Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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2. MESE DI SAN GIUSEPPE2
I Premesse
1. La dignità di San Giuseppe è la massima, dopo quella della maternità divina. Infatti egli era capo della sacra Famiglia: perciò partecipe dell'autorità e dell'affetto del Padre celeste verso il divin Figlio; partecipe della sua sapienza per comunicare a Gesù Cristo la volontà sua.
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2. Egli era sposo di Maria, "virum Mariae", Madre di Dio; quindi prossimo alla dignità di Maria: «Poiché intervenne tra Maria e Giuseppe il vincolo coniugale, non vi è dubbio che Egli abbia partecipato alla sua altissima dignità» (Leone XIII).
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3. Ne segue in San Giuseppe una santità eminente, superiore a quella degli altri santi (eccetto Maria). Infatti, San Tommaso e San Bernardino da Siena dicono che il Signore vuole comunicare le grazie proporzionate e convenienti alla vocazione ed ufficio segnati per ciascun uomo.
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4. Sebbene gli Evangelisti non dicano molto di San Giuseppe, tuttavia egli appare come uomo di grande fede, di cieca obbedienza, di profonda umiltà, di perfetta verginità, di ardente amore a Dio.
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5. Per alcuni secoli di storia ecclesiastica, san Giuseppe rimase quasi nascosto: tuttavia san Bernardo, santa Teresa, san Francesco di Sales gli prestarono e ne propagarono la divozione. Nel 1729 Benedetto XIII aggiunse il suo nome nelle litanie maggiori; nel 1621 Gregorio XV ordinò di celebrarne la festa in tutta la Chiesa; Pio XI lo elesse patrono della Chiesa universale.
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6. Seguì nella cristianità un risveglio generale di divozione a san Giuseppe; grande fiducia nella sua protezione; conoscenza della sua vita e delle sue virtù; un amore fervido per un santo così amabile, semplice, silenzioso; una generale persuasione che egli si prenda a cuore tutte le necessità e miserie, e che vi provveda amando i fedeli della Chiesa come membra di Gesù Cristo. A lui sono consacrate chiese, altari, istituzioni; sono proposte tante pratiche di pietà; sono innumerevoli le grazie ed i prodigi da lui ottenuti: «Non ho mai chiesto grazia a san Giuseppe senza venire esaudita», diceva santa Teresa.
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II Considerazioni
7. Il più nobile ed utile lavoro per la società è quello apostolico: «Quam speciosi pedes evangelizantium pacem, evangelizantium bona» (Rm 10,15). Fu il grande lavoro del ministero pubblico di Gesù Maestro: «Veni ut vitam habeant, et abundantius habeant» (Gv 10,10). Gesù d associò cooperatori: e così Maria e Giuseppe, nella rispettiva condizione, furono i primi e principali cooperatori della redenzione. Preparano all'umanità il Maestro divino, il Sacerdote eterno, l'Ostia di propiziazione.
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8. L'apostolo è un cooperatore: con Cristo, in Cristo, per Cristo; lavora alla salvezza degli uomini comunicando ad essi i grandi beni della fede, della santità e della grazia.
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9. L'apostolato si può esercitare con la preghiera, la sofferenza, la parola, le opere, le edizioni, l'amministrazione dei sacramenti, l'educazione, le missioni ecc. Sempre è cooperazione. san Giuseppe, che accetta la sua missione: a Betlemme, in Egitto, a Nazaret, nella presentazione al tempio è sempre fedelissimo cooperatore.
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10. I nostri sentano quanto sia bella e grande la loro missione: vedranno un giorno i grandi meriti acquistati.
Oggi in molte anime vi è da una parte la tendenza ad appartarsi in una vita di semplice contemplazione; realizzare l'"attende tibi" fuga dal mondo! Chiudersi perciò in una vita di solitudine.
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11. In altre anime una grande tendenza alle opere di apostolato, considerando i grandi bisogni della società; realizzare l'"andate, predicate". Vita attiva, perciò spendersi, sopraspendersi.
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12. Ognuna delle tendenze è buona, quando si segue una divina chiamata. Non mancano però i pericoli d'illusione per le anime: o di segregarsi dal mondo in modo egoistico e forse per ignavia, per timore del sacrificio o della lotta contro il male: soldati che sfuggono di combattere. Oppure smania di opere senza la prima e principale cura, la vita interiore, la santità propria; pericolo di dimenticare la preghiera, principale mezzo di apostolato.
