per arrivare in seguito ad allargare ed approfondire quello che è stato insegnato.
Un grande errore sta nel presentarsi come giudici, anziché come discepoli. Occorre la santa umiltà intellettuale, la docilità intellettuale. Il padre, o maestro o superiore che vogliate chiamarlo, deve formare il sentimento, il cuore. Vi è in noi la facoltà del sentimento, il cuore ha grande parte nella vita umana, e l'influenza del sentimento nelle attività e nell'indirizzo della vita ha conseguenze decisive, tante volte, anzi, il più delle volte.
Apprendere la pietà. Apprendere le divozioni. Apprendere le pratiche devote, come sono insegnate. Apprendere la liturgia sacra e tutto quello che si riferisce direttamente o indirettamente al culto.
Non abbiamo da fare delle pratiche esteriori per seguire le disposizioni disciplinari, in primo luogo. In primo luogo occorre stimare quella pietà, quelle divozioni, quelle pratiche che vengono insegnate e nelle quali si è guidati; anche qui, prima: lasciarsi guidare. Pensare già che si ha una formazione, pensare ad un altro spirito, pensare ad insegnamenti che si sono presi o che si prendono qua e là, casualmente, o anche da libri di spiritualità, è uno sbandamento.
Lasciarsi formare! Lasciarsi formare nel cuore, nella pietà, nella divozione. E se vengono indicati dei mezzi, e se vengono indicati dei pericoli, docilmente ricevere quelle istruzioni e quegli indirizzi che sono dati.
Il padre, o maestro, o superiore, vuole formare il carattere, vuole formare la volontà. Ed ecco allora la docilità della volontà, come vi è la docilità dell'intelletto e la docilità del cuore.
Formare: e allora la disciplina esteriore. Ma questa disciplina ha valore in quanto c'è la disciplina interiore, in quanto vi è il “erat subditus illis”, in quanto vi è la sottomissione interiore, si sente il bisogno di essere guidati. Per questo è tanto necessario non sentire troppi, non aver troppe relazioni, diversamente la personalità e il carattere non si formano e la vita non ottiene la stabilità: si finisce con il camminare sopra una strada e poi cambiarla, e dopo aver cambiato una volta, cambiare un'altra: e allora l'educazione non ottiene il suo effetto.
Occorre la disciplina interiore e occorre più di tutto la sottomissione interiore.
Guardando a san Giuseppe, mettiamoci in questa disposizione: docilità mentale, docilità di sentimento, di pietà e docilità di volontà.
A cui dobbiamo aggiungere la docilità nell'apostolato, perché la nostra vita non è solamente per la santificazione individuale: abbiamo da formare in noi lo spirito sociale e dobbiamo formare lo spirito apostolico.
La docilità. Anche in questa quarta parte della formazione.
San Giuseppe è stato lavoratore, e maestro di lavoro al Figlio di Dio incarnato.
In questo, particolarmente, noi ricordiamo l'ufficio dei Discepoli, i quali, oggi, celebrano la loro festa particolare. Oh, dobbiamo rappresentarci la sacra Famiglia, anzi dobbiamo rappresentarci l'officina, diciamo così, dove Giuseppe lavorava e, nella disposizione della Provvidenza, insegnava il lavoro al Figlio suo putativo.
Il Discepolo ha una missione simile a quella di San Giuseppe; il suo lavoro non è un lavoro materiale soltanto, perché ci sono tre specie di lavori: il lavoro intellettuale, il lavoro morale e il lavoro manuale.
Il Discepolo è persona intelligente e se non è intelligente, non ha vocazione. Intelligenza è capire la sua missione, perché rimanga contento nella vita, soddisfatto, e possa apprezzare quello che compie. E il Discepolo compie un lavoro che non è il lavoro di una tipografia soltanto, è un lavoro di corredenzione, come era il lavoro di san Giuseppe.
San Giuseppe, dopo Maria, fu il primo collaboratore della Redenzione.
Ed ecco che se dobbiamo seminare la verità e insegnare i mezzi di grazia, e additare le vie della giustizia e della santità, occorre l'unione tra il Sacerdote e il Discepolo, si completano.
San Giuseppe non avrebbe avuto la sua grande missione, se non fosse stato il padre putativo di Gesù. Il valore della sua missione, dipende da questo: che egli era il Padre putativo e rappresentava il Padre celeste nella sacra Famiglia.
Ed ecco la sua dignità. Tutta la dignità, diciamo apostolica, del Discepolo sta nell'unione con il Sacerdote. E il Sacerdote unito al Discepolo formano assieme, assieme, indissolubilmente uniti, quella missione che è affidata alla Pia Società San Paolo dalla Chiesa: dare la verità al mondo, dare i mezzi di grazia, indicare le vie della pace e della giustizia e soprattutto della salvezza.
Mirabile unione! Se si dimentica questo principio fondamentale, allora appaiono gli scontenti.
Non ha da gloriarsi l'uno, il Discepolo, e non ha da gloriarsi il Sacerdote. Sono uniti. L'uno ha bisogno dell'altro: il Discepolo perché il suo lavoro divenga apostolato, e il sacer... [... interruzione del nastro]
Allora è anche tanto bello che oggi si ricordino cinque Discepoli i quali celebrano il 25° della loro Professione religiosa Paolina: il fratello Giuseppe Solero, il fratello Giacomo Bortolotti, il fratello Camillo Cendron, il fratello Timoteo Orsini, il fratello Vincenzo Tommasini.
Ricordare la loro vita esemplare, il loro apostolato compiuto con intelligenza e dedizione, ricordare i sacrifici di cui è stata seminata la loro vita. Oh, per essi è stata necessaria una grazia particolare: occorreva loro maggior fede per esser fedeli alla vocazione e comprenderla, occorreva una dedizione più generosa, una pietà più profonda. E ringraziamo il Signore, il Maestro divino, che l'ha comunicata a loro.
E oggi le nostre preghiere sono in modo particolare, quindi, rivolte a san Giuseppe per i Discepoli: i Discepolini, i Discepoli novizi, i Discepoli professi temporanei e i Discepoli professi perpetui.
Oh, che vita piena di meriti! Nessuna umiliazione. Vivere di Fede. San Giuseppe è il primo santo, dopo Maria, in Paradiso. Nessuno ha da umiliarsi e nessuno ha da gloriarsi: tutti docili nel volere santo di Dio, ciascheduno secondo la propria vocazione, perché la santità non ha altro elemento essenziale che il compimento della volontà di Dio. Per ciascheduno come il Signore ha disposto nei Suoi disegni eterni.
Il posto poi, che ci toccherà in Paradiso, non sta a noi giudicare quale sarà.
A noi compiere docilmente, quanto è possibile, il volere di Dio.
Forse non è inutile che ricordiamo adesso anche questo: la vita della sacra famiglia di Gesù, di Giuseppe e di Maria si svolse nella Palestina. La sacra Famiglia uscì soltanto una volta da quella terra, per quanto ci consta, sebbene Gesù abbia toccato qualche volta i confini di quella terra, e fu per andare la sacra Famiglia in Egitto, esule, in Africa.
E allora, a san Giuseppe, oggi, ricordiamo i fratelli che già sono arrivati in quel continente, che dà tante speranze per la Chiesa, oggi. Il numero maggiore di conversioni, oggi, è propriamente in questo continente: l'Africa. E d'altra parte chiedere che quell'inizio di missione abbia un buon sviluppo e che possiamo compiere la volontà di Dio anche in quella terra, in quel continente, e d'altra parte che siano compiuti i disegni che attualmente ha il Papa su quel continente.
Sta sviluppandosi la civiltà, l'istruzione, meglio, penetra sempre maggiormente in quel continente; se ne avvalgono i cattivi per volgere la mentalità di quei popoli verso strade che non sono buone, verso il comunismo e verso il protestantesimo e soprattutto verso l'ateismo.
Pregare, affinché la civiltà che sta raggiungendo quel continente sia cristiana e sia cattolica.
La Messa sarà celebrata, quindi, perché tutti siano docili nella formazione e perché i Discepoli abbiano le grazie necessarie e l'intelligenza di capire la loro vocazione bella. In modo particolare poi per l'Africa. E perché tutti siano costanti, fedeli, fedeli, perché chi persevera fino alla fine riceverà il premio eterno.
Sia lodato Gesù Cristo.