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13. Unire la vita contemplativa all'attività è la via più perfetta: ardere ed illuminare! Due sorta di meriti: santificazione propria e zelo della gloria di Dio. «Hoc enim faciens, et teipsum salvum facies et eos qui te audiunt».
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14. A san Giuseppe chiediamo la vita interiore, la santificazione propria nel silenzio, nell'intimità con Gesù e Maria, nel compimento dei doveri quotidiani, nell'esercizio delle virtù individuali e domestiche. Poi chiediamo lo spirito di apostolato, la cooperazione a Gesù Cristo ed alla Chiesa nella salvezza del mondo. Senza la grazia noi faremmo come chi piantasse degli alberelli secchi; non gioveremmo a noi stessi. san Paolo nel suo inno alla carità scrive: «Se io parlassi le lingue degli uomini, e degli angeli, e non avessi amore, non sarei che un bronzo risonante od un cembalo squillante. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, o se avessi tutta la fede, così da trasportare i mondi, e poi mancassi di amore, non sarei nulla. E se anche distribuissi ai poveri quanto ho e consegnassi il mio corpo alle fiamme e non avessi la carità, non ne riporterei alcun giovamento» (1Cor 13,1-3).
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15. Leone XIII propone san Giuseppe come modello del lavoratore. Egli fu operaio e maestro a Gesù nel lavoro. Mirabile il quadro che Maria compiva, quando, lavorando essa medesima, contemplava il suo santo sposo sudare in una dura fatica accompagnato al banco dal Figlio di Dio incarnato, creatore di tutto. Il lavoro, sia materiale, morale, intellettuale o apostolico, ci avvicina a Dio eterno e puro atto; a Dio, che conferì all'uomo la dignità di causa per l'imitazione del suo Creatore. Posto nel paradiso terrestre, «ut custodiret et operaretur eum» (Gn 2,15). L'uomo venne poi condannato alla fatica come espiazione e come mezzo di vita. E chi non lavora non procura la propria elevazione né ha diritto al pane: «Qui non laborat non manducat» (2Ts 3,10); né può dispensare dal lavoro una posizione sociale privilegiata.
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16. Da una parte il lavoro, dall'altra la pazienza nel lavoro; da una parte tendere a migliorare in modo giusto la propria condizione, dall'altra sopportare i disagi delle strettezze; da una parte il lavoro in patria, dall'altra il lavoro di emigranti; da una parte comprendere, dall'altra essere compresi; da una parte la giustizia, dall'altra la carità; da una parte l'afflizione, dall'altra la consolazione, da una parte esigere il giusto, dall'altra dare il superfluo, da una parte la mano d'opera, dall'altra l'unione della fatica, col capitale, e con i frutti.
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17. Leone XIII ed i Pontefici successivi hanno indicato al mondo i grandi mali della società moderna, i difetti e doveri rispettivi delle classi, le giuste soluzioni nello spirito del Vangelo.
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18. In san Giuseppe il lavoro è stato sublimato; in lui un perfetto equilibrio di pensiero e azione; in lui pazienza, attività, carità per il bisognoso. «Nonne hic est faber? (Mc 6,3) nonne hic est fabri filius?» (Mt 15,55). Solo gli insegnamenti dei Pontefici ed il sano concetto di democrazia cristiana prestano la medicina buona, insegnano a tutti la via giusta per la pace sociale e per il conseguimento dei beni futuri. Gesù e Giuseppe sono gli operai ideali.
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19. La vita intima di san Giuseppe con Gesù fu per lui una sorgente continua di grazia, virtù, bene e consolazioni. Grande pena nella nascita di Gesù in una grotta, in estrema povertà, sopra un po' di paglia, in una greppia; ma grande gioia nel sentire i canti degli angeli e vedere l'adorazione dei pastori, nel prostrarsi innanzi al Bambino celeste, nell'aprire tutto il suo cuore in un amore nuovo per il mondo. Grande pena pensando all'odio di Erode per il nato Messia, fuggendo in Egitto, vedendo i disagi del Bambino e di Maria in terra straniera; ma grande conforto nel trattenersi intimamente e soffrire con loro. Pene e gioie nel ritorno in Palestina, nell'arrivo dei magi, nel presentare Gesù al tempio, nella vita privata a Nazaret, nello smarrimento e ritrovamento al tempio.
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20. San Giuseppe sempre imparava, imitava, santificava se stesso. La sua vita di unione con Gesù era più elevata e feconda di meriti di ogni anima, anche la più eucaristica.