Trascrizione del file: 1958-10-10_pio_XII.mp3
Durata 22.31


Don Giacomo Alberione Roma?, 10-10-1958

Elogio funebre di Pio XII



[...] per noi il pensare all'incontro tra il vicario di Gesù Cristo, il vicario fedele e l'incontro di Gesù, l'invisibile capo della Chiesa; incontro da parte di Gesù accogliente, festoso, poiché Pio XII ha compiuto, durante il suo pontificato, ogni cosa secondo lo spirito del Maestro divino, in tutte le questioni, in tutto l'insegnamento, in tutte le sue decisioni: uno spirito così conformato al Maestro che sempre illuminava, sempre confortava, ovunque spargeva la pace e l'incoraggiamento; e sempre comprensivo di tutte le miserie umane, le miserie di due miliardi e settecento milioni di uomini che si riflettevano nel suo cuore di Padre.
Il suo pontificato di diciannove anni ha segnato un solco profondo nella storia della Chiesa e dei pontefici, da Pietro ad oggi. E il pontificato di Pio XII, soprattutto, è arrivato al cuore di tutta l'umanità. Egli era l'amato, il desiderato, l'ascoltato, il seguito, il venerato, specialmente dagli umili, dagli infermi, dai lavoratori di ogni categoria, da quelli che sono illuminati dalla fede e considerano la Chiesa nella sua missione divina: nella sua missione che attraversa i secoli ed approda ai lidi dell'eternità.
Il suo lavoro costante è stato per la pace tra gli uomini, fra le nazioni.
Primo, quando venne eletto al soglio pontificio, si adoperò per allontanare le minacce di guerra. Ma gli uomini, nel loro orgoglio, non lo ascoltarono e allora avvenne il disastro: la guerra più terribile che ricordi la storia. Quando poi la tragedia si volgeva al suo epilogo, Pio XII dettò i cinque punti necessari e basilari per un trattato di pace giusta e duratura. E non fu ascoltato. E allora è una "pace armata", è una corsa, anzi, ad armamenti sempre più terribili; mentre che il Papa si studiò, in questi anni ultimi del suo pontificato, di medicare le ferite che erano il risultato della grande tragedia. E medicò in quanto gli fu possibile, per – primo – togliere dal cuore degli uomini gli odi, sorgenti di guerra e di inimicizie; poi per illuminare gli uomini e specialmente richiamare i principi della morale eterna: la morale eterna la quale è la base di ogni giustizia e allora, nella pace, illumina gli uomini: ecco che gli uomini sono più disposti ad accogliere la verità e sono più disposti a seguirla.
Da questi ultimi anni ad oggi Pio XII continuò la sua opera di pacificazione.
I discorsi natalizi, specialmente, segnavano quello che veniva operato da lui in segreto, per mezzo della diplomazia, da lui in segreto: lavoro costante, per smussare gli angoli, per richiamare gli uomini alla considerazione, per far sentire a tutti la responsabilità di provocare un'altra guerra.
Ma, oltre che a questo ufficio di "paciere" tra gli uomini, fra le nazioni, egli compì un grande ufficio: Roma lo considera "defensor civitatis", ma gli uomini di studio lo considerano "defensor veritatis". Il suo insegnamento non ebbe fine, si protrasse fino agli ultimi giorni della sua esistenza, anche quando già le forze venivano a mancare, non cessò di scrivere e di operare e di insegnare, entrando in tutti i nuovi problemi che la scienza ha accumulato, e indicando le vie che sono segnate dal Vangelo per il rispetto al diritto di tutti e per l'osservanza di quella legge che è eterna e che non può essere in qualche maniera fraintesa, o adattata alle circostanze del tempo, oppure al vantaggio privato.
Qualcheduno ha voluto fare l'augurio in questi giorni che data la quantità e la bontà degli scritti e dei discorsi tenuti da Pio XII, l'augurio che venisse data a lui l'aureola di Dottore della Chiesa. Questo, però, spetta alla Chiesa stessa.
Certo il suo magistero è stato veramente il magistero, forse, più fecondo di insegnamenti che abbia avuto la Chiesa, finora, dai pontefici.