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21. L'unione nostra con Dio si perfeziona nelle sante meditazioni, negli esami di coscienza, nelle confessioni, nelle comunicazioni con Gesù sacramentato. Vi sono anime che poco sanno approfittare della messa, comunione, presenza reale di Gesù in mezzo a noi: «Vobiscum sum omnibus diebus» (Mt 28,20) e vi sono anime che invece crescono ogni giorno in grazia, consolazione, merito di vita eterna.
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22. La divozione a Maria è segno di salvezza mentre è sorgente inesauribile di grazia.
Per un altissimo disegno della Provvidenza ed invito dell'angelo, Giuseppe associò la sua vita a quella di Maria. Egli fu sposo vero e custode della Vergine e del suo onore; egli ne fu il nutrizio e compagno di pene e di conforti, servitore umile e confidente, imitatore fedele e suo sostegno nelle circostanze e vicende dell'infanzia e fanciullezza di Gesù. La devozione di san Giuseppe verso Maria è sopra quella di tutti i santi; come ora in cielo partecipa sopra ogni altro alla sua gloria ed al suo potere; e come egli ora riceve con lei e dopo di lei il culto più distinto e sopra ogni santo: culto di speciale dulia o protodulia.
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23. Conoscere, imitare, amare, pregare, predicare Maria: secondo la divina volontà, secondo l'insegnamento della Chiesa, nello spirito di venerazione di san Giuseppe.
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24. Tra i membri della Chiesa in difficoltà e necessità estreme sono gli agonizzanti. E' in punto di morte che il demonio, che odia le anime, fa i maggiori sforzi per guadagnarle. Presunzione o disperazione, trascuranza o malizia, morti repentine o lunghe malattie che illudono, difficoltà estreme o gravità del male: tutto può essere adoperato dal nemico di Gesù e dell'uomo per l'eterna dannazione.
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25. Per una morte rassicurante occorrono: buona vita, stato di grazia abituale, avere compiuto la missione affidataci, disposizioni di fede, speranza, carità, dolore dei peccati; ricevere possibilmente in tempo i santi sacramenti della penitenza, viatico, estrema unzione.
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26. Ognuna di queste cose si chiedano a S. Giuseppe: la sua vita fu santissima, esegui tutti i disegni e voleri divini sopra di lui, fu assistito da Gesù e Maria al suo transito.
Ogni santo in cielo è potente ad ottenere quello che egli stesso ha compiuto sulla terra di bene.
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27. Nella raccomandazione dell'anima la Chiesa propone a noi la seguente preghiera: «Mi rivolgo a Te, san Giuseppe, patrono dei morenti, che al tuo transito fosti assistito da Gesù e da Maria: per questi due grandi amori, ti raccomando questo infermo, che trovasi nella suprema lotta, e con insistenza ti prego di liberarlo dalle insidie del demonio e dall'inferno; perché con la tua protezione possa raggiungere gli eterni gaudi» (Rituale).
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28. San Giuseppe è protettore della Chiesa universale: cioè non di una singola categoria di cristiani ma di tutti; non solo del clero o religiosi; non solo dei giovani o del capifamiglia; non solo per ottenere la scienza agli intellettuali o la purezza ai vergini; non solo per la guarigione degli infermi o la protezione dei morenti. Esempio di castità, di fede, di umiltà, di lavoro, di pazienza, di giustizia per ognuno: «Josepb, cum esset iustus» (Mt 1,19).
E' protettore di tutti.
E' intercessore per ogni grazia.
E' modello di ogni virtù.
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29. Perciò nella preghiera proposta da Leone XIII si dice: «Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l'eletta prole di Gesù Cristo. Allontana da noi, o Padre amatissimo, codesta peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; ci assisti propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo scampasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità estendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio».
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30. «Gesù Cristo amò la Chiesa e diede la sua vita per essa, al fine di santificarla, purificarla con il lavacro dell'acqua, mediante la parola di vita, per farla comparire, innanzi a sé, gloriosa, senza macchia senza ruga, o altro simile difetto, ma, anzi, santa ed immacolata» (Ef 5,25-26).
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31. Il cristiano ama in modo simile la Chiesa cioè le persone, le anime che compongono la Chiesa e prega per tutte, interponendo l'intercessione di S. Giuseppe. Come il Padre affidò a san Giuseppe la famiglia di Nazaret, che era la Chiesa nascente, così il Papa affidò a san Giuseppe la Chiesa, ormai sviluppatasi, come il granello evangelico, in un maestoso albero.
Un vero paolino precede in questo amore anche sull'esempio dell'apostolo Paolo.

febbraio 1953

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2 Febbraio 1953