Il magistero pontificio particolarmente si mostra nei documenti che sono indirizzati a tutto il clero, a tutti i vescovi, a tutto il popolo cristiano: le encicliche. Egli ne ha mandate, tra le più importanti, ventitre, durante i suoi diciannove anni di pontificato: dalle encicliche più intime, o riguardanti la sacra liturgia, o riguardanti il corpo mistico, alle altre encicliche che riguardano l'azione dei laici, e che riguardano le missioni, l'attività, in modo particolare per l'Africa. Una varietà che dimostra come egli fosse sempre il pastore vigilante e intervenisse ovunque il suo gregge aveva qualche pericolo e sempre se si mostrasse qualche necessità in cui il vicario di Cristo, dolce e fermo ad un tempo, doveva parlare agli uomini di buona volontà.
La sua attività particolare è stata però quella che riguarda la vita più diretta di un Papa: l'attività spirituale. E, allora, noi abbiamo in modo particolare i documenti che si riferiscono alla santificazione del clero e i documenti, numerosi, che sono usciti dal suo pontificato per la formazione e la santificazione dei Religiosi. In questo campo ha aperto nuove vie, ha portato delle innovazioni profonde, allargando il significato della vita religiosa, la quale viene praticata oggi dagli Istituti secolari. La vita religiosa degli Istituti secolari, la quale richiede due condizioni, come egli si è espresso: primo, che le anime, le persone che vogliono aggregarsi a questi Istituti secolari "brucino di amor di Dio" – è la sua espressione – pur nel mondo, nei vari uffici, e adoperando essi dei loro uffici e delle loro circostanze per volgere tutta la loro vita, “tradurre – egli dice – tutta la loro vita in apostolato”. In questo abbiamo una innovazione profonda e lo dimostra anche il fatto che in un secolo e mezzo gli Istituti secolari abbiano oltrepassato il numero di duecento nel mondo, e quali attività.
Pio XII è passato al meritato riposo eterno. Un grande statista, forse il principale del mondo, ha detto: "Il mondo, mancando Pio XII, è diventato più povero". Tanta era la ricchezza della sua attività, tanta la premura quotidiana, voglio dire di ogni giorno, per il bene dell'umanità intiera. E veramente questo è dimostrato pubblicamente.
Quando anni fa, 19 anni fa, un prelato, terminato il Conclave che era durato appena diciotto ore, annunziò che oramai il lutto della Chiesa era chiuso: "Annuntio vobis gaudium magnum", Eugenio Pacelli eletto Papa con il nome di Pio XII, fu gaudio in tutta la Chiesa. Tante erano le aspettative della Chiesa in riguardo a quest'uomo, il quale aveva avuto una preparazione, diciamo, che sembrava veramente tutto coordinarsi e tutto disporsi per la sua elevazione al pontificato.
Però, se il gaudio della Chiesa allora fu grande, si capisce il contrasto, oggi, che non è più solo la Chiesa in lutto: è l'Italia, è l'umanità intera: che si conosce dalle dimostrazioni che stanno succedendosi: costernazione nelle popolazioni. E si comprende anche come la sua vita e il suo insegnamento interessavano il mondo intero. Tanto che egli si poteva dire il centro del mondo: fatto bersaglio dagli orgogliosi e fatto oggetto di amore profondo dalle popolazioni, dalle anime rette, fra le popolazioni anelanti alla pace e anelanti al bene.
Bisogna però dire una cosa, giacché parliamo qui: bisognerebbe considerare la sua gioventù di fanciullo chierichetto, di giovane che frequentava i sacramenti, di studioso che concluse il suo liceo con distinzioni le più gloriose, possiamo dire, eccezionali; e che poi abbracciò la carriera ecclesiastica con la dedizione piena, consapevolezza e coscienza intiera di quello che faceva, per operare nella Chiesa umilmente. Ma se Pio XII nel suo pontificato si è mostrato tanto preciso nelle cose, fino a che qualcheduno lo ha giudicato un esagerato, è perché, allora, sui banchi della scuola egli era preciso. Le sue lezioni, i suoi compiti, i suoi quaderni, ancora conservati, che cosa dimostravano? La conclusione degli studi filosofici e teologici cominciò a attirare attorno a lui una certa stima, un rispetto, per cui egli era considerato, fra gli eguali, il primo.
E così tutta la sua vita: di sacerdote, di servitore della Chiesa, come Segretario di Stato, e poi di Nunzio, e poi, successivamente, nel più alto ufficio della Chiesa: sempre raccolse i frutti della sua giovinezza: giovinezza pia, giovinezza retta, anche un po' pensosa, ma sempre ritirata: raccolto nella sua preghiera e raccolto nell'intimo della sua famiglia e raccolto in Chiesa, costantemente.
La virilità dipende dalla giovinezza e come uno si forma, rimane. E se la chiesa è fatta bene, rimane ben fatta, rimane bella. Ma se si spreca la giovinezza in sciocchezze, in letture inutili, in sport che son passionali, ecc., non crediate poi che si arrivi ad una virilità benefica; benefica perché ognuno, nella sua posizione, deve impegnarsi a operare il bene in ordine a Dio e in ordine al prossimo.
L'avvenire ogni giovane se lo prepara. L'aspirantato, il postulato, il noviziato, la professione temporanea preparano la vita. E non si può sapere, se uno non ha studiato! e non si può essere virtuoso e non si improvvisano le qualità che uno non ha acquistato! Mentre vi è tempo, ogni giorno il proprio ufficio, il proprio dovere: pietà e studio e apostolato e formazione umana e religiosa: tutto coordinato, ecco.
Non solo ammirare, ma imitare un grande uomo. Il quale costantemente, allorché si presentava un problema difficile, entrava in intimità con il tabernacolo e lì prendeva le sue decisioni, l'indirizzo della sua vita nei casi particolari. E poi si alzava risoluto e donava quello che aveva ricevuto dal tabernacolo.
Il suo grande sapere, il suo esempio di vita è veramente ammirabile! anche nelle attività! E poi la premura costante per il suo gregge affidatogli da Gesù Cristo.

Bisogna ricordare, ancora, gli obblighi particolari che abbiamo noi. Sotto Pio XII, la Famiglia Paolina, nelle sue varie congregazioni, ha ricevuto o l'approvazione definitiva, o la prima approvazione, oppure il nulla osta per l'approvazione ecc. Noi abbiamo da considerarci figli particolarmente beneficati da lui. Allora preghiere per il suo riposo eterno.
Già noi lo pensiamo al riposo eterno. Ricordo però una predica che ci ha fatto il parroco nel 1903, quando è morto Leone XIII. Noi dicevamo: "Quante preghiere si fanno per lui, che forse non ne ha bisogno". Ed egli ci ha risposto: "Bisogna pensare che il rendiconto a Dio è tanto più grande quanto più alto è stato il posto che si è occupato in vita". E allora, mentre che noi ci inchiniamo alla sua memoria e alla sua salma, moltiplichiamo le preghiere.
Entrare, adesso, nell'intimità del sacrificio della messa, che Pio XII celebrava con tanta effusione di spirito e qualche volta con lacrime. Entrare nell'intimità della messa, del sacrificio: "per ipsum, et cum ipso, et in ipso". E quindi offrire per nove giorni – sono i “novendiali” che adesso sono incominciati per la Chiesa, “novendiali” di lutto – in questi giorni offrire la parte soddisfattoria delle nostre opere, delle nostre preghiere per il suo riposo eterno.
"Requiem aeternam dona eis Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescat in pace".



Trascrizione del file: 1958-01-24_gesumaestro.mp3
durata 26'34''


Meditazione del Primo Maestro al Vangelo nella celebrazione della S. Messa.
Roma 24-1-1958


La devozione al Divin Maestro e San Paolo


Abbiamo, in questa Chiesa, chiesto tante volte alla nostra Madre Regina, la grazia di pregare il suo Figlio secondo lo spirito suo, e ugualmente abbiamo chiesto questa grazia a San Paolo, onde meglio capire il Maestro Divino e, secondo egli ci ha insegnato nelle sue lettere, presentare per mezzo suo al Padre celeste, le nostre adorazioni, i nostri ringraziamenti, le nostre soddisfazioni e le nostre suppliche.
Ed ecco che noi sentiamo di essere esauditi. È questo un primo passo, a cui seguiranno altri, a Dio piacendo, e con la grazia del Maestro divino.
Abbiamo ricordato, nel ritiro mensile, l’enciclica scritta da Leone XIII, sul finire del secolo passato, novembre del 1900. In quell’enciclica, quel grande Pontefice con il suo occhio, che guardava lontano e dominava si può dire i secoli, la storia, egli ci ha insegnato a invocare, in questo secolo, Gesù Cristo come Via, Verità e Vita per ogni individuo e per l’umanità.
Ora, ecco, che noi abbiamo cercato di seguire l’insegnamento che ci veniva dal Vicario di Gesù Cristo e costantemente abbiamo indirizzato la nostra pietà, i nostri studi, il nostro apostolato, la nostra vita religiosa verso questa divozione a Gesù Maestro.
E anche sempre, nell’Istituto si sono dati agli insegnanti i titoli corrispondenti. Ogni insegnante è chiamato “il Maestro”, ma non inteso solamente come insegnante, che questo sarebbe ben poco, ma rispetto a quello che è più alto. Un insegnante che precede, un insegnante che prega, il quale nello stesso tempo è rispettivamente e Via e Verità e Vita, e in questo modo viene a formarsi il Cristo nelle anime. Fino al perfezionamento a cui è giunto San Paolo e cioè “vivit vero in me Christus”.
La giornata di oggi è consacrata al Divino Maestro, la giornata, invece, di domenica prossima verrà consacrata alla memoria di San Paolo, la sua conversione e quest’anno prende un colore particolare, secondo ci hanno detto anche in questi giorni quelli che sono più approfonditi in questi tali studi, corre il centenario della lettera di San Paolo ai Romani, 58-1958, e questa è la lettera principale, nella quale sono esposti i dogmi fondamentali della nostra religione, e San Paolo espone quello che egli poteva chiamare il suo Vangelo.
In Alba abbiamo voluto che una delle grandi finestre riproducesse appunto il grande avvenimento: San Paolo che detta la sua lettera ad uno dei discepoli a Corinto, e la lettera che viene portata a Roma, alla città che doveva essere, per tutti i secoli, il centro del Cristianesimo.
Hanno da godere particolarmente per questa festa i discepoli e le discepole, che sono ornati di questo grande titolo: Discepoli, Discepole del Maestro Divino.
Ci può essere qualche cosa di più grande? San Paolo si credeva onorato di fregiarsi di tale nome.
Questa devozione noi l’abbiamo da attingere e praticare nello stesso tempo con la pratica dell’adorazione, con il culto eucaristico in generale, e con la lettura del Vangelo e con il continuo lavoro di apostolato per dare all’umanità Gesù Cristo, Via, Verità e Vita.
Perché questo? Perché noi abbiamo da vivere il Cristo totale, come egli è, e cioè come egli si è definito: Via, Verità e Vita.
L’uomo è uno, ma le sue facoltà fondamentali sono tre: l’intelligenza, il sentimento, la volontà.
Dio è uno ed ha creato l’uomo, ma Dio è in tre Persone e possiamo dire che ognuna delle Persone ha impresso nell’uomo una delle sue proprietà personali: il Padre la volontà, il Figlio l’intelligenza, lo Spirito Santo il sentimento.
E allora, ecco Gesù Cristo, che sta mediatore tra la Trinità e l’umanità. Egli è Via, Verità e Vita, e in lui si raccoglie, diciamo così, la perfezione dell’augusta Trinità, che poi riflette sopra di noi, a santificazione della mente e del sentimento e della volontà.
Ora, ecco, che nelle nostre Costituzioni e in tutto il complesso delle regole e degli indirizzi e delle predicazioni e dell’educazione che si dà, sempre si espone, si insegna, si dà Gesù Cristo, Via, Verità e Vita.

Ora, alcune parole sopra la Messa che stiamo celebrando.
Leggete l’introduzione: Cristo è Maestro dell’umanità per un triplice titolo:
– perché con la sua dottrina ci ha introdotti nei più profondi segreti della divinità e ce ne ha svelati i più intimi misteri;
– secondo, perché con il suo esempio ci ha tracciato la via attraverso la quale arrivare a Dio;
– e terzo perché, mediante la grazia, ci ha reso possibile la pratica di quanto egli ha insegnato.
La Messa di nostro Signore Gesù Cristo, Divino Maestro, vuole essere una esaltazione di questo magistero perfetto, che non trova riscontro sulla terra; perciò l’introito ci dice che già molte volte il Signore aveva insegnato, aveva parlato agli uomini per mezzo dei profeti, ma negli ultimi tempi, quando cioè scriveva San Paolo, “locutus est nobis in Filio”, ha parlato per mezzo del suo Figlio.
E allora, il suo Figlio ci ha dato, insieme, la dottrina, la sua legge e, nello stesso tempo, la grazia, l’aiuto e per credere e per vivere secondo la sua legge, secondo i suoi esempi.
Quindi abbiamo letto: “Osserva, popolo mio, la mia legge e porgi il tuo orecchio alle mie parole.
Nell’”Oremus” si dice: “Onnipotente, Eterno Iddio, che ti sei degnato di mandare il tuo Figlio Unigenito quale Maestro del mondo, concedi benigno che, ripieni della sua dottrina, più facilmente intendiamo le cose celesti”.
Abbiamo bisogno di intender le cose di Dio, e per sentire meglio la Messa, seguire le parole di introduzione.
L’epistola è presa dal libro del Deuteronomio. Mosè è figura del Maestro Divino. E allora il Signore annuncia a Mosè che dopo di lui, a suo tempo, cioè nella pienezza dei tempi sarebbe venuto un altro, simile a lui, a insegnare agli uomini la via di Dio: «Il Signore, Dio tuo, susciterà per te un profeta della tua nazione e dei tuoi fratelli, come me. Lui ascolta, come cedesti al Signore Dio tuo sull’Oreb, quando era convocata l’assemblea, e dicesti: “Non ascolterò più la voce del Signore Dio mio, né vedrò più questo sì gran fuoco, per non morirne”. E il Signore mi disse: “Hanno parlato bene in tutto”». E qui la profezia più chiara: «Farò sorgere per loro di mezzo ai loro fratelli un profeta simile a te; porrò sulla sua bocca le mie parole e dirà ad essi tutto quello che io comanderò; se qualcuno non vorrà dare ascolto alle parole che egli dirà in nome mio, ne farò io la vendetta».
E rispondono queste parole a quello che leggiamo nel Vangelo: «Chi non crederà, non sarà salvo e chi crederà sarà salvo». Perciò con il graduale noi rispondiamo: «Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di che temerò?», «O Signore, dammi una guida sulla tua via e conducimi per il retto sentiero, a motivo dei miei nemici».
Il Vangelo è ricavato da san Matteo. Si fa un confronto, ed è Gesù stesso che lo fa, tra coloro che si dicevano “maestri” in Israele ma che, ai tempi di Gesù Cristo, avevano declinato assai dalla loro via; perciò si contrappone il Maestro divino ai falsi maestri.
I falsi maestri sono quelli che non precedono con l’esempio, insegnano ma non fanno, perciò non son veri maestri.
«In quel tempo, Gesù, parlando alle turbe e ai suoi discepoli, disse: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli Scribi e i Farisei: fate dunque e conservate tutto ciò che vi dicono, ma non imitate le loro opere, perché dicono e non fanno. In verità mettono insieme pesanti fardelli, difficili da portare, e li pongono sulle spalle degli altri, ma essi non vogliono smuoverli neanche con un dito. Fanno, poi, tutte le loro opere per essere veduti: perciò portano filatterie più larghe, frange più lunghe, amano i primi posti nei conviti e i primi seggi nelle sinagoghe, e i saluti nelle piazze, ed esser chiamati “maestri” dalla gente. Voi non fatevi chiamare “maestri”: uno è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno sulla terra “padre”: uno solo è il Padre vostro, colui che abita nei cieli. E non fatevi chiamare “maestro”, perché uno è il vostro maestro: Cristo».
Perché la dottrina era sua. Perché la dava, questa dottrina, con sapienza e con bontà. Perché prima faceva quello che poi insegnava. E perché morendo sulla croce acquistò la grazia. Nessun altro insegnante è un maestro così compìto.
Perciò ecco quello che abbiamo noi da dire e quello che abbiamo da considerare: le parole del Padre celeste, già notate prima nel corso della Messa: “Questo è il mio Figlio diletto, che mi piace: ascoltatelo!”.
L’offertorio e la secreta hanno gli stessi pensieri: “Il Signore darà la guida a coloro che si sono smarriti per via”, ed è l’umanità che si era smarrita per via; “dirigerà i mansueti”, cioè le persone docili nella giustizia; “insegnerà ai miti le sue vie”. E si prega perciò: “Accogli, te ne preghiamo, o Signore, i doni che ti abbiamo offerti e fa’ che, seguendo fedelmente la dottrina del Figlio tuo, otteniamo la pace e il gaudio”, il frutto quindi di coloro che son docili e che ascoltano il Maestro divino.
“Uno solo è il Padre vostro, colui che abita nel cielo. Uno solo è il vostro Maestro: Cristo”. E perciò, alla fine, domandiamo la grazia di essere docili al Maestro Divino.
Nell’Istituto occorre prendere bene tutto l’insegnamento, completo, non soltanto in classe, nella scuola, ma particolarmente nelle predicazioni, nell’indirizzo che vien dato e in tutto quello che è il complesso della formazione.
E, secondo, abbiamo da imitare Gesù Cristo. Egli ci ha tracciato la via. Certamente è buona cosa l’imitazione dei Santi ed è magnifica cosa l’imitazione di san Paolo, nostro Padre. Ma noi possiamo andare a colui il quale è “il Santo”, non “un Santo”: Gesù Cristo. Modellar la nostra vita direttamente sopra di lui è cosa che ci eleva, e ci abbrevia la strada della perfezione. Troppo spesso c’è la tendenza, si segue una determinata mentalità, una determinata spiritualità, un determinato metodo. Il metodo non può essere che uno, per chi vuol farsi presto santo: Gesù Cristo, il Vangelo.
[sembra esserci un'interruzione del nastro] ...soltanto in mezzo al Maestro divino Via Verità e Vita, possiamo essere veramente compìti, come ci vuole il Signore, purificati nella mente, nel sentimento, nella volontà e anche nel corpo stesso, particolarmente per i santi voti e per il contatto con le carni divine di Gesù Cristo.
Oh, così l’apostolato. Quanto più l’apostolato dà a Gesù Cristo, tanto più noi corrispondiamo alla nostra vocazione, anzi, siamo fatti per questo!
La corrispondenza alla nostra vocazione è sempre questa: dare Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, in quanto all’apostolato. Dare quel che noi abbiamo ricevuto. Dare quel che siamo. Essere veramente consoni a noi stessi. Non abbiamo da prendere un duplice orientamento: uno per la vita nostra e l’altro per la vita delle anime! Noi siamo santificati in Cristo, e le anime dobbiamo salvarle in Cristo.
Allora, ora nel corso della messa, orientiamoci in questi pensieri:
– primo, il Maestro divino ha un gran libro, che è il creato. Studiare le scienze vuol dire studiare il libro divino: «Omnia per ipsum facta sunt e sine ipso factum est nihil quod factum est». Ogni invenzione, ogni studio della natura, ogni invenzione è trovare o meglio andare ad un altro sedicesimo del libro della natura, e leggerlo. Gli uomini in realtà son discepoli di Dio, in tutto lo studio della natura.
– E secondo: pentrare la rivelazione, specialmente la rivelazione operata da Gesù Cristo; approfondire il Vangelo: quello è il nostro libro, sul quale devono conformarsi tutti gli altri libri, tutte le pubblicazioni.
– Terzo: il Signore ci insegna per mezzo della maestra: la Chiesa. La quale interpreta la parola di Gesù Cristo Maestro, la interpreta, la conserva, la difende, la propone a noi. “E chi ascolta voi, ascolta me”, dice Gesù Cristo. Fedelissimi servitori e figli della Chiesa: non quelli che si servono della Chiesa per i loro fini, ma quelli che servono e seguono filialmente la Chiesa.
– E quarto: mirare a quella luce eterna, lux aeterna, dove il Maestro rifletterà sopra di noi una luce nuova; e in quella luce vedremo Dio, faccia a faccia, in gaudio, per tutta l’eternità.

Quindi quattro parti: il libro della natura; il libro della rivelazione; il libro della Chiesa; e poi, susseguentemente, per chi avrà seguito il Maestro divino, la luce eterna: si vedrà il libro: la Divinità, la santissima Trinità.
Sia lodato Gesù Cristo.